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La proprietà intellettuale: causa o conseguenza della crescita economica?

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di laurea in Giurisprudenza

La proprietà intellettuale:

causa o conseguenza della crescita

economica?

Il Candidato

Il Relatore

Silvia Trotta

Prof. Nicola Giocoli

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INTRODUZIONE 1 Capitolo 1 LA GLOBALIZZAZIONE DELLA PROPRIETA' INTELLETUALE

1.1 LE ORIGINI: IL GATT 3

1.2 PRINCIPI E OBIETTIVI DELL'OMC 6

1.3 IL LUNGO ITER DELL'ACCORDO TRIPs 9

1.3.1 DALLA “RAGIONEVOLE” REAZIONE DI DIFESA AL DESIDERIO DI FARE PROFITTI 14 1.3.2 LA MINACCIA ALLE GERARCHIE E LE SANZIONI USA: LO SPECIAL 301 21 1.3.3 REAZIONE USA: INIZIA IL PROCESSO DI CONVINCIMENTO 29

1.3.4 LA RESISTENZA DEI PAESI IN VIA DI SVILUPPO 36

1.4 L'ACCORDO TRIPs 40

1.5 GLI “EFFETTI COLLATERALI” DEL TRIPs 47

Capitolo 2 ANALISI ECONOMICA DELLA PROPRIETA' INTELLETTUALE: IL PUNTO DI VISTA TRADIZIONALE

2.1 LA PROPRIETA' INTELLETTUALE 57

2.2 UN BENE DAI MILLE VOLTI 60

2.3 ESTERNALITA' 65

2.4 LA DIVISIONE DELLA PROPRIETA' 69

2.5 GIUSTIFICAZIONE ECONOMICA DEI DIRITTI DI PROPRIETA' 71

2.6 I DIRITTI DI PROPRIETA' INTELLETTUALE 79

2.6.1 IL COPYRIGHT 80

2.6.2 IL BREVETTO 88

2.6.3 ANALISI ECONOMICA DEL BREVETTO 93

2.6.4 IL SEGRETO INDUSTRIALE 100

2.6.5 IL MARCHIO 103

Capitolo 3 ABOLIRE LA PROPRIETA' INTELLETTUALE?

3.1 IDEE CONTROCORRENTE 107

3.2 IDEE ASTRATTE E IDEE INCORPORATE 109

3.3 IL VERO “VOLTO” DELLA PROPRIETA' INTELLETTUALE 113

3.4 PROPRIETA' PRIVATA E CONCORRENZA 116

3.5 INNOVARE IN CONCORRENZA 117

3.6 IMITAZIONE 123

3.7 INNOVARE IN PRESENZA DI MONOPOLIO INTELLETTUALE 125 3.8 CAUSA DELL'INNOVAZIONE O “SGRADEVOLE CONSEGUENZA”? 127

3.9 UN MERCATO OLIGOPOLISTICO PER BREVETTI 133

3.10 UNA ALTERNATIVA O UN RIMEDIO AL SEGRETO INDUSTRIALE? 136

3.11 “CHI TROVA UN BREVETTO TROVA UN TESORO” 138

3.12 IL SOCIALISMO DIGITALE: UN'ILLUSIONE? 141

3.13 L'INDUSTRIA FARMACEUTICA 146

3.14 NUOVE PROPOSTE PER L'INDUSTRIA FARMACEUTICA 151

Capitolo 4 ALCUNI DATI SULLA PROPRIETA' INTELLETUALE

4.1 NUOVI SCENARI 157

4.2 159

4.2.1 I TOP R&D INVENTORS: DOVE SI TROVANO E IN QUALE SETTORE OPERANO 160 4.2.2 PAESI LEADER NELL'USO DELLA PI E SETTORI DI MAGGIOR IMPIEGO DEI DPI 160

4.2.3 L'IP BUNDLE 163

4.2.4 LE STRATEGIE DI INNOVAZIONE E DIVERSIFICAZIONE DEI TOP R&D INVENTORS 164

4.3 165

4.4 171

CONCLUSIONI: “MUCH ADO ABOUT NOTHING”? 176

BIBLIOGRAFIA 185

SITOGRAFIA 190

IL RAPPORTO INDUSTRIAL PROPERTY STRATEGIES IN THE DIGITAL ECONOMY

IL WORLD INTELLECTUAL PROPERTY INDICATOR 2018 UN CASE STUDY: IL “MIRACOLO CINESE” SULLA PI

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INTRODUZIONE

In base alla teoria della crescita endogena, l'innovazione è il motore della crescita economica. L'innovazione è spesso dispendiosa e la concorrenza può costituire un disincentivo. Il legislatore, ha pertanto pensato di incentivare l'innovazione, tra i vari strumenti disponibili, anche tramite l'impiego della proprietà intellettuale (PI). La PI infatti consente, grazie alla restrizione temporanea della concorrenza, il recupero dei costi sostenuti per l'invenzione.

Tuttavia, a fronte della posizione favorevole unanime degli economisti, in merito alla utilità della proprietà privata di beni materiali, vi è tutt'oggi un acceso dibattito sulla proprietà privata di particolari beni immateriali quali sono le idee, la conoscenza. Il dibattito assume oggi una importanza maggiore: un'epoca storica in cui si assiste ad una generalizzata decrescita economica mondiale e alla contestuale trasformazione digitale, che rivoluziona le tradizionali modalità di trasmissione della conoscenza e i suoi canali. La “posizione tradizionale” in materia di proprietà intellettuale propugna il mantenimento del sistema di diritti di proprietà intellettuale ed un suo rafforzamento e trova un accanito avversario nei sostenitori di tesi abolizioniste, che vedono nella proprietà intellettuale un “male inutile” ed una “sgradevole conseguenza” dell'innovazione piuttosto che la sua causa.

* * *

Il presente lavoro è costituito da quattro capitoli. Il primo ha l'intento di ripercorrere le tappe storiche fondamentali del lungo iter negoziale che ha portato alla elaborazione dell'Accordo TRIPS: un trattato che ha introdotto per la prima volta, all'interno di un'organizzazione mondiale volta a garantire ai suoi membri la libera circolazione di beni e servizi (la OMC), una disciplina standardizzata e uniforme a livello internazionale, in materia di proprietà intellettuale.

Si terrà in particolare considerazione la interessante “versione storica” dei professori australiani Peter Drahos e John Braithwaite i quali ritengono il TRIPs il risultato di uno “scontro” che ha visto contrapposti i “paesi ricchi” occidentali e i “paesi poveri” del mondo e che si è concluso con la imposizione del modello occidentale e più nello specifico statunitense.

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Il secondo capitolo espone le principali argomentazioni economiche a sostegno della proprietà intelettuale (PI), che rappresentano la “posizione tradizionale” in materia. In antitesi con essa, le tesi controcorrente, abolizioniste, saranno oggetto di analisi del terzo capitolo. Le argomentazioni esposte dagli economisti Michele Boldrin e David K. Levine nel loro libro intitolato “Abolire la proprietà intellettuale”, saranno una presenza predominante.

A conclusione del terzo capitolo si esporranno i risultati dell'indagine svolta dai ricercatori italiani Daniele Archibugi e Andrea Filippetti, in merito al “sentire comune” circa il sistema di diritti di proprietà intellettuale e l'Accordo TRIPS, disvelando una sopravvalutazione della portata economica della PI, sia da parte dei suoi sostenitori che da parte dei suoi detrattori.

Il quarto capitolo con un approccio più pragmatico analizza i dati stastistici di Reports ufficiali, tentando di scorgere l'importanza della PI nelle scelte strategiche delle imprese e di fotografare le recenti tendenze in materia di PI nella Digital Economy. In particolar modo si farà riferimento al “World Corporate Top R&D Investors: Industrial Property Strategies in the Digital Economy (2017)” e al “World Intellectual Property Indicators 2018”.

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CAPITOLO 1

LA GLOBALIZZAZIONE DELLA PROPRIETA' INTELLETUALE

In questo primo capitolo si ripercorrono le tappe storiche fondamentali che hanno portato alla creazione dell'odierno sistema internazionale di tutela della proprietà intellettuale. Il punto di partenza della trattazione è l'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC, o WTO - World Trade Organization), sorta dalle “ceneri” del General Agreement on Tariffs and Trade (GATT) e che si pone in continuità con esso. Infatti, dapprima il GATT e successivamente l'OMC hanno reso possibile, attraverso la conclusione di una serie di accordi bilaterali e multilaterali, la armonizzazione delle diverse discipline nazionali sulla proprietà intellettuale e un rafforzamento della sua tutela a livello mondiale. Si esporranno pertanto i punti chiave dell'OMC e verrà approfondito in particolare l'Accordo TRIPs: Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights Agreament, uno dei documenti pilastro dell'OMC, il quale ha introdotto standards uniformi di tutela della proprietà intellettuale per tutti i Paesi firmatari. Si ripercorrerà il lungo iter che ha portato alla sua stipula, frutto di compromessi e concessioni reciproche, ma che non è comunque stato sufficiente a placare i desideri di chi ha combattuto per la creazione di un solido sistema di tutela della proprietà intellettuale globale.

