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Genealogie sulla scena: funzioni del discorso genealogico in Eschilo

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN FILOLOGIA E

STORIA DELL'ANTICHITÀ

TESI DI LAUREA

Genealogie sulla scena:

funzioni del discorso genealogico in Eschilo

CANDIDATO

RELATORE

Sonny Wyburgh

Chiar.mo Prof. Andrea Taddei

CONTRORELATORE

Chiar.mo Prof. Alessandro Grilli

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INDICE

PREMESSA p. 1

CAPITOLO I: La genealogia come forma di espressione e forma di pensiero p. 4

1.1 La necessaria premessa - I poemi omerici p. 5

1.2 Logica catalogale e forme genealogiche - Esiodo p. 20

1.3 Tra oralità e scrittura - Ecateo di Mileto p. 33

CAPITOLO II: Essere figli dei padri - Il patronimico come forma elementare

funzionale del discorso genealogico in Eschilo p. 41

2.1 I Persiani p. 43

2.1.1 Serse e Dario p. 43

2.1.2 Il coro e Dario p. 50

2.1.3 Elle ed Atamante p. 51

2.1.4 Strimone, Traci ed Acheloidi p. 52

2.1.4 Alpisto e Batanaco (e Sesame e Megabate) p. 55

2.2 I Sette contro Tebe p. 56

2.2.1 Eteocle ed Edipo p. 56

2.2.2 Edipo e Laio p. 59

2.2.3 I sette Argivi vs. i sette Tebani p. 59

2.3 Le Supplici p. 66 2.3.1 I figli di Egitto p. 66 2.3.2 Pelasgo e Palectone p. 71 2.3.3 Danao e il coro p. 73 2.3.4 Apis ed Apollo p. 74 2.4 L'Agamennone p. 78 2.4.1 I figli di Priamo p. 78 2.4.2 Clitemestra e Tindareo p. 82

2.4.3 Atridi, Tantalidi, Plistenidi e Pelopidi p. 83

2.5 Le Coefore p. 93

2.5.1 Atridi e Pelopidi p. 93

2.5.2 Priamidi p. 94

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CAPITOLO III: Genealogizzare le Danaidi - La genealogia sulla scena p.99

3.1 Il testo p.100

3.1.1 vv. 271-6:la richiesta e la risposta breve p.102

3.1.2 vv. 277-89: il rifiuto di Pelasgo p.105

3.1.3 vv. 289-324: la lezione genealogica p.109

3.1.4 vv.325-27: l'accettazione di Pelasgo p.115

3.2 Il contesto: questioni di tempo, di identità e di conoscenza p.116 3.2.1 Il tempo: modelli di memoria storica a confronto p.116

3.2.2 L'identità: modelli di grecità a confronto p.121

3.2.3 La conoscenza: modelli gnoseologici a confronto p.130

CONCLUSIONI p.136

BIBLIOGRAFIA p.150

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PREMESSA

Oggetto di questa tesi sono i discorsi genealogici presenti nel corpus tragico eschileo. Nello specifico, il compito che mi sono posto è quello di studiare, in un'ottica storico-antropologica, le possibili funzioni psicologiche operanti nella rappresentazione di racconti genealogici sulla scena del teatro di Dioniso nell'Atene della prima metà del V secolo.

Punto di partenza di questa scelta scientifica è stata la comprensione della natura profondamente sociale sia della genealogia sia della tragedia. Partendo dalla lettura vernantiana della tragedia come fatto sociale totale1, è stato possibile verificare che, a sua

volta, anche la genealogia è una forma espressiva etimologicamente ed intrinsecamente legata alla sfera sociale: la stessa radice da cui deriva il termine *gen- indica, nelle parole di Émile Benveniste, "non soltanto la nascita fisica, ma la nascita come fatto sociale"2.

La constatazione di una netta componente sociale nelle due distinte forme espressive mi ha spinto ad indagare le funzioni della minore, la genealogia, all'interno del campo di produzione della maggiore, la tragedia. L'attenzione degli interpreti, soprattutto di coloro che si occupano direttamente di tragedia attica, non si è soffermata in modo specifico sulle relazioni tra questo genere e la genealogia in quanto genealogia, ossia come forma espressiva dotata di peculiarità specifiche3. Ho ritenuto dunque utile partire dal primo dei tre poeti tragici. Limitare lo studio

dell'interazione tra queste due forme all'opera di Eschilo è stata una scelta metodologica volta a fornire un campo di ricerca più facilmente accessibile alla natura di questo contributo e, al contempo, evitare la problematica, ma assolutamente necessaria, consapevolezza della forte componente inter-testuale nei due tragediografi successivi.

Nel primo capitolo, seguendo un approccio marcatamente storicistico, ho fornito una storia del racconto genealogico nel tentativo di fornire una comprensione maggiore del concetto di "discorso genealogico". Non credo infatti che si possa definire un oggetto di indagine se non attraverso l'analisi della sua storia e la consapevolezza della sua diacronia e della sua necessaria polisemia. Per comprendere il discorso genealogico in Eschilo, bisogna dunque tenere conto dello sviluppo della forma espressiva dalle sue prime attestazioni letterarie, nei poemi omerici, alla soglia del V secolo. I risultati ottenuti in questa prima parte saranno

1 Sull'interpretazione della tragedia attica come fatto sociale totale Vernant - Vidal-Naquet 1986. La stessa proposta interpretativa trova una sua applicazione e sviluppo nel più recente Vidal-Naquet 2001.

2 Benveniste 1969, t. I, p. 315 [la traduzione dal francese è la mia].

3 Sulla genealogia qua genealogia, si veda Fowler 1998, in cui tuttavia manca completamente alcun riferimento ad interazioni tra genealogia e tragedia. Campo elettivo degli studiosi di genealogia sono tipicamente l'epica e la storiografia.

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fondamentali per comprendere la diacronia di forme e contenuti presente nei discorsi genealogici eschilei.

Nel secondo capitolo, ho fornito una prima lettura del corpus eschileo volta a dimostrare l'esistenza di un'effettiva correlazione testuale tra genealogia e tragedia. Uno spoglio sistematico delle sette tragedie attribuite all'autore ha fornito una quantità veramente notevole di discorsi genealogici, ossia di esplicitazioni testuali di rapporti generazionali di discendenza/filiazione tra due o più enti/individui. È stato necessario selezionare il materiale per conferire a questa sezione dell'indagine una maggiore organicità. Ho scelto dunque di soffermarmi su una sola tipologia di discorso genealogico: il patronimico, ovvero l'identificazione di un individuo tramite la menzione del padre. Questa scelta è stata motivata da due fattori egualmente importanti: la maggiore, e meglio distribuita, presenza di questo tipo di discorso genealogico nel corpus eschileo e la sua estrema elementarità. Il patronimico, assieme al più raro matronimico, forma infatti la forma più elementare di discorso genealogico e, al contempo, quella più sospetta di essere impiegata per mere ragioni stilistiche: qualora fossi riuscito a dimostrare che anche i patronimici mostrano una marcata funzionalizzazione nei confronti del tessuto drammatico, la medesima operazione applicata ai discorsi genealogici complessi sarebbe risultata logicamente più facile e la dimostrazione della correlazione tra genealogia e tragedia ne sarebbe uscita maggiormente corroborata. Spero che i risultati ottenuti in questo capitolo rivelino una certa produttività di questa intuizione.

Ho scelto di delimitare con un certo rigore la nozione di "patronimico", escludendo una serie di elementi testuali che, qualcuno potrebbe obbiettare, andrebbero presi in considerazione. Non ho incluso, infatti, gli identificativi genealogici elementari di tipo matronimico e i patronimici a carattere esclusivamente divino. La prima di queste due categorie è stata esclusa perché richiederebbe un doveroso e produttivo approfondimento della nozione di genitorialità maschile rispetto alla genitorialità femminile nell'Atene del V secolo. Tale approfondimento, purtroppo, rischiava di deviare dall'unità tematica di questa parte della ricerca e necessiterebbe di una più ampia osservazione in altri campi produttivi, dal momento che gli identificativi matronimici in Eschilo sono nettamente inferiori rispetto ai patronimici. I patronimici a carattere esclusivamente divino, ossia l'esplicitazione della nascita di una data divinità da un'altra, sono stati invece esclusi perché richiederebbero la fondamentale presa in considerazione di una serie di filtri interpretativi di maggiore complessità, primo fra tutti l'intricata dimensione cultuale da cui nessuna rappresentazione di una divinità può prescindere.

