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L’alleanza bilaterale e la minaccia della Corea del Nord

3. Difesa e Sicurezza: il Giappone e la corsa al riarmo

4.2 L’alleanza bilaterale e la minaccia della Corea del Nord

Partendo dall’opinione diffusa di una Corea del Nord con a capo dei leaders irrazionali, questa rimane senza dubbio per il Giappone anche dopo la Guerra fredda il pericolo più immediato, vista anche la loro vicinanza geografica. In questo caso quindi l’arcipelago giapponese rappresenta il principale ostaggio e obiettivo8.

Storicamente la penisola coreana rimase sotto il controllo del Sol Levante dal 1910 fino alla resa dell’esercito giapponese nel 1945. Successivamente fu occupata dalle truppe statunitensi a sud e sovietiche a nord del 38° parallelo, dividendo così il territorio. L’occupazione delle due superpotenze accentuò le differenze politiche ed ideologiche presenti nella regione, che sfociarono nell’attacco militare del 25 giugno 1950 della Corea del Nord contro Seul. La decisione di attaccare fu del presidente Kim Il-Sung appoggiato da Mosca. Quella che sembrava essere iniziata come una guerra civile, finì per diventare una guerra internazionale, dopo che gli Stati Uniti intervennero su mandato dell’Onu e la Cina che inviò le proprie truppe nella penisola9.

6 Anna Lisa Ghini, La politica di sicurezza del Giappone e il ruolo dell'Italia, in Centro Militare di Studi

Strategici, Novembre 2008.

7 Francesco Leone Grotti, Il ruolo militare del Giappone: alleato degli USA e vera potenza regionale, 24 Maggio 2016. Consultabile al sito web:

https://aspeniaonline.it/articolo_aspenia/il-ruolo-militare-del-giappone-alleato-degli-usa-e-vera-potenza- regionale/

8 Ivi, p. 24.

9 Ryo Hagiwara, I grandi corteggiano la Corea del Nord, in Mistero Giappone: un mondo a parte; se Tokyo

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Il conflitto cessò nel luglio del 1953 con un armistizio firmato solo da Stati Uniti, Cina e Corea del Nord, mentre Seul non firmò l’accordo, che prevedeva una tregua e quindi non la fine del conflitto, mai terminato anche a causa dell’inizio della Guerra fredda. In questo scenario Washington probabilmente fece risultare la minaccia sovietica più di quello che fosse in realtà, riuscendo a far schierare Seul e Tokyo dalla sua parte, e per questo diventati mercati degli armamenti di produzione americana.

Una nuova fase coreana iniziò nel 1991 dopo il crollo del blocco sovietico. La Corea del Nord moderò l'atteggiamento bellicoso nei confronti di Stati Uniti, Corea del Sud e Giappone e questo fece pensare ad un'unificazione della penisola. A tal proposito venne firmata nel 1992 la Dichiarazione Congiunta sulla Denuclearizzazione della Penisola Coreana10. A quel punto Washington per mantenere i suoi alleati esagerò sulla minaccia della Corea del Nord e fece pressione su Tokyo per aumentare le spese militari e modificare l’articolo 9, affinché avesse un margine di azione globale nelle guerre al suo fianco. Washington in questo frangente faceva risultare da una parte la Corea del Nord come nemico, ma dall’altra le inviava aiuti di nascosto come cibo e petrolio, per evitare il collasso del paese. Sembrava anche che ci fosse per gli Stati Uniti una possibilità di accettare la nuclearizzazione, a patto che fosse esclusa la proliferazione.

La Corea del Nord aveva perso l’Unione Sovietica come principale alleato e cercava di garantirsi la sopravvivenza, evitando una disgregazione del regime, con un pubblico processo e la pena capitale. Per questo Kim Il-Sung, che si era ritirato dalla vita politica, dopo il crollo sovietico cercò di riprendere le redini del governo che erano passate nelle mani del figlio Kim Jong-Il, poiché non condivideva alcune delle sue scelte. Il conflitto tra padre e figlio iniziò nel 1990, con la decisione del figlio di invitare a Pyǒngyang un gruppo di ispettori Onu del World Food Program (Wfp). Il suo intento era quello di ricevere assistenza in seguito alla carestia dovuta allo scarso raccolto di cereali del 1989. Il padre però non era d’accordo sul rivelare agli “imperialisti” i segreti di Stato all’Occidente, andò su tutte le furie, ma riuscì ad evitare le ispezioni del Wfp11.

Nel frattempo quelli che erano gli alleati della Corea del Nord cominciarono a stringere i rapporti con la Corea del Sud, suo principale nemico, che scaturirono nel progressivo isolamento di Pyǒngyang e la conseguente ossessione per la propria sicurezza militare.