1.1 LE ORIGINI: IL GATT

L'odierno sistema economico globale rappresenta il risultato di maggiore successo del periodo seguente le due guerre mondiali. Infatti, in seguito alle gravi perdite e alle sofferenze da esse inferte, divenne impellente il desiderio di pace, stabilità e sicurezza, per tutte le popolazioni del mondo. I progressivi interventi, avvenuti in seguito ad un lungo processo di contrattazione e negoziazione, hanno portato ad una sempre maggiore apertura dei mercati esteri, consentendo un arricchimento degli stessi grazie alla disponibilità di nuove materie prime, prodotti e servizi, ampliando così l'offerta e la scelta di prodotti, con notevole beneficio per le economie dei Paesi. Infatti il

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commercio negli ultimi 70 anni è cresciuto in maniera esponenziale e le statistiche lo dimostrano: “ogni anno il commercio è cresciuto di 1,5 volte più velocemente rispetto all'economia globale e le esportazioni di merci sono aumentate in media del 6% all'anno. Le esportazioni totali nel 2016 erano 250 volte superiori al livello registrato nel 1948”1. La creazione del nostro sistema economico globale è avvenuta grazie al

lavoro coordinato di importanti organizzazioni istituzionali internazionali, di cui l'OMC e l'OMPI (Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale o WIPO: World Intellectual Property Organization) sono le più importanti. Anche se ufficialmente l' OMC è nata il 1 gennaio 1995 con il “Final Act” dell'Uruguay Round firmato nell'aprile 1994 al meeting ministeriale di Marrakesh, le sue radici risalgono al 1947, al GATT, di cui ha preso il posto.

Si legge all'art. 10, c. 1 dell'Accordo di Marrakesh:

Le parti contraenti del GATT 1947 alla data di entrata in vigore del presente accordo e le Comunità europee che accettano il presente accordo e gli accordi commerciali multilaterali [...] diventeranno membri originali dell'OMC.

Pertanto, il sistema commerciale multilaterale inizialmente istituito nell'ambito del GATT ha già più di 70 anni e l'OMC rappresenta un continuum di esso.

Tutto ebbe inizio nell'ottobre del 1947, quando 23 paesi siglarono, a Ginevra, un'intesa sul commercio e sulle tariffe doganali denominata GATT, su impulso degli USA e della Gran Bretagna.

Il GATT nasceva tuttavia, come accordo e organizzazione provvisoria perchè l'intenzione originaria era di creare una terza istituzione da affiancare a quelle di Bretton Woods, Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale, che si sarebbe dovuta chiamare “ITO: International Trade Organization”. Ma l'ITO non venne mai creata, si sostiene, perchè le ambizioni fossero superiori alle reali possibilità o comunque a causa della mancata ratifica dello statuto dell'ITO da parte degli USA. Venne pertanto firmato un accordo da soli 23 Paesi. Il GATT pertanto iniziò a funzionare, pur privo di istituzioni permanenti, anche come organizzazione (al posto della mai sorta ITO). Quindi per “GATT 1947” si intendeva sia “l'accordo”, sia “l'organizzazione” nata per gestire l'accordo. Nonostante la partenza accompagnata da

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scetticismi del GATT 1947 (era un'organizzazione non riconosciuta nell'ambito del diritto internazionale e i paesi partecipanti venivano indicati ufficialmente non come “paesi membri” di un'organizzazione, bensì come “parti contraenti” di un accordo), sino al 1995 il GATT è rimasto l’unico testo legalmente riconosciuto che sanciva le regole del commercio internazionale.

A partire dagli anni succesivi alla creazione del GATT del 1947, un tumultuoso vortice di nuove e dettagliate negoziazioni commerciali, è intervenuto ad integrare e modificare l'accordo. L'Uruguay Round, dal 1986 al 1995, ha dato una spinta significativa ad un suo ulteriore arricchimento e superamento, con ben 60 accordi conclusi. Inoltre, in seguito alla istituzione dell'OMC non si parla più di “GATT in quanto organizzazione internazionale”, poiché la OMC l'ha sostituita. Resta tuttavia il “GATT accordo generale” come trattato quadro dell'OMC per lo scambio di merci, aggiornato in seguito ai negoziati dell'Uruguay Round. Quindi si parla di “GATT 1947” in riferimento all' “accordo” e all' “organizzazione” e di “GATT 1994” per indicare l'“accordo sullo scambio di merci” così come modificato che sorregge “l'OMC organizzazione”.

Le negoziazioni successive alla creazione del GATT 1947 hanno portato alla conclusione di accordi plurilaterali, i quali: “non creano obblighi o diritti per i Membri che non li hanno accettati” (Art. 2 c. 3 Allegato 4 dell'Accordo di Marrakesh) e accordi multilaterali che sono invece “vincolanti per tutti i membri” (Art. 2 c. 2 e Allegato 1A dell' Accordo di Marrakesh). Il risultato più importante dell'Uruguay Round sono stati i tre accordi pilastro: il GATT, un Accordo multilaterale sullo scambio di merci (allegato 1A); il GATS, un Accordo generale sullo scambio di servizi (allegato 1B) e infine il TRIPs un Accordo sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà (allegato 1C) che verrà approfondito nei paragrafi successivi. Tali accordi riguardano svariati aspetti del commercio globale: l'abbassamento delle tariffe su determinati prodotti, misure antidumping, norme in materia di merci (in particolare nel settore della agricoltura, della sicurezza alimentare, misure sanitarie e fitosanitarie, nel settore della pesca, della tecnologia dell'informazione e nel settore tessile etc.), poi anche in materia di servizi (servizi forniti a imprese e servizi professionali, servizi nel settore della comunicazione, dell'edilizia, della distribuzione, dell'istruzione, dell'energia, dell'ambiente e del turismo, della finanza, del trasporto e dei servizi sociali) e infine in materia di proprietà intellettuale. I servizi e la proprietà intellettuale

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rappresentano la vera novità rispetto al suo predecessore GATT 1947, il quale limitava il suo ambito di intervento al settore delle merci.

1.2 PRINCIPI E OBIETTIVI DELL'OMC

Come già anticipato, il sostrato normativo che regola obiettivi, principi, modalità di funzionamento e procedure negoziali dell'OMC, discende principalmente dai negoziati dell'Uruguay Round (1986 - 1995), che hanno comportato un’importante revisione del testo originale dell'Accordo generale sulle tariffe doganali e il commercio (GATT 1947). Dal 1995, dunque, l'Accordo di Marrakesh, che ha istituito l'OMC, e i suoi allegati (compreso il testo aggiornato del GATT: il GATT 1994) sono stati il punto di riferimento dell'OMC.

L'art 2 dell'Accordo di Marrakesh ne individua il campo di applicazione: “l'OMC funge da quadro istituzionale comune per lo svolgimento delle relazioni commerciali tra i suoi membri per quanto riguarda le questioni relative agli accordi e ai relativi strumenti giuridici contenuti negli allegati del presente accordo”. L'OMC ha quindi un obiettivo ambizioso: quello di porsi come organismo di governo del commercio mondiale. Al suo interno ha ben 164 membri, che rappresentano il 98% del commercio mondiale. Di questi, 117 sono paesi in via di sviluppo o territori doganali separati. L'OMC deve assicurare che il commercio proceda, il più possibile, “in maniera scorrevole, senza intoppi, in maniera prevedibile, trasparente e libera, fornendo supporto ai produttori di beni e servizi, esportatori e importatori nel condurre i loro affari” (WTO, n.d). Si tratta di un intervento di ampio respiro perchè consente, di raggiungere e promuovere lo sviluppo economico, di prediligere uno sviluppo sostenibile, incrementando così il benessere delle popolazioni, riducendo la povertà e garantendo la pace e la stabilità tanto agognate. I membri dell’OMC si sono prefissi di “migliorare il tenore di vita, di assicurare una “piena occupazione [...] e [una] continua crescita di reddito reale e di domanda effettiva” (Decisione del Consiglio 94/800/CE), di aumentare la produzione e la espansione del commercio di beni e servizi. E’ necessaria allo stesso tempo, l'elaborazione di solide politiche interne, che contribuiscano anch'esse alla crescita economica e allo sviluppo e che non si pongano in antitesi con quelle internazionali. Il tutto è opportuno che venga condotto in modo da rispettare, laddove possibile, esigenze e aspirazioni dei singoli stati membri.

