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vv 271-6: la richiesta e la risposta breve

2.5 Le Coefore Atridi e Pelopid

3.1.1 vv 271-6: la richiesta e la risposta breve

In questa prima sezione si assiste ad una prima formulazione della propria identità genealogica da parte del coro. Rispettando l'ammonimento di Pelasgo sull'avversione di Argo nei confronti dei discorsi lunghi366, la corifea fornisce un racconto breve e conciso: le fanciulle

sono di origine argiva in quanto discendenti della giovenca dal bel figlio, che è naturalmente epiteto di Io. Il dato non giunge come nuovo al pubblico: già nella parodo il legame genealogico che unisce il coro ad Epafo, Io e Zeus era stato annunciato a più riprese. La prima

366 Un luogo comune che Argo condivideva con la "laconica" Sparta. Cfr. Friis Johansen - Whittle 1980, vol. II, pp. 216-7.

di queste si trova in apertura del dramma e lega la stirpe del coro alla terra di Argo367:

[...] δ᾽ Ἄργους γαῖαν, ὅθεν δὴ γένος ἡμέτερον τῆς οἰσρτοδόνου βοὸς ἐξ ἐπαφῆς κἀξ ἐπιπνοίας Διὸς εὐχόμενον τετέλεσται.

[...] la terra di Argo, da dove la nostra stirpe ebbe origine, proclamando di essere nata dalla giovenca afflitta dall'estro per il tocco e il soffio di Zeus.

Il complesso genealogico, la cui importanza tematica per lo svolgimento del dramma è già evidente, viene reso subito disponibile al pubblico, al quale viene sottolineata sin da subito la rivendicazione di ellenicità, o più precisamente di "argività", da parte di questo coro apparentemente esotico e straniero. L'importanza che questo tema doveva avere si può desumere dalla frequenza con cui il dato genealogico viene riproposto dal coro. All'interno della sola parodo lo si ritrova altre due volte, la prima a distanza di pochi versi, e la seconda in chiusura della parodo368:

νῦν δ᾽ ἐπικεκλομένα Δῖον πόρτιν, ὑπερπόντιον τιμάορ᾽, ἶνίν γ᾽ ἀνθονομούσας προγόνου βοὸς ἐξ ἐπιπνοίας Ζηνός · ἔφαψιν ἐπωνυμίαν δ᾽ ἐπεκραίνετο μόρσιμος αἰὼν εὐλόχως, Ἔπαφον δ᾽ ἑγέννασεν καὶ τότ᾽ αὖ δικαίοις Ζεὺς ἐνέξεται ψόγοις, τὸν τᾶς βοὸς παῖδ᾽ ἀτιμάσας, τὸν αὐ- τός ποτ᾽ ἔκτισεν γόνωι, νῦν ἔχων παλίντροπον ὄψιν ἐν λιταῖσιν. E ora invochiamo

il vitello di Zeus, il soccorritore oltremarino, figlio

della giovenca progenitrice che coglieva i fiori grazie al soffio

di Zeus: in giusta misura col nome decretò tramite il tocco

un destino mortale ad Epafo, che generò. E allora in giusti

biasimi ricadrebbe Zeus rendendo privo di prerogative il figlio della giovenca, colui che lui stesso generò una volta con il seme, e tenendo rivolto altrove l'occhio dalle preghiere.

Alla stessa maniera, più volte il coro compie allusioni più o meno esplicite alla figura di Io, identificandola come "madre" o "antica madre" ( v. 50 ματρὸς ἀρχαίας, in riferimento alla terra di Argo ove la progenitrice pascolava; v. 141 = 151 σπέρμα σεμνᾶς μέγα ματρὸς, in cui σπέρμα indica, come al v. 275, il coro), nonostante il suo nome non sarà esplicitamente identificato fino alla sezione genealogica dei vv. 289-324.

Come nella parodo dunque, la dichiarazione di discendenza dalla giovenca e dal suo bel

367Aesch. Suppl. 15-18.

368Aesch. Suppl. vv. 40-6 e 169-74. Trovo molto curioso il fatto che questi discorsi genealogici posti in una parodo non preceduta da prologo si trovino in posizioni molto affini a quelle in cui si ritrovano gli identificativi patronimici di Serse nei Persiani. Si tratta indubbiamente di posizioni di rilievo scenico e, in accordo con quanto espresso circa i Persiani sia nel capitolo precedente sia in apertura a questo, il significato di questa scelta va cercato nella volontà dell'autore di sottolineare l'importanza tematica del rapporto genealogico e delle dinamiche ad esso correlate.

figlio, Epafo, ha lo scopo di giustificare un rapporto privilegiato del coro con la terra di Argo, e dovrebbe, nell'ottica adottata dal coro, bastare a classificare il proprio γένος come argivo.

Anche a livello lessicale si evince che la riflessione sul γένος conferisce una discreta unità tematica alla sezione: la parola, qui introdotta nella battuta di Pelasgo e ripetuta a brevissima distanza in quella della corifea, si ritrova ai vv. 278 e 323 e al v. 290 con la variante γένεθλον369.

