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GIUSTIFICAZIONE ECONOMICA DEI DIRITTI DI PROPRIETA'

IL PUNTO DI VISTA TRADIZIONALE

2.5 GIUSTIFICAZIONE ECONOMICA DEI DIRITTI DI PROPRIETA'

Molti degli argomenti che gli economisti pongono a giustificazione dei diritti di proprietà intellettuale, sono i medesimi che giustificano la creazione e l'esistenza dei diritti di proprietà su beni materiali. Richard Posner (1992) non fa a meno di notare che “the economist experiences no sense of discontinuity in moving from physical to intellectual property”; ciò si giustifica grazie al fatto che “the dynamic rationale for property rights is readly applied to the useful ideas that we call inventions” (p. 38): “logica dinamica” che l'economista scorge nei costi e nei processi che la produzione di un bene (sia fisico che astratto) in presenza di concorrenza è tenuta ad affrontare36.

Non a caso, scrive Giuseppe Portonera (2019), fellow dell’Istituto Bruno Leoni, “due tra i più celebri pensatori libertari, Lysander Spooner e Herbert Spencer, hanno approvato l’estensione del diritto di proprietà ai beni ‘intellettuali’ proprio sulla base di argomenti giusnaturalistici” (pp. 3-4). Uno di questi è certamente il principio di “paternità dell'opera” (associato al pensiero di John Locke) che è il fondamento dei diritti di proprietà, e si riferisce alla “legittima pretesa che gli individui hanno di godere del frutto del proprio lavoro” (p. 3). Per tutti quei beni che non sono creati dall'uomo, come le terre, il principio di paternità dell'opera non è idoneo a giustificarne la proprietà. La scelta di privatizzare terre pubbliche da parte dello Stato, limitando così la libertà delle persone, risponde pertanto ad una logica diversa che Eugene Volokh (2003) individua nell'incentivo alla cura, al mantenimento, allo sforzo per rendere produttivo un bene, i cui frutti possono essere sottratti alla collettività che non abbia dedicato il proporio lavoro alla cura della terra.

So far, the argument tracks copyright and patent law quite well. The theory of intellectual property is likewise that giving people the right to exclude others from new works or inventions will give people an incentive to invest effort in creating and inventing. We would

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have less legal freedom of action -- you'll be more limited in what you can do in your own office or garage -- but we'd have more wealth, because there'll be a lot more works and inventions, albeit ones that it may cost you money to use (Volokh, 2003).

Portonera aggiunge un'altra giustificazione intellettuale per l'affermarsi dei diritti di proprietà su beni immateriali. Essa può essere rinvenuta nell’opera di Friedrich Hegel, “il quale individuava nel dovere dei Parlamenti di legiferare in favore della proprietà – ancora una volta, tanto ‘tangibile’, quanto ‘intangibile’ – il fondamento del contratto sociale con gli individui”. Infine tale affermazione dei diritti di proprietà intellettuali è stata motivata, come ricorda sempre Portnonera, anche dalla scuola istituzionalista, la quale ha argomentato circa la “necessità di chiari e definiti diritti di proprietà anche per i beni ‘astratti’, per consentire scambi complessi e su larga scala” (p. 4). Pertanto, molte delle motivazioni che si espongono a favore della tutela dei diritti di proprietà intellettuale sono mutuate dalle tradizionali argomentazioni in favore dei diritti di proprietà fisica, sebbene vi siano delle differenze importanti sulle quali puntano molti economisti, rappresentanti di visioni opposte a quella tradizionale.

L'attribuzione dei diritti di proprietà è infatti socialmente vantaggiosa, poiché utile per lo sviluppo economico. Nessuno si permetterebbe di sostenere il contrario. Ma la proprietà intellettuale è cosa ben diversa dalla proprietà su beni fisici, almeno per quanto riguarda il suo momento formativo. A tal proposito, scrive Portonera (2019), che:

L’impressione che si ricava dalla storia della proprietà intellettuale è che quest’ultima, al contrario della proprietà classicamente intesa, non sia il risultato dello scambio spontaneo di pretese tra individui e dell’allocazione di risorse “scarse” nella disponibilità di chi sia pronto a valorizzarle maggiormente, pagandole di più: al contrario, per riprendere i concetti messi in luce già da Plant, Arrow e Romer, il sistema della proprietà intellettuale ha delle premesse esattamente opposte rispetto a quelle della proprietà “classica”, dal momento in cui crea una situazione di scarsità, altrimenti naturalmente assente, così consentendo un artificiale aumento dei prezzi, in funzione di incentivazione. In questo senso, la storia della proprietà intellettuale non è una storia “neutra”, ma caratterizzata dallo scontro tra interessi economici e filosofie politiche divergenti e, molto più spesso, frontalmente contrastanti (Portonera, 2019, p. 19).