10 Joint Declaration of South and North Korea on The Denuclearization of The Korean Peninsula, in NTI, 26 Ottobre 2011. Consultabile al sito web: https://www.nti.org/learn/treaties-and-regimes/joint-declaration-south- and-north-korea-denuclearization-korean-peninsula/

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Mosca infatti aveva già aperto delle relazioni commerciali negli anni Ottanta con Seul e giunse al riconoscimento della Corea del Sud nel 1990. I legami con la Corea del Nord si fecero più deboli anche in seguito al mancato rinnovo nel 1996, del Trattato di amicizia siglato nel 1961. I rapporti tra Mosca e Pyǒngyangmigliorarono solo con la leadership di Vladimir Putin, poiché era interessato a riguadagnare quell’influenza strategica nell’Asia nordorientale. Anche la Cina aveva iniziato nello stesso periodo ad instaurare rapporti economici con Seul, ma ha sempre mantenuto una speciale relationship con Pyǒngyang interessandosi alla sopravvivenza del Paese, perché fermamente convinta del ruolo fondamentale di stato cuscinetto tra i suoi confini e quelli della Corea del Sud. Il timore stava nel fatto che nel caso di un’eventuale unificazione della penisola, la Cina avrebbe potuto vedere basi e forze statunitensi vicine ai propri confini. Tokyo invece iniziò i negoziati di normalizzazione nel 1991 con il primo ministro Kaifu Toshiki, mentre Pyǒngyang si concentrò solo sulle relazioni con gli Stati Uniti, tralasciando quelle con Seul e Tokyo perché la loro politica estera era ritenuta subordinata e derivata da quella degli Stati Uniti. Tuttavia, Pyǒngyang non potendo avere lo stesso peso in un rapporto bilaterale con questa potenza decise di incrementare l’arsenale missilistico e nucleare. A tal proposito la Corea del Nord nel 1993 rifiutò l’ispezione dei due siti di smaltimento di scorie nucleari da parte dell’International Atomic Energy Agency (IAEA) e successivamente annunciò anche di volersi ritirare dal Trattato di non proliferazione nucleare (TNP) firmato nel 198512. Da non sottovalutare quando si parla della Corea del Nord come minaccia è il programma missilistico che andò sviluppandosi di pari passo con quello nucleare. Come vedremo, nel 1993 e nel 1998 furono effettuati test di due missili a lungo raggio (rispettivamente Nodong e Taeopodong). Il primo evento fu una delle principali cause dell’escalation di tensioni tra Giappone e Corea del Nord, cioè il lancio del missile Nodong nel mare del Giappone nel maggio 1993. Questo fece percepire a Tokyo, che la minaccia della Corea del Nord stava diventando sempre più reale. Fu percepita la precarietà della situazione nella regione, perché la minaccia avrebbe potuto coinvolgere più potenze, sfociare in guerriglie della Corea del Nord in Giappone e causare una crisi di rifugiati. Tuttavia, la risposta del Giappone fu criticata in quanto poco reattiva e piuttosto passiva13.

Washington così aprì i negoziati bilaterali con Pyǒngyang e successivamente tramite un accordo, l’Agreed Framework, l’amministrazione Clinton riuscì a raggiungere l’obiettivo di

12 A. L. Ghini, La politica di sicurezza del Giappone e il ruolo dell'Italia, op. cit., pp. 24-25.

13 Natalia Andrea Pereyra, Le implicazioni della questione nord-coreana per le politiche di sicurezza

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far sospendere alla Corea del Nord la decisione di ritirarsi dal TNP. Nel 1994 però la tensione sulla questione raggiunse il culmine quando fu dimostrato che la Corea del Nord aveva aumentato la quantità di plutonio estratto nella centrale nucleare di Yongbyon e quindi vicina alla produzione di armi nucleari. Pyǒngyang alimentò volutamente la fuga di notizie sul suo programma per sfidare Washington per contenere l’instabilità politica dovuta alla mancanza di cibo, che raggiunse livelli altissimi. In questo modo riuscì a mettere da parte il risentimento del paese nei confronti del governo, che ormai era sul piede di guerra perché come risposta aspettava un imminente attacco da parte degli Stati Uniti14.

A questo punto la crisi coinvolse anche il Giappone e la Corea del Sud e vista la gravità della questione, il presidente Clinton inviò l’ex presidente Jimmy Carter a Pyǒngyang per incontrare Kim Il-Sung. Durante l’incontro, Clinton suggerì di organizzare un summit tra il leader nordcoreano e quello sudcoreano Kim Dae-Jung, che accettò subito la proposta. Questo si svolse a Pyǒngyang il 25 luglio, ma Kim Jong-Il era contrario all’incontro, perché ancora una volta aveva paura del crollo del regime e di essere giustiziato in pubblico. Per questo aveva deciso di sbarazzarsi dei nemici politici riducendo loro i rifornimenti, facendoli morire di fame.

