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Agamennone I figli di Priamo

Il patronimico "Priamidi" appare ben due volte nella tragedia d'apertura dell'Oresteia: in entrambi i casi vi si legge una chiara allusione all'immagine già omerica che vede la famiglia di Priamo sovrapporsi al corpus politico di Troia307. La prima menzione viene fatta dall'araldo,

che, concludendo il discorso con cui appare in scena, afferma308: 305 Aesch. Suppl. 40-3.

306 Froidefond 1971, pp. 109 sgg.

307 Più recentemente Fartzoff 2018 pp. 97-109, in particolare p. 97: "On ne peut manquer d'être frappé par le viguer et l'insistance avec lesquelles est marquée la solidarité entre la famille princière et Ilion". Sull'origine omerica dell'idea, pp. 100-1. Cfr. Il III 285-7. Utile anche Medda 2017, vol. II, pp. 316-8.

[...] Πάρις γὰρ οὔτε συντελὴς πόλις ἐξεύχεται τὸ δρᾶμα τοῦ πάθους πλέον· ὀφλὼν γὰρ ἁρπαγῆς τε καὶ κλοπῆς δίκην τοῦ ῥυσίου θ᾽ ἥμαρτε καὶ πανώλεθρον αὐτόχθονον πατρῶιον ἔθρισεν δόμον· διπλᾶ δ᾽ ἔτεισαν Πριαμίδαι θἀμάρτια.

Né Paride infatti né la città complice

possono vantarsi che ciò che fu agito fu maggiore di ciò che fu subito: dovendo pagare la pena per furto e rapina ha perso la preda e completamente in rovina ha mietuto la casa del padre assieme alle terre: due volte pagarono la colpa i Priamidi.

Il richiamo al πατρῶιος δόμος del verso precedente sicuramente facilita la presenza del patronimico al v. 537. Quello che interessa maggiormente è però, come anche i commentatori più recenti non hanno mancato di notare, la specificità lessicale del brano, che al pubblico ateniese del V secolo doveva quasi sicuramente richiamare alla mente situazioni giuridiche. In particolar modo, la precisazione che il colpevole di un furto dovesse risarcire il doppio del valore dell'oggetto rubato trova eco in un rimando ad una legge soloniana presente in un passo della Contro Timocrate di Demostene309:

εἰ δέ τις ἰδίαν δίκην κλοπῆς ἁλοίη, ὑπάρχειν μὲν αὐτῷ διπλάσιον ἀποτεῖσαι τὸ τιμηθέν, προστιμῆσαι δ’ ἐξεῖναι τῷ δικαστηρίῳ πρὸς τῷ ἀργυρίῳ δεσμὸν τῷ κλέπτῃ, πένθ’ ἡμέρας καὶ νύκτας ἴσας, ὅπως ὁρῷεν ἅπαντες αὐτὸν δεδεμένον.

Se un uomo venisse trovato colpevole di furto in un processo tra privati, mentre la pena normale era la restituzione del doppio della somma rubata, il tribunale aveva la facoltà di aggiungere all'ammenda la pena di reclusione fino a cinque giorni e cinque notti, di modo che tutti potessero vedere il ladro imprigionato.

Questa affinità semantica, dunque, spiega la voluta ricerca da parte del tragediografo di immagini legate al concetto di colpa, pena e risarcimento della colpa specificatamente derivanti dalla realtà giuridica ateniese. Come la minuziosa analisi di Enrico Medda ha dimostrato, la quasi totalità degli elementi lessicali di questo passo (ma anche di altri all'interno della tragedia) concorre a delineare le vicende che portano alla guerra di Troia, alla sua conclusione e alle ripercussioni sui protagonisti dei νόστοι, come una serie di colpe suscettibili di risarcimento ed espiazione310. Quello che questa affinità semantica non

chiarisce, tuttavia, è la necessità di utilizzare il patronimico Πριαμίδαι e di creare un ponte, dunque, verso la realtà familiare del γένος di coloro che sono coinvolti nella serie di misfatti e punizioni. Dobbiamo postulare forse che il risarcimento di una colpa venisse percepito, nell'Atene del V secolo, come legato alla realtà genealogica del cittadino? Curiosamente, un frammento dello stesso Solone sembra indicare proprio questa soluzione311:

309 Dem. XXIV 114.

310 Cfr. Medda 2017, vol II, p. 37. 311 Solon. fr. 13W2 25-32.

τοιαύτη Ζηνὸς πέλεται τίσις · οὐδ᾽ ἐφ᾽ ἐκαστῳ ὥσπερ θνητὸς ἀνὴρ γίγνεται ὀξύχολος αἰεὶ δ᾽ οὔ ἑ λέληθε διαμπερές, ὅστις ἀλιτρὸν θυμὸν ἔχει, πάντως δ᾽ ἐς τέλος ἐξεφάνη· ἀλλ᾽ ὁ μὲν αὐτίκ᾽ ἔτεισεν, ὁ δ᾽ ὕστερον· οἳ δὲ φύγωσιν αὐτοί, μηδὲ θεῶν μοῖρ᾽ ἐπιοῦσα κίχῃ, ἤλυθε πάντως αὖτις · ἀναίτιοι ἐργα τίνουσιν ἢ παῖδες τούτων ἢ γένος ἐξοπίσω

Riprendendo il tema già epico della trasmissione generazionale delle qualità eroiche, Solone lo volge al negativo per formulare il tema, caro a gran parte della successiva produzione tragica, dell'ereditarietà della colpa312. Nel farlo, la scelta lessicale impiegata

mostra che l'attenzione non è esclusivamente sul versante etico della colpa, ma anche sul suo aspetto più pragmaticamente giudiziario313.

Si potrebbe dunque suggerire che l'utilizzo del patronimico in questo passo, oltre a richiamare una dimensione epica tramite l'impiego di stilemi omerici quali l'identificazione metonimico tra Priamidi e Troiani, abbia la funzione drammaturgica di indirizzare l'attenzione del pubblico verso il tema della trasmissione genealogica della colpa che, nel caso dell'Oresteia, è sicuramente uno dei temi portanti della trilogia. La seconda menzione del patronimico troiano punta nella stessa direzione314:

παρακλίνασ᾽ ἐπέκρανεν δὲ γάμου πικρὰς τελευτάς, δύσεδρος καὶ δυσόμιλος συμένα Πριαμίδαισιν, πομπᾷ Διὸς ξενίου νυμφόκλαυτος Ἐρινύς.

Cambiata all'improvviso stabilì amari compimenti per le nozze avventandosi contro i Priamidi, la funesta compagna e abitatrice, l'Erinni che procura pianto alle spose inviata da Zeus degli ospiti.

Anche in questo caso il patronimico identifica, in prima istanza, l'insieme dei cittadini di Troia con la famiglia di Priamo. Preso nel suo micro-contesto, il patronimico serve da tramite tra la dimensione privata e quella più propriamente pubblica delle conseguenze dell'infausta unione tra Elena e Paride: la soave dolcezza erotica rappresentata dalla regina spartana al suo arrivo ad Ilio si rivela catastroficamente come Erinni inviata da Zeus, causa di pianto non solo per le spose dei Priamidi, ma per quelle di tutta la πόλις315. Tuttavia, uno sguardo all'insieme

più ampio dell'intero stasimo suggerisce una chiave di lettura che colloca l'utilizzo del patronimico in un discorso genealogico di ampio respiro.

Il passo si trova incastonato, infatti, tra due brani di grande importanza per un'analisi

312 Medda 2017, vol. I, pp. 92-3, con riferimento anche alla concezione soloniana. Cfr. anche Pattoni 2006b, pp. 33-4.

313 Sempre che tra VII e VI secolo una tale distinzione fosse socialmente rilevante. 314 Aesch. Ag. 744-9.

dell'uso metaforico del discorso genealogico nella prima metà del V secolo. Nel primo di essi troviamo la nota favola del leoncino, che, come anche i più recenti commentatori hanno sottolineato, assume un valore metaforico nei confronti della presenza di Elena a Troia316.