La motivazione che sta alla base della proprietà intellettuale è dunque la sua funzione di incentivazione (gli economisti sanno bene quanto siano importanti gli incentivi per gli individui!).

Scrive Friedman (2004):

Un possibile rompicapo, per chi non sia un economista, è dato dai motivi per cui un bene è posseduto privatamente. Il rompicapo per lo studioso di economia è, al contrario, capire perchè per alcuni beni non sia così: dal momento che si è trovata una soluzione così puntuale al problema della produzione e allocazione delle cose, perchè non applicarla universalmente? (p. 221).

E ciò perchè, da un punto di vista strettamente economico un Intellectual Property Right System (IPRS) deve esistere se e solo se i benefici superano i costi dell’istituzione e conservazione dei diritti. L'analisi costi-benefici in tema di IPR ha secondo Portonera il difficile compito di equilibrare i benefici – tanto “individuali” (la temporanea sottrazione di un innovatore alla sfida concorrenziale), quanto “sociali” (un incentivo alla ricerca e all’innovazione) – e i costi – tanto “individuali” (derivanti dal dover rinunciare, da un certo momento in avanti, al beneficio dell’esclusiva), quanto “sociali” (causati dalla riduzione del gioco della concorrenza).

L'obiettivo del legislatore è, oltre al bilanciamento tra interessi, anche risolvere le esternalità derivanti dall'uso incompatibile dei diritti di proprietà. Shavell (2004) analizza gli effetti esterni “associati ai diritti di proprietà, ovvero ad effetti esterni dovuti ad azioni permesse dati i diritti di proprietà di una persona” (p. 79). In base alla sua analisi, “la soluzione socialmente ottimale delle esternalità” è quella che prevede, in un “modello in cui l'obiettivo sociale è quello di massimizzare la somma delle utilità delle parti”, che “un atto sia compiuto se e solo se la sua utilità per l'agente insieme all'effetto esterno sull'utilità dei terzi sono positivi”. Pertanto in questo modello occorre che il danneggiante adotti delle precauzioni per evitare o quantomeno limitare il danno alla “vittima”37, fintantochè i costi per adottare tale precauzione siano

inferiori al danno che sarebbe impedito.

I diritti di proprietà intellettuale sono utili in quanto promuovono “l'informazione”38, il

che è “socialmente utile”. In assenza di un sistema che la tuteli, probabilmente

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Le esternalità sono reciproche: vi è sempre, perchè si possa parlare di “esternalità”, una o più vittime e uno o più danneggianti.

verrebbe prodotta ugualmente (grazie alla presenza di quelli che Luigi Einaudi (1940) chiama “inventori nati”: coloro che “inventano spinti dall'interna pulsione ad inventare” o coloro che inventano per semplice “caso fortuito”), ma pur sempre in maniera inferiore al suo livello di produzione “socialmente desiderabile”, perchè, come scrivono Archibugi e Filippetti (2010): “[c]reative activities are in fact time consuming and costly while it is always uncertain if they will produce something that will generate economic returns” (p. 138). Pertanto:

[p]er incentivare la generazione di informazione, lo Stato può garantire diritti di proprietà sulla stessa. Se al creatore di informazione è garantito un diritto esclusivo di vendere i beni che la incorporano, egli può godere dei profitti e la prospettiva di tali profitti può incoraggiare in primo luogo lo sforzo di produrre informazione. Quindi i diritti di proprietà sull'informazione possono essere un'istituzione socialmente di valore (Shavell, 2004, p. 114).

L'informazione ha un “valore sociale” pari “all'ammontare per il quale aumenta il benessere sociale per l'intero gruppo di individui che ottengono il bene che incorpora l'informazione”. Il “valore sociale ottimale” dell'informazione (valore sociale quando il bene è prodotto in modo ottimale) si ha quando viene “prodotto per ciascun individuo che lo valuti di più del suo costo di produzione”. Ne consegue pertanto che per avere una “creazione socialmente ideale” di beni che incorporano informazioni, occorre mantenere il valore socialmente ottimale al di sopra del loro costo di sviluppo (Shavell, 2004).

