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CAUSA DELL'INNOVAZIONE O “SGRADEVOLE CONSEGUENZA”?

ABOLIRE LA PROPRIETA' INTELLETTUALE?

3.8 CAUSA DELL'INNOVAZIONE O “SGRADEVOLE CONSEGUENZA”?

Il brevetto non è in grado di innescare alcun processo innovativo, ne è tutt’al più una “sgradevole” conseguenza, che per di più “imbriglia l'innovazione stessa”. Questo è l'originale conclusione degli economisti Boldrin e Levine (2012, p. 52)61. A conferma

di ciò, citano un’affermazione di Bill Gates durante il Microsoft Challenges and Strategy Memo del 16 maggio 1991:

se la gente avesse capito come si concedono i brevetti nel momento in cui la maggioranza delle idee di oggi sono state inventate, e avesse chiesto di brevettarle, il settore sarebbe entrato in una completa impasse (citato in Boldrin e Levine, 2012, p. 22).

A chi crede che l'introduzione dei privilegi derivanti dai brevetti (con lo Statute of Monopolies britannico) abbia giocato un ruolo cruciale nello stimolare la Rivoluzione industriale, i due economisti rispondono, che in realtà “è probabile che il fattore più

discrimina” (Boldrin e Levine, 2012, p. 81). 61

I dati su applicazioni per brevetti forniti dal sito www.uspto.gov (il sito del Patent and Trademark

Office degli Stati Uniti) per il periodo 1963-2010, avvalorano la tesi di Boldrin e Levine. Infatti, al boom di registrazioni di brevetti negli USA e nell'Unione Europea, avvenuto a partire dalla seconda

metà degli anni Novanta (tra il 1997 e il 2001 le domande di brevetto sono aumentate del 50 %), non è seguito un'incremento di proserità e di innovazione.

importante sia stato la limitazione che esso pose al potere arbitrario del monarca nel concedere e togliere monopoli” (p. 55). Nessun altro merito dunque. In Francia, in Germania, in Italia e in Spagna, come in molti altri paesi l'introduzione di leggi organiche come si è già visto nel Capitolo 2, è avvenuta più tardi rispetto all'Inghilterra. Negli USA fu solo nel 1790 che si adottarono leggi sulla proprietà intellettuale e da allora si innescò un crescendo di protezione e l'estensione delle aree di attività protette62. Già nel primo capitolo si è lasciato trapelare il pensiero critico di

molti intellettuali (P. Drahos, J. Breithweite, Archibugi, Filippetti etc.) riguardo al “fenomeno PI” negli USA. Anche Boldrin e Levine (2012) esprimono un personale pensiero critico in merito all'iter americano che ha portato alla creazione dell'IPR system, che essi attribuiscono alla “pressione politica esercitata da aspiranti monopolisti che avevano esaurito la capacità di invenzione e temevano troppo i concorrenti nuovi o stranieri” (p. 57). Essi ritengono che parte del merito dell'attuale solido assetto di tutela della PI americana sia dovuto anche alle sentenze dei tribunali che “hanno favorito sempre di più i detentori di brevetti”. Inoltre non è un caso che i “periodi di temporaneo rallentamento di questa tendenza” siano avvenuti “in concomitanza con l'adozione di normative antitrust a seguito delle eccessive concentrazioni in alcuni settori economici, o anche con situazioni di emergenza nazionale, come avvenne nel caso della prima e soprattutto della seconda guerra mondiale”. Comunque, al di là degli artefici dell'IPRS, Boldrin e Levine sostengono di non essere a conoscenza di alcun esempio reale (ad eccezione degli studi legali che si occupano di proprietà intellettuale!) in cui l'estensione della protezione brevettuale a un determinato settore sia stata la causa della sua crescita ed innovazione. Affermano anzi che la brevettabilità è sempre “arrivata dopo che il settore era già nato, era cresciuto ed era organicamente maturato in piena autonomia” (p. 57).