Dapprima il cucciolo ispira sentimenti di gioia e delizia nella casa che lo accoglie. Una volta cresciuto, tuttavia, rivela la sua vera indole ferina e compie una strage nella casa. Il momento di passaggio tra l'apparenza illusoria iniziale e la rivelazione della sua reale natura viene espressa da Eschilo in termini che, senza troppa forzatura, si possono definire genealogici317:

χρονισθεὶς δ᾽ ἀπέδειξεν ἦ- θος τὸ πρὸς τοκέων· [...]

Cresciuto nel tempo rivelò l'indole dei genitori

Il leoncino compie il suo destino funesto di diventare, per la casa, sacerdote di Ate perché col tempo rivela l'indole, il modo di essere al mondo, dei genitori. Si tratta nuovamente di un'immagine della trasmissione generazionale delle qualità, letta naturalmente non in chiave epico-eroica, bensì in chiave tragica318.

Ancora più suggestivo è il passo successivo alla menzione del patronimico Πριαμίδαι. Ai vv. 750-771 si trova infatti uno degli impieghi più estesi e significativi dell'utilizzo metaforico del discorso genealogico per veicolare un ragionamento sulle nozioni di causa e di effetto inerentemente a nozioni etiche quali ὄλβος, δυσσέβεια, ὕβρις ed ἄτη. Formulando un pensiero che desidera staccarsi dal παλαίφατος λόγος sullo φθόνος θεῶν, il coro esprime la propria opinione secondo la quale il simile genera il simile, e le azioni di una certa natura sono fautrici di conseguenze della stessa natura319.

Il patronimico in questione, dunque, si trova in un contesto ad alto impatto genealogico. Non è corretto dunque evitare, come purtroppo la maggior parte dei commentatori sembra fare, un'interpretazione che renda giustizia alla dimensione genealogica del passo rappresentato anche dall'identificativo Πριαμίδαι. Il suo impiego in questo passo sembra suggerire una riflessione sul carattere ereditario e genealogico delle colpe del γένος di Priamo che, concentrata come si è visto nella prima metà dell'opera, anticipa la riflessione sulle colpe degli Atridi che sfocerà, nella seconda metà dell'opera e nella sua conclusione, nell'assassinio di Agamennone per mano di Clitemestra ed Egisto. In ultima aggiunta a questa lettura, trovo significativo che a livello metaforico Elena sia in questo passo paragonata ad un'Erinni inviata da Zeus320. L'epiclesi impiegata riporta naturalmente, su di un primo livello interpretativo, alla

316 Raeburn - Thomas 2011, pp. 141-2; Medda 2017, vol. II pp. 415 sgg.; Fartzoff 2018, pp. 105-6. 317 Aesch. Ag. 727-8.

318 Medda 2017, vol. II, pp. 408-9, 413. Sul ruolo del tempo nel rivelare l'ἦθος, De Romilly 2009, pp. 133-4. 319 Raeburn - Thomas 2011, p. 145; Medda 2017, vol II, p. 422 e vol. I, pp. 91-3. Cfr. anche Helm 2004 sulle

metafore genealogiche in Eschilo.

violazione dei principi della ξενία perpetuata da Paride, e che costituisce appunto la colpa principale imputata ai Priamidi321. Non credo sia del tutto ininfluente, tuttavia, il fatto che in

diverse tradizioni Elena, al pari dei fratelli Dioscuri, fosse considerata figlia di Leda e Zeus.

Clitemestra e Tindareo

Pur essendo figlia di Leda al pari della sorella e dei fratelli, non fu mai considerata figlia di Zeus la sposa di Agamennone, Clitemestra. Al contrario, la regina viene sempre considerata dalla tradizione figlia di Tindareo, e così anche il testo eschileo322:

σὺ δέ, Τυνδάρεω θύγατερ, βασίλεια Κλυταιμήστρα, τί χρέος; τί νέον; τί δ᾽ ἐπαισθομένη, τίνος ἀγγελίας πειθοῖ περίπεμπτα θυοσκεῖς; E tu, figlia

di Tindareo, regina Clitemestra,

che succede? Che novità? Avendo scoperto cosa ti sei convinta a preparare sacrifici mandando in giro araldi?