La soluzione alle esternalità è solo una delle motivazioni per le quali il legislatore assegna diritti di proprietà (sebbene molte esternalità nascano proprio dall'uso conflittuale dei diritti di proprietà, come si è appena visto).

Una delle motivazioni tradizionali che giustificano la necessità dei DPI è quella secondo la quale i diritti di proprietà intellettuale costituirebbero un incentivo alla

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Shavell (2004) parla dei diritti di proprietà intellettuale come “diritti di proprietà sull'informazione” distinguendo tra “diritti di proprietà sull'informazione con valore di ripetizione”, quali brevetto, diritto d'autore e segreto che hanno per oggetto “l'informazione utile per produrre unità multiple di cose”, e “diritti di proprietà sull'informazione utili una sola volta”, come per esempio l'informazione sulla localizzazione di un giacimento di petrolio. Tratta inoltre dei diritti di proprietà su

“informazioni che indicano le caratteristiche di un bene o servizio” come la marca, il logo etc. oggetto di tutela della legge sul marchio. Premesso quanto precisato a proposito della distinzione tra dati, informazioni e conoscenza, si riproporrà l’analisi di Shavell utilizzando la sua terminologia.

produzione. Infatti il temporaneo monopolio assicurato al proprietario del diritto sul bene conoscenza (che in virtù della classica concezione della “paternità dell'opera” dovrebbe essere il produttore stesso), consente di ottenere profitti maggiori di quelli che potrebbero ricavarsi in assenza di diritti di proprietà. Infatti, in condizioni di monopolio il produttore può permettersi di imporre un prezzo di vendita che eccede il mero costo di produzione e di mantenerlo tale, per tutta la durata della protezione legale. Ne consegue che maggiore è la durata della protezione accordata, maggiori saranno i profitti del produttore dovuti alla più duratura sottrazione alla concorrenza. Per valutare la rilevanza dell'incentivo a produrre in questione, occorre considerare la “elasticità dell'offerta del bene”: la quantità prodotta di quel bene, sensibile al prezzo, che il produttore è in grado di ricavare dalla vendita del bene stesso (Friedman, 2004). A fronte di un notevole beneficio per il produttore e dunque di una creazione dell'informazione eccedente39 quella che avviene in una condizione di assenza di diritti

di proprietà, vi è un “uso dell'informazione” inadeguato. Infatti, sostiene Shavell, che poiché il prezzo di vendita dei beni che incorporano informazione eccede il costo di produzione, “il livello di acquisto dei beni sarà inferiore rispetto a quello socialmente desiderabile […]. L'importanza di questo punto dipende dalla grandezza della differenza tra il prezzo e il costo di produzione” (p. 118) che sarà in grado di determinare una perdita secca più o meno grande. Questo meccanismo è tanto più conveniente quanto maggiore è la probabilità e facilità di copiare a basso costo l'informazione da chi per prima l'ha sviluppata. Lo sviluppatore di un'informazione facilmente replicabile, in assenza di diritti di proprietà subirebbe l'effetto naturale della concorrenza, che porta il prezzo di vendita del bene incorporante l'informazione fino al costo marginale di produzione, determinando il mancato recupero dei costi dell'invenzione da parte dello sviluppatore stesso. Diversamente, se la copia dell'idea non è semplice, il creatore, nel frattempo che i concorrenti cerchino di carpirne l'idea, può ricavare profitti derivanti dalla situazione di temporaneo monopolio venutosi a

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Nonostante la creazione di informazione in presenza di diritti di proprietà sia superiore rispetto a quella generata in assenza, Shavell (2004) afferma che “i diritti di proprietà non generano incentivi socialmente perfetti a creare informazione, poichè i profitti di monopolio tenderanno in genere ad essere inferiori al pieno valore sociale dei prodotti; i venditori saranno tipicamente incapaci di identificare e di estrarre da ogni compratore un ammontare uguale alla sua particolare valutazione” (p. 119). Così Friedman (2004) trattando delle royalities percepite dall'autore di un libro, le quali, trattandosi di “una misura, approssimata per difetto, del valore del bene prodotto” fanno sì che “alcuni lettori finiranno comunque per ottenere il libro ad un prezzo inferiore a quello che sarebbero stati in realtà disposti a pagare per ottenerlo” (p. 256).

creare in maniera del tutto naturale (senza artifizi del legislatore si intende). Nel caso di un'invenzione di processo, per esempio, i più bassi costi di produzione di un bene sarebbero già di per sé sufficienti a consentire all'inventore di recuperare i costi dell'invenzione anche in un mercato concorrenziale ed in assenza di brevetto.

