• Non ci sono risultati.

IL PUNTO DI VISTA TRADIZIONALE

2.6 I DIRITTI DI PROPRIETA' INTELLETTUALE

2.6.3 ANALISI ECONOMICA DEL BREVETTO

Gli economisti Aldo Chiancone e Donatella Porrini (1998) forniscono un'analisi economica del brevetto puntuale e formalizzata che, come essi stessi affermano (p. 255), rispecchia “la posizione tradizionale della letteratura”. Scrivono infatti:

Tradizionalmente, la giustificazione della concessione di un monopolio all'inventore viene trovata nel fatto che l'esclusiva dello sfruttamento dell'invenzione costituisce, attraverso i profitti che ne derivano, un fattore fondamentale per lo sviluppo tecnico e delle conoscenze in generale (p. 250).

Laddove l' “esclusiva”:

si traduce in un vantaggio di mercato per l'inventore ed ha la finalità di tutelare l'interesse generale a che l'invenzione riceva una completa e generalizzata divulgazione e utilizzazione (p. 250).

I due economisti, per mostrare gli effetti economici dei brevetti, si servono di un grafico in cui sull'asse delle ascisse è indicata la quantità (Q) e su quella delle ordinate il prezzo (P).

Supponendo che il costo marginale di produzione, sia costante e uguale per tutti i produttori prima dell'innovazione e che vi sia un mercato di concorrenza perfetta, dove il prezzo P è uguale al costo marginale CMG e la quantità venduta pari a Q.

Grazie al brevetto l'impresa innovatrice venderà il bene ad un prezzo leggermente inferiore a P. I concorrenti usciranno dal mercato perchè a quel prezzo opereranno in perdita. L'impresa innovatrice che produce con una tecnica meno costosa, venderà sul mercato la quantità Q0 al prezzo P0 e farà in in tal modo profitti pari ad AB su ogni

unità venduta, cosicchè i profitti complessivi ammonteranno all'area P0 P1 AB.

L'innovazione è remunerativa se i profitti superano i costi sostenuti per la ricerca. La situazione di vantaggio permarrà per tutta la durata del brevetto. Quando il brevetto giunge a scadenza, altre imprese inizieranno a produrre quel dato bene con la nuova tecnica meno costosa, cosicchè la concorrenza forzerà il prezzo verso il basso fino al nuovo costo marginale CMG1 e la produzione si espanderà fino a Q1. Il nuovo

equilibrio sarà in E. In questa nuova situazione il benessere dei consumatori è aumentato perchè essi hanno a disposizione una maggiore quantità del bene (Q1 invece

di Q0) ad un prezzo inferiore (P1 invece che P0).

E' evidente come, se non esistesse la protezione brevettuale dell'invenzione, fin dall'inizio, subito dopo la realizzazione dell'invenzione, la quantità prodotta ed i prezzi sarebbero quelli finali di concorrenza perfetta e l'inventore non sarebbe in grado di recuperare quanto speso. Il prodotto di monopolio è dunque pari all'area del rettangolo P1 P0 AB. In secondo luogo, da quanto si è appena detto risulta evidente che il

monopolio, concesso dal brevetto, comporta una perdita di benessere per i consumatori, pari alla superficie del triangolo BAE per tutto il tempo in cui dura il

brevetto: quanto maggiore è la durata del brevetto, tanto maggiore è la perdita di benessere (pp. 251-252).

Tale ultima considerazione consente di giungere all'elemento cruciale per determinare un equilibrio efficiente tra i contrapposti obiettivi di remunerare l'attività dell'inventore e di promuovere il progresso tecnico: la durata del brevetto.

La durata del brevetto è l'ago della bilancia che deve servire per rendere i costi sociali, uguali, al margine, ai benefici sociali. Se la durata del monopolio è eccessiva, i costi sociali, consistenti nelle “risorse che i concorrenti sono indotti ad investire per trovare alternative al brevetto”, oppure derivanti dalla “insufficiente utilizzazione del prodotto da parte della collettività”, possono superare i benefici. In questo caso i maggiori profitti del monopolista saranno tali da incentivarlo a creare informazione ad un prezzo maggiore di quello che avrebbe potuto imporre se il suo brevetto fosse cessato.

