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IL PUNTO DI VISTA TRADIZIONALE

2.2 UN BENE DAI MILLE VOLT

Il “bene conoscenza” è un bene, frutto dell'attività creativa o inventiva di autori, artisti e inventori. Data la sua crescente importanza per le economie dei paesi, il bene conoscenza è divenuto una risorsa essenziale dell'asset aziendale. Tuttavia, a causa della sua “fluidità”, presenta una natura ambigua e difficile da delineare. Ostrom e Hess (2009) menzionano ad esempio le posizioni di Reichman e Franklin (1999) e Braman (1989), che ritengono che la conoscenza sia “dialettica”, che abbia cioè una doppia funzionalità come esigenza umana (in quanto elemento fondante della società) e come bene economico (in quanto merce). Inoltre, “[a]cquisire e scoprire conoscenza è al contempo un processo sociale e un processo profondamente personale” (Polanyi 1958)

La differenza tra i vari tipi di conoscenza è spiegata magistralmente da Renata Livraghi (2007) in un articolo intitolato “Economia della conoscenza”, che richiama la definizione data dagli economisti Bengt-Åke Lundvall e Björn Johnson nel 1994. I due economisti ne evidenziarono quattro dimensioni: il “know what” (sapere che cosa), che riguarda il possesso delle informazioni ovvero la conoscenza dei “fatti”; il “know why” (sapere perché), cioè la conoscenza teorica che è alla base della ricerca scientifica e tecnologica; il “know how” (sapere come), legato soprattutto all’esperienza operativa individuale e condivisa dai lavoratori; infine, il “know who” (sapere chi), che permette di individuare le persone che sanno fare talune cose e che sanno trovare soluzione a problemi inediti e complessi. Se le prime due forme di conoscenza si apprendono facilmente, con la lettura di libri o la frequentazione di corsi, le ultime due forme di conoscenza (c.d. “conoscenza tacita”) “si apprendono soprattutto con l’esperienza operativa e sono difficilmente trasferibili agli altri seguendo i tradizionali canali di diffusione della conoscenza” (Livraghi 2017, p. 2). La conoscenza così caratterizzata si differenzia pertanto dalla “informazione”. L'informazione è solo uno degli elementi che compongono la conoscenza. Scrive Livraghi:

L’informazione è un insieme di dati strutturati e formalizzati e diventa conoscenza solo dopo essere stata processata dalla mente di un individuo. La conoscenza è infatti capacità di apprendere e capacità cognitiva (p. 2).

Il rapporto che lega “dati”, “informazioni” e “conoscenza” è molto semplicemente descritto da Thomas H. Davenport and Lawrence Prusak (1998): “[k]nowledge derives from information as information derives from data” (p. 5). Machlup (1983) introduce una diversa distinzione: i dati sono frammenti di informazioni, le informazioni sono formate dall'organizzazione dei dati e la conoscenza è l'assimilazione e la comprensione delle informazioni (citato in Ostrom e Hess, 2009). Avendo svelato la loro diversa natura, non meraviglierà l'affermazione che informazione e conoscenza hanno anche uno sviluppo diverso:

Nel caso della conoscenza, lo sviluppo avviene con la pratica, con l’apprendimento, con il coinvolgimento intellettuale ed emotivo, mentre nel caso dell’informazione la riproduzione avviene con la pura duplicazione. La conoscenza e l’apprendimento producono quindi nuova conoscenza, mentre l’informazione non è in grado di produrre un’accumulazione di conoscenza (Livraghi 2017, p. 2).

Dunque l'innovazione comporta produzione di nuova conoscenza attraverso l'impiego della stessa nei processi di produzione. Ciò che ha davvero un valore economico è dunque l'innovazione:

Un processo innovativo incorpora quindi forme diverse di conoscenza e di apprendimento che accrescono la produttività dei fattori di produzione, alimentano la crescita economica e pongono le condizioni per realizzare sviluppo economico (p. 2).

Una migliore conoscenza consente di fare le scelte giuste: “Better knowledge can lead, for example, to measurable efficiencies in product development and production. We can use it to make wiser decisions about strategy, competitors, customers, distribution channels, and product and service life cycles” (Davenport e Prusak, 1998, p. 5).

L'attenzione che si è posta da parte dell'economia su questa particolare tipologia di bene dalla natura ambigua non è riuscita a dare risposte univoche. Ciò che

sicuramente interessa all'economia è quella parte del bene conoscenza che ha appunto un valore economico, ma che non è facile da codificare. Infatti, scrive Livraghi:

La conoscenza è un bene economico intangibile, generalmente ‘incorporato’ nelle persone e talvolta difficilmente codificabile, ovvero raccolto e ordinato in modo da acquisire valore e potere (p. 3).

