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Il tempo: modelli di memoria storica a confronto

3.2 Il contesto: questioni di tempo, di identità e di conoscenza

3.2.1 Il tempo: modelli di memoria storica a confronto

Un discorso genealogico è, inevitabilmente, un discorso di memoria, fittizia, funzionale o reale che sia. La semplice trasmissione dei nomi, e la loro recitazione, è di per sé un esercizio di memoria affine a quello praticato nei cataloghi della poesia orale. La dimensione mnemonica, tuttavia, assume una dimensione temporale nel momento in cui i nomi recitati vengono a rappresentare livelli generazionali legati tra di loro dalla temporalità biologica della nascita dei figli dai genitori. Questa dimensione temporale non è necessariamente quella che si potrebbe oggi, dopo millenni di calendarizzazione occidentale del tempo, definire

cronologica: le genealogie nelle culture tradizionali, soprattutto in quelle antiche, non sono necessariamente legate ad una misurazione assoluta del tempo405. Ciò nonostante, è possibile

parlare di una dimensione temporale genealogica, che vede l'esistenza di una sequenzialità obbligatoria dei nomi legati ad un dato piano generazionale, di un prima e un dopo che spesso diventano un "anticamente" e un "recentemente" e che, altrettanto spesso, presentano un inizio e una, seppur momentanea, fine che coincide con il presente.

Nel caso specifico del discorso genealogico della corifea ai vv. 271-332, questa dimensione temporale della memoria è particolarmente evidente: il tutto consiste nello stabilire che le Danaidi, la cui apparenza presente è tutto tranne che greca, come i vv. 279-88 ribadiscono, sono argive in virtù di un loro antico legame di parentela con la città di Argo. Nel brano questo si evince da due passaggi fondamentali. Il primo è il distico che apre la sezione sticomitica:

Χο. κληιδοῦχον Ἥρας φασὶ δωμάτων ποτὲ Ἰὼ γενέσθαι τῆιδ᾽ ἐν Ἀργείαι χθονί.

La corifea imposta l'argomento tramite il quale iniziare la propria dimostrazione genealogica partendo dal ricorso alla memoria, condivisa come si è visto da Pelasgo, di un evento passato di storia locale: la storia dell'amore di Zeus nei confronti di Io. Nella preposizione, il ποτὲ colloca l'evento nel passato mentre φασὶ assicura la certezza, se non la veridicità, dell'affermazione. Dal momento che la versione del mito di Io presente nelle

Supplici sembra non conoscere minimamente la paternità di Inaco e il suo iniziale ruolo nella

storia, la dichiarazione della corifea sembra voler puntare che la storia della sua stirpe inizia appunto con il sacerdozio di Io ad Argo nei confronti della dea Era. La scelta da parte di Eschilo di sottolineare questo dato ha suscitato le perplessità di alcuni commentatori, dal momento che, in un certo senso ancora oggi condivisibile, il fatto che Io, in quanto sua sacerdotessa, fosse prerogativa di Era aumenta la colpevolezza di Zeus nel desiderarla406.

Questo tratto non è in effetti presente in tutte le attestazioni del mito, ma lo è sufficientemente per non essere considerato un'innovazione eschilea. Quello che incuriosisce invece è che il sacerdozio nel tempio di Era ad Argo era, sicuramente già nella seconda metà del V secolo, uno dei diversi sistemi cronologici di datazione panellenici. Lo si ritrova, ad esempio, in Tucidide per datare lo scoppio della guerra del Peloponneso407. Sebbene non sia possibile

verificare che Eschilo conoscesse questo metodo di datazione, né alcun tipo di particolare

405 Cfr. Thomas 1989, pp. 185-90.

406 Friis Johansen - Whittle 1980, vol. II, p. 234. 407 Thuc. II 2 1.

istanza cronologizzante sia attestata nelle sue tragedie, rimane molto suggestivo il fatto che la menzione del sacerdozio di Io nel tempio di Era sia impiegato come incipit del discorso genealogico, e quindi della storia familiare, delle Danaidi.

Il secondo passaggio che sottolinea la dimensione temporale del racconto genealogico della corifea si trova, al contrario del primo, alla fine della sezione sticomitica:

Χο. [...] εἰδὼς δ᾽ ἁμὸν ἀρχαῖον γένος πράσσοις ἂν ὡς Ἀργεῖον ἀντήσας στόλον. Βα. δοκεῖτέ <τοί> μοι τῆσδε κοινωνεῖν χθονὸς τἀρχαῖον·[...]