A pochi versi dall'inizio della parodo il coro si rivolge in questi termini alla regina di Argo. Il brano è stato spesso oggetto d'analisi per la problematica relativa alla presenza o meno in scena della regina in questo punto del dramma. Meno spesso ha sollecitato interesse l'appellativo patronimico impiegato dal coro. Una gran parte della critica, tra cui anche il commento in lingua italiana più recente, ha visto nella formula semplicemente un appellativo solenne che si adatta bene al primo contatto del coro con la regina323. Da una parte, è

senz'altro vero che era prassi comune, anche al di fuori della finzione narrativa, identificare donne rispettabili prevalentemente tramite il loro patronimico324. Optare per

quest'interpretazione significa tuttavia ammettere la gratuità della specificità dell'indicazione genealogica e negare un possibile valore metanarrativo al discorso genealogico insito anche nella sua forma più elementare: non è su questa linea che il presente studio intende presentarsi.

Non appare dunque infondata la lettura compiuta da Raeburn e Thomas nella loro edizione del 2011. Riprendendo un'idea già espressa da Anderson nel 1932, i due studiosi propongono di leggere nell'identificativo patronimico di Clitemestra un'allusione al comportamento adulterino della regina, richiamando alla mente l'episodio leggendario secondo il quale Tindaro, essendosi dimenticato durante un sacrificio di destinare parte delle vittime ad Afrodite, sarebbe stato punito dalla dea tramite una maledizione che condannava le due figlie

321 Su Zeus Xenios come patrono della spedizione degli Atridi, Raeburn -Thomas 2011, pp. xxxvi - vii. 322 Aesch. Ag. 83-7.

323 Medda 2017, vol. II, p. 60. 324 Faraguna 2014, p. 174.

dello spartano a commettere adulterio nei confronti dei propri futuri sposi325. L'episodio era

già noto all'autore del Catalogo delle donne e riemerge in un frammento di Stesicoro: in entrambi i casi assolve ad una funzione eziologica nei confronti delle note attitudini fedifraghe delle figlie di Tindaro nell'epica. Sebbene questa lettura sia stata criticata di essere troppo sottile326, la menzione dell'atto di preparare sacrifici al v. 87, pur funzionale alla

descrizione dello stato d'animo in Argo alla notizia dei segnali di fuoco, costituisce un'interessante analogia con l'antecedente mitico. In una tragedia quale l'Agamennone, in cui il tema della trasmissione delle colpe dei padri sui figli è senz'altro presente, trascurare questo particolare rischia di non rendere giustizia alla ricchezza sommersa del testo eschileo.

Atridi, Tantalidi, Plistenidi e Pelopidi: puro gusto per l'erudizione?

Il rapporto genealogico di tipo patronimico più attestato nella tragedia è senz'altro quello che lega Agamennone (e suo fratello Menelao) al padre Atreo. L'indicazione appare infatti dodici volte ed allude ad Agamennone singolarmente, alla coppia di fratelli oppure più in generale all'intera casata. Tuttavia, nella sezione conclusiva della tragedia, per identificare il γένος cui Agamennone e famiglia fanno parte vengono impiegati patronimici che rimandano ad altre figure leggendarie legate a questo ramo genealogico: il riferimento va una volta a Tantalo, due volte a Plistene e una volta a Pelope. Nel tentativo di scorgere un rapporto produttivo tra impiego di differenti dati genealogici da parte dell'autore e funzionalità ricettive nel pubblico ateniese, sorge la domanda inclusa nel sotto-titoletto di questo paragrafo: l'impiego di diversi patronimici per identificare i medesimi personaggi è un puro sfoggio di erudizione genealogica? Oppure adempie a funzionalità precise cui è compito dell'interprete moderno indagare?