Ritornando a quanto si è accennato in apertura del paragrafo, la Rivoluzione Industriale, lungi dall'esser stata innescata dalla concessione dei brevetti, sarebbe piuttosto “una miniera di esempi sia di progresso economico soffocato da brevetti che raramente arricchivano i loro titolari, sia di grandi arricchimenti personali e maggiore

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La protezione della PI ha coperto progressivamente sempre più vasti settori: dapprima quello delle industrie meccaniche e metallurgiche, poi quello dei servizi finanziari (dal 1998), legali e

commerciali, poi anche (verso la fine degli anni Novanta) l'industria chimica. Negli USA fino al 1970 non potevano essere brevettate le varietà di sementi e piante eppure non sono mancate frequenti innovazioni nel settore.

progresso economico ottenuti senza brevetti e grazie alla concorrenza aperta” (p. 62). L'esempio più calzante è forse quello di James Watt, spesso utilizzato per dimostrare l'utilità dei brevetti nel favorire la crescita e l'innovazione, ma di cui Boldrin e Levine, al contrario, si servono per confutare tale argomentazione.

Come è noto James Watt inventò nel 1768 un nuovo modello di macchina a vapore, a partire da quella di Newcomen, che consentiva al vapore di espandersi e condensarsi in due contenitori separati. L'innovazione ebbe una notevole importanza sul piano del risparmio energetico poiché fino ad allora tutte le macchine a vapore avevano effettuato queste due opposte operazioni nello stesso contenitore con dispendio di energia. L'idea giunse nella mente di Watt mentre si stava dedicando alla riparazione della macchina a vapore di Newcomen nel 1764. Dopo quattro anni di duro lavoro, che gli consentì di realizzare fisicamente quanto aveva idealizzato, riuscì finalmente ad ottenere un brevetto. Ma gli eventi dimostrano che fu solo alla scadenza, ben trentuno anni dopo, dei brevetti di Watt (che nel frattempo se n'era procurato altri ed aveva insistito per ottenere una loro estensione) che si registrò un'esplosione nella produzione e nell'efficienza dei motori a vapore, ciò che davvero “divenne la forza trainante della Rivoluzione industriale”. Crebbe lo stock di macchine a vapore, la potenza installata e l'efficienza delle macchine stesse. Inoltre si iniziò ad utilizzarle per innovazioni come la locomotiva a vapore, la nave a vapore, il filatoio intermittente e la macchina a vapore ad alta pressione. La scadenza del brevetto consentì miglioramenti della macchina a vapore (da parte di William Bull, Richard Trevithick e Arthur Woolf), già disponibili da prima, ma che il brevetto rendeva irrealizzabili. Watt stesso si era trovato impossibilitato dall'apportare al motore Newcomen originale un miglioramento importante che avrebbe reso la sua invenzione ancora più efficiente: la capacità di fornire un moto rotatorio costante. La soluzione più conveniente necessitava di un pedale e di un volano, ma si basava su un metodo brevettato da James Pickard, il che impedì Watt di utilizzarlo. Dovette accontentarsi di servirsi di un dispositivo meccanico alternativo, molto meno efficiente (il c.d. ingranaggio planetario).

L'esempio mostra che l'invenzione di James Watt, avvenuta quasi per caso, ha sì reso possibile l'innescarsi di un processo innovativo ulteriore a partire da essa, ma anche che questo processo ha dovuto aspettare la scadenza dei brevetti per poter esser messo in moto, mentre per tutta la durata del brevetto alcun meccanismo innovativo è stato reso possibile. Per tutto quel tempo l'attività di Watt e Boulton (il ricco industriale

socio in affari di Watt) consistette nell'“ottenere robuste rendite monopolistiche attraverso il rilascio di licenze per la costruzione e l'utilizzo, da parte di altri, di macchine a vapore dotate di condensatore separato” (Boldrin e Levine, 2012, p. 5). Insomma:

In quasi tutti i libri di storia, James Watt è descritto come un eroico inventore, il cui genio diede il via alla Rivoluzione Industriale. I fatti suggeriscono un'interpretazione alternativa: Watt rappresenta uno dei tanti ingegnosi inventori che contribuirono al miglioramento della macchina a vapore durante la seconda metà del Settecento. […] Dopo aver superato, con una brillante idea, gli altri inventori, rimase in vantaggio non tanto perché continuò a produrre innovazioni superiori a quelle dei suoi concorrenti, ma a causa di un migliore utilizzo del sistema legale. Il fatto che il suo socio in affari fosse una persona facoltosa con salde relazioni in Parlamento fu un aiuto non secondario in questa impresa redditizia (Boldrin e Levine 2012, p. 6).