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Nel terzo ed ultimo capitolo, ho impiegato i risultati ottenuti nei due capitoli precedenti per proporre una lettura, su più piani, del brano genealogico eschileo più esteso, sia per numero di versi sia per numero di generazioni. Si tratta dei versi 271-327 delle Supplici, in cui Pelasgo e coro mettono in scena le proprie genealogie, ciascuna delle quali contraddistinta da qualità nettamente diverse l'una rispetto all'altra. La genealogia di Pelasgo è corta ed estremamente legata al territorio e al concetto di autoctonia, mentre la genealogia del coro si caratterizza per una articolazione generazionale estesa e per una forte valenza del concetto di discendenza da un capostipite. L'importanza che questa sezione drammatica assume nei confronti dello svolgimento dell'azione scenica e la sua capacità di essere interpretata da plurimi punti di vista consente di verificare l'ipotesi di una diacronia e polisemia di forme di pensiero all'interno dei discorsi genealogici eschilei.

Avendo dunque confermato la produttività di un'indagine sulle genealogie eschilee, ho proposto, in conclusione a questo lavoro, una riflessione sulle funzioni gnoseologico-asseverative e rappresentative dei discorsi genealogici rappresentati sulla scena da Eschilo, con la convinzione che tale riflessione non sia una conclusione in senso stretto, ma il punto di partenza di un successivo dibattito capace di generare nuovo arricchimento intellettuale.

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CAPITOLO I

La genealogia come forma di espressione e forma di pensiero

Per intraprendere uno studio storico-antropologico4 sulle funzioni del discorso genealogico

nella produzione eschilea, credo sia utile iniziare da una domanda preliminare: che cosa significa parlare di discorso genealogico in Grecia antica? A questa domanda segue un correttivo metodologico immediato. Per comprendere un prodotto dell'attività intellettuale umana bisogna studiarne il contesto e lo sviluppo nel tempo5. In questo caso, si tratterà di

percorrere le tappe evolutive di una forma espressiva che opera come materiale narrativo, e dunque come forma di pensiero, sin dagli albori della produzione letteraria greca. Parlare di genealogie, di λόγοι sui γένη, nell'area culturale greca significa infatti affrontare una tipologia precisa di materiale narrativo, che abbraccia la totalità della letteratura greca nella sua diacronia6.

Dai poemi omerici alle esegesi di Eustazio di Tessalonica, lo studioso moderno si trova a doversi confrontare con una mole notevole di materiale genealogico concernente i personaggi dell'ἔπος e della leggenda. Non è solamente l'elemento quantitativo e, per così dire, informativo a suscitare curiosità: ben presto si sviluppa nei diversi centri culturali ellenici una vera e propria riflessione sul materiale genealogico, sulla sua fruizione e sulle sue modalità espressive. L'aspetto qualitativo supera ampiamente per interesse quello quantitativo, ponendo l'interprete moderno a soffermarsi non più soltanto sui dati ricavabili in quanto tali dal materiale narrativo, ma sulla forma stessa con cui questi elementi furono trasmessi e rifunzionalizzati, in una società tradizionale la cui prima fase si traccia inevitabilmente nel solco dell'oralità e che conosce, nell'arco della sua continuità culturale, una lenta e per diverso tempo ambigua fase di transizione verso quella che poté in seguito essere definita una civiltà della scrittura.

Da ciò nasce, sin da subito, l'esigenza di parlare di discorso genealogico piuttosto che di

genealogia o genealogie. Il legame tra la genealogia greca e la narrazione, infatti, è duplice.

In primo luogo, il contenuto di questa attività intellettuale attinge al mondo del mito e del racconto leggendario e sembra fino in età storica avanzata avere predilezione quasi esclusiva verso questa tipologia di materiale. In secondo luogo, l'attività intellettuale stessa si presenta come racconto, come rimaneggiamento narrativo di materiale mitico tradizionale, fissato non

4 Per una storia delle vicende intellettuali e umane che hanno portato alla definizione dello statuto epistemologico dell'antropologia storica del mondo antico, si vedano Di Donato 1990 e Di Donato 2013. 5 Per un approfondimento su questo orizzonte interpretativo Meyerson 1948 (ed. it. Pisa 1989).

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sempre troppo rigidamente e suscettibile di risemantizzazioni e rifunzionalizzazioni adeguate al contesto. Quello che interessa, dunque, non è esclusivamente il dato genealogico in sé, ma le strategie e le dinamiche con cui esso riemerge e viene rievocato, ricostruito o assemblato anche per la prima volta: in poche parole, la genealogia, o meglio il discorso genealogico, come forma di espressione e come forma di pensiero.

Nella speranza di scorgere dunque cosa potesse significare nell'Atene di Eschilo portare genealogie sulla scena, tenterò di fornire un breve quadro storico che, dalle sue prime attestazioni fino all'inizio del V secolo, permetta di collocare il discorso genealogico nella prima fase di un percorso evolutivo che, pur senza conoscere considerevoli soluzioni di continuità, va incontro a importanti riformulazioni e cambiamenti.

1.1 La necessaria premessa - I poemi omerici

Si è soliti aprire le discussioni sulla genealogia come materiale letterario con le figure dei grandi logografi che, tra VI e V secolo, aprono la lunghissima stagione della prosa greca, facendosi portatori di una vera e propria rivoluzione intellettuale. Spesso, un doveroso, ma breve, rimando all'opera poetica di Esiodo fornisce un'accennata prospettiva diacronica introduttiva all'argomento. Meno spesso si suole affrontare il problema a partire dalla sua prima attestazione, ovvero dai poemi omerici7. Seppure sia proprio a partire dall'epoca a

ridosso tra il VI e il V secolo che è possibile trovare un'esplosione del campo semantico e lessicale legato alle forme γενεαλογέω e γενεαλογία8, è nei poemi omerici che si incontrano le

prime genealogie della letteratura greca e, fatto ancora più notevole, le prime recitazioni, esposizioni, di genealogie compiute dai personaggi stessi: è dunque all'interno dei poemi omerici che è possibile riscontrare i primi esempi di discorso genealogico e, soprattutto, scorgere delle precise funzionalità performative dietro ciascun discorso.

Come è noto, i due poemi omerici gravitano intorno a due precisi momenti del materiale epico-mitologico delle comunità greche: da una parte, l'ira di Achille durante l'assedio degli

7 Un'interessante eccezione è costituita da Carrière 1998, che dedica, dopo le prime pagine (in cui introduce l'argomento con le opere "manualistiche" che offrono una sistemazione ideale del corpus genealogico greco: La Biblioteca, Il Catalogo delle Donne e Le Favole dello pseudo-Igino), la parte centrale e più articolata del suo studio all'analisi delle genealogie omeriche e al loro rapporto con la progressiva cronologizzazione o storicizzazione dei dati del mito.

8 Mi avvalgo di una ricerca compiuta tramite il TLG sui lemmi γενεαλογέω, γενεαλογία, γενεαλόγος e γενεαλογικός. Tranne una incerta proposta per un frammento di Alcmane (fr. 81 Calame, il cosiddetto frammento cosmogonico: interessante la discussione sul testo in Calame 1983, pp. 437-54) e un frammento di Eumelo (FGrHist 451 F5, in cui il verbo γενεαλογεῖται potrebbe benissimo essere una parola dello scoliaste da cui il frammento è tratto), le prime attestazioni dei lemmi sono attribuite a Simonide, Epimenide, Ecateo, Ferecide, Acusilao di Argo e lo stesso Eschilo.

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Achei a Troia e la sua successiva reintegrazione nelle file dei combattenti in seguito alla morte del compagno Patroclo e, dall'altra, il νόστος di Odisseo in seguito alla presa di Troia. Questi due momenti del complesso tessuto mitologico9 sono resi oggetto di una memoria che,

reiterata da membri specializzati della comunità in specifiche occasioni festive10, non risponde

a bisogni di tipo strettamente storico o cronologico. La partecipazione empatica dei fruitori storici della narrazione epica aedica nel contesto rituale della performance permette a tale memoria di svolgere una funzione marcatamente ideologica di costruzione identitaria in occasioni di condivisione dei valori sociali normativi11. Benché dunque il racconto dovesse

chiaramente essere inteso come ambientato in un tempo passato, come testimoniano del resto l'uso uniforme dei tempi storici all'interno dei poemi e l'invocazione proemiale alla Musa che consente un accesso a questo passato altrimenti inaccessibile12, esso subisce la peculiarità

temporale della presentificazione13.

Riprendendo i risultati di importanti studi sia di semiologia14 sia storico-religiosi15, è

possibile affermare che la barriera temporale fra passato e presente viene abbattuta nell'esperienza epica a favore di una diversità qualitativa [del tempo del mito] rispetto al

tempo comune16, nel quale l'uditorio cerca la presenza di determinati valori sociali e nei

confronti del quale cerca di eliminare appunto qualsiasi soluzione di continuità. Questo determina il fatto che l'aedo possa trascurare e considerare sostanzialmente come irrilevante

9 La totalità di questo tessuto mitologico è osservabile nella sua interezza esclusivamente in opere di molti secoli posteriori ai poemi omerici.