Partirò dunque dalle occorrenze del patronimico "Atride/i". La prima occorrenza si trova nella sezione incipitaria del prologo, al v. 3327:

θεοὺς μὲν αἰτῶ τῶνδ᾽ ἀπαλλαγὴν πόνων, φροῦρᾶς ἐτείας μῆκος, ἣν κοιμώμενος στέγαις Ἀτρειδῶν ἄγκαθεν, κυνὸς δίκην, ἄστρων κάτοιδα νυκτέρων ὁμήγυριν.

Agli dèi chiedo la liberazione da queste fatiche, guardia che dura quasi da un anno, durante la quale sdraiato sulle braccia sui tetti degli Atridi, come un cane,

ho imparato a conoscere il concilio degli astri notturni.

Sin da subito dunque la casa di Agamennone riceve una connotazione genealogica: l'οἶκος al centro della vicenda tragica è quello dei discendenti di Atreo. Benché il prologo recitato dalla guardia presenti una certa programmaticità tematica rispetto al resto dell'opera328,

325 Raeburn - Thomas 2011, p. 77; Anderson 1929, p. 151. 326 Medda 2017, vol. II, p. 60.

327 Aesch. Ag. 1-4.

l'impiego singolo del patronimico potrebbe, isolato, non avere particolare rilievo. Il carattere tradizionale del patronimico derivante dalla sua notevole presenza nei poemi epici come identificativo dei due sovrani Agamennone e Menelao potrebbe suggerire un suo impiego in Eschilo dettato solo da una scelta più propriamente stilistica che contenutistica329. Tuttavia,

l'occorrenza del patronimico non è isolata ma si ritrova dopo pochi versi all'inizio della parodo330: δέκατον μὲν ἔτος τόδ᾽ ἐπεὶ Πριάμου μέγας ἀντίδικος Μενέλαος ἄναξ ἠδ᾽ Ἀγαμέμνων, διθρόνου Διόθεν καὶ δισκήπτρου τιμῆς ὀχυρὸν ζεῦγος Ἀτρειδᾶν [...]

Questo è il decimo anno da quando il grande nemico di Priamo

il signore Menelao ed Agamennone, la possente coppia degli Atridi, la cui prerogativa di due troni e due scettri viene da Zeus [...]

Uscito il πρόσωπον προτατικόν, entra in scena il coro che in un momento nuovamente incipitario richiama subito la dimensione genealogica dei personaggi. In una parodo che presenta sin da subito nuclei tematici fondamentali dell'opera quali i concetti di colpa e di punizione giuridicamente intesi, la tematica dell'Erinni, l'uccisione di Ifigenia e l'odio di Clitemestra nei confronti del marito, l'impiego del patronimico sembra non essere casuale331.

Richiamando l'attenzione del pubblico sul γένος di Agamennone, Eschilo intendeva forse preparare il terreno al tema della ereditarietà delle sciagure che, già presente nella trilogia dedicata alla casata di Laio, costituirà un elemento portante dell'Orestea. Ad ogni modo, l'impiego del patronimico è tutt'altro che occasionale e si ritrova, nella sola parodo, altre tre volte332: οὕτω δ᾽ Ἀτρέως παῖδας ὁ κρείσσων ἐπ᾽ Ἀλεξάνδρῳ πέμπει ξένιος Ζεὺς πλυάνορος ἀμφὶ γυναικός κεδνὸς δὲ στρατόμαντις ἰδὼν δύο λήμασι δισσοὺς Ἀτρεΐδας μαχίμους ἐδάη λαγοδαίτας, πομποὺς ἀρχάς, οὕτω δ᾽ εἶπε τερᾴζων [...] ἐπεὶ δὲ καὶ πικροῦ χείματος ἄλλο μῆχαρ βριθύτερον πρόμοισιν μάντις ἔκλαγξεν προφέρων Ἄρτεμιν, ὥστε χθόνα βάκ- τροις ἐπικρούσαντας Ἀτρεί- δας δάκρυ μὴ κατασχεῖν

Così i figli di Atreo il possente Zeus degli ospiti manda contro Alessandro per una donna dai molti uomini.

