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Il pacifismo antimilitarista nella Costituzione giapponese

3. Difesa e Sicurezza: il Giappone e la corsa al riarmo

3.1 Il pacifismo antimilitarista nella Costituzione giapponese

Le origini del carattere antimilitarista della Costituzione giapponese derivano sicuramente dal così detto pacifismo giuridico, di cui uno dei maggiori esponenti si ricorda essere Immanuel Kant. A tal proposito, nella sua opera Per la pace perpetua, pose dei limiti alla guerra, oltre ad essere un fervido sostenitore della necessità di un’organizzazione internazionale che avesse la capacità di garantire la pace tra gli Stati, definita anche “pace perpetua”. Per raggiungere questo obiettivo però, sarebbero serviti quattro prerequisiti, ovvero “abolire gli eserciti permanenti, cause di infinite guerre di invasione e della proliferazione di armamenti; vietare l’emissione di obbligazioni di Stato funzionali all’acquisto di armi o all’attuazione di guerre; vietare interferenze nei paesi mediante l’uso della forza; vietare atti ostili che possano minare la fiducia nei rapporti con le altre nazioni”1. Prima però di espletare i caratteri della difesa e della sicurezza del Giappone dal 1945 in poi, bisogna fare un passo indietro e tenere conto di alcune considerazioni.

Antecedentemente al XIX secolo nell’Europa occidentale, un qualsiasi Stato aveva il diritto di fare legittimamente ricorso alla guerra, ma pressappoco dal 1907 con la Conferenza di pace dell’Aia, furono fissati i criteri da osservare e le procedure giuridiche a cui attenersi in caso di guerra. Più precisamente, fu solo con la Convenzione della Lega delle Nazioni e il Patto di Parigi, che il tema del diritto di belligeranza fu ridimensionato. In altre parole, fino a quel momento, ogni sovranità statale poteva liberamente ricorrere alla guerra senza preoccuparsi della sua legittimità, rendendola appunto “indifferenziata”, proprio perché non era preso in considerazione il carattere “giusto” o “ingiusto” di essa2. Malgrado le sanzioni

previste per gli Stati inadempienti, firmatari della Convenzione, la Lega non riuscì a garantire il suo pieno funzionamento.

1 Naito Mitsuhiro, Il mito infranto del paradiso kantiano, in Mistero Giappone: un mondo a parte; se Tokyo

dice no; tra Usa e Cina, pp. 63.

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La prima svolta riguardo alla rinuncia della guerra come mezzo per la risoluzione di conflitti internazionali, con conseguente impegno per risolverli con mezzi pacifici, fu il Patto di Parigi nel 1928. Tuttavia, non poteva evitare di concedere il diritto di autodifesa, imprescindibile per ogni Stato sovrano. Principio a cui si appellarono gli Stati Uniti, il quale concede il diritto di proteggere il proprio territorio da eventuali invasioni o attacchi militari, giustificando il ricorso alla guerra o dando un pretesto per poterla legittimare. Il Patto non poteva comunque impedire la minaccia all’uso di armi e non prevedeva indicazioni per risolvere le controversie in maniera pacifica. Motivi per cui non riuscì efficacemente ad impedire lo scoppio della Seconda guerra mondiale.

Bisognerà aspettare la Carta delle Nazioni Unite, adottata il 26 giugno 1945, quando gli Stati firmatari si impegnarono a rinunciare alla guerra, incluso l’uso della minaccia o della forza militare. In aggiunta, con l’istituzione del Consiglio di Sicurezza, venivano limitati i requisiti per il ricorso alla guerra e venivano adottati dei provvedimenti per i paesi che non rispettavano gli obblighi a cui erano sottoposti.

Il principio di rinuncia iniziò ad avere carattere ufficiale poiché presente nelle costituzioni emanate a partire dal secondo dopoguerra, tra cui si ricordano quella francese, tedesca, italiana in Europa e quella sud coreana e giapponese in Estremo Oriente. Quest’ultima, del 1946 «si ispira ai valori fondamentali di sovranità del popolo, rispetto dei diritti umani e pacifismo»3. Il secondo capitolo è quello basato sulla totale rinuncia alla guerra e quindi si basa sulla completa adesione del Giappone al pacifismo. Questo principio è presente nel già citato articolo 9, il quale è la vera base di tutto il secondo capitolo della Costituzione. Diversamente dagli altri stati e dalle nuove costituzioni emanate dopo il 1945, il Giappone rinunciò totalmente alla guerra, compreso il proprio diritto di autodifesa, in quanto la esclude completamente dai modi possibili per risolvere controversie internazionali. A tal proposito, c’erano due diversi punti di vista dei costituzionalisti giapponesi. Da una parte, ci sono alcuni che trovavano la rinuncia a tale diritto conforme a quanto presente nel Patto di Parigi; dall’altra, la maggior parte di essi, che affermava l’ipotesi presente nel Patto di Parigi di una guerra di difesa, contrariamente a quanto stabilito dalla Costituzione giapponese. Il Giappone, inoltre, rappresenta un caso unico in quanto stabilisce anche che non sono previste forze di mare, di terra e di aria.

Accanto al principio di rinuncia alla totalità della guerra si definisce il diritto a un’esistenza pacifica in assenza di eserciti militari. In questo caso non solo il popolo

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giapponese ha il diritto di non rischiare la propria vita a causa di una guerra, ma ha la facoltà di rifiutarsi liberamente di prestare servizio di leva.

Si può notare inoltre che, diversamente dagli altri testi costituzionali, l’articolo 9 non prevede procedure in grado di autorizzare il paese ad intraprendere azioni di guerra. Insieme al tema della guerra in sé, il testo non fa riferimento ad aspetti legati ad essa, quali apertura di ostilità, stipula di accordi di pace e responsabilità di guerra e riparazioni.

Un altro aspetto fondamentale del pacifismo antimilitarista è il “diritto di vivere in pace”, direttamente nell’ambito dei diritti umani. Come si legge nel preambolo della Costituzione, tutti i popoli del mondo «hanno il diritto di vivere in pace». Tuttavia, tale diritto non esisteva quando fu emanata la Costituzione giapponese, ma fu adottata dopo il 1973, quando un tribunale giapponese riconobbe, come diritto universale, «il diritto di vivere in pace»4.

Con la Seconda guerra mondiale si passa ad una guerra totale, differente dalle precedenti, soprattutto perché si identifica al meglio con quella nucleare, per cui i diritti umani e la pace diventano strettamente legati. Secondo alcune cause giuridiche però, tale diritto non può essere considerato un vero e proprio diritto umano a causa del carattere astratto del termine “pace”, per cui andrebbe chiarito il contenuto giuridico del concetto stesso.