Altri esempi dimostrano come l'innovazione abbia prodotto ottimi risultati in assenza di protezione legale della PI. L'innovazione nei mercati finanziari per esempio, è avvenuta in maniera molto redditizia dalla fine degli anni Settanta alla fine degli anni Novanta, sebbene la protezione della PI sia stata estesa ai servizi finanziari solo nel 1998. Eppure innovare nel settore dei titoli finanziari è costoso (perché le persone coinvolte vengono remunerate generosamente), mentre l'imitazione delle innovazioni finanziarie è semplice. Essa quindi avviene in tempi rapidi, e tuttavia il vantaggio temporale nell'essere i primi ad innovare si traduce in un vantaggio competitivo (l'innovatore detiene un 50-60 % del mercato anche nel lungo periodo: vedi Boldrin e Levine 2012). Per non parlare del settore del design, della moda o dell'architettura, dei mobili etc. In questo settore l'imitazione, tanto diffusa e altrettanto inevitabile, tuttavia non costituisce un freno per gli innovatori originali. L'industria della moda “si regge proprio sulla biforcazione fra innovatori e imitatori” (Boldrin e Levine, 2012, p. 140). Fino alla decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti del 1981 nel caso Diamond vs Diehr l'industria del software era una delle più fluenti nonostante l'assenza di qualsiasi tipo di monopolio legale63. La brevettabilità del software fu inizialmente

opposta da parte dei produttori di hardware, i quali temevano di vedere intralciata la

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Anche quando i programmi di computer erano spesso protetti da copyright, non vi sono stati progressi significativi nel campo dell'innovazione, anzi i copyright venivano raramente rispettati.

vendita dei propri prodotti (Portonera, 2019). La decisione della Corte Suprema ha apportato un mutamento radicale: ha consentito di ottenere un brevetto per un software nel caso in cui costituisse parte integrante di una macchina o di un processo (che fosse cioè responsabile del funzionamento della macchina o del processo). Questo significa che il monitor e il PC, se avessero avuto un maggiore tempismo, avrebbero potuto godere anch'essi di un brevetto. La vera svolta che ha causato una infinita serie di brevetti è stata la sentenza In re Alappat emessa dalla Corte Federale nel 1994, che ha reso possibile brevettare anche i prodotti di “software in isolamento”, ossia quelli non incorporati in alcuna macchina o processo. La giurisprudenza USA ha inoltre progressivamente eliminato gran parte degli stringenti requisiti di pubblicità e le dettagliate descrizioni dell’invenzione fino ad allora richiesti per la redazione della domanda per la concessione di un brevetto, e ampliato l’area delle tipologie di software brevettabili64.

Alla fine, “dati alla mano”, sembrerebbe proprio che si faccia “much ado about nothing” (Archibugi e Filippetti, 2010): troppo rumore per nulla. I brevetti non sono considerati da chi fa scelte strategiche per le imprese come un fattore efficace per l'innovazione: “sono altri, apparentemente, i fattori che contano, ossia proprio quelli che evidentemente contano in un modello di innovazione concorrenziale” (Boldrin e Levine, 2012, p. 75). A tale conclusione i due economisti giungono analizzando il sondaggio della Carnegie Survey del 2000, sulla base delle risposte fornite da 1.118 imprese per l'innovazione di prodotto e da altre 1.087 per l'innovazione di processo. Alle imprese era stato chiesto circa l'efficacia di un determinato metodo per determinare l'innovazione. Le imprese per l'innovazione di prodotto hanno risposto con il 34,83 % a proposito dei brevetti, di poco superiore all’importanza data ad “altri fattori legali” con un 20,71 %. Il fattore più importante è stato considerato l'“arrivare