10 Si pensi all'evidenza interna ai poemi stessi sulla natura festiva e comunitaria delle esecuzioni aediche: su questo e, più in generale, sulla funzione aedica all'interno dei poemi, si veda Di Donato 1999, pp. 139-165. Per quanto riguarda l'esecuzione in epoca storica dei poemi, in particolare per quanto riguarda la fase rapsodica, gli studiosi pensano a feste come le πανηγύρεις ioniche o le Παναθήναια ateniesi, sulla base di notevoli conferme documentarie. In questo senso sono utili anche le testimonianze di Tucidide (III 104) e di Platone (cfr. ad es. Ione). Per quanto riguarda gli studi sul possibile contesto performativo dei poemi si veda, tra i tanti, Scodel 2002, in particolare pp. 173-212.

11 Sulla nozione di performance legata alla poesia epica (e non solo) arcaica, rimane fondamentale Gentili 1984, pp.3-30, a cui aggiungerei, per un approfondimento più specifico sui poemi omerici, Di Donato 1999, pp. 16-26. Per quanto riguarda la funzione marcatamente ideologica della fruizione storica dei poemi, trovo illuminante Lucci 2011, cui rimando non solo per l'abbondanza del materiale bibliografico, ma anche per la ricchezza della tesi di fondo.

12 Di Donato 1999, pp. 140-45. Si veda, come esempio di questa inaccessibilità umana al materiale epico senza la mediazione della Musa, Il. II, vv. 484-92.

13 Lucci 2011, p. 21.

14 Penso in particolare a Bakker 1997, che considera la vicenda epica senza tempo e fornisce del fenomeno una spiegazione cognitiva: il canto epico permetterebbe di trasformare la memoria dell'evento narrato in percezione attuale.

15 Si pensi a Brelich 1958, in particolare p.32, per cui la presentificazione è la funzione fondamentale della narrazione mitica, che mira a simboleggiare la superiorità ontologica di enti ed eventi che trascendono l'esperienza umana del reale. Per quanto riguarda la nozione di plasticità del mito e una sua revisione critica, si veda tutto un filone importante dell'opera di Claude Calame, tra cui Calame 1988b, pp. 7-13; Calame 1991, pp. 181-92; Calame 2000, pp. 11-15, 243-46.

16 Brelich 1958, p. 25, n. 9: l'aggiunta tra parentesi quadre riprende la nozione di "tempo del mito" che Brelich stesso usa nella nota e alla quale la citazione si riferisce.

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qualsiasi riferimento temporale preciso, concentrando i propri sforzi sull'inclusione del presente nella tradizione piuttosto che sull'esclusione di un determinato evento passato dal presente17. Il passato epico viene dunque riattivato18 e in un certo senso trasformato in

percezione viva e attuale, come testimonia il fatto che, tendenzialmente, il materiale narrativo dell'azione principale dei due poemi (soprattutto nell'Iliade) si adagia su di un piano percepito come prevalentemente sincronico. Questo suo apparente appiattimento temporale, che accosterebbe il mondo omerico al tempo onirico del mito malinowskiano19, potrebbe forse

essere il motivo per cui l'Iliade e l'Odissea non vengono prese come punto di partenza di studi riguardanti una forma espressiva, quella genealogica, intimamente legata ad una visione prospettica della temporalità. Tuttavia, un'analisi che tenga in considerazione la nozione di diacronia di civiltà in Omero20 promossa dalla scoperta della genesi formulare, tradizionale ed

orale dei poemi21, rivela subito il carattere stratificato di tale apparente sincronia. In aggiunta,

un'analisi delle strutture e delle strategie narrative in quanto tali22 ha permesso di verificare

che la stratificazione non concerne esclusivamente gli elementi di civiltà all'interno del testo. I due poemi si sono scoperti essere ricchi di metanarrazioni, ossia peculiari forme narrative inserite nel racconto principale ma esterne ad esso per contenuto. Questo contenuto, infatti, è normalmente un evento mitico che si pone su un livello temporale diverso rispetto a quello dell'azione principale.

Queste metanarrazioni, a prescindere dal valore che si voglia dar loro23, sono tutte

accomunabili per due fattori principali: da una parte mostrano una consapevolezza di una profondità temporale interna del materiale narrativo tradizionale che spezza l'immagine della

17 Bakker 1997, p. 28. 18 Bakker 1997, p. 24.

19 Per il concetto di tempo onirico del mito, passim Malinowski 1922 e Malinowski 1927.

20 Per l'intera argomentazione sulla nozione di "diacronia di civiltà", si veda Di Donato 1999, pp. 15-26 e Di Donato 2006, pp. 15-24.

21 Per chi voglia tracciare la storia di questa scoperta, rimangono fondamentali come punto di partenza gli studi di Milman Parry sul carattere formulare e tradizionale della dizione epica (Parry 1928a e Parry 1928b) e sulla oralità della dizione omerica (Parry 1930 e Parry 1932), in cui si trova la prima formulazione della teoria oralistica. Da questi suoi studi presero avvio gli studi comparatistici sull'epica serbo-croata che diedero forma al libro di maggior successo dell'allievo di Parry, A. Bates Lord (Lord 1960), che ancora oggi si presenta come base delle varie teorie moderne sull'oralità. Sulla storia di questo processo, rimando a Di Donato 1999, pp. 117-37.

22 Per questo tipo di approccio i due studi di riferimento da cui partire sono sicuramente Willcock 1964 e Austin 1966. Per un'analisi strutturale delle digressioni iliadiche ed odissiache, il rimando va a Gaisser 1969. 23 Willcock 1964 e Austin 1966 attribuiscono alle metanarrazioni (da loro ridotte a meri espedienti narrativi, a

digressioni) una semplice funzione paradigmatica o parenetica. Carrière 1998 sostiene che in esse si possa intravedere lo stato del bagaglio mitologico greco del VIII secolo (secondo l'autore sostanzialmente vasto e congruo, grosso modo, con la sua rielaborazione sistematica in epoca ellenistica ed imperiale), da cui i poemi omerici si staglierebbero in maniera iper-selettiva per una sorta di motivazione ideologica (ciò che non rientra negli ideali guerrieri dell'epica viene volutamente scartato, pur lasciando disseminate tracce). L'interpretazione più interessante e originale rimane, a mio avviso, quella di Lucci 2011, che affrontando le metanarrazioni in chiave storico-antropologica, tenta di collegare i contenuti delle digressioni e la loro forma ad elementi di realtà.

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supposta sincronia onirica dell'ἔπος, dall'altra si presentano spesso, nell'Iliade, o meno spesso, nell'Odissea24, come racconti dei personaggi ad altri personaggi25. Di questi racconti nel

racconto, una buona parte è costituita da racconti genealogici espliciti. Senza avere la pretesa di essere esaustivo, cercherò di fornire alcuni esempi di tali racconti genealogici, per poi procedere ad una loro brevissima analisi, nel tentativo di comprendere se e in che misura vi siano caratteristiche tali da consentire una qualche connotazione del discorso genealogico nei poemi omerici.

Uno degli esempi più significativi di racconti genealogici si trova, nella prima parte del VI libro iliadico. Si tratta dell'incontro tra Diomede e Glauco, che segna a tutti gli effetti la vera fine dell'ἀριστεία del Tidide. Mentre l'esercito dei Troiani aspetta il ritorno di Ettore dalla cittadella, gli Argivi pongono momentaneamente fine al massacro che avevano compiuto fino a quel momento26. Dai due schieramenti, posti uno davanti all'altro27, si fanno avanti, secondo

lo schema classico dei duelli omerici28, il figlio di Ippoloco e il figlio di Tideo. A prendere

parola per primo è l'ἀγαθὸς Διομήδης, che chiede al suo avversario chi egli sia tra i mortali29.

Il coraggio con cui Glauco si fa avanti infatti fa temere all'eroe argivo che egli possa essere un dio, e benché egli abbia già ferito sia Afrodite sia Ares, dichiara ora di non essere interessato a dare battaglia ad uno dei celesti30. Segue, in pieno accordo con la caratteristica delle

metanarrazioni a contenere racconti mitologici secondari rispetto all'azione principale, una rievocazione da parte di Diomede dell'esempio paradigmatico (in negativo per il suo esito

24 La situazione è un po' più complessa per quanto riguarda l'Odissea, che presenta anche metanarrazioni ad opera, per così dire, del narratore, cioè non poste in discorsi diretti. Un esempio eclatante di tale metanarrazione a focalizzazione zero si trova in Od. XV 223-55, in cui presentando il personaggio di Teoclimeno viene elencata la sua genealogia con particolare attenzione alle vicende dell'antenato evocato più lontano nel tempo, l'indovino Melampo. Segnalo, benché non intenda entrare nel merito, che l'autenticità del passo è stata messa in discussione.