Inoltre, se si avesse anche solo un guadagno tale da coprire il mero costo di produzione, l'incentivo a produrre funzionerebbe in egual modo e determinerebbe una produzione che si direbbe “efficiente”: “[i]l fatto che il risultato della produzione di beni sia la loro proprietà, è una ragione per produrli. E ciò non solo fornisce un incentivo, ma fornisce l'incentivo corretto: si è disposti a produrre qualcosa se, e solo se, il suo valore, per chiunque lo valuti al massimo, sia che si tratti di se stessi o della persona cui si prevede di vendere il bene, raggiunge almeno il livello del costo richiesto per produrlo” (Friedman, 2004, p. 221). Infatti una delle tradizionali argomentazioni in supporto della desiderabilità dei diritti di proprietà (in generale) è l'incentivo a lavorare, “in presenza di diritti di proprietà, in circostanze in cui ciascun individuo è titolare di diritti possessori sui beni che produce”: “lavorerà nella misura socialmente ottimale e il benessere sociale sarà massimizzato.” Il lavoratore con diritti possessori sui beni che produce sa “che sarà in grado di consumare ciò che produce e quindi comparerà l'utilità derivante dal prodotto ottenuto lavorando un'ora addizionale alla disutilità derivante dall'ora addizionale di sforzo lavorativo”40 (Shavell, 2004, p.

15).

Una seconda argomentazione fondamentale concerne l’incentivo all'innovazione e al progresso della società dal momento che si assicura, a chi realizzi invenzioni, un diritto di esclusiva. A tal proposito c'è chi invece sostiene che lo stimolo all’innovazione sia connaturato al regime concorrenziale, per cui l’imprenditore innova spinto dalla competizione stessa, e non per godere dei benefici che gli derivano dal brevetto (così si argomenterà nel terzo capitolo). Poichè riguarda essenzialmente due forme di tutela della proprietà intellettuale, il brevetto e il segreto industriale, essa sarà oggetto di discussione nei paragrafi ad essi dedicati.

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Come Shavell si affretta a precisare e che si ritiene opportuno riportare anche qui: l'incentivo dell'individuo a lavorare non è detto che dipenda sempre dalla sua abilità di consumare il prodotto del suo lavoro, ritenendosi una prerogativa di “artigiani, commercianti e professionisti

indipendenti”. “Piuttosto il suo incentivo a lavorare deriverà dalla capacità di consumare i diversi beni acquistati con il suo salario monetario”.

La ratio della creazione di diritti di proprietà intellettuale è pertanto ricca e complessa, costituita da una serie di incentivi e disincentivi diretti ad alterare il comportamento degli individui. La nascita di un IPRS globale, si è visto nel primo capitolo, è avvenuta in un arco temporale molto lungo e con non poche difficoltà. Inizialmente dunque la creazione di diritti di proprietà intellettuale è stata avvertita come un necessario strumento di difesa nei confronti dei numerosi attacchi di contraffazione da parte dei pirati (prevalentemente orientali) che minavano l'impulso creativo di scrittori, artisti ed inventori, scoraggiati dal mancato riconoscimento del frutto del proprio lavoro. Un sistema di diritti di qualsivoglia specie affinchè possa dirsi solido ed efficiente necessita, oltre che di un massiccio apparato normativo, anche di un altrettanto valido sistema di intervento da parte dello Stato, che agisca in caso di violazione dei diritti in questione. Ecco che, con la creazione di un IPR globale così come giunto sino ad oggi, si è venuto a creare un sistema complesso e composito di diritti e di doveri che tutela inventori e artisti ex ante, ma anche ex post, in caso di violazione dei loro diritti, consentendo loro di ridurre gli sforzi costosi per proteggere la propria invenzione o opera artistica. Il vantaggio prodotto dall'incentivo, come ben argomentato da Shavell, si sostanzia nella opportunità di evitare conflitti e sforzi eccessivi diretti a proteggere i beni, impedire eventuali danneggiamenti nel tentativo di appropriazione, scoraggiare il comportamento degli individui che ritengano vantaggioso produrre solo beni più facilmente tutelabili, determinando una scarsità di beni più utili ma più difficili da proteggere, e infine proteggere dal rischio (il che è vantaggioso dal punto di vista sociale, data la generale avversione al rischio degli individui).