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Attualmente in Europa il software viene tutelato in parte dal diritto d’autore e, in parte, dall’istituto del brevetto e rimesso alla prassi dell’Ufficio Europeo dei Brevetti e alle giurisprudenze nazionali. Secondo i tribunali europei, scrive Portonera (2019, 15), “due sono le categorie di software brevettabili: i) le invenzioni nelle quali il programma produce un effetto tecnico interno al computer o ad altri elementi del sistema di elaborazione; ii) le invenzioni nelle quali il programma produce un effetto tecnico esterno al computer, gestendo o rendendo possibile il funzionamento di

apparecchiature ulteriori. Nel primo gruppo rientrano tutti i programmi che usiamo quotidianamente o quasi sui nostri computer (dal programma con cui è stato scritto questo paper al browser internet grazie al quale vi è stato possibile leggerlo e così discorrendo), mentre nel secondo gruppo rientrano quei programmi necessari, per esempio, per la gestione di un’unità di controllo all’interno di una catena di montaggio industriale, ovvero per consentire la rielaborazione delle immagini di un macchinario per la TAC, o ancora per elaborare i dati provenienti da un sismografo al fine di consentire una visione più chiara del sottosuolo”.

per primi”, che è stato ritenuto determinante al 52,76 %. Le imprese per l'innovazione di processo hanno valutato al 23,30 % i brevetti, al 15,39 % gli “altri fattori legali” e il valore più alto è rivestito dalla voce “segretezza” con i 50,59 %. Per queste imprese l'“arrivare per primi” conta solo il 38,43 %. Per riprendere le parole di Boldrin e Levine: “solo in un terzo circa dei casi i brevetti vengono considerati efficaci; sono altri, apparentemente, i fattori che contano” (p. 75).

In chiusura del paragrafo è interessante riportare il pensiero di Luigi Einaudi (1940) che Chiancone e Porrini (1998) riportano nella loro trattazione, come esempio di voce autorevole che si è opposta in passato alla posizione tradizionale sui brevetti. Einaudi si chiedeva: “È il monopolio davvero condizione necessaria alla produzione delle invenzioni industriali? […] In molti casi, certamente no”. La spiegazione che si dà per questa domanda è: che vi sono alle volte le “invenzioni degli inventori nati” e le invenzioni dovute al “caso fortuito”, che certamente avvengono indipendentemente dall'esistenza dell'esclusiva brevettuale. Poi vi sono le “invenzioni dovute ad un'attività di ricerca programmata, perseguita per lunghi anni nei laboratori, risultato del lavoro combinato di molti ricercatori e di lunghe e costose indagini ed esperimenti” (Einaudi, p. 237), i quali sarebbero interessati a guadagnare il c.d. “profitto della novità”, entro i limiti consentiti dal vantaggio di usare per primi le invenzioni così acquistate. Il “privilegio dell'inventore” è, secondo Einaudi, “uno dei più temibili strumenti di concentramento dell'industria nelle mani di pochi giganteschi monopolisti” (p. 245). Dunque le privative industriali sono accaparrate dalle “maggiori imprese che si possono accollare gli enormi costi fissi della ricerca nei laboratori appositamente attrezzati” (così Chiancone e Porrini, a commento del pensiero di Einaudi). Dunque il monopolio alle volte viene attribuito all'inventore senza che ciò fosse il fine ultimo della sua attività inventiva e alle volte “serve soltanto a coloro i quali, per indursi ad inventare, hanno bisogno di una remunerazione superiore a quella corrente per lavori della medesima importanza economica del fare invenzioni” (Chiancone e Porrini, 1998, p. 256), oppure a coloro il cui settore è già particolarmente maturo ed influente. In breve, il monopolio intellettuale non è la causa della innovazione, ma, alle volte, ne è la conseguenza.

Anche in questo caso infine, ciò che vale per il brevetto può riguardare anche il copyright poiché, a detta di Boldrin e Levine, un suo rafforzamento non si traduce in

una maggiore attività creativa (così come del resto la sua totale assenza non pregiudica la produzione di opere letterarie e artistiche65).

Il copyright, a prima vista, sembra una minaccia minore, e probabilmente lo è […] [L]'industria del copyright riesce ugualmente a minacciare la nostra libertà e la nostra cultura (Boldrin e Levine, 2012, p. 104).