A distanza di due versi viene ripetuto due volte ἀρχαῖον, sia dalla corifea che da Pelasgo, per connotare la stirpe e il rapporto che le lega alla regione. La corretta esecuzione della genealogia, con la dimostrazione della conoscenza della storia argiva di Io e l'elencazione dei nomi degli antenati che garantiscono la discendenza del coro da Io, stabilisce definitivamente che, per quanto concerne il passato, le fanciulle si possono considerare di origine argiva.

In due posizioni privilegiate rispetto al discorso genealogico, dunque, viene evidenziato il ruolo del passato nella determinazione del presente. Si osserva infatti una rievocazione di eventi avvenuti nel passato e la loro messa in ordine rigorosa. Questa operazione detta una scansione del tempo che permette, quantomeno, di stabilire una differenza tra il tempo della progenitrice e il tempo delle discendenti. Lo strumento impiegato dalle Danaidi per compiere questa rievocazione sulla scena è la memoria, nel loro caso la memoria storico-familiare che abbraccia sei generazioni.

Tutto questo è molto interessante se si prende nuovamente in considerazione la genealogia di Pelasgo fornita poco prima di questa sezione, ai vv. 250-3, e analizzata nel capitolo precedente per quanto riguarda le funzioni connotative del patronimico. Nella stessa scena, infatti, Eschilo fa presentare al pubblico le genealogie delle due parti, locali e stranieri, in successione. Il sovrano argivo, presentandosi come eponimo di un popolo il cui regno si estende su tutta la Grecia continentale e sottolineando la propria autoctonia, svolge in un certo senso una funzione marcatamente ideologica. La sua è una ellenicità ab illo tempore, legata alla terra stessa e legata, tramite la scelta del nome stesso, al passato più remoto della memoria storico-folclorica degli spettatori ateniesi408. Tuttavia, la propria genealogia, se

confrontata con quella fornita dalla corifea, risulta paradossale e suscita perplessità. Se infatti l'eponimo dei Pelasgi può ricordare solo tre generazioni, la prima delle quali è la Terra stessa, le Danaidi, straniere venute via mare dall'Egitto, dimostrano un legame che le lega alla terra

di Argo che copre il doppio del tempo genealogico, con ben sei generazioni tra esse e la capostipite:

Terra ---> Palectone ---> Pelasgo Io---> Epafo ---> Libia ---> Belo ---> Danao ---> Danaidi

A seguito del racconto genealogico della corifea, è più che comprensibile che Pelasgo prendesse atto di una certa antichità di rapporti tra la terra di Argo e il coro!

A prescindere dalle discussioni sugli anacronismi, percepiti o ignorati, dei dati mitologici nelle rappresentazioni tragiche, quello che è possibile osservare qui, credo, rappresenta un interessante spunto ermeneutico nei confronti di una delle possibili modalità di lettura della tragedia: quella offerta dall'opposizione tra la rappresentazione di una grecità percepita come autentica (l'Argo di Pelasgo) e di una grecità tutta da discutere e percepita, almeno in apparenza, come alterità (l'Egitto degli Egittiadi ma anche delle Danaidi). Questa alterità delle Danaidi si presenta anche nella loro padronanza del passato, o meglio ancora, nel possesso di una memoria storica dotata di maggiore profondità rispetto a quella esercitata da Pelasgo.

Quello che bisognerebbe domandarsi dunque è se Eschilo e il suo pubblico fossero consapevoli di cosa stesse avvenendo in scena, ossia un confronto tra modelli di memoria sociale diversi. Questo presuppone, naturalmente, l'ammissione che un Ateniese del V secolo potesse concepire modelli di memoria sociale a diverse profondità e riflettere dunque sulle conseguenze dell'incontro tra parti con memorie sociali diversamente estese nel tempo. L'affermazione, posta in questi termini, potrebbe sembrare di per sé audace. Tuttavia, la lettura di un passo erodoteo si dimostra illuminante circa questa questione409:

Πρότερον δὲ Ἑκαταίῳ τῷ λογοποιῷ ἐν Θήβῃσι γενεηλογήσαντι [τε] ἑωυτὸν καὶ ἀναδήσαντι τὴν πατριὴν ἐς ἑκκαιδέκατον θεὸν ἐποίησαν οἱ ἱρέες τοῦ Διὸς οἷόν τι καὶ ἐμοὶ οὐ γενεηλογήσαντι ἐμεωυτόν· ἐσαγαγόντες ἐς τὸ μέγαρον ἔσω ἐὸν μέγα εξηρίθμεον δεικνύντες κολοσσοὺς ξυλίνους τοσούτους ὅσους περ εἶπον· ἀρχιερεὺς γὰρ ἕκαστος αὐτόθι ἱστᾷ ἐπὶ τῆς ἑωυτοῦ ζοής εἰκόνα ἑωυτοῦ· ἀριθμέοντες ὦν καὶ δεικνύντες οἱ ἱρέες ἐμοὶ ἀπεδείκνυσαν παῖδα πατρὸς ἑωυτῶν ἕκαστον ἐόντα, ἐκ τοῦ ἄγχιστα ἀποθανόντος τῆς εἰκόνος διεξιόντες διὰ πασέων, ἐς οὗ ἀπέδεξαν ἁπάσας αὐτάς. Ἑκαταίῳ δὲ γενεηλογήσαντι ἑωυτὸν καὶ ἀναδήσαντι ἐς ἑκκαιδέκατον θεὸν ἀντεγενεηλόγησαν ἐπὶ τῇ ἀριθμήσι, οὐ δεκόμενοι παρ᾽ αὐτοῦ θεοῦ γενέσθαι ἄνθρωπον· ἀντεγενεηλόγησαν δὲ ὧδε, φάμενοι ἕκαστον τῶν κολοσσῶν πίρωμιν ἐκ πιρώμιος γεγονέναι, ἐς ὃ τοὺς πέντε και τεσσεράκοντα καὶ τριηκοσίους ἀπέδεξαν κολοσσοὺς [πίρωμιν ἐκ πιρώμιος γενόμενον], καὶ οὔτε ἐς θεὸν οὔτε ἐς ἥρωα ἀνέδησαν αὐτούς. πίρωμις δέ ἐστι κατ᾽ Ἑλλάδα γλῶσσαν καλὸς κἀγαθός.

In precedenza, con Ecateo il logografo che si genealogizzava a Tebe e ricollegava la discendenza paterna ad un dio alla sedicesima generazione, i sacerdoti di Zeus si

comportarono come con me, che non mi ero tuttavia genealogizzato. Una volta che mi ebbero condotto dentro il tempio mi enumerarono mostrandoli dei colossi di legno, tanti quanti quelli che ho detto. In quel luogo ogni sommo sacerdote pone durante la propria vita una propria immagine. Contandoli dunque e mostrandoli, i sacerdoti mi dimostrarono che ciascuno era figlio di un padre compreso tra quelli, a partire da quello che era morto più recentemente fino al primo, e me li mostrarono tutti. Ad Ecateo che si era genealogizzato e aveva ricondotto la stirpe ad un dio alla sedicesima generazione, essi fornirono una contro-genealogia sulla base dei numeri, non accettando che un uomo possa nascere da un dio. Fecero le loro contro-genealogie, affermando che ciascuno dei colossi era un piromi nato da un piromi, fino a che gli mostrarono tutti i 345 colossi e non li collegavano né a un dio né ad un eroe. Piromi in lingua greca è "uomo valoroso".

L'episodio riferito da Erodoto presenta straordinari tratti di somiglianza con la scena delle

Supplici. Lo storico racconta di essersi recato al tempio di Karnak a Tebe dedicato ad Amon,

che egli identifica con Zeus: non era il primo Greco entrato nel tempio per dialogare con i suoi sacerdoti, dal momento che prima di lui il tempio era stato visitato da Ecateo di Mileto, il genealogista di cui si è trattato brevemente al capitolo 1.3. Ad entrambi, ad ogni modo, viene riservato lo stesso trattamento, che consiste in un certo senso in una breve lezione di storia genealogica: i sacerdoti mostrano ai due Greci le statue dei piromi che hanno retto il tempio e che si sono succeduti in maniera dinastica di padre in figlio, di modo tale da costituire una specie di cronografia visiva del tempio ordinata per generazioni. Benché non sia chiaro il motivo per cui venga riservato questo trattamento ad Erodoto, lo storico non manca di spiegare la causa dietro il loro comportamento nei confronti del suo predecessore Ecateo. Il Milesio infatti aveva avuto l'ardire di genealogizzarsi di fronte ai sacerdoti, sostenendo di discendere da un dio tramite sedici generazioni di uomini: un numero certamente impressionante per un Greco, se si considerano le lunghezze generazionali medie delle genealogie nella letteratura ellenica arcaica!410 I sacerdoti, tuttavia, si rifiutano subito di

credergli, e per dimostrare l'infondatezza della propria affermazione gli mostrano come essi conoscano appunto la genealogia di 345 piromi, senza riscontrare nessun collegamento ad un eroe o ad un dio, che abitavano l'Egitto ancor prima di quest'arco temporale.

Il senso specifico di questa testimonianza su Ecateo di Mileto rimane poco chiaro: in linea generale, Erodoto è interessato in questa sezione del secondo libro delle sue Storie a dimostrare la sua tesi secondo la quale gli dei greci derivavano a tutti gli effetti dagli dei egiziani. Questa opinione poggia sull'assunzione erodotea, sostanzialmente corretta, che la cultura egiziana fosse molto più antica di quella ellenica. In questo senso, il racconto dell'incontro tra Ecateo e i sacerdoti di Tebe svolge la funzione di avvalorare tale assunzione.

