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L'identità: modelli di grecità a confronto

3.2 Il contesto: questioni di tempo, di identità e di conoscenza

3.2.2 L'identità: modelli di grecità a confronto

La funzione drammatica immediata del discorso genealogico della corifea è intimamente legato alla questione della costruzione di identità culturale: l'intero discorso trova infatti la sua ragione d'essere nel tentativo di rivendicare un'identità culturale inizialmente negata. In un certo senso, l'intero primo episodio sembra essere improntato su una riflessione sul tema dell'identità. Già a partire dalla prima battuta di Danao con cui l'episodio si apre, si trova una considerazione sullo statuto identitario del coro:

ἀλλ᾽ ὡς τάχιστα βᾶτε καὶ λευκοστεφεῖς ἱκτηρίας, ἀγάλματ᾽ αἰδοίου Διός, σεμνῶς ἔχουσαι διὰ χερῶν εὐωνύμων αἰδοῖα καὶ γοεδνὰ καὶ ζαχρεῖ᾽ ἔπη ξένους ἀμείβεσθ᾽ ὡς ἐπήλυδας πρέπει, τορῶς λέγουσαι τάσδ᾽ ἀναιμάκτους φυγάς. φθογγῆι δ᾽ ἑπέσθω πρῶτα μὲν τὸ μὴ θρασύ, τὸ μὴ μάταιον δ᾽ ἐκ μετώπω σωφρονῶν ἴτω προσώπων ὄμματος παρ᾽ ἡσύχου· καὶ μὴ πρόλεσχος μηδ᾽ ἐφολκὸς ἐν λόγωι

γένηι· τὸ τῆιδε κάρτ᾽ ἐπίφθονον γένος. μέμνησο δ᾽ εἴκειν· χρεῖος εἶ ξένη φυγάς ·

θρασυστομεῖν γὰρ οὐ πρέπει τοὺς ἥσσονας.412

Nelle istruzioni fornite dal padre alle figlie compare subito un'opposizione identitaria precisa: quella tra la corifea, ξένη φυγάς, e gli abitanti del luogo, τὸ τῆιδε γένος. La consapevolezza di tale opposizione identitaria spinge Danao ad esortare il coro a rispettare un comportamento adatto al proprio statuto.

Con l'entrata in scena di Pelasgo, il tema dell'identità viene subito riproposto al pubblico. Il personaggio del sovrano, infatti, esordisce chiedendo:

ποδαπὸν ὅμιλον τόνδ᾽ ἀνελληνόστολον πέπλοισι βαρβάροισι κἀμπυκώμασι χλίοντα προσφωνοῦμεν; οὐ γὰρ Ἀργολὶς ἐσθὴς γυναῖκων οὐδ᾽ ἀφ᾽ Ἑλλάδος τόπων. [...] κλάδοι γε μὲν δὴ κατὰ νόμους ἀφικτόρων κεῖνται παρ᾽ ὑμῶν πρὸς θεοῖς ἀγωνίοις · μόνον τόδ᾽ Ἑλλὰς χθὼν συνοίσεται στόχωι καὶ τἄλλα πόλλ᾽ ἐπεικάσαι δίκαιον ἦν, εἰ μὴ παρόντι φθόγγος ἦν ὁ σημανῶν.413

Alla stregua di Danao, Pelasgo ribadisce l'estraneità delle Danaidi, prevalentemente sulla base del loro aspetto fisico e del loro abbigliamento, specificando in termini identitari la loro alterità: il coro si presenta come un ἀνελληνόστολον, un gruppo non-ellenico. Tuttavia, rispetto a Danao, Pelasgo introduce nella categorizzazione identitaria delle fanciulle una punta di sospetto: il coro ha depositato i ramoscelli dei supplici sugli altari degli dèi secondo le norme stabilite dalla tradizione (κατὰ νόμους), agendo correttamente un'azione rituale percepita come esclusiva del mondo ellenico414. Questa loro azione richiede una spiegazione

che verrà fornita, a partire dal v. 271, con la pretesa di essere riconosciute come supplici argive e non straniere.