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Fondamentale è anche l'impegno dell'OMC nei confronti dei paesi in via di sviluppo affinchè acquisiscano una maggiore consapevolezza, grazie al dialogo instaurato con essi e che trovino nell'organizzazione un valido supporto tecnico - tattico, nonchè un “coach” paziente e flessibile che conceda loro tempi di adeguamento, più distesi e tolleranti, alle varie misure adottate dai membri.

L'OMC pertanto è principalmente un “forum per le negoziazioni commerciali” (art. 3, c. 2 dell'Accordo di Marrakesh); inoltre ha al suo interno un sistema che risolve le controversie commerciali e le incertezze interpretative: uno strumento fondamentale per garantire il rispetto degli accordi. Le decisioni sono prese da esperti indipendenti, appositamente designati, che interverranno laddove la ricerca di una soluzione condivisa tramite consultazione fallisca (art. 3, c. 3 e Allegato 2). L'OMC monitora le politiche commerciale nazionali, tramite una revisione periodica (TPRM) (art. 3, c.4 e Allegato 3). Questo compito è stato introdotto a seguito della crisi finanziaria del 2008, ed è divenuto uno strumento ordinario. Al fine di rendere più coerente la politica economica globale, coopera con altre organizzazioni internazionali (art. 3, c. 5 e Art. 5); infatti si legge sul sito istituzionale WTO che: “il sistema OMC è solo una parte di una serie molto più ampia di diritti e obblighi internazionali che vincolano i membri dell'OMC”. Intrattiene pertanto, relazioni di lavoro con quasi 200 organizzazioni internazionali (Banca Mondiale, Fondo monetario Internazionale, OMPI, OCSE -Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, OMS - -Organizzazione Mondiale della Sanità, ITC - International Trade Centre, UNCTAD - United Nations Conference on Trade and Development, FAO - Food and Agriculture Organization of the United Nations, solo per ricordarne alcune), occupandosi della elaborazione di statistiche e ricerche sul commercio e della promozione di programmi di formazione per i paesi membri. Ben 140 organizzazioni internazionali fungono da osservatori presso l'OMC e anch'essa è a sua volta osservatore presso altre organizzaziomi internazionali. Compito dell'OMC è inoltre assistere nella procedura di adesione all'organizzazione (art. 12) i circa 30 paesi che non sono ancora membri2.

2 La procedura consta di 4 fasi: durante la prima “l'aspirante” membro deve descrivere la propria politica commerciale ed economica ad un gruppo di lavoro dell'OMC, che la valuta. Nella seconda, vengono avviati negoziati bilaterali paralleli tra il candidato e i singoli membri. Ma, in virtù del principio di non discriminazione, gli impegni assunti dal nuovo membro si applicheranno ugualmente a tutti i membri dell'OMC, anche a quelli che non sono stati parte del negoziato. L'adesione di un candidato può quindi risultare molto vantaggiosa. La terza fase prevede la stesura di un “Protocollo di adesione” che definisce condizioni e modalità di adesione e permanenza. Infine, nella quarta fase, il tutto viene sottoposto al vaglio del Consiglio generale o della Conferenza ministeriale, i quali decidono circa la adesione del candidato all'Organizzazione. L'esito positivo

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Tutti gli accordi e le politiche commerciali intraprese dall'OMC si fondano su un sostrato di principi e obiettivi cardine, condivisi da tutti gli Stati membri. Il c.d. “principio di non discriminazione” è un principio cardine dell'Organizzazione e comprende due accezioni.

La prima è la c.d. Most Favoured Nation clause (MFN) la quale impegna i membri a concedersi reciprocamente il trattamento più favorevole, evitando di far discriminazione tra partner commerciali e tra prodotti e servizi, propri e stranieri. Ciascuno Stato membro deve cioè impegnarsi nel riservare ai cittadini di altri Stati membri, un trattamento non meno favorevole di quello accordato al cittadino di uno Stato terzo. L'importanza di tale principio emerge dal fatto di esser stato espressamente previsto tramite una disposizione ad hoc che lo richiama nei tre accordi pilastro (nell'articolo 1 del GATT, nell'articolo 2 del GATS e nell'articolo 4 del TRIPs). La rigidità del principio viene temperata in alcuni casi eccezionali: si può, ad esempio, concludere un accordo di libero commercio che si applica solo ai beni commercializzati all'interno del gruppo, discriminando quelli provenienti da fuori; o un accordo che concede ai paesi in via di sviluppo una particolare modalità di accesso di determinati beni, nei loro mercati. Si può inoltre, erigere barriere nei confronti di prodotti che si ritiene esser stati scambiati ingiustamente.

La seconda accezione del principio di non discriminazione è quella del c.d “trattamento nazionale”, che impone parità di trattamento per stranieri e cittadini: i prodotti importati e quelli prodotti internamente devono essere trattati allo stesso modo, quando il prodotto importato viene immesso sul mercato. Lo Stato deve riconoscere al cittadino straniero un trattamento equivalente a quello riservato ai propri cittadini. Lo stesso deve valere per i servizi, i marchi, i diritti d'autore e i brevetti esteri e nazionali. Anche in questa seconda accezione il principio di non discriminazione viene ripetuto nei tre accordi pilastro (nell'articolo 3 del GATT, nell'articolo 17 del GATS e nell'articolo 3 del TRIPs). Il trattamento nazionale si applica solo quando un prodotto, un servizio o un elemento di proprietà intellettuale è stato immesso sul mercato. Pertanto, la riscossione dei dazi doganali sulle importazioni non è contraria a questo principio, anche quando non viene riscossa alcuna imposta equivalente sui prodotti locali.

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Un altro importante principio è quello della liberalizzazione del commercio progressiva e negoziata, che avviene tramite la riduzione delle barriere commerciali, delle tariffe, dei dazi doganali e dei divieti alle importazioni o dei sistemi di quote che restringono la quantità in modo selettivo: l'apertura delle frontiere deve consistere in una opportunità di scambio vantaggiosa per tutti. Anche in questo caso non mancano eccezioni che necessitano del mantenimento degli ostacoli commerciali (ad esempio, per proteggere i consumatori, prevenire la diffusione di malattie o proteggere l'ambiente).

Il terzo principio che deve servire da linea guida per gli Stati membri dell'OMC è il principio di trasparenza che permette di rendere l'azione prevedibile, così da incoraggiare investimenti e concorrenza. Il principio di concorrenza è infatti proprio un altro principio sancito dall'Organizzazione, che punta ad aumentare la competitività e scoraggiare le “unfair practices”. Infine un principio di solidarietà che prevede la possibilità di elaborare un trattamento differenziato per paesi sottosviluppati, consentendo loro maggiore disponibilità e flessibilità di tempo nell'adeguarsi alle politiche concordate e il rispetto per l'ambiente, per la salute delle persone e degli animali e cura nella conservazione delle piante. Tali principi sono stati riaffermati e rivalutati nel Doha Round che ha avuto inizio nel novembre del 2001, dopo soli sette anni dalla conclusione dell'Accordo TRIPs: come si vedrà, l'Accordo TRIPs è solo una tappa di una lunga serie di riforme della PI globale.

1.3 IL LUNGO ITER DELL'ACCORDO TRIPs

Il summenzionato Accordo TRIPs, Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights, che in italiano viene tradotto come “Accordo sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale”, consiste nell'allegato 1C dell'Accordo di Marrakech, siglato il 15 aprile del 1994 nell'ambito dell'Uruguay Round. Di fatto, il raggiungimento del testo definitivo dell'Accordo TRIPs è avvenuto solo a seguito di lunghe e faticose negoziazioni tra numerosi ed influenti interlocutori di tutto il mondo, in una estenuante “battaglia negoziale” condotta con un andirivieni di reciproche richieste e concessioni. L'Accordo TRIPs è dunque un trattato internazionale che ha portato all'interno del panorama economico globale una dirompente carica innovativa, costituita dal fatto di aver per la prima volta posto all'interno di una organizzazione

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internazionale sul commercio, che tradizionalmente aveva ad oggetto beni e servizi, la proprietà intellettuale (PI).