Contrariamente al figlio che avrebbe voluto decimare per fame i suoi oppositori, il padre cercò di placare il sentimento antigovernativo dei cittadini affamati prendendo alcune misure, tra cui quella di fornire loro più cibo e quella di rilanciare l’agricoltura per aumentare la quantità di fertilizzanti e di conseguenza la produzione. Tutto ciò avrebbe avuto bisogno di incrementare anche l’energia elettrica, a cui aveva già pensato predisponendo quattro piani specifici con altrettante centrali termoelettriche. Queste ultime sarebbero state finanziate mediante il contributo che la Corea del Sud avrebbe offerto come segno di distensione tra i due paesi.

Il rapporto tra i due continuò a lacerarsi fino a trovare un punto di non ritorno. L’ultimo conflitto tra padre e figlio culminò con la morte del padre. Kim Jong-Il, poco prima dell’apertura della terza serie di colloqui con gli Stati Uniti a Ginevra, aveva scoperto tutti i piani del padre che erano in contrapposizione ai suoi. Kim Il-Sung infatti aveva svelato i suoi progetti durante un incontro con i dirigenti degli uffici economici e per realizzarli aveva imposto come tempo massimo un solo anno.

Il tutto era evidentemente discordante con i piani del figlio. Kim Jong-Il aveva intenzione di chiedere agli Stati Uniti i reattori nucleari che sarebbero serviti a produrre energia

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elettrica. Questa però non era una soluzione immediata al bisogno del paese di accrescere energia elettrica, visto che ci sarebbero voluti circa dieci anni prima di raggiungere l’obiettivo. In cambio dei reattori la Corea del Nord avrebbe fatto un passo indietro nel programma di armamento nucleare, evitando così di trovare opposizione da parte degli Stati Uniti. Quando venne a conoscenza di tutto mancava solo un giorno all’inizio dei negoziati a Ginevra e la sera prima degli stessi, il 7 luglio 1994, il vecchio leader morì. Secondo alcuni l’omicidio fu ordinato dal figlio poiché ad assistere all’evento erano presenti solo tre dei fedelissimi del giovane, che sarebbero stati in grado di occultare tutte le tracce riguardanti la causa della morte. Con la morte del padre, Kim Jong-Il riuscì a sbarazzarsi di molti dei suoi avversari, procedendo con il piano che aveva per il nucleare e indirizzando il malcontento del popolo contro gli Stati Uniti.

Il risultato dei negoziati nel 1994 fu il congelamento da parte della Corea del Nord del programma nucleare sotto la supervisione dell’IAEA, ottenendo in cambio da Washington, entro i dieci anni successivi, due reattori ad acqua leggera che fossero pienamente funzionanti per la produzione di energia elettrica, grazie ai finanziamenti del Giappone e Corea del Sud. Nel frattempo gli Stati Uniti avrebbero fornito la Corea del Nord con 500 mila tonnellate di greggio.

La posizione di Washington rispetto alla questione dei reattori era ambigua, poiché faceva risultare la Corea del Nord una grande minaccia, ma continuava ad aiutare il paese nella lotta alla sopravvivenza e fornendoli di reattori ad acqua leggera, sapendo che ci sarebbe stato il rischio che il programma sul nucleare sarebbe potuto andare avanti. La vera strategia invece stava nell’impedire la caduta del regime di Pyǒngyang che avrebbe portato all’unificazione della penisola, alla perdita dei due mercati importanti per la vendita di armi degli Stati Uniti, che in aggiunta avrebbero perso il pretesto per convincere il Giappone a modificare l’articolo 9 della Costituzione. Inoltre Washington aveva accettato il rischio del programma nucleare di Pyǒngyang per costringere il Giappone a schierarsi dalla sua parte e per assicurarsi che fosse realmente spaventato da questa minaccia. I nazionalisti giapponesi, in linea con quanto previsto dall’accordo bilaterale tra Giappone e Stati Uniti, sentono ancora oggi la necessità di far apparire il loro paese in lotta contro la Corea del Nord per giustificare una revisione della Carta costituzionale15.

Un altro tentativo di riaprire le trattative tra Giappone e Corea del Nord fu fatto dal governo giapponese tra il 1994 e il 1996, durante l’amministrazione di Murayama Tomiichi.

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È interessante notare la percezione della minaccia di Pyǒngyang e la sfiducia verso il governo giapponese stesso da parte dell’opinione pubblica e degli altri Paesi. Il tentativo di riaprire le negoziazioni infatti, non fu accolta in modo positivo dall’opinione pubblica, come fecero anche la Corea del Sud e gli Stati Uniti. Le critiche dell’opinione pubblica nei confronti della Corea del Nord aumentarono quando il governo di Tokyo decise di mandarle aiuti di tipo alimentare, ma senza ricevere alcun ringraziamento.