25 Carrière 1998, p. 66, che insiste sull'assenza di una "focalisation zéro" nei racconti genealogici omerici salvo poi ammettere una maggiore complessità nell'Odissea e contraddirsi da solo, dal momento che alcuni dei brani iliadici da lui analizzati non fanno parte di un discorso diretto (genealogia di Eurialo, Il. II 565-6 e XXIII 677-80; genealogia di Agamennone II 103-8, quest'ultima nemmeno esplicita ma simbolica).

26 Il. VI 106.

27 Il. VI 120 . È eloquente, e molto visivo, il greco: ἐς μέσον ἀμφοτέρων συνίτην μεμαῶτε μάχεσθαι. 28 Sulle scene di battaglia, e quindi di duello, nell'Iliade, si veda Fenik 1968.

29 Il. VI 123. È importante, come si capirà subito, notare che la formula con cui Diomede si rivolge a Glauco è: "τίς δὲ σύ ἐσσι, φέριστε, καταθνητῶν ἀνθρώπων;".

30 Il. VI 128-9. Diomede affronta e ferisce Afrodite (V 330-352) in seguito alla prescrizione datagli da Atena all'inizio della sua ἀριστεία (V 129-32): se mai una divinità dovesse provocarlo nella mischia, per il suo bene dovrà trattenersi da ingaggiare battaglia, tranne che con Afrodite. La Cipride, stando alle istruzioni di Atena, è l'unica divinità che Diomede ha il permesso di colpire. Egli tuttavia trasgredisce queste prime istruzioni e attacca anche il dio Ares (V 846-63), con l'aiuto della stessa Atena, benché Apollo stesso avesse intimato a Diomede di non sfidare gli dèi in seguito allo scontro con Afrodite (V 440-2). Sulla ὕβρις di Diomede come tratto insito nel suo personaggio mitologico e legato proprio alla sua genealogia (per cui la ὕβρις, o più in generale, il disordine sarebbero un tratto familiare ereditario legato alla figura del nonno paterno Oineo), consiglio la lettura di Renaud 1998.

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tragico) di Licurgo figlio di Driante, che tentò di fronteggiare Dioniso31. Questo primo

discorso di Diomede termina con la iterazione dell'invito, qualora il suo rivale non dovesse risultare essere una divinità, a farsi avanti per andare incontro alla propria morte. Il figlio di Ippoloco risponde a sua volta con una domanda: perché il Tidide gli chiede la stirpe32? La

richiesta, da parte di Diomede, di identificarsi, che non includeva riferimenti particolari alla origine o alla stirpe dell'avversario, viene tradotta da Glauco in una richiesta informativa sulla propria γενεή: per l'eroe omerico, evidentemente, dichiarare la propria identità significa in questo caso parlare della propria stirpe33. Il senso della domanda, o meglio della procedura di

chiedere informazioni sulla stirpe, sembra essere in un primo momento vanificato dalla famosa massima pronunciata dall'eroe licio sulla caducità delle stirpi umane, come le stirpi delle foglie anonime e destinate a sottostare ad una sorta di ciclo eterno di nascita e morte34.

Tuttavia, Glauco passa subito dopo ad elencare i suoi antenati, inserendo l'enunciazione in una cornice narrativa che forma un'autentica metanarrazione a carattere mitologico. Naturalmente, non manca una precisazione preliminare: la storia della sua gente è ben nota in quanto molti uomini ne hanno sentito parlare35.

La metanarrazione si apre con una prima indicazione geografica, che colloca la sede avita ad Efira, nell'Argolide, cui segue un primo dato genealogico in senso stretto: lì Sisifo, uno dei figli di Eolo36, aveva dimora. Egli ebbe come figlio Glauco, che a sua volta generò

Bellerofonte. La menzione del nonno paterno fornisce a Glauco il pretesto per raccontare un momento preciso della saga mitica legata a questo eroe: la sua cacciata ad opera di Preto

31 Il. VI 130-140. L'episodio di Licurgo è una delle tante declinazioni dello stesso mitologema inerente al tentativo di impedire la diffusione del culto di Dioniso nelle comunità elleniche: si vedano, a puro titolo esemplificativo, le figure di Penteo a Tebe, le figlie di Preto ad Argo e le figlie di Minia ad Orcomeno. Si vedano a riguardo Jeanmaire 1951, Kerényi 1976 e Burkert 1977 (ed. it. 1984, pp. 238-46).

32 Il. VI 145: Τυδεΐδη μεγάθυμε, τίη γενεὴν ἐρεείνεις;

33 Come facevo notare supra, Diomede non chiede esplicitamente informazioni sul γένος del suo avversario, gli chiede semplicemente " τίς δὲ σύ ἐσσι", "chi sei tu?". Il modo in cui Glauco risponde è significativo di un tratto che, spero, risulterà più chiaro in seguito all'analisi proposta in questa prima parte di questo capitolo: una delle funzioni specifiche del discorso genealogico nei poemi omerici è infatti quella di conferire ed asseverare uno status, quello dell'ἀριστεὺς, e quindi una identità. Come sottolinea Higbie 1995, p.8, avere una storia genealogica significa, nel mondo rappresentato nei poemi, appartenere alla classe degli ἀριστῆες ed avere quindi diritto di accesso alla competizione bellica. In un sistema di valutazione ideologica basato sull'acquisizione di κλέος, il ricordo dei propri antenati, accumulatori di κλέος per antonomasia (le loro vicende, pur essendosi svolte nel passato, possono ancora oggi essere sentite dai più), e la dimostrazione della continuità della stirpe diventa elemento fondamentale di riconferma del proprio statuto sociale. Si veda a questo riguardo anche Brulé 2007.

34 Il. VI 146-9.

35 Il. VI 151: πολλοὶ δέ μιν ἄνδρες ἴσασιν.

36 Sisifo è chiamato Αἰολίδης, Eolide, senza però che sia menzionato autonomamente come individuo il padre. Come spesso accade nei poemi, gli antenati più lontani in un racconto genealogico sono figure di archegeti od eponimi, che spesso non presentano una loro individualità sviluppata, ma appaiano solo tramite le formazioni patronimiche in -ιδης o altri derivativi. Così anche per Eolo, che non compare mai direttamente nel poema. Si vedano a riguardo le considerazioni di Carrière 1998, pp. 64-6.

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dall'Argolide e il suo esilio involontario in Licia37. Il racconto prosegue con le imprese eroiche

eccezionali di Bellerofonte che terminano con la concessione da parte del re dei Lici di sua figlia e di metà della τιμή regale38. In seguito a questa unione prosegue l'enunciazione

genealogica: Bellerofonte genera tre figli: Isandro, Ippoloco e Laodamia39. Da Laodamia, in

seguito alla sua unione con Zeus, nacque Sarpedone, l'altro grande guerriero licio presente a Troia. Con un brusco cambio di tono, si viene a sapere che Bellerofonte venne successivamente in odio agli dèi, che gli diedero una fine miserabile. Dei suoi figli, sia Isandro sia Laodamia vennero uccisi per volere delle divinità, mentre il solo Ippolco fu risparmiato40. A questo punto Glauco puntualizza di essere figlio di Ippolco, che lo spedì a

Troia per primeggiare tra i guerrieri e non far vergognare la stirpe che sia ad Efira sia in Licia aveva sempre primeggiato41. Chiude questa sua risposta un verso formulare di notevole

importanza per l'argomento qui affrontato: ταύτης τοι γενεῆς τε καὶ αἵματος εὔχομαι εἶναι42.

Glauco dichiara solennemente (εὔχομαι43) di essere di quel sangue e di quella stirpe44. Il

discorso genealogico, mediato dalla nozione di εὖχος, si connota quindi come enunciato dotato di carattere speciale rispetto alla mera affermazione: l'atto fatico viene inteso nel suo senso più profondamente sociale, dal momento che esso, tramite la nozione di εὖχος cui il verbo rimanda, si lega inestricabilmente allo status dell'individuo (in questo caso del guerriero) nei suoi rapporti con gli altri membri della società, al cui giudizio sulla sua conferma o meno l'individuo si affida45. Indissolubilmente legato all'εὖχος rimane infatti il suo

37 Il. VI 156-71. Oltre all'interesse comparativistico per il mitologema sottostante la cacciata di Bellerofonte da Argo (si tratterebbe di un caso del cosiddetto motivo della moglie di Potifar), il brano presenta l'unico riferimento, all'interno dei poemi omerici, ad una qualsiasi forma di scrittura. Bellerofonte infatti viene inviato da Preto al re dei Lici, suo suocero, con una tavoletta chiusa su cui aveva scritto (γράψας) molti segni di morte (θυμοφθόρα πόλλα).