Il TRIPs contiene al suo interno disposizioni che fissano gli standard minimi di tutela della proprietà intellettuale e i requisiti che le leggi dei Paesi aderenti devono rispettare per tutelarla. L'obiettivo dell'Accordo è rendere i diritti di proprietà intellettuale (indicati spesso con l'acronomo “IPRs”: Intellectual Property Rights) globali e armonizzare le leggi nazionali sulla PI, nel rispetto degli obiettivi delle politiche nazionali e delle esigenze dei Paesi membri in via di sviluppo, in modo che tutti siano sottoposti alle medesime leggi e procedure. L'Accordo TRIPs introduce anche una disciplina per la prevenzione e risoluzione delle controversie.

Ovviamente, un accordo di tal fattispecie rendeva conseguenza necessaria la cessione di sovranità dei singoli Stati ad un organismo sovraordinato, che ne avrebbe coordinato e sanzionato le azioni. Il precedente tentativo di creazione dell'ITO era fallito miseramente proprio perchè gli Stati Uniti temevano di perdere la propria sovranità e per lo stesso motivo India e Brasile hanno formato una hardline di resistenza all'introduzione di un Codice PI nel GATT. Cosa abbia indotto questi paesi a cambiare idea e cosa li abbia convinti a cedere la propria sovranità nazionale in una materia tanto importante quale è la proprietà intellettuale è oggetto di analisi nei prossimi paragrafi. Una prima risposta che può essere avanzata è che abbiano stimato che i benefici, i privilegi e la maggiore protezione internazionale della PI, rispetto a quella che avrebbero potuto offrire a livello locale, avrebbero superato i sacrifici derivanti dalla rinuncia alla sovranità3.

Nel dibattito che ha accompagnato la stesura del testo dell'Accordo TRIPs e che non è cessato dopo la sua approvazione definitiva, sono emerse le posizioni particolarmente interessanti di autorevoli accademici, professori e ricercatori che hanno dedicato gran parte della loro carriera ad approfondire i temi legati alla proprietà intellettuale. Il professor Peter Drahos, un accademico australiano e ricercatore specializzato in materia di PI e in global business regulation, nonché Direttore del Centre for Governance of Knowledge and Development e titolare di altri numerosi e prestigiosi incarichi universitari e non ha, con il professor John Braithwaite, docente presso la

3 Nel paragrafo intitolato “The puzzle of TRIPs”, del capitolo XII di Information Feudalism (Drahos e Braithwaite, 2002), gli autori avanzano un'altra risposta. Sostengono che la maggior parte delle nazioni importatrici non aveva una chiara comprensione dei propri interessi e non erano nella stanza dove si prendevano le decisioni, quando i dettagli tecnici importanti sono stati risolti.

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Australian National University (ANU), collaborato alla stesura di un volume intitolato Information Feudalism, pubblicato per la prima volta nel 2002. Lo stravagante titolo del libro4 viene spiegato dagli autori nella prefazione. Il feudalesimo come è ben noto

è quel sistema economico e sociale che divenne anche un sistema di governo durante il medioevo, in seguito alla caduta dell'Impero Romano e durato fino al XIX secolo circa. Durante questo periodo storico, la mancanza di un solido assetto governativo in grado di garantire i diritti dei cittadini dai barbari portò molti proprietari terrieri a cedere le proprie terre in cambio di protezione ai grandi signori del tempo. Lungi dal volerci rimandare “alla abietta subordinazione di un feudalesimo medievale”, Drahos e Braithwaite intendono tuttavia mostrare “la connessione tra il progetto di un feudalesimo dell'informazione che descriv[ono] in queste pagine e feudalesimo medievale in quanto entrambi comportano una ridistribuzione dei diritti di proprietà” (p. 2). Così come i piccoli proprietari terrieri rinunciavano ai propri beni in cambio di sicurezza fisica, nel “feudalesimo dell'informazione” la conoscenza passa dalle mani di scienziati e autori a quelle di “conglomerati di media” e “corporazioni scientifiche”: i veri detentori di diritti esclusivi sull'informazione (p. 2). Nel nostro tempo la “rinuncia” alla conoscenza acquisita ad opera di privati non dovrebbe più essere dettata dal timore per la propria incolumità fisica, bensì da quello di poter essere “derubati” di ciò che ci appartiene. Ciò che gli autori cercano di approfondire è il motivo per il quale i Paesi hanno deciso di cedere la propria sovranità in materia di leggi sulla proprietà intellettuale, ripercorrendo dunque il lungo iter di circa un ventennio che ha impegnato dapprima solo alcuni Paesi, poi il mondo intero e che ha portato ad un sistema globale di tutela della PI:

The intellectual property standards we have today are largely the product of the global strategies of a relatively small number of companies and business organizations that realized

4 Information Feudalism è il titolo provocatrio che Peter Drahos con Jhon Braithwaite hanno dato al loro libro, alludendo al sistema noto come “feudalesimo” affermatosi “nell'Europa occidentale con l'Impero carolingio (IX secolo) e con la morte di Carlo Magno, fino alla nascita dei primi Stati nazionali nel XIX secolo” (Wikipedia). La provocazione risede nel ritenere il sistema di tutela PI non appropriato. Come essi stessi affermano nella prefazione del testo, quando i governi

stabiliscono le regole sulla PI spesso finiscono con il regolare i mercati, traducendosi in uno svantaggio per i cittadini. Gli autori non giudicano necessariamente come negativa la

regolamentazione del mercato quando a giustificarne i costi vi sono i benefici. Purtroppo, come essi stessi scrivono “ [o]ur work suggests that governments rarely take a cost-benefit approach to

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the value of intellectual property sooner than anyone else. (Drahos & Braithwaite, 2002, Preface)

Tuttavia il progetto di un feudalesimo dell'informazione è incompleto poiché, nonostante per alcuni il sistema di PI globale creato sembri eccessivo già così com'è, per molti intervistati dagli autori del libro è invece debole: “many of whom we interviewed, want ever stronger and more rigorously policed international standards of intellectual property” (p. 2).

L'iter storico così egregiamente ripercorso dagli autori è un prezioso contributo per questa tesi, perchè permette di approfondire l'evoluzione dei negoziati, bilaterali e multilaterali, avvenuti in un arco temporale di circa vent'anni, che hanno portato all'attuale sitema globale della proprietà intellettuale.

Daniele Archibugi e Andrea Filippetti, due ricercatori del Consiglio Nazionale delle Ricerche italiano, hanno pubblicato nel 2010 un articolo il cui scopo è “riesaminare criticamente ciò che è divenuto il sentire comune intorno al sistema dei diritti di proprietà intellettuale, al TRIPs e i suoi effetti” (p. 1, abstract). Lo studio intitolato “The Globalisation of Intellectual Property Rights: Four Learned Lessons and Four Theses”, si basa (come i ricercatori stessi dichiarano) su un’ampia letteratura sul tema. Il secondo paragrafo dell'articolo propone le quattro “learned lessons” richiamate nel titolo, sul tema della conoscenza e dell'innovazione, cui verrà fatto cenno a conclusione del terzo capitolo. Ciò che invece rileva in questa sede è il terzo paragrafo, il quale espone le “quattro tesi sulla globalizzazione dei diritti di proprietà intellettuale”.

Sia Information Feudalism che l'articolo appena citato propongono una tesi molto interessante sebbene argomentata diversamente. La tesi sostanzialmente condivisa dai due studi, come si sarà intuito, è quella secondo la quale l'Accordo TRIPs abbia esteso il modello di tutela della PI occidentale a tutti gli altri Paesi che sono divenuti parte dell'OMC. Il modello “occidentale” cui in particolar modo si fa riferimento è quello statunitense, rafforzato da una serie di modifiche istituzionali che hanno portato ad una “silent revolution in IPRs”5. Scrivono Andersen, Jaffe e Lerner, citati da

Archibugi e Filippetti (2010, p. 141):

5 Espressione usata da Andersen, (2004) e Jaffe and Lerner, (2004) di cui Archibugi e Filippetti si servono nell'esporre la prima tesi sul TRIPs.

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Over the last few decades, the United States has introduced several institutional changes that strengthened the IPRs regime. These changes have generated greater penalties for IPRs infringement, allowed Intellectual Property for publicly funded R&D and enlarged the scope of patents into unexpected areas.