In generale, la lunghezza ottimale dei diritti di proprietà per una classe di possibili invenzioni è il periodo minimo necessario per indurre l'innovazione, cioè è il minimo periodo necessario per generare profitti di monopolio di solito sufficiente per coprire i costi di sviluppo. Questo suggerisce che la lunghezza desiderable dei diritti di proprietà dovrebbe essere maggiore più grandi sono i costi di sviluppo, essendo le altre cose uguali (Shavell, 2004, p. 121).

Per raggiungere il risultato in cui i costi eguagliano i benefici occorrerebbe un sistema brevettuale differenziato in base alla tipologia di invenzione che si intende tutelare, piuttosto diverso da quello attuale basato sulla durata unica. Infatti, fanno giustamente notare Chiancone e Porrini, “il termine invenzione può riferirsi tanto a invenzioni notevolmente innovative, le quali comportano notevoli investimenti per essere sviluppate ed adottate, quanto a invenzioni di minore valore innovativo, quali le cosiddette invenzioni incrementali. Nel primo caso la durata ventennale del brevetto può corrispondere a considerazioni di efficienza, o addirittura può rivelarsi insufficiente a permettere un'adeguata remunerazione dell'inventore; nel secondo caso, la durata dell'esclusiva monopolistica è eccessiva e comporta costi sociali superiori ai benefici” (p. 253).

Vi è inoltre un secondo aspetto riguardante il brevetto che è altrettanto cruciale nel determinare l'equilibrio tra gli interessi contrapposti (individuali e collettivi): la c.d. estensione del brevetto.

Mentre un'estesa copertura assicura che l'inventore possa internalizzare la maggior parte possibile dei benefici esterni della sua invenzione e possa quindi, in tal modo, raccogliere il massimo profitto da essa, una copertura eccessiva può rallentare il processo innovativo in quanto altri produttori vedranno ridotti i propri guadagni a causa del pagamento delle licenze all'inventore originario e vedranno anche compromessa la possibilità di introdurre quei miglioramenti marginali, la cui importanza per lo sviluppo tecnologico abbiamo già indicata (p. 254).

Affermano Chiancone e Porrini che “[n]el mondo moderno, due sono fondamentalmente i modi in cui si può tutelare l'innovazione: il brevetto e il segreto industriale” (p. 249). E' dunque l'“incentivo ad innovare” la giustificazione economica principale che spinge legislatori ed economisti a ritenere il monopolio temporaneo da esso derivante necessario (un “male necessario”, come lo definiscono alcuni e di cui si parlerà più avanti). Inoltre, la possibilità di rendere pubblica l'invenzione, la conseguente divulgazione e la opportunità che, trascorso il periodo di esclusiva, diventi di dominio della collettività rappresenta il miglior argomento a sostegno del brevetto piuttosto chè del segreto industriale. Infatti, come si illustrerà nel paragrafo seguente, il segreto industriale offre una tutela alternativa al brevetto e molti economisti si sono domandati sulla bontà di un sistema che lasci all'inventore la scelta tra le due forme di tutela della propria scoperta.

L'apporto del brevetto all'innovazione è invece tutto diretto ad internalizzare le esternalità e permettere così all'impresa innovatrice di appropriarsi di parte del valore dell'invenzione. L'appropriazione riguarda solo “una parte del valore”, in quanto “la protezione offerta dalla legge attraverso i brevetti non è mai tanto ampia da permettere all'impresa innovatrice di appropriarsi completamente dei benefici esterni che la invenzione ha generato”, molti dei quali restano nella disponibilità del pubblico in quanto possono avere un contenuto di conoscenza generale consistenti in principi scientifici o leggi di natura non brevettabili in base alla legge oppure piccoli miglioramenti delle tecniche produttive esistenti. Inoltre, già la descrizione dell'invenzione che l'inventore è tenuto a fare nella sua domanda di brevetto rappresenta un beneficio esterno, che viene lasciato trapelare e che può “aumentare la probabilità che altri concorrenti intraprendano programmi di ricerca paralleli al fine di

ridurre lo svantaggio tecnologico e [che] arrivino rapidamente a mettere sul mercato prodotti sostituti che erodono ogni profitto del pioniere” (p. 259).