Sempre a livello lessicale, un altro campo semantico si fa notare: quello relativo al discorso, o meglio alle diverse forme che può assumere l'articolazione di un enunciato. In quattro versi si trovano infatti, per indicare la stessa affermazione (la provenienza del γένος del coro), tre parole distinte: ῥῆσις, μῦθος e λόγος. La prima, impiegata da Pelasgo in un contesto al limite del contraddittorio, è la parola che sarà impiegata successivamente per denotare il discorso recitativo, esteso e spesso di natura argomentativa, in tragedia. Gli altri due termini, fatalmente congiunti nella storia della ricezione e dell'interpretazione del pensiero greco arcaico, sollevano una serie di interrogativi che richiederebbero un'analisi che esula dall'oggetto di studio di questa indagine370. Per ora, basterà notare che μῦθος è associato

alla dichiarazione paradigmatica e (fino a questo punto) indiscussa della discendenza del coro dall'unione della giovenca con Zeus. La nozione di μῦθος legata alla costruzione di una paradossale identità ellenica delle Danaidi è ripresa all'inizio della successiva sotto-sequenza in cui Pelasgo esprime la propria incredulità nei confronti del racconto (ἄπιστα μυθεῖσθ᾽ [...] κλύειν ἐμοί).

Curiosamente, ben diverso sembra essere il trattamento riservato a λόγος. Qualsiasi punteggiatura o interpretazione filologica del verso si voglia accettare, il λόγος è associato alla nozione di ἀλήθεια, creando una particolare corrispondenza con un verso nel precedente intervento della corifea: εἴρηκας ἀμφὶ κόσμον ἀψευδῆ λόγον (v. 246). In quel caso, il λόγος in questione era la deduzione di Pelasgo circa il carattere esotico dell'aspetto esteriore del coro e il contrastante rispetto delle norme rituali elleniche concernenti l'ἱκετεία. In questo caso invece, il λόγος è il discorso che la corifea dichiara di voler innestare a quanto già detto, al μῦθος della discendenza della stirpe dalla giovenca toccata da Zeus, per dimostrarne la veridicità.

La scelta del verbo stesso (προσφύειν) suscita diverse perplessità. Il significato del verbo, soprattutto nella sua forma attiva e transitiva, è discusso e questo semplice fatto ha spinto

369 Friis Johansen - Whittle 1980, vol. II, p. 216.

370 Sul rapporto tra μῦθος e λόγος, segnalo il non più recentissimo, ma ancora valido, From Myth to Reason? curato da Richard Buxton (Buxton 1999).

alcuni interpreti ad optare per un più facile προσθήσω371. Il significato intransitivo sarebbe

quello di "crescere in aggiunta", "spuntare da", detto sia di parti del corpo sia di piante e vegetali372. L'unica altra attestazione del verbo nella sua forma attiva e transitiva, tuttavia,

rivela qualcosa di significativo. Il verbo si trova infatti in un passo delle Nuvole di Aristofane, in una battuta attribuita a Strepsiade che, commentando un ragionamento del personaggio Socrate sull'origine metereologica e non divina della pioggia, esclama: νὴ τὸν Ἀπόλλω, τοῦτό γέ τοι τῷ νυνὶ λόγῳ εὖ προσέφυσας373. Nel suo commento al passo aristofaneo, Dover

suggerisce che possa trattarsi di un uso metaforico del verbo, tratto dal lessico specifico degli agricoltori attici. La suggestione è assolutamente sensata se si considerano le caratteristiche del personaggio di Strepsiade, che usando un verbo tipicamente agreste per commentare i ragionamenti sofistici di Socrate potrebbe aver suscitato qualche risata nel pubblico. Tuttavia, il brano parallelo delle Supplici non sembra avere alcuna sfumatura comica e non si capisce per quale motivo la corifea dovrebbe ricorrere ad una metafora tratta dall'agricoltura. Ad ogni modo, i due loci consentono di trarre almeno due supposizioni: in entrambi i casi, il verbo προσφύειν ha come oggetto, diretto o indiretto, un λόγος. Inoltre, sia nelle Supplici sia nelle

Nuvole, il λόγος cui il verbo è associato è una dimostrazione, un'asseverazione di qualche

cosa percepito come vero rispetto ad una affermazione precedente percepita come irreale, impossibile o comunque difficile da credere. Nel caso delle Nuvole, la dimostrazione dell'origine meteorologica della pioggia usata per confermare l'affermazione precedente sull'inesistenza di Zeus, nel caso delle Supplici, la storia genealogica che la corifea aggiungerà al μῦθος sulla loro discendenza dalla giovenca argiva.

Sulla scorta del passo aristofaneo, Bowen, nel suo commento del 2013 alla tragedia, si chiede se προσφύειν non fosse un verbo usato ad Atene dai sofisti nelle loro argomentazioni, associato quindi ad una valenza semantica del termine λόγος più vicina a quella che gli assegneranno le scuole filosofiche del secolo successivo374. La proposta è interessante ed

andrebbe sviluppata e verificata prendendo in considerazione un più ampio campo d'indagine. Se Bowen avesse ragione, le conseguenze avrebbero una certa pertinenza con il ragionamento svolto in questa tesi. Infatti, il contesto drammatico delle Nuvole da una parte e l'opposizione tra μῦθος e λόγος nelle Supplici dall'altra sembrerebbe implicare, per quanto riguarda il testo eschileo, delle considerazioni sulla percezione di una funzione gnoseologica del discorso genealogico in linea con quanto osservato nell'impiego dei patronimici.

371 Bowen 2013, p. 204. Questa semplificazione corre il rischio di appiattire la ricchezza semantica del testo eschileo.

372 Friis Johansen - Whittle 1980, vol. II, pp. 218-20.

373 Ar. Nub. 372. Il testo riprodotto è quello di G. Guidorizzi (Guidorizzi - Del Corno 1996). 374 Bowen 2013, p. 204.