La dimensione “tacita” della conoscenza: la capacità di apprendimento e cognitiva è quella più difficile da trasmettere perchè spesso si “traduce in azioni realizzate talvolta in maniera spontanea e irriflessa”, è anche quella con più valore. Per trasmettere la conoscenza tacita saranno necessari allora “processi di apprendimento informali che implicano elevate capacità di osservazione, riflessione e acquisizione di nuove conoscenze” (p. 3), ben diversi dalla semplice duplicazione.

Da questo punto di vista la conoscenza “non è un puro bene pubblico” e “non è neppure un bene del tutto privato” (p. 3), afferma Livraghi. E' un bene che condivide con i beni pubblici le loro caratteristiche essenziali: è un bene “non rivale” (il suo consumo da parte di un individuo non ne impedisce il contemporaneo consumo da parte di un altro individuo), “non escludibile” (non si può impedirne la fruizione da parte dei consumatori) e “cumulativo” (in grado cioè di generare esternalità positiva, ovvero un impatto positivo su terzi dai quali è tecnicamente difficile ottenere una compensazione). La combinazione di queste tre proprietà del bene conoscenza può dunque, scrive Livraghi, produrre fallimento di mercato “perché il rendimento privato risulta essere inferiore al rendimento sociale; nello stesso tempo, valorizzando gli altri fattori produttivi, permette ai sistemi economici di realizzare tassi di crescita economici rilevanti”. Dunque la sfida che si pone all'economia della conoscenza è quella di “tentar di risolvere un ‘preoccupante’ dilemma tra interessi sociali, da un lato, e interessi privati di equilibrio di mercato, dall’altro” (p. 3).

Elinor Ostrom (Premio Nobel per l'Economia nel 2009) e l'economista Charlotte Hess sostengono un approccio che si pone, per loro stessa ammissione, in contrasto con la tradizionale letteratura economica. Il loro diverso approccio intende considerare il bene conoscenza come un “bene comune”30 a cui va assicurato l'accesso pubblico, 30 La terminologia di “bene comune” della quale Ostrom e Hess si servono, richiama il termine

“commons” della tradizione giuridica anglosassone, con il quale vengono definiti tutti quei beni che sono “proprietà di una comunità e dei quali la comunità può disporre liberamente” (Ferri, 2009). Dei “commons” fanno parte beni materiali e immateriali. Essendo patrimonio collettivo di una comunità, il suo sfruttamento deve essere regolato, per impedire il suo esaurimento. “Commons” è diventato nel tempo un termine di uso comune per l'informazione digitale.

piuttosto che come un tipico esempio di bene pubblico “puro”. Infatti le due economiste ritengono che la “crisi” del tradizionale approccio al bene conoscenza sia dovuta al “nuovo veicolo per la distribuzione delle informazioni” ossia il web, che non consentirebbe più di riferirsi al bene conoscenza né come risorsa privata e neppure come risorsa pubblica.

Nella trattazione classica dei beni pubblici, Paul A. Samuelson (1954, pp. 387- 389) ha classificato tutti i beni che possono essere utilizzati dagli esseri umani come puramente privati o puramente pubblici. Samuelson e altri, tra cui Musgrave (1959), hanno posto tutta l’enfasi sull’esclusione: i beni dal cui uso gli individui potevano essere esclusi andavano considerati privati. Nell’affrontare questi problemi, gli economisti si concentrarono dapprima sull’impossibilità dell’esclusione, per poi orientarsi verso una classificazione basata sull’alto costo dell’esclusione. Da quel momento i beni sono stati trattati come se esistesse una sola dimensione. Solo quando gli studiosi hanno sviluppato una duplice classificazione dei beni (V. Ostrom e E. Ostrom 1977), è stata pienamente riconosciuta l’esistenza di un loro secondo attributo. Il nuovo approccio ha introdotto infatti il concetto di sottraibilità (a volte definita anche rivalità) – per cui l’uso del bene da parte di una persona sottrae qualcosa dalla disponibilità dello stesso per gli altri – come fattore determinante di pari importanza per la natura di un bene. Ciò ha condotto a una classificazione bidimensionale dei beni. La conoscenza, nella sua forma intangibile, è rientrata allora nella categoria di bene pubblico, dal momento che, una volta compiuta una scoperta, è difficile impedire ad altre persone di venirne a conoscenza. L’utilizzo della conoscenza (come per esempio la teoria della relatività di Einstein) da parte di una persona non sottrae nulla alla capacità di fruizione da parte di un’altra persona. Questo esempio, naturalmente, si riferisce alle idee, ai pensieri e al sapere derivanti dalla lettura di un libro: non al libro in quanto oggetto, che sarebbe classificato come bene privato (Ostrom e Hess 2009, Introduzione).