L’IPR funge dunque anche da disincentivo nei confronti dei tentativi di appropriazione indebita di beni altrui: un comportamento socialmente non desiderabile perchè volto solo ad una riallocazione di beni e non alla loro produzione. In una società priva di diritti di proprietà, “un agricoltore semina del grano, lo cura con fertilizzanti, lo protegge con spaventapasseri, ma quando il grano è maturo il suo vicino lo ruba e ne fa un uso per se”. L’agricoltore non essendo né proprietario della terra, né proprietario del grano, non ha alcun rimedio giuridico nei confronti del vicino che si è comportato in quel modo. Dopo qualche ulteriore incidente la coltivazione della terra finirà per essere abbandonata e la società si rivolgerà a perseguire metodi di sussistenza (come la caccia) che comportano investimenti futuri meno impegnativi (Posner, 1992, p. 32). Riprendendo lo schema di Shavell (2004) riguardo all’allocazione degli sforzi lavorativi, in assenza di diritti di proprietà non si realizza “l’ammontare socialmente

ottimale di lavoro”, poiché “nel decidere se lavorare un'ora addizionale, un individuo comparerà l'incremento di utilità derivante dal consumare la quantità addizionale della sua produzione che sarà in grado di conservare – piuttosto che tutta la quantità addizionale della sua produzione – alla disutilità del lavoro derivante da quell’ora” (p. 12). In assenza di un sistema di IPR “gli individui troveranno di frequente razionele dedicare sforzi e risorse all'appropriazione di beni altrui, dando origine a conflitti, e troveranno anche razionale dedicare tempo e risorse a proteggere i propri beni dall'appropriazione altrui” (Shavell, 2004, p. 20).

Un corollario di questa motivazione pro tutela diritti di proprietà in generale è rappresentato dall'incentivo a conservare e migliorare i beni durevoli. Tali beni per la PI sono evidentemente quelli che, direbbe Shavell (2004), formano oggetto di “diritti di proprietà sull'informazione con valore di ripetizione”, quali brevetto, diritto d'autore e segreto che hanno per oggetto “l'informazione utile per produrre unità multiple di cose”.

In altre parole: la tutela dei diritti di proprietà crea incentivi per un uso efficiente delle risorse dove per “uso efficiente” si intende quella modalità di utilizzo di una risorsa in grado di massimizzarne il valore: “[t]he creation of exclusive right is a necessary rather than sufficient condition for the efficient use of resources” (Posner, 1992). Tale incentivo ha un'elevata rilevanza in vista dello sfruttamento economico presente o futuro o del trasferimento del bene oggetto di diritto. Infatti, proprio la prospettiva del trasferimento dei beni è un altro incentivo creato dai diritti di proprietà. Uno dei principi fondamentali dell'economia recita che “lo scambio può essere vantaggioso per tutti”. I diritti di proprietà intellettuale possono essere venduti: ciò consente di aumentare i profitti. In un mondo con molte tipologie di beni, il benessere individuale viene garantito dal possedere una grande quantità di questi diversi beni, che soddisfano più desideri, piuttosto che una grande quantità dello stesso bene. “Il vantaggio diretto del trasferimento dei beni o, in altre parole del commercio, è l'incremento di utilità di coloro che lo eseguono” poiché “le preferenze degli individui differiscono”. Inoltre il commercio apporta un altro beneficio: “permette l'uso di metodi efficienti di produzione”, tramite la “specializzazione e la aggregazione di individui che producono solo uno o molti beni interrelati” (Shavell, 2004, p.18). Lo scambio mutualmente profittevole svela anche un importante significato nascosto: i diritti di possesso devono necessariamente essere accompagnati dai diritti di trasferimento. Se vi fossero solo diritti di possesso, ognuno produrrebbe esattamente

la quantità di beni che sarebbe in grado di consumare e non si raggiungerebbe l’esito ottimale. I diritti di trasferimento stimolano la produzione efficiente e l’uso efficiente delle risorse di valore perchè possono passare dalle mani di chi è meno abile a quelle