38 Il. VI 178-95. 39 Il. VI 197. 40 Il. VI 200-206.

41 Il. VI 208-10. Ippoloco raccomanda a Glauco di "αἱὲν ἀριστεύειν καὶ ὑπείροχον ἔμμεναι ἄλλων, μηδὲ γένος πατέρων αἰσχυνέμεν". Il v. 208 è formulare e si ritrova identico in Il. XI 784: in questo caso è la raccomandazione fatta da Peleo ad Achille. In entrambi i casi viene enunciata una precisa formulazione del codice etico ed ideologico dell'eroe epico. Su questo punto Di Donato 2006, pp. 35-52, in particolare p. 39. 42 Il. VI 211. Anche questo verso è formulare e si ritrova in Il. XX 241 a chiusura del discorso genealogico di

Enea.

43 Sul verbo εὔχεσθαι, sulle difficoltà relative ad una sua giusta resa nelle lingue europee moderne e sul suo legame con l'affermazione di "essere figlio di", si veda Benveniste 1969 [ed. it. 20012, pp. 460-8].

44 Come risulterà dall'analisi che qui propongo, anche questo aspetto è un tratto fondamentale del discorso genealogico nei poemi: l'impiego del verbo εὔχεσθαι nell'enunciazione di genealogie è frequente (se ne trovano tredici senza contare questo passo: Il. V 246, 248; XIII 54; XIV 113; XX 209, 241; XXI 187. Od. I 180, 418; IX 519, 529; XV 425; XVII 373). Non si è, dunque, ma ci si impegna ad essere.

45 Si veda a questo proposito Perpillou 1972. Il linguista francese sottolinea come l’impiego del verbo εὔχεσθαι rinvii ad una precisa rivendicazione del soggetto in rapporto a nozioni di natura sociale e implicanti situazioni all’interno di un dato gruppo. Infatti esso viene usato anche per esprimere un legame matrimoniale (Il. VIII 190; Od. XI 261) oppure la condizione di ξεῖνος (Od. XXIII 114) o ancora di supplice (Od. V 444, 450; XIII 231; XVI 67) e sottolinea inoltre che, quando il campo semantico del verbo si sposta sul piano religioso, quando cioè esso significa “pregare” gli dei, è sempre la funzione sociale ad essere sottintesa.

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contrario, l'αἶσχος, come questo stesso brano testimonia46. Il discorso genealogico

eccezionalmente lungo di Glauco, che può vantare ben 6 generazioni di continuità, suscita nell'eroe acheo la più insolita delle reazioni. Rievocando a sua volta un episodio mitico molto meno dettagliato, Diomede chiama in causa un proprio avo, Oineo, il quale aveva ospitato Bellerofonte instaurando nei suoi confronti una relazione di ξενία che i due nipoti, a questo punto, sentono l'obbligo etico e sociale di rispettare47. L'atto viene sancito ritualmente tramite

una stretta di mano e lo scambio delle armi, di modo che i due possano mostrare alla comunità di guerrieri che essi dichiara solennemente di essere ospiti aviti48.

È interessante notare, infine, come nel racconto di Diomede, benché l'interesse sia rivolto al nonno Oineo, figuri una breve allusione al padre Tideo dal carattere apparentemente inutile. Dopo aver ricordato lo scambio di doni fra i due antenati che sancisce il rapporto reciproco di ospitalità, Diomede menziona il padre dicendo tuttavia di non ricordarsi di lui, fornendo come spiegazione il fatto che egli era ancora troppo piccolo quando Tideo lasciò casa per partecipare alla spedizione dei Sette contro Tebe, durante la quale trovò la morte49. Il dettaglio

sembra fuori luogo in un passo che mira a creare delle corrispondenze tra due generazioni (quella di Bellerofonte ed Oineo e quella di Glauco e di Diomede) separate da una (quella di Tideo ed Ippoloco) irrilevante ai fini della dimostrazione della ξενία tra le due famiglie. Per quale motivo dunque questa fugace menzione dai toni quasi auto-apologetici? Come afferma Rosalind Thomas, non si tramanda mai nulla di inutile in una cultura orale50. Se si considera

infatti il valore sociale insito nel discorso genealogico di cui Glauco sembra essere pienamente consapevole nel momento in cui lo utilizza per rivendicare il proprio status, non appare inverosimile scorgere un tratto che si potrebbe definire agonistico e che non può che aprire un confronto con l'interlocutore51. Essendo Glauco stato in grado di dimostrare il

proprio legame genealogico di discendenza da un antenato così illustre quale è Bellerofonte tramite la figura del padre Ippoloco, viene da sé che Diomede, per potersi correttamente

46 Sull'εὖχος come dialettica tra vanto personale verio e proprio, od elogio, e biasimo altrui, Nagy 1979, in particolare pp. 274 sgg.

47 Il. VI 215-221. Sulla ξενία in Omero come istituzione, si veda Kakridis 1963, pp. 86 sgg. e Finley 1954 (ed. it. 1978, pp. 107-13).

48 Il. VI 230-1: ὄφρα καὶ οἵδε γνῶσιν ὅτι ξεῖνοι πατρώϊοι εὐχόμεθ᾽ εἶναι. Anche qui, come si vede, è impiegato il verbo εὔχεσθαι ed è massimamente coinvolta la funzione sociale e performativa sia del gesto sia dell'enunciazione.

49 Il. VI 222-3.

50 Thomas 1989, p. 6: it is obvious that nothing is remembered or passed down for no reason at all.

51 Si veda a tal proposito Lowry 1995, pp. 195-8. Lo studioso, sottoponendo i discorsi genealogici ad un esame sistematico, e sottolineando le consonanze linguistiche e tematiche che essi mostrano tra di loro, giunge a considerarli come scontri verbali, introduttivi o sostitutivi, come nel caso di Glauco e Diomede, agli scontri agiti. Sul carattere altamente agonistico delle genealogie, si veda anche Zunino 2015, pp. 28-9, che, pur non trattando direttamente i discorsi genealogici nei poemi omerici, menziona en passant un passo odissiaco a questo proposito (Od. I 113-324).

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confrontare con il licio, debba dichiarare in maniera speculare il rapporto che lo lega al suo antenato illustre, Oineo, coevo di Bellerofonte e suo ξένος. Anello di questo legame genealogico è naturalmente Tideo, la cui menzione consente a Diomede di agire in maniera formalmente corretta la propria dichiarazione di εὐγένεια e, di conseguenza, di poter confermare il rapporto di reciprocità sotteso alla ξενία avviata due generazioni prima. Sebbene egli non possa dire del proprio padre che fu lui a mandarlo in guerra a perpetrare il κλέος della stirpe e ad esortarlo a non macchiarla di vergogna, l'eroe acheo può comunque riscattarsi asseverando la propria discendenza non solo da un nonno considerato eguale da un grande eroe civilizzatore quale Bellerofonte, ma anche da un padre le cui imprese, in particolare l'ultima che gli costò la vita, erano egualmente note a πολλοί fra gli uomini.

Sulla propria genealogia Diomede ritorna in un momento successivo dell'azione principale del poema. In seguito alla distruzione del cosiddetto muro delle navi, Nestore, turbato e indeciso sul da farsi, va incontro ad Agamennone, Odisseo e Diomede che, essendo stati feriti, si trovano lontano dalle prime file della battaglia52. L'anziano re viene per chiedere consiglio

al capo dei condottieri ed inizia così una tipica scena di βουλή omerica. Agamennone parla per primo esprimendo il proprio sconforto e suggerisce l'idea di iniziare la ritirata e salpare durante la notte per evitare ulteriori perdite53. Odisseo subito lo rimprovera di suggerire

strategie indegne di un esercito di uomini valorosi quali quelli che il sovrano si trova a comandare54 e per tutta risposta Agamennone invoca l'aiuto di uno capace di proporre una

μῆτις ἀμείνων, che sia giovane o anziano55. E a questo punto che prende voce l'ἀγαθὸς

Διομήδης56. Prima di proporre il suo pensiero a condottieri di più alto rango e di maggiore età

rispetto a sé, l'eroe sente in qualche modo di doversi qualificare: pur essendo infatti il più giovane per età, egli non è da meno per nascita. Anche in questo caso si trova la nozione di εὖχος osservata in Il. VI 211: Diomede, affermata la sua inferiorità rispetto ai suoi interlocutori per età57, dichiara solennemente (εὔχομαι) di essere il γένος di un padre valoroso

(ἀγαθὸς), Tideo, sepolto a Tebe58. Segue subito una digressione genealogica: a Porteo

nacquero tre figli ἀμύμονες, irreprensibili, e la sede della stirpe era a Pleurone e a Calidone59.

Come nel discorso genealogico di Glauco, si trova qui un capostipite (Porteo) e un'indicazione

52 Il. XIV 1-39. 53 Il. XIV 65-81. 54 Il. XIV 83-102. 55 Il. XIV 107-8. 56 Il. XIV 109.

57 Un fatto, questo, capace di destare κότος, come testimonia il testo: [...] καὶ μή τι κότῳ ἀγάσησθε ἕκαστος / οὕνεκα δὴ γενεῆφι νεώτατός εἰμι μεθ᾽ ὑμῖν (Il. XIV 111-2).