La letteratura economica tradizionale ha sempre trattato il “bene conoscenza” come un bene pubblico tout court, preoccupandosi poco di queste sottili differenze. L'evoluzione delle moderne tecnologie ha invece “coinvol[to] ogni aspetto della gestione e del governo delle conoscenze, compresi i modi in cui esse sono generate,

immagazzinate e conservate”. Ciò ha prodotto un cambiamento radicale nella natura stessa della conoscenza come risorsa:

Le nuove tecnologie possono consentire l’appropriazione di quelli che prima erano beni pubblici gratuiti e liberi […]. Questa capacità di appropriarsi di ciò che prima non consentiva appropriazione determina una metamorfosi sostanziale nella natura stessa della risorsa: da bene pubblico non sottraibile e non esclusivo, essa è convertita in una risorsa comune che deve essere gestita, monitorata e protetta, per garantirne la sostenibilità e la preservazione (Ostrom e Hess, 2009, introduzione).

Più in generale, il carattere della “pubblicità” di un bene si riflette nel suo modo di allocazione sul mercato. Infatti, se i beni privati vengono allocati sul mercato nella maniera più efficiente possibile, altrettanto non accade per i beni pubblici proprio a causa delle tre proprietà succitate: per usare le parole di Friedman (2004): “[p]iù persone possono […] utilizzare la medesima idea per costruire macchine diverse, oppure leggere contemporaneamente copie diverse del medesimo libro” (p. 262) o per usare quelle di Posner (1992): “A's use of some piece of information will not make it more costly for B to use the same information” (p. 41).

La c.d. “conoscenza di base” è una parte di conoscenza destinata a rimanere pubblica, nonostante il suo grande valore. La ragione risiede nell'aver confinato le invenzioni brevettabili a solo quelle davvero utili, ma che soprattutto, richiedono uno sviluppo costoso prima di poter essere portate sul mercato. Scrive Posner (1992): “[u]ntil the advent of costly atomic particle accellerators, basic reaserch did not entail substantial expenditure, and patent protection might therefore have led too much basic research. [...] …there are also serious identification problems […]. An idea does not have a stable physical locus, like a piece of land. With the passage of time it becomes increasingly difficult to identify the products in which a particular idea is embodied; and it is also difficult to identify the products in which a basic idea, having many and varied applications, is embodied” (p. 39). Ma la c.d. “conoscenza applicata alla tecnologia” può essere oggetto di privativa. Questa forma di conoscenza permette di trovare soluzioni tecniche e scientifiche a problemi pratici, di elaborare strategie operative e di ottimizzare le procedure. Il “bene conoscenza” diviene così un bene privato, escludibile, che avvantaggia l'ideatore, il quale può privare i “non

autorizzati”, tutti potenziali free rider, dal godere e dal disporne gratuitamente o può decidere di autorizzarli, ma dietro il pagamento di un compenso.

L’attribuzione di diritti di proprietà specifica le norme di comportamento con riferimento alle cose, regole che ciascuno deve seguire nei rapporti intersoggettivi, oppure sopportare il costo della loro violazione. Il sistema prevalente in materia di proprietà quindi può esser descritto come l’assetto delle relazioni economiche e sociali che definiscono la posizione di ciascun individuo rispetto alla utilizzazione di risorse di quantità limitata (Alpa, Bessone, Fusaro, n.d.).

L'intervento del legislatore è diretto dunque a creare artificialmente quella condizione di scarsità necessaria affinchè un bene possa acquistare la caratteristica della “economicità”. Privatizzare il “bene pubblico conoscenza” vuol dire rendere disponibile quel bene per solo chi dispone del diritto di proprietà su di esso e per chi è disposto a pagare per ottenerlo.