Solo se l'inventore sa di poter recuperare i costi sostenuti per la ricerca, internalizzando le esternalità derivanti dall'aver prodotto un bene pubblico (quale è la conoscenza), sarà incentivato a effondere sforzi in ricerca e sviluppo (R&D). Altrimenti sarà costretto a vedere il vantaggio di mercato guadagnato grazie all'innovazione rapidamente azzerato dai concorrenti, i quali per di più non hanno nemmeno sostenuto i costi di ricerca.

“Innovare” significa accrescere il complesso delle conoscenze di cui un'impresa dispone e avviene “al pari di qualsiasi altra dotazione, mediante un incremento dei fattori produttivi che lo determinano”. Il progresso tecnologico è “endogeno” all'impresa, sostengono Chiancone e Porrini (1998), ossia un fenomeno che non avviene casualmente bensì viene voluto e cercato attraverso “specifiche attività interne all'impresa”. “Oltre il 60 % delle invenzioni brevettate sono prodotte all'interno delle imprese come conseguenza della loro ricerca di profitti” (p. 258), affermano i due economisti, sulla base di un'analisi empirica delle fonti dell'invenzione.

“Produrre” invenzioni ha tuttavia costi rilevanti, “così come sono rilevanti i costi dell'introduzione dell'innovazione nel ciclo produttivo”. L'innovazione comporta, insieme ai normali costi di produzione che un’impresa che voglia mantenere un certo livello di produzione ordinaria incontra, anche costi derivanti dalle spese di investimento in ricerca e sviluppo (R&D). Il livello di protezione del IPR deve quindi essere tale da invogliare gli innovatori nel sobbarcarsi tali costi aggiuntivi.

Riprendendo l'esempio offerto da Posner (1992), inventare un nuovo tipo di frullatore costa 10 milioni di dollari. Una volta che l'invenzione è stata fatta, ai costi dell'invenzione vanno aggiunti costi marginali per produrre e vendere il bene inventato (per es. 50$). Si ipotizza che vi sia una domanda stimata (di 1 milione di frullatori), ma che non tenga conto della variazione di prezzo del frullatore. Se i costi di manifattura non considerano anche il costo dell'invenzione, quest'ultimo non verrà recuperato. Se invece lo si includesse nei costi di manifattura e la domanda fosse sensibile al prezzo, il frullatore (originale) avrebbe, in un mercato concorrenziale, poco successo poiché i consumatori potranno ottenere lo stesso bene a prezzi inferiori acquistando dai concorrenti, che offrono il bene ad un prezzo che non include il costo dell'invenzione perchè hanno copiato. Se invece anche gli altri concorrenti sostenessero lo stesso costo di manifattura (inclusivo di costo di produzione e di

vendita e costo dell'invenzione), i consumatori saranno costretti a pagare un prezzo aumentato per lo stesso bene, ma a lungo andare la competizione spingerebbe il prezzo fino ad eguagliare il mero costo marginale di manifattura (50$). Il risultato? Chi ha inventato non recupererà quanto investito per inventare. Questo esempio offerto da Posner mostra la situazione dei costi in assenza di proprietà intellettuale, in balia della concorrenza; ricalcherebbe, secondo l'economista, la medesima situazione del mercato di altri tipi di beni e servizi, in assenza di diritti di proprietà.

Dunque il brevetto è il diritto di proprietà che crea artificialmente quella condizione di scarsità del bene pubblico conoscenza, utile affinchè competitors o consumatori free rider non approfittino dell'invenzione senza aver sopportato i costi della ricerca. Il sistema legale istituito permette a chi voglia usufruire della conoscenza acquisita di farlo, ma pagandone il giusto prezzo. Il contratto di licenza è solo uno delle molteplici modalità di disposizione dei diritti inerenti al brevetto. Il contratto di licenza è una modalità per attuare il “trasferimento” di un bene da chi lo valuta di meno a chi lo valuta di più, il che, come si è visto nei paragrafi precedenti, apporta notevoli vantaggi dal punto di vista economico.