Questa tesi, fondata o discutibile che sia, sicuramente ha un fondo di verità inconfutabile: prima che si giungesse all'Accordo TRIPs che armonizzerà le normative nazionali, solo i paesi leader nel settore del business, nel mercato del software e nell'industria farmaceutica, i grandi “esportatori” di conoscenza, avevano un solido sistema di tutela della PI, costruito nel tempo in un primo momento per proteggere i propri diritti dall'usurpazione dei “pirati dell'est” e successivamente anche per lucrare dagli introiti che la privatizzazione della conoscenza comportava. Dunque dapprima una ragionevole reazione di difesa, poi un'acuta lungimiranza. I c.d. Paesi in via sviluppo (PVS) e i Paesi sotto sviluppati, quali Cina, Corea, India, Africa subsahariana, Brasile etc.6, paesi importatori di conoscenza, di prodotti high tech, non

avevano molto da proteggere perché le loro economie si basavano prevalentemente sull'agricoltura: “What really mattered to all these countries were lower tariffs rather than higher standards of patent protection” (Drahos e Braithwaite, 2002, p. 80). Inoltre, il c.d. “principio di territorialità” ha avuto un ruolo importante per la diffusione della pirateria, dispensando i paesi sprovvisti di leggi sulla PI dal riconoscere e rispettare il sistema IPR di paesi stranieri e le corti nazionali dal sanzionarne le violazioni.

La gerarchia mondiale vedeva in vetta USA, Giappone e Comunità Europea i quali, fintantochè i Paesi in via di sviluppo si limitavano a usufruire di conoscenze scientifiche e tecnologiche occidentali, non avvertivano i PVS come una minaccia per la propria posizione commerciale apicale. Infatti la disponibilità di queste conoscenze “it is not as such sufficient to foster development driven by technological change”: “[i]n order to make sense and exploit the spectrum of knowledge, competences and technologies coming from abroad, each country needs to develop an ‘absorptive capacity’, that is, the endogenous capacity to learn from these opportunities and to

6 Per una più immediata comprensione si continuerà ad utilizzare le espressioni tradizionali “Paesi in via di sviluppo” o “Paesi sotto sviluppati” sebbene nel World Development Indicator 2016 della Banca Mondiale non compare più la distinzione fra “Paesi in via di sviluppo” (o a medio-basso reddito) e Paesi sviluppati (ad alto reddito), optando piuttosto per la creazione di raggruppamenti per aree geografiche.

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exploit them economically” (Cohen and Levinthal, citati da Archibugi & Filippetti, 2010). La minaccia per la posizione in vetta alla gerarchia nel settore farmaceutico di USA, Germania, Giappone e Regno Unito si prefigurò quando l'India, avendo costruito una forte industria farmaceutica, iniziò ad esportare i suoi farmaci in Canada. O quando l'Australia ha migliorato le sue capacità nel produrre vino, intaccando il primato europeo nella vinificazione. Si afferma dunque che in base alla tesi appena anticipata, l'Accordo TRIPs sia stato fortemente voluto da Stati Uniti, in primo luogo, e da Giappone e Comunità Europea, in un secondo momento, e che i Paesi in via di sviluppo siano stati indotti, perciò non del tutto volontariamente o non del tutto consapevolmente, a farvi parte. Si afferma inoltre che in particolare l'Accordo sia il frutto dell'incessante lavorìo di corporazioni, lobby americane che hanno formato cartelli, aumentando notevolmente la loro influenza e la loro presenza tra le fila del Congresso e che la resistenza dei paesi in via di sviluppo sia stata “schiacciata dal potere commerciale” (Drahos & Braithwaite, 2002, p. 12). Dunque si sospetta che il processo di creazione del TRIPs non sia avvenuto in maniera del tutto “democratica”, che sia stato asservito ai solo interessi delle corporazioni occidentali, ma non anche a quelli delle economie occidentali (infatti si sostiene che i cittadini non abbiano beneficiato dall'introduzione del sistema globale di tutela della PI), e infine che la veemenza della portata rivoluzionaria del TRIPs e del sistema IPR sia stata sopravvalutata (Archibugi & Filippetti, 2010).

1.3.1 DALLA “RAGIONEVOLE” REAZIONE DI DIFESA AL DESIDERIO DI FARE PROFITTI

Da sempre ogni paese del mondo ha impiegato tempo e denaro nel tutelare le opere dei propri scrittori e artisti e le invenzioni dei grandi uomini d'intelletto, ma è stato molto poco attento nel fare lo stesso nei confronti di opere e invenzioni di autori e inventori stranieri. Sembra proprio che la conoscenza, a causa della sua intangibilità, sia stata da sempre destinata a circolare, con o senza la volontà dei legittimi proprietari.

Gli USA hanno da sempre difeso la propria cultura dagli attacchi per esempio della Corea del Sud. Caso emblematico fu quello, descritto da Drahos & Braithwaite (2002), della Tower Publications: un business che si occupava di copiare i libri di testo

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occidentali, senza pagare le dovute royalities, rendendo così disponibili libri americani a studenti coreani ad un prezzo che questi ultimi potevano permettersi di sostenere. Ma anche quando nel 1987 la Corea si dotò di un Copyright Act, la situazione rimase la medesima. Addirittura si riteneva che l'atto di copiare fosse “una forma sincera di adulazione, qualcosa che dovrebbe allietare gli autori piuttosto che farli arrabbiare” (p. 20). Ma è inutile ribadire che i coreani avrebbero dovuto sapere che quando vi sono di mezzo gli affari poco importa del riconoscimento del prestigio. Gli USA furono costretti ad intensificare la protezione della propria PI inasprendo le sanzioni per chi non l'avesse rispettata. La linea dura americana in parte funzionò, perchè le circa otto settimane che il capo della Tower Publications trascorse in prigione furono di monito per la Corea del Sud, la quale appose un'insegna per indicare l'ufficio brevetti su cui vi era scritto in inglese “Korean Patent and AntiPiracy Office”: fu un'indicazione “pubblica e cortese” affermano Drahos e Braithwaite, “del rispetto delle idee occidentali sulla proprietà”, poiché “gli uffici brevetti occidentali si riferiscono a se stessi come uffici brevetti” (p.20).

Tornando indietro di quattro secoli circa, in Inghilterra la pirateria è stata un'importante fonte di ripresa dell'economia7. Sotto il regno della regina Elisabetta I

“piracy became a large-scale business involving old aristocratic families and high-ranking navy officers” (p. 21): i pirati inglesi, in stretti rapporti con la corona, saccheggiavano le navi spagnole di ritorno dalle Indie occidentali e dalle Americhe orientali. Non si può dire che gli USA stessi, a causa dei loro editori, fossero un modello di comportamento virtuoso nei confronti degli scrittori inglesi, tanto da costringere Charles Dickens a mobilitarsi per farsi promotore di una campagna negli USA nel 1837 “for the recognition of the rights of foreign authors” (p. 33). Il Navigation Act del 1651 stabiliva che le merci orientali venissero importate dalle colonie americane, passando dall'Inghilterra. Questo faceva aumentare il prezzo dei beni e rendere appettibile il mercato. Dunque parte della responsabilità per la diffusione della pirateria negli USA la ebbe l'Inghilterra stessa.

Episodi di questo genere erano all'ordine del giorno e presenti in tutto il mondo e quando si tentava di impedirli nuovi sistemi per aggirare le regole venivano escogitati. La strategia della difesa dalla pirateria non ha mai condotto ai risultati sperati. Si pensi

7 La pirateria in Inghilterra non è stata solo un'importante fattore per il rafforzamento dell'economia: ha consentito inoltre la creazione di una solida flotta britannica che avrebbe sbarellato la supremazia spagnola negli oceani. ( Drahos con Braithwaite, 2002, p. 21).

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a tutti i soldi spesi da Bill Gates e Microsoft per cercare di far diventare la lotta alla pirateria di PI una delle priorità nell'agenda del governo USA. L'organizzazione statunitense Business Software Alliance (BSA), scrivono Drahos e Braithwaite, ha condotto per oltre un decennio una campagna contro la pirateria sul software: “Certificates of authenticity on special high-security paper, holograms on the hub of the CD, a heat sensitive strip that, when rubbed, reveals the word genuine and a watermark” sono tutti parte dei suggerimenti che Microsoft fornisce ai suoi clienti e potenziali acquirenti per far loro sapere che hanno acquistato o stanno per acquistare un prodotto legale e originale. Inoltre Microsoft si serve di un unico numero di serie impiantato in ogni documento che certifica e consente di rintracciare in ogni momento l'autore del documento8. Tutte queste informazioni vengono trasmesse a Microsoft

quando un acquirente registra la sua copia di Windows. L'azienda conclude che vi è stata pirateria ogni qual volta riscontra lo stesso numero di prodotto relativo a due o più diversi numeri hardware. Un programma per computer TRS80 denominato Super Utility Plus era in grado di copiare programmi protetti con tecnologie sofisticate e di proteggere se stesso da una eventuale duplicazione ad opera di altri. Ma alla fine fu escogitato un programma “il cui solo scopo era quello di produrre copie di Super Utility Plus” (Friedman, 2004, p. 272): un vero “attrezzo da scasso” dirà qualche riga dopo David D. Friedman, parlando della serie di “programmi concepiti per superare le protezioni tecnologiche”.