2.3 ESTERNALITA'

La conoscenza è fonte di numerose esternalità sia positive che negative.31 La

conoscenza (si è accennato nel paragrafo precedente) è frutto di un processo cumulativo, ossia necessita dell'apporto costante e collaborativo di una comunità di soggetti. Le più grandi invenzioni sono il frutto di anche piccole, ma innovative migliorie apportate a scoperte di altri illustri inventori. L'invenzione del motore a vapore con condensatore separato di James Watt (1768) è stato il risultato di un miglioramento apportato al motore ad alta pressione di Jonathan Hornblower e Richard Trevithick, così come la creazione di molti software è stata possibile, grazie alla invenzione del sistema operativo DOS. L'innovazione è quindi un processo a catena che sfrutta il bagaglio culturale comune acquisito e ne accresce il valore. Il fatto che la conoscenza sia “cumulativa” la rende responsabile di generare un’esternalità positiva, che apporta benefici alla collettività. Ma affinchè

31 Le esternalità consistono in effetti esterni che restano privi di compensazione, causati dall'azione di una parte. “Si dirà che l'azione di una parte ha un effetto esterno – o crea una esternalità – se influenza, o può influenzare con una certa probabilità, il benessere di un'altra persona, rispetto ad un certo standard di riferimento” (Shavell, 2004, p. 79).

un’invenzione possa innescare a sua volta altra conoscenza è necessario che l'accesso ad essa sia reso possibile (e si vedrà che non sempre avviene). Inoltre la conoscenza presenta la caratteristica di essere un qualcosa di non definitivamente acquisito: è sempre in costante mutamento ed è necessaria una ricerca continua. Secondo Ostrom e Hess (2009, Introduzione): “[u]na quantità infinita di conoscenza attende di essere disvelata. La scoperta delle conoscenze future è un tesoro collettivo di cui dobbiamo rispondere di fronte alle generazioni che ci seguiranno. Ecco perché la sfida di quella attuale è tenere aperti i sentieri della scoperta”.

I mille volti della conoscenza fanno sorgere un dubbio sulla sua natura. Si può ritenere che la conoscenza sia un bene prodotto, inventato dal suo inventore, oppure si può affermare che la conoscenza sia un bene preesistente a qualsiasi attività dell'ingegno e sia pertanto solo scoperta, trovata. La questione non è solo interessante sul piano teorico, ma è anche importante su quello pratico perchè ha delle implicazioni significative sul piano della analisi economica del brevetto e del copyright, come si vedrà nel proseguio della tesi.

A proposito della cumulatività si può argomentare che la maggiore o minore ampiezza della protezione accordata alle “prime innovazioni” può costituire rispettivamente un disincentivo o un incentivo per le “seconde innovazioni” (Shavell, 2004). Ammettendo che il bene conoscenza sia un bene comune di valore (così come affermato da Ostrom e Hess), essa presenta delle esternalità derivanti dalla scarsità, al pari di altre risorse collettive:

suppose the animals are valuable. If there are no property right in valuable fur- bearing animals such as sable and beaver, hunters will hunt them down to extinction, even though the present value of the resource will be diminished by doing so […].

(Posner, 1992, p. 36)

Al pari degli animali da pelliccia dell'esempio di Posner, l'uso di una conoscenza la cui riproduzione è limitata dalle grandi industrie digitali può determinare la sua scarsità, come effetto di una esternalità negativa.

Un aspetto interessante sottolineato da Landes e Posner (2003) è quello secondo cui le opere non protette da copyright possono subire un eccessivo sfruttamento. Infatti, la vendita di copie di un'idea ridurrebbe la redditività dei concorrenti che deriva dalla vendita di copie dell'idea da parte loro. Questo è un tipico caso di “esternalità

pecuniaria” che deriva dalla riduzione della redditività derivante dalla concorrenza. Nel terzo capitolo tuttavia si vedrà come Boldrin e Levine (2012) smentiscono l'analogia sulla quale la tesi si fonda, minandola alla base.

Il bene pubblico conoscenza è anche soggetto ad una particolare forma di esternalità, c.d. esternalità imitativa. Il 27 giugno del 2019 è stato concesso all'azienda B.MA snc di Cafano A. & C, il brevetto numero 102017000025724 per l'invenzione della bustina monodose “tipo mezzaluna”: una “nuova bustina di zucchero utile per non “sbordare” dal piattino e facilitarne il trasporto nel servizio ai tavoli delle bevande calde”32. La

forma a mezzaluna della bustina di zucchero può essere facilmente copiata da qualsiasi impresa di packaging che abbia potuto osservare come con tali bustine lo zucchero non abbia effettivamente “sbordato dal piattino”. Ogni invenzione la cui imitazione è semplice può dar vita ad una “esternalità non compensata dal prezzo”:

Se l'informazione può essere copiata a basso costo da coloro i quali ne vengono in possesso, la persona che per prima sviluppa l'informazione non sarà in grado di venderla a molti compratori. Molti compratori saranno in grado di diffondere o rivendere l'informazione essi stessi. Come conseguenza, il guadagno di una persona che crea informazione tenderà a essere minore, probabilmente sostanzialmente minore, rispetto al suo valore sociale (Shavell, 2004, p. 114).