I costi individuati da Friedman relativi alle norme che stabiliscono i diritti di proprietà – quelli che, come si è illustrato, non comportano particolari problemi per il copyright – possono al contrario costituire un problema eccessivo per i brevetti. Scrive Friedman:

Gli avvocati e gli esaminatori delle richieste di brevetti profondono enormi quantità di tempo e di energie a dibattere su che cosa debba essere incluso o meno in una particolare richiesta di brevetto. Una volta che abbiano concluso la procedura per il riconoscimento con il rilascio del brevetto, gli avvocati del titolare del brevetto e quelli del supposto violatore investono quantità di tempo ed energie ancor maggiori, sia proprie che dei giudici e di eventuali giurie, per stabilire se una particolare macchina o un particolare processo industriale incorporino idee che si trovano collocate su quel lato del confine che è coperto dalla tutela giuridica […] (2004, p. 254).

Dunque i costi per definire i confini sono elevati e alle volte eccessivi. Inoltre connessi a questi costi vi sono quelli per far rispettare la proprietà intellettuale, anch'essi eccessivi. La controversia può essere costosa ed incerta, e la violazione accidentale “è quasi inevitabile”. Inoltre il mancato rispetto degli altrui brevetti “si

traduce spesso in macchinari o processi industriali, i cui dettagli sono mantenuti segreti”. Il terzo problema individuato da Friedman riguarda i costi di transazione per spostare la proprietà in modo che il beneficio derivante dal suo godimento sia massimizzato, problema che è particolarmente presente per i brevetti dal momento che “[u]n inventore corre […] sempre il rischio di reinventare frammenti e parti di una dozzina di invenzioni già brevettate. Per evitare la violazione di un brevetto può essere necessaria un'estesa indagine dui brevetti esistenti, eventualmente seguita da una trattativa per ottenere la licenza di brevetto, per cercare cioè di ottenere delle autorizzazioni che potrebbero essere necessarie o viceversa del tutto inutili” (p. 255). Il brevetto ancora una volta, al contrario del copyright, presenta un problema insidioso: comporta una sottrazione importante dalla schiera di beni potenzialmente comuni. Questo rappresenta un ottimo incentivo per gli inventori nell'impiego eccessivo di risorse finalizzato alla ricerca di una rendita, a spese di altri soggetti. Il fenomeno in questione è altrimenti noto con il termine di “rent seeking”, dove l'impiego eccessivo di risorse è occasionato dallo sforzo di trovare la fonte potenziale di rendite e sottrarla ad altri soggetti, “battuti” sul tempo. Accade spesso che due o più gruppi competano per la realizzazione e la brevettazione della medesima invenzione. I primi a riuscirci possono brevettare l'invenzione e beneficiare delle royalities per tutta la durata del brevetto. Ma, scrive Friedman:

nell'ipotesi che il gruppo concorrente fosse in grado di giungere alla medesima invenzione sei mesi dopo, il valore sociale del lavoro della prima squadra sarebbe limitato ad un periodo di sei mesi e non corrisponderebbe ai ben più lunghi diciassette anni (p. 267).

Nel caso del brevetto in cui una invenzione originale può acquistare già di per sè un valore non trascurabile attribuire all'inventore anche il diritto di esclusiva può comportare profitti che ricompensano in modo eccessivo l'inventore. Tuttavia Posner (1992) afferma che “the law uses several advices to try to minimize the costs of duplicating inventive activity” quali: la non brevettabilità delle invenzioni “ovvie”47, la

tempestività della concessione di un brevetto, “before an invention has been carried to the point of commercial feasibility” (p. 39), “appena si conosca che una parte ha

47

Il significato di “ovvietà” accolto da Posner (1992) è quello di Edmund W. Kitch (1966), che si traduce nella eventualità di scoprire o inventare a basso costo.

scoperto la parte essenziale di un'invenzione” (Shavell, 2004, p. 121); la non brevettabilità delle “fundamental ideas”, “despite their great value”; e infine proprio la durata, troppo lunga per alcuni, ma tuttavia limitata della protezione brevettuale. Un'altra soluzione per evitare la gara offerta da Shavell (2004) è quella per cui le parti potrebbero contrattare, cooperare (se si conoscono) e condurre una joint venture.