Scrivono Drahos e Braithwaite:

La seconda e più recente strategia dei proprietari di proprietà intellettuale è il tentativo di collegare la pirateria della proprietà intellettuale alla criminalità organizzata, con crimini di cui il pubblico ha davvero paura. È più facile giustificare la spesa di denaro pubblico per la guerra contro il download illegale di software, o la registrazione illegale dell'ultimo album di Michael Jackson, se coloro che fanno la copia illegale sono anche membri delle organizzazioni neo-naziste o di gruppi terroristici (p. 27).

8 “Misura di sicurezza meno piacevole, soprattutto per coloro che si preoccupano di privacy”. “Per gli attivisti della privacy uno dei problemi è che le informazioni tornano a Microsoft [e memorizzati su] database interni e che cosa si sta facendo con essi?” (Drahos con Braithwaite, 2002, p. 25)

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Infatti, nel Libro verde della UE sulla contraffazione e la pirateria9, si afferma che: “le

operazioni di contraffazione del software sono finanziate e controllate da organizzazioni criminali asiatiche, che esistono legami diretti tra le operazioni europee di contraffazione e il traffico di stupefacenti e che le operazioni di contraffazione sono legate ai neo nazisti e ad altri gruppi paramilitari che utilizzano i proventi della contraffazione per finanziare attività terroristiche nell'Europa occidentale”.

La tutela della PI, laddove vi fosse, era sempre un passo indietro rispetto alle tecnologie in grado di aggirarla. Come si è anticipato, il principio di territorialità permetteva di ignorare la legge a protezione della PI di paesi stranieri. La Convenzione di Berna del 1886 fu un'importante accordo multilaterale europeo posto a tutela delle “opere letterarie e artistiche”, che rappresentava un primo formale impegno dei paesi europei nel tutelare il diritto morale di artisti stranieri. In un un primo momento gli USA decisero di non farvi parte. Scrivono Drahos e Braithwaite: “American publishing was built on the piracy of European works” (p. 33). L'America era un paese multiculturale e pertanto un ottimo mercato per i libri inglesi, tedeschi e francesi. L'Inghilterra in un primo momento fu tentata dal “sospendere il riconoscimento del diritto d'autore degli autori americani nel Regno Unito”, ma per un'esigenza di adesione a principi di correttezza preferì rinunciare ad una simile ritorsione. Nel 1891 gli USA fecero un tentativo per proteggere le opere straniere negli Stati Uniti a condizione che “fossero pubblicate negli Stati Uniti contemporaneamente al paese di origine e il libro fosse stampato anche negli Stati Uniti” (Drahos e Braithwaite, p. 33). Affermano i due ricercatori che:

The rhetoric about piracy was recognized for what it was – rhetoric. Disgruntled authors and artists, clinging strongly to romantic notions of the ‘individual god author’, were perhaps the only ones who were vehemently insistent that copying amounted to a universal moral offence. States did not go to the International Court of Justice about disputes over intellectual property treaties. In part this was because individual states realized they were not in a position to cast the first stone. No one had a clean slate when it came to respecting the intellectual property of foreigners. Certainly not the US, which was not a member of the Berne Convention, but whose publishers took advantage of its higher standards of protection ‘through the back door’ method of arranging simultaneous publication in a Berne Convention country like Canada (p.

38).

9 “Response of Microsoft to the EC’s Green Paper on Counterfeiting and Piracy in the Single

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Il problema di fondo è che la pirateria, sebbene di reato si tratti, non è percepita come tale. E' un reato che consiste nel furto di idee di proprietà di altri.

Le imprese avevano capito che la spesa di ingenti somme di denaro per tutelare la propria PI dagli attacchi dei pirati e per premere sul governo affinchè attribuisse una certa priorità al reato di pirateria, dovesse essere affrontata: avevano intuito l'enorme potenziale economico insito nella PI.

A partire dal XX secolo, infatti, diviene chiaro a tutti che la conoscenza è la prima risorsa economica cui le imprese moderne devono fare affidamento per fare profitti in un mercato internazionale. Si comprese che, come afferma Michael Novak, “quello che contraddistingue l’economia capitalista è la scoperta che la causa primaria dello sviluppo economico è la mente. La ricchezza è originata dall’ingegno, dalla scoperta e dallo spirito d’iniziativa”. La creazione di conoscenza non è fine a se stessa, bensì è diretta allo sviluppo di nuovi prodotti e al miglioramento di quelli esistenti, attraverso un'attenta “strategia di diversificazione”.

Le imprese iniziano ad investire sulla conoscenza. Fioriscono nel corso del XX secolo laboratori di ricerca, sul modello ideato dall'inventore e imprenditore statunitense Thomas Edison. Affermano Drahos e Braithwaite, che dal 1921 al 1941 il numero dei laboratori è passato da 300 a 2200! La Germania ha conquistato nel XIX secolo il suo primato nell'industria chimica grazie ad una florida ricerca industriale. Così come è avvenuto per DuPont: uno di tre cugini che nel 1905 “consolidarono l'industria americana degli esplosivi sotto il comitato esecutivo della E. I. DuPont de Nemours Powder Company”, sebbene la società DuPont esistesse già “da cento anni come azienda familiare” (p. 39) destinata dal 1958 a dominare l'industria chimica americana.

Le università compresero il potenziale di questi laboratori di ricerca privati mentre i laboratori privati capirono che avrebbero dovuto reperire i migliori ricercatori dalle università, investendo su di esse per migliorare la formazione di quelli che un giorno avrebbero “remato” per loro. Il Bayh-Dole Act, approvato negli Stati Uniti nel 1980, ha reso commercializzabili e accessibili ai privati le invenzioni sviluppate nel settore pubblico (R&D finanziata con fondi pubblici, di agenzie federali): le università e altri istituti finanziati con fondi pubblici potevano concedere brevetti e licenze, rendendo pertanto private scoperte acquisite in ambito pubblico (Archibugi e Filippetti, 2010). Presto si vennero a creare quelle che Alfred D. Chandler (1962) chiamerà “imprese

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integrate multidipartimentali” (p. 24) e che Drahos e Braithwaite descrivono come “divisioni autonome strategicamente coordinate da un ufficio generale” (p. 41). Ad esse si affiancheranno dipartimenti sui brevetti e divisioni legali che daranno il via allo sviluppo di un sistema societario americano di diritto brevettuale e a continue battaglie legali per la sua protezione.

Quella dei brevetti diviene una professione in grado di scorgere tutto l'enorme potenziale economico dei brevetti10. E’ la PI stessa ad avere un valore economico e

non solo la conoscenza: il massimo valore economico è dato pertanto dalla conoscenza privatizzata per il tramite dei diritti di proprietà intellettuale. La pubblicazione dei risultati delle ricerche doveva avvenire sotto l'occhio vigile degli avvocati delle divisioni legali, poiché avrebbe comportato il respingimento di una domanda di brevetto. Inizia il gioco dello scambio di licenze: ogni azienda sapeva che doveva avere un forte portafoglio di brevetti in modo da poter negoziare accordi di licenza per l'uso della tecnologia con altre aziende da una posizione di forza. “Ogni azienda in questo gioco sapeva che era improbabile avere tutta la tecnologia necessaria per produrre un dato prodotto […]” (Drahos & Braithwaite, 2002, p. 45). “Cross-licensing […] was really only a game for equals”, concludono gli autori. La tesi proposta in apertura del capitolo, portata avanti da Drahos & Braithwaite e Archibugi & Filippetti, afferma che il modello di tutela della PI che poi verrà esteso a tutti i paesi membri dell'OMC è quello statunitense. Gli USA avevano forgiato infatti, prima di giungere al fatidico Accordo TRIPs, un solido sistema di tutela della PI con una serie di innovazioni, accordi e migliorie, che legittimava l'esistenza di cartelli tra imprese, da sempre esistiti, dichiarando il buon intento di voler tutelare dalla pirateria l'industria oggetto del cartello. Scrivono Drahos & Braithwaite:

Attacking patent-based cartels was far harder for a competition authority, for now it had to face the argument that it was interfering in the use of private property (p. 51).