L'accorto indovino dell'esercito vedendo i due bellicosi Atridi diversi di tempra riconobbe i divoratori di lepre,

i capi della spedizione, e così disse interpretando il prodigio

quando un altro rimedio ancora più grave dell'amara tempesta l'indovino rivelò ai capi svelando che era volontà di Artemide, tanto batterono il suolo con gli scettri

gli Atridi che non riuscirono a trattenere le lacrime.

329 Senza ricorrere alla necessità di postulare che Eschilo intendesse rappresentare Agamennone e Menelao come viventi sotto lo stesso tetto.

330 Aesch. Ag. 40-4.

331 Raeburn - Thomas 2011, p. 72. 332 Aesch. Ag. 60-2, 123-5, 198-204.

Nel primo di questi tre passi i figli di Atreo sono paragonati all'Erinni mandata da Apollo, Pan o Zeus a coloro che trasgrediscono (παραβᾶσιν) e sono associati alla morte che i soldati trovano in battaglia. Il secondo passo allude all'identificazione, da parte di Calcante, dei due Atridi con le acquile del prodigio che accompagna la prima fase della spedizione contro Troia. In un certo senso, dunque, i due figli di Atreo vengono associati all'immagine di un pasto cruento. Questo pasto cruento, nelle parole di Calcante riportate a loro volta dal coro, allude al necessario sacrificio di Ifigenia. Il sacrificio della figlia è a sua volta νεικέων τέκτονα σύμφυτον, οὐ δεισήνορα e prelude ad una Μῆνις τεκνόποινος. Il terzo passo, infine, richiama il nome del γένος di Atreo nella descrizione sinistra e tragica dell'uccisione della figlia di Agamennone.

Come è possibile vedere, dunque, il patronimico sembra comparire in contesti in cui affiorano immagini di trasgressione, pasto cruento, uccisione e vendetta/punizione. Il collegamento tra queste tematiche e la leggenda di Atreo e Tieste appare evidente, così come, più in generale, il ricorso al patronimico sembra ampliare la dimensione familiare della sciagura e l'ereditarietà, all'interno del γένος, delle violenze perpetuate a danni di familiari333.

La successiva occorrenza del patronimico è legato alla violazione dell'ospitalità recata da Paride a danno di Menelao334:

οἷος καὶ Πάρις ἐλθὼν ἐς δόμον τὸν Ἀτρειδᾶν ᾔσχυνε ξενίαν τράπε- ζαν κλοπαῖσι γυναικός.

Tale fu anche Paride, che, giunto alla dimora degli Atridi,

violò la tavola ospitale con il ratto di una donna.

La funzione più evidente del patronimico in questo caso sembra essere quella di richiamare i rapporti di parentela tra Agamennone e Menelao che giustificano la partecipazione del fratello maggiore nella spedizione punitiva contro Troia. Essendo l'offesa stata recata alla casa e alla mensa degli Atridi, sono entrambi gli Atridi a reclamare un risarcimento. Un'immagine precedente del primo stasimo da cui questo brano è tratto merita tuttavia un brevissimo approfondimento. Nella prima strofe, in un passo che presenta un marcato grado di attenzione alla funzione metaforica del linguaggio genealogico335, si trova infatti l'immagine di un uomo

che, giunto a ricchezza, colpisce con un calcio l'altare di Δίκη336:

οὐ γὰρ ἔστιν ἔπαλξις πλούτου πρὸς Κόρον ἀνδρὶ λακτίσαντι μέγαν Δίκας βωμὸν εἰς ἀφάνειαν.

Non vi è infatti difesa

per l'uomo che nella sazietà generata dalla ricchezza tira calci al grande altare

di Giustizia fino a farlo scomparire.