58 Il. XIV 113-4: πατρὸς δ᾽ ἐξ ἀγαθοῦ καὶ ἐγὼ γένος εὔχομαι εἶναι, / Τυδέος, ὅν Θήβῃσι χυτὴ κατὰ γαῖα καλύπτει.

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geografica, in questo caso l'Etolia. I figli di Porteo erano Agrio, Melas e per terzo Oineo, il padre del padre di Diomede: egli era ἔξοχος per ἀρετή tra i fratelli60. Il nonno, prosegue il

giovane guerriero, rimase nella regione della stirpe mentre il padre, senza che siano fornite ulteriori spiegazioni, emigrò per volere degli dèi ad Argo61, dove ottenne per sé la figlia del

sovrano, Adrasto (il nonno materno di Diomede), oltre a considerevoli beni mobili e immobili: fra gli Achei, viene fugacemente detto, eccelleva nella lancia62.

L'elemento metanarrativo è qui più scarno rispetto al racconto di Glauco nel VI libro, ma gli elementi della digressione genealogica non si discostano troppo da quelli offerti dal discendente di Bellerofonte: come l'Eolide anche Tideo si trova in una situazione tale da dover cambiare regione e città. Anche egli, insediatosi nella nuova comunità, eccelle nelle abilità del guerriero, incarnando così un modello di ἀριστεύειν, ed ottiene dal sovrano regnante il diritto di entrare con la propria stirpe nella successione al trono tramite il matrimonio con una figlia, oltre ad un numero considerevole di beni63. Anche in questo caso, infine, è ampiamente

sottolineata la componente sociale del racconto: queste storie sul padre, e quindi sulla stirpe, conclude Diomede rivolgendosi ai suoi interlocutori più anziani, possono essere sentiti dire, se la loro veridicità necessitasse di essere confermata dalla comunità (v. 125: [...] τὰ δὲ μέλλετ᾽ ἀκουέμεν, εἰ ἐτεόν περ). Concluso questo racconto genealogico, il giovane eroe si sente autorizzato ad esprimere il proprio parere nella ristretta βουλή, che non potrà più essere disprezzato qualora venga espresso a proposito64: il suo γένος, come il suo racconto ha

dimostrato, non è né κακόν né ἄναλκις. La proposta infatti, che è di tornare alla battaglia e, al riparo dai dardi, esortare i soldati Achei a riprendere vigore e non arrendersi, viene accolta senza alcuna riserva.

Un altro esempio notevole di racconto genealogico si trova nel XX libro iliadico. Anche in questo caso, come nel primo esempio riportato, il contesto è quello di un duello tra ἀριστῆες: si tratta infatti del duello tra Achille ed Enea. La scena, introdotta da un verso formulare già ritrovato nello scontro tra Glauco e Diomede, presenta i due ἄριστοι uno di fronte all'altro65.

60 Il. XIV 117-8. La sottolineatura del possesso di ἀρετή da parte di Oineo suggerisce naturalmente che il tratto sia ereditario. Come Oineo era ἔξοχος, tra i fratelli, così Tideo eccelleva (κέκαστο, v. 124) nell'arte della lancia tra gli Achei. A sua volta, è naturale che Diomede sottointenda che anche egli sia dotato di questa eccezionalità familiare.

61 Il. XIV 119-20. Diomede non specifica il motivo dell'allontanamento del padre dall'Etolia. La tradizione vuole che fosse per essersi macchiato di delitti di sangue (cfr. Hes. fr. 14 M-W e Apollod. Bibl. I 8, 5): è chiaro che questo aspetto violento e negativo del padre venga volutamente taciuto.

62 Il. XIV 121-5.

63 Tipicamente un podere, una casa dotata di terreni coltivabili, alberi e bestiame. Come fa notare West 1985, p. 8, nel tardo periodo geometrico fino in età arcaica i tre elementi determinanti il possesso o meno di ἀρετή erano i beni immobili, la condotta e la continuazione per più generazioni della stabilità economico-sociale. 64 Il. XIV 126-7: τῶ οὐκ ἄν με γένος γε κακὸν καὶ ἀνάλκιδα φάντες / μῦθον ἀτιμῆσαιτε πεφασμένον, ὅν κ᾽ ἐῢ

εἴπω.

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L'azione bellica in senso stretto è preceduta anche qui da uno scontro verbale: il primo a prendere parola è l'eroe greco e le sue parole sono piene di scherno spietato. Egli chiede al suo avversario per quale motivo si sia spinto a confrontarsi con lui, se per desiderio di acquistare gloria per motivi di successione dinastica nei confronti del ramo regnante della famiglia regale rappresentato da Ettore e dagli altri figli di Priamo o se per desiderio di riconoscimento sociale e di attribuzione di onore all'interno della propria comunità66. Entrambi i moventi sono

vani, gli ricorda il Pelide, dal momento che già una volta Enea era stato ingloriosamente battuto da lui e inseguito alla stregua di un animale, salvato solo dal volere degli dèi67.

Esortato dunque a ritirarsi68, l'eroe troiano si trova sminuito ed in immediata posizione di

inferiorità rispetto alla dichiarazione di forza e di valore compiuta dall'eroe greco, per il quale, si potrebbe dire, i fatti passati parlano più delle parole. Alla luce di questa considerazione, la risposta di Enea stupisce per sottigliezza: non è infatti con questi giochi per bambini che il Pelide deve sperare di spaventare o sminuire il guerriero troiano69. Entrambi, continua Enea,

conoscono la stirpe e i genitori l'uno dell'altro, noti tramite i racconti ben famosi (πρόκλυτα ἔπεα) degli uomini mortali che entrambi hanno sentito70. Il verso successivo sottolinea ancora

di più l'importanza di questa componente aurale del κλέος della stirpe: è proprio sulla circolazione delle storie illustri che si basa la notorietà e il prestigio delle due stirpi e il riconoscimento reciproco di tale prestigio. In viso, o in persona (ὄψει), Achille non ha mai visto i genitori di Enea, e così Enea mai quelli di Achille71.

Questi tre versi costringono a riflettere. L'episodio segue lo schema per il quale il duello tra due guerrieri viene spesso anticipato da uno scontro verbale, che può arrivare addirittura a sostituire lo scontro armato72. Così Achille rievoca il loro precedente incontro ponendo Enea

su un livello inferiore rispetto al suo, quello di chi è stato già sconfitto in passato. La risposta di Enea, tuttavia, sembra ignorare totalmente questa affermazione. Egli sposta l'attenzione sulla notorietà delle reciproche stirpi, la cui importanza viene garantita dal fatto che entrambi,

66 Il XX 177-86. È interessante notare la concordanza dei vv. 184-5 con Il. VI 194-5, in cui si parla del podere che i Lici offrirono a Bellerofonte una volta che egli si dimostrò essere θεοῦ γόνον ἠῢν (VI 191) e degno di τιμή regale.

67 Il. XX 186-94. Achille allude al sacco di Lirnesso, durante il quale catturò Briseide ( cfr. Il. II 689-90). In questo senso anche qui si trova un esempio di metanarrazione. La degradazione a capo di bestiame, invece, si evince dall'espressione "σε βοῶν ἄπο μοῦνον ἐόντα". In maniera significativa, nei versi di poco precedenti ( vv. 164-73) Achille era stato paragonato ad un leone.

68 Il. XX 196-8.

69 Il. XX 200-2: Πηλεΐδη, μὴ δὴ ἐπέεσσί με νηπύτιον ὣς / ἔλπεο δειδίξεσθαι, ἐπεὶ σάφα οἶδα καὶ αὐτὸς / ἠμὲν κερτομίας ἠδ᾽ αἴσυλα μυθήσασθαι.

70 Il. XX 203-4: ἴδμεν δ᾽ ἀλλήλων γενεήν, ἴδμεν δὲ τοκῆας, / πρόκλυτ᾽ ἀκούοντες ἔπεα θνητῶν ἀνθρώπων. 71 Il. XX 205: ὄψει δ᾽ οὔτ᾽ ἄρ πω σὺ ἐμοὺς ἴδες οὔτ᾽ ἄρ᾽ ἐγὼ σούς. È notevole come questa affermazione

sembri anticipare, benché il paragone sia metodologicamente difficile da sostenere, alcuni aspetti della riflessione sul rapporto tra ὄψις ed ἀκοή che si trova in pieno V secolo in storiografi come Erodoto.