Il dato più rilevante di questo brano, tuttavia, non è la categorizzazione identitaria in sé, ma gli strumenti concettuali tramite i quali tale categorizzazione viene effettuata. Quello che emerge da questo brano è che la costruzione identitaria operata da Pelasgo passa attraverso un'identificazione di tipo territoriale: l'identità del gruppo umano viene correlata ad una

412 Aesch. Suppl. 191-203. 413 Aesch. Suppl. 234-45.

414 È curioso che Pelasgo non consideri la possibilità che la pratica culturale dell'ἱκετεία venisse praticata in maniera simile da altre comunità. A livello drammatico questo si spiega naturalmente con le ragioni della trama, che necessita di un'introduzione alla discussione dell'ambigua grecità dei nuovi arrivati. Sarebbe curioso tuttavia confrontare le fonti sull'ἱκετεία per verificare se la pratica della supplica venisse percepita come esclusivamente greca, o se erano le modalità specifiche (deposizione dei ramoscelli agli altari) della supplica ad essere percepite come patrimonio rituale esclusivo.

rappresentazione dello spazio geografico, di modo tale che la domanda, a tutti gli effetti, non è "chi siete?" ma "da dove venite?". Il gruppo viene identificato tramite una rappresentazione del rapporto che può legarlo ad un dato territorio, sia per quanto riguarda il suo aspetto esteriore (οὐ γὰρ Ἀργολὶς / ἐσθὴς γυναῖκων οὐδ᾽ ἀφ᾽ Ἑλλάδος τόπων) sia per quanto riguarda le sue pratiche rituali (μόνον τόδ᾽ Ἑλλὰς χθὼν συνοίσεται).

Questo modus cogendi sembra essere tipico del personaggio di Pelasgo. Ai vv. 246-8 la corifea, dopo aver concesso al sovrano di essersi espresso correttamente sul loro abbigliamento, chiede a sua volta al sovrano di identificarsi. La domanda della corifea è tuttavia radicalmente diversa da quella di Pelasgo: non gli chiede di indicare da dove egli provenga (domanda in effetti naif dal momento che si presuppone che venga dalla stessa terra cui loro sono giunte), ma quale funzione egli svolga nella sua società. I termini della domanda sono abbastanza specifici, e quello che viene chiesto e se egli sia un ἔτης (privato cittadino), un τηρὸς ἱερόραβδον (custode di un tempio) o un ἀγόν πόλεως (capo politico). La domanda della corifea consente al personaggio di presentarsi e di far conoscere il proprio nome al pubblico oltre che ai personaggi in scena. Pelasgo tuttavia fa molto di più che semplicemente indicare il proprio nome e la propria funzione sociale: egli elenca in primo luogo la propria genealogia (che ha origine, vorrei ricordare, nella territorio stesso), dichiara di essere ἀρχηγέτης della terra ed eponimo del popolo che dal suolo trae il proprio sostentamento e infine passa a descrivere, con estensione di dettaglio, i confini territoriali del proprio regno, che si estendono ben oltre la piana argiva. Il passo merita di essere osservato con maggiore attenzione: τοῦ γηγενοῦς γάρ εἰμ᾽ ἐγὼ Παλαίχθονος ἶνις Πελασγός, τῆσδε γῆς ἀρχηγέτης, ἐμοῦ δ᾽ ἄνακτος εὐλόγως ἐπώνυμον γένος Πελασγῶν τήνδε καρποῦται χθόνα· καὶ πᾶσαν αἶαν ἧς δί᾽ ἁγνὸς ἔρχεται Στρυμών, τὸ πρὸς δύνοντος ἡλίου, κρατῶ· ὁρίζομαι δὲ τήν τε Περραιβῶν χθόνα Πίνδου τε τἀπέκεινα Παιόνων πέλας ὄρη τε Δωδωναῖα· συντέμνει δ᾽ ὅρος ὑγρᾶς θαλάσσης. τῶνδε τἀπὶ τάδε κρατῶ.415

Il peso della rappresentazione mentale del territorio nella costruzione di identità appare particolarmente evidente: in soli dieci versi, sono veramente abbondanti i termini legati al campo semantico della terra, intesa come territorio dal quale si proviene, da cui si trae sostentamento e su cui si esercitano funzioni di potere Come era già stato osservato per i