Le esternalità positive, infine, causano alle volte fenomeni noti come “agglomerazione industriale”, secondo cui, imprese simili si concentrano in aree spaziali contigue, al fine di beneficiare l'una dalle esternalità positive generate dalle altre. La Silicon Valley sarebbe per alcuni un tipico esempio di questo fenomeno33.

Tra le tante modalità con le quali il legislatore può risolvere o perlomeno tentare di correggere le esternalità vi è la creazione ed assegnazione di diritti di proprietà, sebbene “[g]li economisti [abbiano] ampiamente ignorato soluzioni ai problemi di

32 L'informazione citata è stata reperita dal sito internet http://www.brevettidopo.it il quale consente agli inventori con brevetti già rilasciati o che hanno solo depositato la domanda di rilascio del brevetto, di presentare la propria invenzione al fine di essere contattati da chi potrebbe essere interessato ad acquisirli o a collaborare per il loro sfruttamento.

33 Boldrin e Levine (2012) negano la portata delle “esternalità imitative” e “da agglomerazione”. Infatti essi sostengono che diversi accurati studi – Ellison e Glaser (1997 e 1999) di Acemoglu e Angrist (2000) Ciccone e Peri (2002), Castiglionesi e Ornaghi (2004) – mostrano come vi siano “poche” e “molto deboli prove” del fatto che l'agglomerazione sia dovuta alle esternalità, piuttosto che ad esigenze contrattuali.

esternalità basate sulla responsabilità e sulla proprietà fino allo sviluppo dell’analisi economica del diritto, stimolata soprattutto da Coase (1960), Calabresi (1970) e Posner (1972)” (Shavell, 2004, p. 111). Eppure i diritti di proprietà sono molto efficaci per risolvere le controversie causate dalle esternalità.

Tuttavia i diritti di proprietà non sono totalmente risolutivi poiché “truly exclusive (absolute, unqualified) property rights would be impossible” (Posner, 1992, p. 49): “la mia libertà finisce dove comincia la vostra” proclamava Martin Luther King. Anche l'uso di un diritto di proprietà, nei limiti consentiti dalla legge, può essere fonte di effetti dannosi nei confronti di terzi34. Innanzitutto, la privatizzazione del bene

conoscenza determina la privazione per la collettività di un uso libero e gratuito di un bene pubblico. Il diritto di proprietà su un'idea determina una sottrazione dalla “schiera dei beni potenzialmente comuni [di] un piccolo frammento di proprietà” (Friedman, 2004, p. 256).

Altro problema che sorge dalla attribuzione di diritti di proprietà è il potenziale conflitto tra essi. Il conflitto tra diritti di proprietà è occasionato dal loro contenuto spesso ambiguo e difficile da definire. Il diritto di proprietà è molte volte concepito come un “fascio di diritti”, contenente cioè facoltà spettanti al proprietario, aggregabili e disaggregabili dalla legge, così da raggiungere il risultato più efficiente possibile. Tale “pacchetto di facoltà” definisce il “rapporto di un soggetto con degli oggetti” (Friedman, 2004), ma si potrebbe dire che definisca anche il rapporto con gli altri soggetti. Affinchè tale pacchetto sia reso conoscibile, si rivela utile un sistema di registrazione.

Un valido sistema di registrazione assume uno speciale valore per i diritti di proprietà intellettuale poiché, data la intangibilità del bene sui quali insistono, hanno confini più sfumati dei beni fisici e consentono in caso di trasferimento della proprietà di individuarne i proprietari e il loro contenuto. Si è accennato che le invenzioni, i

34 L'attribuzione al titolare di un diritto di proprietà, della facoltà di escludere gli altri dall'utilizzo del proprio bene, in aggiunta al diritto di uso del medesimo, è percepito da molte persone come una limitazione della libertà di azione di altri soggetti ma allo stesso tempo è considerato inevitabile e legittimata da un diritto morale oltrechè legale del proprietario a non dover sopportare il costo di ingerenze esterne nella sua proprietà. “These limits may be legitimate, because we might conclude

that you shouldn't have a moral or legal right to walk onto my property. (After all, my right to life is also a limit on your freedom not to kill me, but a justifiable one.) But that just means the question is ‘Which forms of property are proper limits on others' freedom’ -- not that some forms of right-to-