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pur non conoscendoli di persona, hanno sentito parlare dei rispettivi genitori. In questo modo l'eroe troiano sembra volere rettificare il tentativo di sminuire il suo status di ἀριστεὺς da parte di Achille dimostrandogli che non è per un'eventuale sconfitta personale passata che egli si dovrebbe sentire in difetto o non abilitato a scontrarsi una seconda volta. Questi sono appunto giochi da bambini, ed Achille, per usare un'espressione inglese che difficilmente viene resa in italiano, should know better. L'abilitazione a confrontarsi da pari a pari, tra ἀριστῆες, è garantita infatti dalla genealogia del guerriero, la cui funzionalità ideologica di indicatore di valore si mostra qui in maniera esplicita. Segue dunque l'enunciazione dei rispettivi genitori: si dice (φασὶ) infatti, continua Enea, che Achille sia figlio di Pelide irreprensibile (ἀμύμονος)73 e di Teti; egli, invece, dichiara solennemente (εὔχομαι) di essere

figlio di Anchise e di Afrodite74. Non c'è da stupirsi che in questo caso siano ricordati non solo

i padri, ma anche, e aggiungerei soprattutto, le madri dei due eroi75. Se infatti Achille può

vantare uno status regale per il padre che Anchise non possiede, entrambi sono accomunati, sul piano matrilineare, dall'essere egualmente figli di dee. Non si ferma qui il racconto del troiano: se infatti egli ha pareggiato (mi sia concessa l'immagine banale) l'accusa di viltà inflitta da Achille con il richiamo allo status di figlio di una divinità comune ad entrambi, il discorso di Enea continua con un rapido contrattacco. Al di là dei nomi dei genitori infatti, egli è intenzionato a mostrare ad Achille che conosce bene la propria genealogia e che la sua stirpe, oltre ad essere antica, in virtù della quantità di generazioni che la compongono76, è ben

nota tra i mortali (πολλοὶ δέ μιν ἄνδρες ἴσασι)77.

Come nei due casi precedenti, anche qui il racconto genealogico inizia con la figura di un capostipite, Dardano, che in quanto eponimo è collegato immediatamente ad una coordinata

73 È interessante notare come l'aggettivo si ritrovi spesso nei discorsi genealogici omerici associato alle figure di padri o figli nei versi in cui si trovano formulazioni genealogiche esplicite come "fu generato da [indicazione del padre] ἀμύμων" o "generò [indicazione del figlio] ἀμύμων". Tra i casi già analizzati si veda ad esempio Il. VI 155 (Bellerofonte) o Il. XIV 115 (i figli di Porteo).

74 Il. XX 206-9.

75 Questo è di per sé abbastanza insolito nei poemi omerici. Il nome preciso della madre viene spesso omesso: è molto più comune che la madre venga indicata come "figlia di [nome del nonno materno]", come avviene anche nel discorso genealogico di Glauco (Il. VI 192 = la figlia del re della Licia data in sposa a Bellerofonte, che partorirà Isandro, Ippoloco e Laodamia) e di Diomede ( Il. XIV 121 = la figlia di Adrasto, data in sposa a Tideo). Si veda anche Il. XIV 321, in cui Zeus parla della "figlia di Fenice" che gli generò Minosse e Radamanto. Le madri vengono invece menzionate esplicitamente in Il. II 713-5 (Alcesti, madre di Eumelo di Iolco) e in Il. VII 468 (Ipsipile, madre di Euneo di Lemno). Si veda a riguardo Carrière 1998 p. 56 e p. 67. 76 È interessante a proposito la suddivisione delle strutture genealogiche in due tipologie adoperata da Fowler

1998, pp. 3-4. Una marcata estensione in verticale di una genealogia (come accade nella prima parte di quella di Enea) ha lo scopo di legittimare lo status, spesso regale, di chi si trova in fondo all'albero genealogico. D'altra parte, una struttura caratterizzata da una marcata estensione orizzontale avrebbe lo scopo di illustrare le relazioni sociali all'interno di un dato gruppo.

77 Il. XX 213-4: εἰ δ᾽ ἐθέλεις καὶ ταῦτα δαήμεναι, ὄφρ᾽ ἐῢ εἰδῇς / ἡμετέρην γενεήν, πολλοὶ δέ μιν ἄνδρες ἴσασι. I due versi si ritrovano uguali in Il. VI 150-1: è la formula usata da Glauco per iniziare il proprio racconto genealogico. È interessante notare come in questo passo si insisti sul valore della conoscenza, personale e della comunità, della propria genealogia.

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geografica, Dardania, che egli fondò alle pendici del monte Ida. A differenza del capostipite etole, Dardano non viene presentato solo: egli infatti fu generato per primo (πρῶτον) da Zeus. Dopo aver sottolineato ad Achille il suo essere figlio di una divinità, della dea Afrodite, l'eroe troiano alza subito la posta in gioco, per così dire, dichiarando che la stirpe intera, la γενεή, deriva dal più valoroso tra gli dèi. Inizia una piccola sequenza metanarrativa: da Dardano nacque Erittonio, il cui nome è già una rivendicazione di legittimo possesso di un territorio. Non stupisce dunque che egli sia ricordato come il più ricco (ἀφνειότατος) tra i mortali e che fosse lui il proprietario delle superbe giumente di cui persino Borea si innamorò, simbolo dell'opulenza e del potere dei signori di Troia. Figlio di Erittonio fu Troo, ἄναξ dei Troiani, che a sua volta ebbe tre figli irreprensibili (ἀμύμονες)78: Ilo, Assaraco e Ganimede. Di

quest'ultimo, con un altro micro-procedimento metanarrativo, viene accennato il rapimento da parte degli dèi e il suo innalzamento di status a quello di coppiere di Zeus, abilitato a vivere tra gli immortali79. Per una terza volta, quindi, Enea accenna ad una relazione stretta tra la

propria stirpe e le divinità. Ilo, il cui nome è a sua volta nuovamente quello di un eponimo, ebbe come figlio Laomedonte80. Segue poi l'elenco, notevole per estensione, dei figli di

Laomedonte: tra questi compare per primo Titono, il cui semplice nome allude nuovamente ad un episodio metanarrativo riguardante un'unione tra i membri della stirpe e gli immortali81,

poi Priamo, Lampo, Clitio ed infine Ichetaone, germoglio di Ares (ὄζον Ἄρηος)82. Assaraco

invece ebbe come figlio Capi, a sua volta padre di Anchise. Conclude questa notevolissima elencazione genealogica una chiusura, per così dire, a due rami: Priamo fu padre di Ettore, ed Anchise di Enea83. Ancora una volta il discorso genealogico, che qui segue sia il ramo regale

della stirpe sia il ramo cadetto che porta al diretto interessato, si conclude sotto la nozione dell'εὖχος con il verso formulare già incontrato nel racconto genealogico di Glauco: ταύτης τοι γενεῆς τε καὶ αἵματος εὔχομαι εἶναι84. Avendo dunque ampiamente dimostrato

all'avversario la consapevolezza di appartenere ad una stirpe le cui vicende sono intimamente legate alle divinità, ed in particolare al signore degli dèi, Zeus, Enea conclude che egli soltanto, il κάρτιστος ἁπάντων appunto, concede o toglie agli uomini l'ἀρετή a suo piacimento85: il ricordo delle iterazioni passate tra il sovrano degli dèi e i suoi antenati, a

78 Vedi nota 70 supra. 79 Il. XX 215-35.

80 Il. XX 236: Ἶλος δ᾽ αὖ τέκεθ᾽ υἱὸν ἀμύμονα Λαομέδοντα. Anche in questo caso si trova la presenza dell'aggettivo ἀμύμων.

81 Si tratta del rapimento da parte di Eos.

82 Il. XX 238: la menzione di Ares sviluppa di un ulteriore tassello l'idea che la stirpe sia intimamente legata al mondo delle divinità.

83 Il. XX 240.

84 Il. XX 241 = VI 211. 85 Il. XX 242-3.

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partire dal rapporto di paternità verso Dardano, sembra voler fare intuire che ancora una volta egli concederà buona sorte ad un membro di questa γενεή. Con questa consapevolezza, l'eroe troiano si appronta a sfidare, non più a parole ma con lo scontro armato, il furioso Achille.

Benché non venga dato spazio, in quest'ultimo episodio analizzato, ad una possibile risposta genealogica del più famoso tra gli eroi achei, il poema non manca certo di presentare altrove un suo discorso genealogico. Lo si trova infatti nel XXI dell'Iliade: Achille, in preda a furia omicida, dopo aver ucciso Licaone86, si trova di fronte Asteropeo. Prima di affrontarlo

gli chiede da dove tra gli uomini egli provenga87. Il figlio di Pelegono risponde a sua volta con

la domanda con cui Glauco in Il. VI 145 aveva aperto la propria risposta a Diomede: perché il Pelide gli chiede la stirpe88? Anche qui segue un primo dato geografico, che in questo caso è

anche dato genealogico: Asteropeo viene dalla Peonia, e la sua γενεή discende dall'Assio, che è il fiume che attraversa, appunto, la Peonia89. Egli generò Pelegone, di cui viene elencato

semplicemente un tratto distintivo. Da Pelegone, si dice (φασι), nacque Asteropeo90. Ancora

una volta si trova una riconferma della connotazione sociale dell'affermazione di paternità e di affiliazione.