discorsi genealogici omerici, la diacronia della genealogia presuppone la sincronia della geografia: il modello di costruzione identitaria di Pelasgo ne è un esempio lampante. Se la sua breve genealogia trigenerazionale sottolinea in senso diacronico uno stretto rapporto con il territorio, l'estesa descrizione geografica del suo regno e l'insistenza sul campo semantico della terra evidenzia in senso sincronico il proprio rapporto personale e collettivo con il territorio. Sul piano diacronico egli è separato da γῆ dalla sola generazione del padre, il cui nome, oltre ad essere un'innovazione eschilea al repertorio mitologico, è a sua volta una dichiarazione fortissima di autoctonia. Il γένος di Pelasgo esiste solo in virtù del proprio rapporto col territorio, da cui ha origine e da cui si è solo da poche generazioni generato. Sul piano sincronico, egli si descrive come sovrano di quello stesso territorio da cui è nato e dal quale il suo popolo, i Pelasgi, traggono sostentamento. La descrizione dell'estensione territoriale del regno serve poi a specificare i limiti del territorio col quale il sovrano si identifica, che sono nello specifico i confini naturali della Grecia continentale: a livello sincronico dunque, questa descrizione equivale ad una dichiarazione di identità panellenica piuttosto che epicorica. La grecità di Pelasgo passa dunque attraverso la dichiarazione di un contatto stretto con il territorio, originaria e nuova, nel senso in cui non possiede ancora abbastanza storia genealogica da conoscere un allontanamento dal territorio.

Questa costruzione identitaria di Pelasgo (e dei Pelasgi) tramite il rapporto con il territorio greco rimane una caratteristica del sovrano per tutta l'opera e si ritrova anche nella parte conclusiva del dramma. Quando Pelasgo rientra in scena per impedire all'araldo egiziano di trascinare via con la forza le fanciulle del coro, si esprime nel seguente modo:

οὗτος τί ποιεῖς ; ἐκ ποίου φρονήματος ἀνδρῶν Πελασγῶν τήνδ᾽ ἀτιμάζεις χθόνα; ἀλλ᾽ ἦ γυναικῶν ἐς πόλιν δοκεῖς μολεῖν; κάρβανος ὢν Ἕλλησιν ἐγχλίεις ἄγαν

καὶ πόλλ᾽ ἁμαρτὼν οὐδὲν ὤρθωσας φρένα.416

L'egiziano viene accusato di recare oltraggio, o meglio di privare della propria τιμή, non la comunità dei Pelasgi o Pelasgo stesso, ma la terra degli uomini pelasgi, benché venga poi chiarito al v. 214 che a subire oltraggio dallo straniero sono i Greci e non la terra in sé. La costruzione identitaria è talmente forte da tramutarsi in vera identificazione metonimica, per cui diventa la stessa cosa dire che a subire l'ατιμάζειν sia lo χθών o il popolo che lo abita.

La stessa operazione di costruzione identitaria viene effettuata da Pelasgo nei confronti del coro. Respinta l'iniziale dichiarazione di "argività" delle fanciulle, il sovrano passa al catalogo "etnografico" con il quale, tramite un percorso geografico ben preciso da sud-ovest a nord-est,

tenta di collocare la provenienza delle Danaidi fornendo loro un'identità fondata su criteri sincronici e geografici. Il procedimento è analogo a quello compiuto nei confronti di se stesso: Pelasgo, tramite i suo paralleli con popolazioni stanziate ai margini dell'ecumene, sembra voler disegnare una mappa dell'alterità da contrapporre alla propria mappa della grecità. Come lo Strimone, il Pindo e Dodona segnavano i confini settentrionali dello spazio territoriale ellenico, i Libici, gli abitanti del Nilo, gli Indiani, gli Etiopi e le Amazzoni (collocate tra palude meotica e Caucaso) segnavano i confini estremi dell'ecumene per come era immaginata nel V secolo: oltre vi era solo l'acqua di Oceano.

Non allo stesso modo operano le Danaidi, che dimostrano di possedere un modello di costruzione identitaria e categorizzazione differente. Come è reso evidente dal testo e dall'analisi fino ad ora condotta, la corifea crea la propria identità etnico-culturale tramite il ricorso al concetto della trasmissione delle qualità correlato al discorso genealogico e al pensiero genealogico greco. Dal momento che Io era argiva, e nello specifico una tipologia privilegiata di argiva, e dal momento che il coro dimostra di possedere la corretta conoscenza della successione genealogica che lega le fanciulle all'antenata, la corifea sembra arrivare alla conclusione che la qualità "essere argivi" appartenga loro per diritto storico-biologico. La dimostrazione di essere discendenti da Io si traduce infatti per la corifea nella affermazione di "argività", come si è visto ai vv. 323-4. Tale affermazione viene spinta a tal punto da far esclamare al coro, nel secondo stasimo:

γενοῦ πολυμνήσωρ, ἔφαπτορ Ἰοῦς · Δῖαί τοι γένος εὐχόμεθ᾽ εἶναι

γᾶς ποτε τᾶσδ᾽ ἔνοικοι.417

La discendenza da Io le qualifica addirittura a denotarsi come "abitatrici di una volta di questa terra [sc. di Argo]". Il coro si assume dunque diacronicamente la prerogativa che sincronicamente Pelasgo attribuiva a se stesso e al suo popolo, quello di abitare la terra di Argo. La costruzione identitaria operata dal coro poggia su binari concettuali molto diversi rispetto a quella di Pelasgo. Quello che sembra trapelare dalla visione di Pelasgo è una forte influenza della rappresentazione mentale del territorio sul gruppo sociale (siamo nati dalla terra che abitiamo = il territorio è la nostra identità), mentre l'ottica delle Danaidi sembra essere piuttosto quella dei colonizzatori, che vede l'influenza della storia del gruppo sociale sulla rappresentazione mentale del territorio: ad essere considerata "casa" non è la terra d'Egitto dove nacquero, ma la terra donde la stirpe ebbe origine.

Questi due modelli di costruzione identitaria non sono in assoluto contrasto all'interno del

dramma, ma creano comunque un'opposizione tale da costituire un elemento problematico su cui improntare almeno parte della trama. Una volta istruito sulla storia genealogica del coro, il sovrano non nega la rivendicazione identitaria delle fanciulle. Sin da subito mostra di concedere un margine di condivisibilità alla loro affermazione, sostenendo, ai vv. 325-6, che pare in effetti che esse abbiano qualcosa di antico in comune con la terra di Argo (δοκεῖτε <μέν> μοι τῆσδε κοινωνεῖν χθονὸς / τἀρχαῖον). Questo non si tramuta, tuttavia, in un riconoscimento immediato della loro "argività", come si deduce dal testo che segue ai vv. 326- 7: volendo sapere perché le fanciulle hanno lasciato l'Egitto, Pelasgo chiede loro come abbiano osato lasciare le dimore paterne (ἀλλὰ πῶς πατρῶια δώματα / λιπεῖν ἔτλητε;). Secondo il suo modello di costruzione identitaria, rimane l'Egitto la loro "patria", nel senso più che letterale.

La conclusione di questo dialogo sticomitico apre un tema che percorrerà l'intero dramma fino alla ratificazione finale dell'assemblea di Argo raccontata ai vv. 605-24: quello dell'ambiguità della categoria sociale ed identitaria delle Danaidi. Tale ambiguità viene espressa da Eschilo in maniera sofisticata tramite il ricorso al neologismo riscontrabile al v. 356: εἴη δ᾽ ἄνατον πρᾶγμα τοῦτ᾽ ἀστοξένων. Le ἀστόξενοι sono naturalmente le fanciulle del coro, cittadine e straniere al contempo. La questione verrà risolta dalla decisione dell'assemblea cittadina di Argo di concedere alle supplici lo statuto di meteci:

ἔδοξεν Ἄργείοισιν, οὐ διχορρόπως, ἀλλ᾽ ὥστ᾽ ἀνηβῆσαί με γηραιᾶι φρενί· πανδημίαι γὰρ χερσὶ δεξιωνύμοις ἔφριξεν αἰθὴρ τόνδε κραινόντων λόγον,

ἡμᾶς μετοικεῖν τῆσδε γῆς ἐλευθέρους418

Integrate nel corpo cittadino tramite l'istituzione della μετοικία, i due modelli di costruzione identitaria trovano un compromesso accettabili da entrambe le parti419.

Questo dunque per quanto riguarda la costruzione identitaria all'interno della tragedia. Cosa è possibile inferirne per quanto riguarda la costruzione identitaria fuori dalla finzione letteraria, nella realtà ateniese del V secolo?

Sicuramente, si percepisce una riflessione avanzata sul tema dell'identità etnica, culturale e politica da parte di Eschilo. Questo non stupisce, se si considera il contesto storico in cui verosimilmente venne prodotto il dramma. Accettando l'ipotesi maggiormente condivisa che la tragedia sia da datare al 463420, ci si rende conto ben presto che non dista molto, in termini

418 Aesch. Suppl. 605-9.

419 Le Supplici sono state studiate con particolare attenzione nei confronti del tema della μετοικία da Geoffrrey Bakewell in Bakewell 2013.

di tempo, dalla data tradizionalmente legata all'introduzione sulla legge di cittadinanza voluta da Pericle. È verosimile che tale tema fosse già in circolazione da tempo negli ambienti intellettuali di Atene, come suggerisce anche la tesi recente di Rebecca Futo Kennedy che colloca la nascita della μετοικία ad Atene proprio negli anni '60 del V secolo, in risposta ad un smisurato aumento della popolazione maschile della πόλις dovuta alla crescente attrattiva economico-culturale esercitata da Atene nel mondo ellenico a partire dal termine delle guerre persiane421.