10 Edwin J Prindle fu “un esempio di figura altamente influente nello sviluppo di un sistema societario di diritto brevettuale americano” affermano Peter Drahos con Jhon Braithwaite. “Come suo padre entrò nell'albo dei brevetti, lavorando nell'Ufficio Brevetti degli Stati Uniti fino al 1899. Nel 1905 si trasferisce a New York dove ha stabilito una pratica di brevetto di successo. Prindle era un grande amante del sistema dei brevetti”. “È diventato il soggetto chiave nel plasmare i cambiamenti nella procedura di brevetto”.

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La prassi di formare cartelli, i “cartelli globali della conoscenza”, sebbene vietata dalla legge, era molto diffusa in America nel XIX secolo, affermano i due ricercatori australiani. La formazione di un cartello tramite società fiduciarie e società holding consentiva di dominare il mercato. Chi faceva parte di un cartello faceva anche parte del “gioco della conoscenza”. Si trattava di accordi basati essenzialmente sulla fiducia, poiché una loro violazione da chi ne faceva parte non poteva essere lamentata davanti ad un tribunale: la regolamentazione della concorrenza e la divisione antitrust USA impediva la formazione di cartelli tra imprese.

La posizione dominante degli USA in molti mercati è stata conquistata grazie ad un ottimo “fiuto per gli affari”, ma anche grazie ad una “serie di fortunati eventi”. Gli esiti delle due guerre mondiali consentirono all'America (insieme a Regno Unito e Francia) di spodestare la Germania dal suo primato mondiale nell'industria chimica. Scrivono Drahos & Braithwaite: “gli Stati Uniti erano fortemente dipendenti dalla Germania per l'importazione di coloranti e prodotti farmaceutici, nonché prodotti chimici connessi alla produzione di esplosivi” (p. 55). L'Enemy Act del 1917 imponeva il sequestro dei diritti di proprietà intellettuale tedeschi. I brevetti tedeschi furono così acquistati dalla Fondazione Chimica, costituita da membri dell'industria chimica, ad un prezzo stracciato totale di 250.000$, nettamente inferiore rispetto al valore stimato dal governo statunitense di 18.000.000$, e utilizzati da parte dei produttori locali americani per soddisfare la domanda non più coperta dalle importazioni di prodotti chimici tedeschi. Nonostante la grave perdita subita, la Germania non era tuttavia stata derubata anche del prezioso know how: l'unico vero bene che dà valore ad un brevetto. USA, Regno Unito e Francia riconoscevano ancora la forza dell'industria chimica tedesca, tant'è che dopo la guerra ripresero a formare cartelli con essa (in particolare con la società tedesca IG Farben).

Negli Stati Uniti, il gioco della conoscenza prima della seconda guerra mondiale era limitato ad un numero relativamente piccolo di giocatori. Nel 1938 cinque industrie occupavano il 75% del personale addetto alla ricerca industriale: prodotti chimici, macchine elettriche, industria elettrica, del petrolio e della gomma. (Chandler 1962, p. 377). Ognuna di queste industrie aveva i suoi pezzi grossi: DuPont, General Electric, General Motors, International Harvesters, United States Rubber e Goodrich e varie compagnie petrolifere standard […]. La divisione dei mercati mondiali con i diritti di proprietà intellettuale avvenne in tutte le industrie chiave del mondo tra le due guerre. Il cartello della gomma, quello dell'azoto, quello dell'alluminio, quello del magnesio e

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quello dell'elettricità leggera si sono intrecciati attraverso il filo degli accordi di proprietà intellettuale. Un'industria difficilmente sfuggiva al tocco della legge sulla proprietà intellettuale. Nell'industria cinematografica statunitense i principali attori formarono nel 1908 la Motion Picture Patents Company (Drahos & Braithwaite, 2002, p. 52, 54)

1.3.2 LA MINACCIA ALLE GERARCHIE E LE SANZIONI USA: LO SPECIAL 301 Dopo la seconda guerra mondiale gli Stati Uniti erano la più grande potenza economica e finanziaria mondiale. Iniziarono una politica economica espansionista. Cominciarono a cercare nuovi mercati per i propri prodotti e individuarono in quello europeo il mercato ideale per espandersi. Gli USA acquisirono una posizione leader nelle industrie ad alta intensità di ricerca: informatica, elettronica, prodotti chimici, farmaceutici e attrezzature scientifiche. Il dollaro americano divenne la valuta del commercio mondiale. Nacquero nuove istituzioni internazionali nel New Hampshire, a Bretton Woods: l'International Monetary Fund (IMF) e la World Bank. Nacquero banche multinazionali. Nel post guerra gli USA divennero i finanziatori della ricostruzione dell’Unione Europea e del Giappone.

Tuttavia, a partire dagli anni '70 e all'inizio degli anni '80 gli USA iniziarono a subire una perdita di competitività: il Regno Unito stava subendo un periodo di crisi economica dovuto in parte al declino dell'industria manifatturiera e ciò si ritorceva anche sulla economia statunitense.

Developing countries like India and Brazil began to show leadership potential, albeit of a regional kind. At the same time new economic competitors emerged. The public images the US constructed of these rivals were neither friendly nor comforting. ‘The gang of four’, ‘the Asian tigers’, ‘the Dragon economies’ could hardly do other than make the US uneasy about its share of world markets. Japan had already performed the economic miracle, but this was with US assistance and for all its economic prowess Japan seemed, when it came to global politics, to have embarked on a strategy of retreatism or non-intervention. Japan did not try to set the rules of the game; it tried to beat the West under its own rules. There was no guarantee that the new ‘tigers’ would be so politically compliant. (Drahos & Braithwaite, 2002, p. 63).

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Occorreva insomma reinventarsi, tentare una via per ottenere dal governo un accordo per la PI da inserire nell'agenda dell'Uruguay Round, che tutelasse con più forza la propria PI, o punire chi violava la PI americana. L'industria chimica e l'industria farmaceutica, per esempio, dovettero affrontare alcune sfide. I costi di ricerca e sviluppo (R&D) erano in costante aumento e allo stesso tempo vi era una parallela diminuzione dei rendimenti, ribasso dei prezzi dei prodotti a causa dell'ingresso di nuovi imprenditori nei due mercati, attratti degli alti profitti che l'industria chimica e quella farmaceutica offrivano. Scrivono i due ricercatori australiani: “The chemical industry was changing from a knowledge game to a commodity game” (p. 58). DuPont affrontò queste difficoltà cominciando ad interessarsi ad un nuovo business: quello del “life sciences business”, ossia il business della biotecnologia. Occorreva però, affinché questo business divenisse profittevole, che si rinforzasse la tutela delle invenzioni biologiche. Rafforzare il sistema di PI non era affatto semplice, poiché l'ambiente naturale in cui trattare le questioni relative alla PI era l'Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale (OMPI o in inglese: WIPO – World International Property Organization), un'agenzia specializzata delle Nazioni Unite, istituita nel 1967, i cui membri erano per la maggior parte Paesi in via di sviluppo e Paesi sottosviluppati, che avrebbero bocciato qualsiasi proposta statunitense di rafforzamento della PI.

L'indebolimento americano sotto più fronti finì per essere ulteriormente aggravato dalla ribalta di alcuni paesi in via di sviluppo, che iniziavano ad accrescere la propria competitività sul mercato internazionale. L'India rappresenta un caso emblematico nel panorama dei paesi emergenti che, dopo un inizio burrascoso in seguito alla conquista dell'indipendenza e acquisita una sua stabilità politica, ha iniziato a costituire la principale minaccia per l'industria farmaceutica statunitense. E’ stata inoltre la più grande oppositrice del TRIPs. Scrivono Drahos e Braithwaite:

Sovereign states like India had used the patent system to develop a highly competitive generic industry that delivered quality drugs at cheap prices to its citizens. Indian patent law allowed pharmaceutical companies to obtain patents on processes, but not the products of those processes. The incentive for Indian pharmaceutical manufacturers was to make profits by finding cheaper and cheaper ways to make drugs. The effect of permitting states like India to have a say about the rules of the knowledge game was an erosion of the corporate control of knowledge (p. 59).

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La legge sui brevetti indiana11 prevedeva la possibilità di brevettare i processi

farmaceutici (solo per cinque o sette anni) e non anche i prodotti farmaceutici: “il brevetto di prodotto protegge la scoperta di un determinato principio attivo, mentre il brevetto di procedimento tutela solamente uno specifico processo di sintesi di una certa molecola”. L'ormai Repubblica Indiana divenne pertanto il primo produttore al mondo di farmaci generici: “medicinali non più coperti da brevetto, commercializzati direttamente con il nome del principio attivo” (Carrieri e Di Novi, 2013). L'obiettivo era spronare i produttori farmaceutici indiani a trovare processi più economici per la produzione di farmaci. I farmaci essenziali inoltre erano assicurati grazie all'utilizzo delle licenze obbligatorie.