Lo scontro tra i due guerrieri procede e culmina rapidamente con esito sfavorevole per il nipote della divinità fluviale. A quel punto Achille monta sul petto dell'avversario ed εὔχομενος proclama che è difficile battersi con un discendente di Zeus, il potente Cronide, anche per chi discende da un fiume. Se il suo avversario aveva detto (φῆσθα) di essere figlio di un fiume importante, egli può tuttavia dichiarare solennemente (εὔχομαι) di essere della stirpe di Zeus. Achille fu generato dal signore dei Mirmidoni, Peleo Eacide, ed Eaco era figlio di Zeus. Dal momento dunque che Zeus è più forte di tutti i fiumi, persino dell'Acheloo, persino di Oceano, da cui tutti i fiumi derivano e discendono, ne consegue che la stirpe di Zeus sia più forte di quella dei fiumi91. Se in questo caso l'elemento metanarrativo sembra

essere scarno se non nullo, si può notare che il discorso genealogico assume funzionalità molto specifiche: nel caso di Asteropeo quella di garantire il possesso dello status di ἀριστεύς e di abilitare quindi l'eroe ad affrontare uno scontro alla pari, nel caso di Achille invece quella di sancire una vittoria e fornire ex post una spiegazione incontrovertibile all'evento. La proclamazione solenne della propria discendenza da Zeus, confrontata con una discendenza

86 Il. XXI 99-135.

87 Il. XXI 150: τίς πόθεν εἰς ἀνδρῶν, ὅ μευ ἔτλης ἀντίος ἐλθεῖν;

88 Il. XXI 153: Πηλεΐδη μεγάθυμε, τίη γενεὴν ἐρεείνεις; Il verso, salvo il diverso patronimico, è identico a VI 145.

89 Il. XXI 154-7. Sull'Assio come fiume principale della Peonia, cfr. Il. II 848-50.

90 Il XXI 159-60. Di Pelegone si dice che è κλυτὸς ἔγχεϊ: possiede dunque un requisito sufficiente per essere considerato un ἀριστεύς

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da un'entità inferiore, garantisce la superiorità della posizione dell'eroe e conferma l'inevitabile giustizia dell'esito dello scontro. Date le premesse, non poteva che concludersi così la vicenda, sembra voler suggerire il ricorso alla genealogia di Achille.

I quattro passi analizzati permettono di trarre alcune considerazioni. Il discorso genealogico si trova nei poemi spesso associato ad un discorso diretto di un guerriero. Il suo impiego non è autoreferenziale o gratuito, ma viene percepito come legato a precise interazioni tra individui: lo si trova prima o dopo scontri armati o prima che un eroe debba prendere parola in scene di βουλή. In entrambi i casi, risponde in primo luogo ad un esigenza identificativa: esplicita quando preceduta da una domanda, come nei combattimenti, o implicita quando richiesta dalla situazione sociale. Il discorso genealogico dunque fornisce e garantisce l'identità dell'ἀριστεύς. Data questa premessa, si è potuto osservare che la modalità della sua formulazione è quella espressa dal verbo εὔχεσθαι, che implica una connotazione dell'enunciato inevitabilmente legata alla sfera della socialità. L'insistenza sulla rinomanza delle varie storie genealogiche presso la comunità contribuisce ad arricchire questo suo aspetto e diventa motivo di vanto per l'eroe: la propria eccellenza sembra essere messa in rapporto diretto con l'eccellenza del κλέος del γένος. In questo senso, il discorso genealogico abilita l'eroe al confronto con gli altri in situazioni di potenziale disparità ed inferiorità. Il suo essere marcatore ideologico di valore genera anche un aspetto agonistico del discorso genealogico. Esso può sostituire lo scontro armato, facendosi a sua volta sfida, oppure può determinare o addirittura spiegare l'esito dello scontro.

Si sono inoltre viste alcune peculiarità dei contenuti del discorso genealogico. Il dato genealogico in senso stretto è sempre associato ad un dato geografico: alla diacronia della genealogia si unisce la sincronia della geografia92. Come le generazioni elencate, anche la

quantità di luoghi presenti nella storia del γένος può variare. Se di solito il primo luogo menzionato è correlato all'antenato più lontano nel tempo, fornendo così una sorta di sede della stirpe, il discorso genealogico diventa spazio dove rendere conto delle migrazioni della stirpe. In questo senso esso può essere inteso anche come prototipo di mappa storica93. Del

resto, è stato possibile sin da subito vedere come il discorso genealogico sia spesso associato a metanarrazioni, cioè a porzioni dei poemi che contengono allusioni a luoghi, eventi e personaggi slegati dall'azione principale. Il discorso genealogico, dunque, è associato in maniera implicita ad una trasmissione della memoria. Questa memoria, tuttavia, non ha

92 Jacob 1994, p. 188: la diachronie de la généalogie présuppose la synchronie de la géographie.

93 Bertelli 2001, p. 74, usa l'espressione "genealogical map" in riferimento al Catalogo delle Donne, mentre Fowler 1998, p. 1, usa l'espressione con un riferimento più generale: for those within the system genealogy is a map. They can read its signs.

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ancora sviluppato una maturazione tale da sedimentarsi in maniera da diventare oggetto autonomo di riflessione. Non sembra che vi sia qui ancora la preoccupazione di ricordare il passato per chiarirlo o tramandarlo. Il passato viene ricordato per avere effetti sul momento presente: esso agisce sulla valutazione dell'identità del guerriero. Ne consegue che l'oggetto della memoria risulta liquido e totalmente funzionalizzato94.

Come è stato possibile vedere nel caso di Diomede, l'eroe può affermare tranquillamente in

Il. VI 222-3 di non ricordarsi nulla del padre, mentre in Il. XIV 119-125 dimostra di conoscere

sul padre quanto basta per caratterizzarlo come degno di τιμή presso gli Argivi. Oltre alla più semplice, e sicuramente vera, spiegazione attribuibile alla natura orale e stratificata del poema, credo che il motivo di tale incongruenza sia spiegabile anche per la scarsa maturazione della riflessione sul passato in quanto tale e la sua invece totale funzionalizzazione nei confronti del contingente. Nel VI libro a Diomede interessa dimostrare di essere discendente di Oineo, nonno paterno, per proclamare la ξενία nei confronti di Glauco, mentre nel XIV gli interessa mostrare di essere degno di suggerire una soluzione a persone che detengono uno status regale. Alla stessa maniera si può ipotizzare che chi fruiva storicamente della narrazione epica non fosse interessato a chiarire in maniera univoca il passato, rappresentato sia dalle metanarrazioni genealogiche sia dal racconto epico in generale: l'interesse, come quello degli eroi, era incentrato sulla funzionalità del passato rispetto al presente.

Rimane un ultimo punto da chiarire: gli esempi su cui ho lavorato rappresentano, sicuramente per quanto riguarda la genealogia di Glauco e la genealogia di Enea, un'eccezione piuttosto che un modello standard. Rispetto all'enorme mole di dati genealogici in senso stretto, essi sono estremamente lunghi ed estremamente dettagliati. La forma più comune di discorso genealogico nei poemi si limita spesso alla sola menzione del padre del guerriero: in questi casi il patronimico, oppure la dichiarazione di "essere figlio di", può presentarsi da solo od accompagnato ad un dato geografico o ad un'allusione ad un evento passato95. Quando il

discorso genealogico assume una forma più elaborata, come nel caso di Asteropeo ed Achille,

94 Fowler 1998, p. 3: The first and most important point is that genealogies in oral cultures are fluid. They change constantly to fit new circumstances. Thomas 1989 parlava già della fluidità dei nomi nelle generazioni eroiche, mentre nella sua analisi sull'opera dei primi scrittori di genealogie in prosa (ibid. pp. 188 sgg.) insiste sulla funzionalizzazione socio-politica del materiale genealogico. A livello più generale sul concetto di omeostasi della tradizione nelle società orali, si veda Vansina 1985, pp. 120-3 e 190-1, e la posizione revisionata di Goody in Goody 2000, pp. 42-6. Un utile riassunto della discussione con abbondante bibliografia in Finkelberg 2005, pp. 9-15.

95 Carrière 1998, p. 56, opera una distinzione su questo punto tra fragment de généalogie, quando la menzione del padre è accompagnata da un'allusione ad un "arrière-plan légendaire", e simple patronyme, quando tale allusione non sia esplicitamente riscontrabile. La distinzione, credo, crea confusione inutile e sembra essere del tutto arbitraria e contraddittoria, dal momento che lui stesso utilizza la presenza di semplici patronimici per dimostrare la conoscenza, da parte di Omero, di rapporti genealogici non altrimenti attestati (pp. 57-61).

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