Il termine delle guerre persiane segnò anche, all'interno della comunità ateniese, il sorgere di un certo sentimento anti-Ionico. Tale sentimento era probabilmente dettato dal desiderio di distinguersi dalle altre comunità elleniche, in particolare quelle ioniche della Lega, per lo sforzo compiuto nella difesa del proprio territorio contro l'invasore straniero, assieme ad un graduale allontanamento dalle città ioniche avvenuto già nel VI secolo come reazione alla debole resistenza nei confronti dell'annessione di Ciro nel 545422. Ricordando l'evento un

secolo dopo, Erodoto scriveva:

οἱ μέν νυν ἄλλοι Ἴωνες καὶ οἱ Ἀθηναῖοι ἔφυγον τὸ οὔνομα, οὐ βουλόμενοι Ἴωνες

κεκλῆσθαι, ἀλλὰ καὶ νῦν φαίνονταί μοι οἱ πολλοὶ αὐτῶν ἐπαισχύνεσθαι τῷ οὐνόματι.423

Questa presa di distanza dalla propria identità ionica fu probabilmente la maggiore causa della nascita, a partire dalla prima metà del V secolo, del tema dell'autoctonia, la cui prima attestazione esplicita, tra l'altro, si trova proprio in Eschilo, al v. 536 dell'Agamennone. L'autoctonia, contrariamente a quanto viene comunemente pensato, non si esaurisce nell'idea della nascita dalla terra (condizione che per altro è ravvisabile in moltissimi miti genealogici, sia antropogonici che teogonici, che nulla hanno a che vedere con l'autoctonia), ma consiste più precisamente nell'idea di aver occupato sempre lo stesso territorio, creando quindi con esso un legame stretto e di forte identificazione424. Nel caso specifico di Atene, tale autoctonia

veniva rafforzata dalla tradizione epicorica della discendenza del popolo ateniese da Erittonio, nato dallo spargimento dello sperma divino di Efesto sul suolo attico. La questione predominante non era tuttavia quella della nascita dalla terra, e nemmeno la discendenza da Erittonio, ma quella dell'occupazione del territorio senza soluzione di continuità, come si evince anche dal racconto ateniese sul ritorno degli Eraclidi/discesa dei Dori: l'Attica fu l'unico territorio della Grecia a non subire questa "invasione".

Appare abbastanza evidente come tale tipo di costruzione identitaria sia la stessa impiegata

421 Futo Kennedy 2014, p. 14. 422 Hall 1997, pp. 53-5. 423 Hdt. I 143 3.

da Pelasgo. Questa analogia viene confermata e arricchita se si considera i tratti tipicamente ateniesi attribuiti alla società fittizia (quella dell'Argo pelasgica) di cui il sovrano è capo: primo fra tutti, la marcata vocazione democratica della città. Il legame tra democrazia, autoctonia ateniese e costruzione identitaria attraverso il territorio troverebbe anche conferma in un passo della Costituzione Ateniese dello pseudo-Aristotele su una legge che avrebbe introdotto Clistene: secondo tale proposta, gli Ateniesi avrebbero dovuto assumere il demotico come unico identificativo abbandonando il patronimico, definendo dunque la propria identità tramite il rapporto col territorio piuttosto che il rapporto di consanguineità con il proprio γένος425.

Questo tipo di opposizione tra modelli di costruzione identitaria è esattamente la stessa che si osserva nelle Supplici. Da una parte, dunque, il modello sincronico territoriale, dall'altra il modello diacronico genealogico.