Per quanto riguarda la questione nucleare, gli accordi erano sempre sul filo di un rasoio, sempre pronti ad andare in fumo, secondo le minacce della Corea del Nord. Mentre si stavano raggiungendo accordi per il Korean Peninsula Energy Development Organisation (KEDO), a integrazione dell'Agreed Framework, Pyǒngyang minacciò di far saltare entrambi gli accordi se i reattori fossero stati costruiti dalla Corea del Sud e che se si fossero verificati dei ritardi nel progetto, avrebbe ripreso il programma nucleare16.

Un anno più tardi Tokyo decise nuovamente di provare a ricucire i rapporti bilaterali attraverso nuove negoziazioni iniziate in maniera informale all’inizio del 1996 a Pechino, tra alcuni diplomatici nord-coreani e il Ministero degli Affari Esteri. Alla fine del 1997 ci furono ulteriori trattative tra i due stati, che terminarono in una dichiarazione tra partiti, firmata dal Partito di Lavoro Coreano, oltre al Partito Social Democratico e al Partico Liberal Democratico. Con questa dichiarazione Pyǒngyang si sarebbe impegnata a proseguire le trattative con Tokyo e avrebbe cooperato nelle indagini di ricerca dei giapponesi scomparsi tra gli anni Settanta e Ottanta17. Tuttavia, l’apparente distensione delle tensioni ebbe breve durata, poiché la Corea del Nord negò tutto riguardo ai rapimenti di cittadini giapponesi e questo provocò un peggioramento della sua immagine agli occhi dell’opinione pubblica giapponese. Inoltre, la fine ufficiale di questa fase si determina con la decisione di Pyǒngyang di lanciare un missile che avrebbe sorvolato lo spazio aereo del Giappone nell’agosto del 1998.

La preoccupazione del Giappone nei confronti della Corea del Nord era sempre in aumento, raggiungendo il picco il 31 agosto 1998 quando Pyǒngyang lanciò il missile Taepodong-1, che prima di cadere nel Pacifico, sorvolò il Giappone. Tuttavia, sull’esito di questo test ci sono opinioni discordanti. Da una parte quella di Pyǒngyang, che sosteneva il buon esito del test, dall’altra quella di Washington che contrariamente sosteneva il fallimento. A prescindere da questo, la risposta del Giappone fu più reattiva rispetto a quella

16 Christopher W. Hughes, The North Korean nuclear crisis and Japanese security, Vol. 5, n.12, Routledge, London, 2013, p. 80.

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del 1993, che impose delle sanzioni per la Corea del Nord, tra cui la sospensione della normalizzazione e della firma per il finanziamento del KEDO. La decisione più importante che Tokyo prese in seguito all’accaduto fu quella di potenziare le capacità difensive del Giappone e di rafforzare l’alleanza con gli Stati Uniti. In questa crisi era più che evidente la vulnerabilità di tutto il Giappone. Questa decisione sicuramente contribuì al processo di riarmo del Giappone, oltre che a quello per l’approvazione della Legge sulle Misure per la Pace e la Sicurezzanelle aree circostanti il Giappone. La legge appena citata fu approvata nel 1999, a supporto delle Linee Guida per la Cooperazione nella Difesa tra Stati Uniti e Giappone del 1997, che consentirono al Giappone di supportare le forze armate statunitensi nell’area circostante in caso di attacco.

Inoltre, fu anche approvato dal governo giapponese lo sviluppo per due satelliti di ricognizione, che sarebbero stati di supporto alle Forze di Autodifesa nello spazio aereo e cosa più importante, il Giappone avrebbe avuto totale controllo su di esse. In questo momento infatti il Giappone voleva dimostrare di poter essere anche indipendente dagli Stati Uniti18. La decisione scaturì dal fatto che il Giappone reputò la risposta degli americani al test piuttosto minima e indecisa. Il test del 1998 portò ad un miglioramento anche delle forze marittime, che iniziarono a cooperare con la Marina militare statunitense, per lavorare ad alcuni progetti, che avevano come obiettivo il miglioramento dello Standard air defense

missile degli Stati Uniti. Sostanzialmente, tutte le misure adottate dal Giappone,

caratterizzate in parte dalla multilateralità, sono l’equivalente della crescita della preoccupazione di non essere totalmente capace di far fronte ad un eventuale attacco, sommato ad un debole appoggio statunitense.

4.3 La crisi e i tentativi di normalizzazione tra Corea del Nord e Giappone nel nuovo