Questo modo di perseguire i propri interessi da parte dell'India non dovette piacere affatto ad Edmund T. Pratt Jr., l'amministratore delegato (Chief Executive Officer, CEO) della industria farmaceutica statunitense Pfizer. Dal 1972 al 1992, come scrivono Drahos e Braithwaite: “Pfizer’s bet on these markets began to look shaky”, non appena “India and other developing states began to acquire technological capabilities” (p. 67). Pratt aveva aumentato il budget di ricerca e sviluppo dell'azienda da circa il 5% al 15-20% delle vendite (Company History, Pfizer: One of the world's premier biopharmaceutical companies, n.d) consentendole di diventare nel 1999 la terza più grande azienda farmaceutica al mondo12. La Pfizer aveva impianti e strutture

anche in paesi in via di sviluppo, tra cui l'India. Tuttavia, nonostante la “drammatica

11 L'India era dotata di una legge sui brevetti già dal 1856, quando era una colonia inglese. Con la conquista dell'indipendenza del 1947, revisionò il suo sistema di tutela PI. Nel 1970 emanò una nuova legge sul modello tedesco, l'Indian Patents Act, che consentiva la brevettabilità di metodi e processi per la produzione di farmaci per una durata di sette anni. Questa legge consentiva di produrre legalmente a livello locale farmaci generici il cui principio attivo era coperto da brevetto di prodotto in altri paesi, semplicemente utilizzando metodi alternativi per sintetizzare il principio attivo (tramite il cosiddetto processo di reverse-engineering). Sarà solo nel 1995 che l'India, con l'adesione al TRIPs ed essendo pertanto tenuta a modificare il suo Patent Act in base a criteri conformi all'Accordo, ha riconosciuto la brevettabilità dei prodotti farmaceutici. Nel 1998 l'India entrò a far parte della Convenzione di Parigi (una Convenzione del 1883 su brevetti, marchi di prodotti e servizi, disegni industriali, modelli di utilità, nomi commerciali, indicazioni geografiche e repressione della concorrenza sleale). Nel 2005 l’India (nonostante il TRIPs), ha inserito nella terza sezione dell’Amended Patents Act, la possibilità di rigettare richieste di brevetto per nuove

formulazioni di vecchi farmaci, salvo in caso di un incremento significativo dell’efficacia terapeutica (Carrieri e Di Novi, 2013).

12 Durante la seconda guerra mondiale la compagnia farmaceutica Pfizer era il maggior fornitore di penicillina (“the first real defense against bacterial infection” www.pfizer.com/about/history/all), le cui proprietà antibiotiche erano state scoperte da Alexander Fleming nel 1928. La penicillina fu scoperta a partire dal processo di fermentazione dello zucchero per produrre acido citrico, nella cui produzione la Pfizer si era specializzata.

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perdita di quote di mercato” che Pratt lamentava a causa del mancato rispetto nei paesi in via di sviluppo della PI della Pfizer, “it didn’t affect our overall performance dramatically”, concludeva il CEO della compagnia farmaceutica.

In un articolo del 24 agosto 2015 pubblicato su Repubblica si legge che Medici Senza Frontiere (MSF) hanno condotto la campagna “Hands Off Our Meds” (“Giù le mani dalle nostre medicine”), con la quale intendono chiedere al Primo Ministro indiano Narendra Modi “di non svendere la vita di fronte alla pressione delle aziende farmaceutiche internazionali”. Infatti, si legge che: “più dell'80% degli antiretrovirali che vengono usati dalle équipe mediche di MSF nei programmi HIV sono indiani”. L'India è considerata la “farmacia dei poveri” che consente di prestare cure essenziali a chi altrimenti non potrebbe permettersele. “The idea of a better-ordered world is one in which medical discoveries will be free of patents and there will be no profiteering from life and death” affermava Indira Gandhi nel 1988, facendo appello ad imperativi morali. Nel 2006 la casa farmaceutica svizzera Novartis ha presentato un ricorso al governo indiano, per avergli negato un brevetto su un farmaco antitumorale, il Glivec. Nell'aprile del 2013 la Corte Suprema indiana ha inflitto una netta sconfitta alla Novartis, che si è vista respingere le sue pretese: Glivec non soddisfa i criteri di “novità e creatività” previsti dalla legge indiana. Secondo la legge sui brevetti dell'India, le nuove versioni dei farmaci esistenti possono essere brevettate solo se sono sostanzialmente superiori, cioè realmente nuove e innovative, per evitare il cosiddetto meccanismo dell’evergreening13 che permette di brevettare un prodotto

farmaceutico anche se solo leggermente modificato, estendendone così “abusivamente l'esclusiva oltre il normale termine di scadenza del brevetto” (Basheer 2005, citato da Dragoni, 2011).

La Corte ha riconosciuto che il trattamento ha avuto dei miglioramenti di cui hanno beneficiato i pazienti, senza però essere una reale innovazione terapeutica rispetto alle molecole già note e scoperte nel 1995. Il trattamento con il Glivec sarebbe stato inoltre inaccessibile alla maggior parte della popolazione indiana, il cui 40 per cento guadagna meno di 1 dollaro e mezzo al giorno.

13 “Se il brevetto richiesto viene rilasciato e quelle leggere modifiche si riscontrano anche nel farmaco generico pronto ad entrare nel mercato, quest'ultimo sarà considerato una contraffazione di un brevetto esistente e non potrà essere lecitamente commercializzato. Con il sistema dell'evergreening, il brevetto viene esteso, di fatto, oltre la sua effettiva durata” (Basheer, 2006, citato da Dragoni, 2011).

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Questa sentenza ha consentito alle industrie locali di proseguire nella produzione della versione generica del medesimo medicinale e continuare a distribuirlo a un costo decisamente inferiore. Un mese di trattamento con il Glivec, che è il farmaco più venduto dalla Novartis, costa circa 2600 dollari, mentre il medicinale generico è venduto a 175 dollari. Questa sentenza sarà un vantaggio anche per i malati fuori dal paese visto che l’India è uno dei maggiori fornitori al mondo di farmaci generici a basso costo contro il cancro, la tubercolosi o l’AIDS (Il Post, 2013).

Ciò non ha arrestato le pressioni da parte USA, dell'Unione Europea e di altri paesi ricchi per far modificare il sistema IPR indiano e pare che il Primo Ministro Modi si stia lasciando convincere a “conformarsi allo stile europeo e statunitense e favorire gli investimenti e gli scambi esteri”.

Il report Special 30114 (un esame annuale dei partner commerciali statunitensi sulla

protezione e l'applicazione dei IPR) ha illustrato che, sebbene l'India non sia stata declassata nella più grave lista dei paesi trasgressori della PI (la c.d priority foreign country), sarà monitorata attentamente dall'USTR (United States Trade Representative). Scrive The Economist Intelligence Unit (2014): “Pharmaceutical companies have led the clamour for India to be downgraded to a ‘priority foreign country', a classification reserved for countries that deny adequate IPR protection”. Il declassamento potrebbe comportare una serie di sanzioni e ritorsioni commerciali spiacevoli (es. il ritiro delle accise dagli Stati Uniti, norme di qualità più severe per i prodotti indiani e sanzioni commerciali). I produttori farmaceutici stranieri accusano l'India di violare le norme dell'Organizzazione Mondiale del Commercio. Il governo indiano afferma che “la legislazione indiana in materia di IPR è pienamente conforme all'OMC ed è stata approvata dall'Organizzazione mondiale della sanità”. Dal 1995 l’India ha reso brevettabili anche i prodotti farmaceutici e si è impegnata nel cercare di ridurre gli ostacoli al commercio internazionale. Inoltre è firmataria dell'Accordo sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale (TRIPs), che consente il rilascio di licenze obbligatorie per l'interesse pubblico. Il TRIPs vieta la produzione

14 “The “Special 301” Report reflects the outcome of a Congressionally-mandated annual review of

the global state of intellectual property rights (IPR) protection and enforcement. The review reflects the Administration's resolve to encourage and maintain enabling environments for innovation, including effective IPR protection and enforcement, in markets worldwide, which benefit not only U.S. exporters but the domestic IP-intensive industries in those markets as well. The Report identifies a wide range of concerns that limit innovation and investment […]” (USTR, 2010)

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