D'altro canto, l'introduzione della ricerca genealogica in prosa e della comparazione, tramite la scrittura, del materiale genealogico tradizionale, aveva introdotto a sua volta altri problemi relativi alla costruzione d'identità. Il primo fra tutti questi problemi era quello relativo al nome etnico: Ἕλληνες. La ricerca genealogica dei primi genealogisti, inclusi quelli che componevano in versi anteriori al VI secolo quali l'autore del Catalogo delle Donne, aveva evidenziato come una gran parte di eroi considerati culturalmente Greci non erano tali da un punto di vista strettamente etnico-genealogico, dal momento che non erano riconducibili allo stemma genealogico dei Deucalionidi cui Elleno facevo parte. Non facevano parte di tale stemma nemmeno Io e i suoi discendenti, tra i quali si trovavano moltissimi eroi greci di grosso calibro, quali Cadmo, Europa, Minosse, Sarpedonte, Radamante, Danao, Penteo, Laio, Creonte, Edipo, Abante, Preto, Danae, Perseo e persino Eracle! Era tale consapevolezza genealogica che spingeva Erodoto a sostenere che gli antenati di Perseo per via matrilineare (Danae, Acrisio etc.) non erano Elleni ma genuini Egiziani (Αἰγύπτιοι ἰθαγενέες) in virtù della loro discendenza da Egitto, a sua volta discendente di Io426. Tuttavia,

la tradizione culturale legata a questi nomi era troppo importante sia per cancellare la loro non-ellenicità modificando la loro genealogia sia per negare totalmente la loro ellenicità. Meno di un secolo dopo Erodoto, tale riflessione trova espressione in un passo del Menesseno di Platone:

[...] διὰ τὸ εἰλικρινῶς εἶναι Ἕλληνας καὶ ἀμιγεῖς βαρβάρων. οὐ γὰρ Πέλοπες οὐδὲ Κάδμοι οὐδὲ Αἴγυπτοι τε καὶ Δαναοὶ οὐδὲ ἄλλοι πολλοὶ φύσει μὲν βάρβαροι ὄντες, νόμῳ

425 ps-Arist. Ath. Pol. 21 4. La tesi fu sostenuta da Montanari 1981, p. 54. 426Hdt. VI 53-4. Cfr. anche Hdt II 43.

δὲ Ἕλληνες, συνοικοῦσιν ἡμῖν, ἀλλ᾽ αὐτοὶ Ἕλληνες, οὐ μειξοβάρβαροι οἰκοῦμεν, ὅθεν

καθαρὸν τὸ μῖσος ἐντέτηκε τῇ πόλει τῆς ἀλλοτρίας φύσεως.427

Il testo testimonia, al di là di una ideologica costruzione identitaria ateniese discutibile, una riflessione sulla grecità notevolmente sofisticata, che distingue tra Elleni per natura ed Elleni per convenzione: tali Elleni per convenzione, ossia i discendenti di Pelope, Cadmo, Egitto e Danao (ergo Beoti, Peloponnesiaci ed Argivi), non qualificavano etnicamente come Elleni, al punto da poter essere definiti "mezzo-barbari"428.

La rappresentazione mentale della nozione di grecità che risulta da questo passo è particolarmente vicina a quella che si è vista nel testo delle Supplici. Anche lì Pelasgo, formulando le sue prime ipotesi sulla provenienza del coro, lo identifica come non-ellenico per apparenza fisica e abbigliamento, ma ellenico per comportamento rituale, dal momento che agisce secondo le convenzioni (κατὰ νόμους429) riconosciute come elleniche. In un certo

senso, il μειξοβάρβαροι che Platone attribuisce anche ai discendenti di Danao trova un suo modello nell'ἀστόξενοι che Eschilo attribuisce alle figlie stesse di Danao.

La questione meriterebbe sicuramente più attenzione di quanta ne sia possibile dare in questa sede, e per fortuna gli studi sulla costruzione identitaria etnico-culturale dei Greci stanno conoscendo un periodo di fioritura felice. Quello che mi interessava primariamente dimostrare era che il discorso genealogico, e soprattutto quello presente nelle Supplici, si presta ad una lettura che vede nella riflessione sulla costruzione identitaria il suo nucleo tematico unitario. Penso che sia difficile negare che una tale riflessione potesse verosimilmente coinvolgere Eschilo e il suo pubblico. Il dialogo tra Pelasgo e il coro si può interpretare anche come confronto tra modelli di grecità, o meglio tra modalità di rappresentarsi e pensarsi Greci. Tale confronto è possibile solo in virtù del valore gnoseologico attribuito al discorso genealogico, che si presenta come attività intellettuale capace di demistificare un'apparenza e creare, tramite il suo linguaggio, una nuova comprensione della realtà: è su questo ultimo punto che vorrei soffermarmi nell'ultima sezione di questo capitolo.