333 Sia Raeburn - Thomas 2011, p. 143, sia Medda 2017, vol. I, p. 55 sono critici a questa tesi. Secondo quest'ultimo : "in tutta la prima parte mancano riferimenti significativi alla vicenda di Atreo e Tieste". 334 Aesch. Ag. 399-402

335 Medda 2017, vol. II, pp. 243, 248-9. 336 Aesch. Ag. 381-4.

All'interno dello stasimo la metafora si riferisce a Paride: come il fortunato in un ratto di tracotanza tira un calcio all'altare di Giustizia, così egli manca di rispetto alla tavola dell'ospitalità degli Atridi rapendo la moglie di Menelao. Tavola e altare vengono in un certo senso mentalmente associati, a livello meramente metaforico337. Curiosamente, quest'ultimo

brano riportato non è l'unica occorrenza all'interno della tragedia dell'immagine di un calcio ad un altare/tavola. La stessa immagine si ritrova infatti, verso la fine dell'opera, nella rievocazione da parte di Egisto del dramma di Atreo e Tieste: λάκτισμα δείπνου ξυνδίκως τιθεὶς ἀρᾷ (v. 1601). Si tratta del calcio che Tieste tira alla mensa di Atreo una volta scoperto di aver appena mangiato le carni dei propri figli. L'azione, oltre ad essere narrativamente suggestiva, e ritualmente impegnata: così come egli tira con violenza un calcio alla tavola distruggendola, alla stessa maniera Tieste si augura che la stirpe del fratello finisca in rovina.

Si tratta, certamente, di una lettura sottile, ma non è possibile negare la coincidenza di immagini offerte dal dramma e sulla quale, mi auguro, avrò modo di tornare in una più opportuna occasione.

La successiva occorrenza del patronimico si trova sempre nello stesso stasimo e merita una menzione. In una sequenza eulogistica, il coro ricorda, o più precisamente si prefigura, gli uomini della città caduti in battaglia sotto Troia a causa della donna di un altro338:

[...] τάδε σῖγά τις βαΰ-

ζει, φθονερὸν δ᾽ ὑπ᾽ ἄλγος ἕρ- πει προδίκοις Ἀτρείδαις.

Queste cose qualcuno mormora nell'ombra, ed invidioso per il dolore trama contro gli Atridi giustizieri.

Non è difficile immaginare che questo "qualcuno" potesse alludere ad Egisto, il cui rancore nei confronti di Agamennone e Menelao va ben al di là della motivazione della spedizione contro Troia ma trova ragion d'essere proprio nelle dinamiche genealogiche.

L'appellativo si ritrova nel successivo episodio al v. 530 nella battuta dell'araldo già esaminata per quanto concerneva il patronimico Priamidi. In un passo che, come ho dimostrato, richiama l'attenzione del pubblico alla trasmissione all'interno del γένος delle colpe, non stupisce ritrovare questa forma genealogica elementare come identificativo del sovrano argivo.

La nona ricorrenza del patronimico si ritrova nella presentazione da parte del coro del

337 Medda 2017, vol. II, p. 246. 338 Aesch. Ag. 449-51.

personaggio di Agamennone durante la sua trionfale entrata in scena339: ἄγε δὴ βασιλεῦ, Τροίας πτολίπορθ᾽, Ἀτρέως γένεθλον, πῶς σε προσείπω; πῶς σε σεβίξω μήθ᾽ ὑπεράρας μήθ᾽ ὑποκάμψας καιρὸν χάριτος;

Ebbene re, distruttore di Troia, stirpe di Atreo,

come mi devo rivolgere a te? Come ti onorerò senza superare e senza mancare

la giusta misura di gradimento?

Secondo alcuni interpreti, la scelta di un'apostrofe che rimarca l'appartenenza alla stirpe di Atreo getta una sfumatura sinistra sulla presentazione del personaggio al pubblico340. Per altri,

l'allusione non sarebbe ancora funzionale alla situazione drammatica, improntata sull'encomio delle virtù del sovrano vittorioso341. Sono d'accordo nell'affermare che l'impiego di

patronimici in una sequenza di titoli ha senz'altro la funzione più basilare di dare solennità