Quello che è più interessante per quanto riguarda il confronto con il brano delle Supplici è

il fatto che questa maggiore antichità degli Egiziani viene espressa, nella testimonianza erodotea, tramite una maggiore padronanza della memoria storica, o meglio, tramite una memoria storico-familiare più profonda rispetto a quella greca. L'oggetto di questa memoria sono le generazioni che compongono un discorso genealogico e che, soprattutto nel passo erodoteo, determinano di conseguenza l'antichità di una successione genealogica e la sua estensione nel tempo. Il testo inoltre sembra indicare un altro importante aspetto di questa riflessione sulla profondità della memoria genealogica come criterio di confronto tra due culture: il desiderio greco di confrontarsi su questo tema con una civiltà geograficamente prossima. L'insistenza sul fatto che Ecateo avesse voluto dimostrare le proprie capacità genealogiche viene sottolineato dalla ripresa, a distanza molto ravvicinata, dalla ripetizione quasi esagerata dei termini γενεηλογήσαντι e ἀντεγενεηλόγησαν. Anche il fatto che il personaggio di questo episodio, fittizio o reale che sia, fosse Ecateo, l'inventore, in un certo senso, delle genealogie in prosa come genere letterario in Grecia è indicativo di una certa riflessione sul tema da parte di Erodoto, così come in generale la scelta stessa di inserire questo brano in una sezione dedita al problema dei rapporti tra la nascita degli dèi greci e la cultura religiosa egiziana.

Il discorso genealogico, e più in generale la genealogia come attività intellettuale, sembra essere campo privilegiato ove operare questo confronto tra la ancora giovane memoria storico-culturale dei Greci e quella più antica di civiltà quali quella egiziana. In un certo senso, la situazione dell'episodio narrato da Erodoto è parallela a quella della lezione genealogica delle Supplici. La genealogia greca di Pelasgo, con le sue tre generazioni che velocissimamente conducono ad una concezione autoctona della propria origine, si trova ad essere confrontata con una genealogia lunga il doppio prodotta da un gruppo umano, le Danaidi, provenienti proprio dall'Egitto. Usando dei termini ormai noti sia nel campo dell'etnografia sia in quello dell'antropologia culturale, si potrebbe dire che Pelasgo viene rappresentato come avente un modello di memoria sociale trigenerazionale tipico delle società tradizionali prevalentemente ancorate ad una fase orale della trasmissione dei saperi, mentre le Danaidi, argive di origine ma provenienti dall'Egitto, mostrano una padronanza della propria memoria sociale capace di coprire più generazioni e resa possibile soprattutto grazie all'apporto della scrittura411.

Non è facile stabilire se nel dramma venisse percepita un'opposizione tra la società pelasgica e quella egiziana sulla base dell'opposizione binaria culturale oralità/scrittura,

411 Un'utile panoramica su questo punto in Thomas 1989, pp. 155-61. Una più recente formulazione sull'estensione trigenerazionale della memoria socio-familiare non affidata alla scrittura si trova, nel campo dell'antropologia culturale, in Assmann 2006, pp. 213-5.

nonostante vi sia almeno un altro passo nel dramma che sembrerebbe alludere a tale opposizione. Tuttavia, mi pare abbastanza probabile che, almeno in parte, il discorso genealogico dei vv. 271-332 fornisse occasione di riflessione sulle diverse profondità della memoria storica di diverse aree di civiltà. Forse, come il passo erodoteo suggerisce, tale riflessione era tema condiviso dalla produzione intellettuale attica del V secolo che, in seguito alle innovazioni metodologiche introdotte da Ecateo, si trovava alle prese con un tentativo di razionalizzare il proprio passato leggendario confrontandolo, data l'ampia rete di scambi umani ed economici già sviluppata all'interno del bacino mediterraneo, con quello delle civiltà limitrofe. Alcune di queste civiltà limitrofe, ad esempio quella egiziana, erano già note come estremamente antiche, forse più antiche della propria civiltà ellenica, e conoscevano da molto più tempo dei Greci le tecniche di scrittura che consentivano la regolarizzazione della scansione del tempo e quindi una trasmissione più "solida" della propria memoriale sociale e culturale.

Tale riflessione sulla dimensione temporale della propria memoria sociale esercitata tramite la genealogia porta necessariamente, tramite il confronto con le civiltà limitrofe, ad una riflessione sulla propria identità culturale all'interno di questo orizzonte culturale eterogeneo. Per tornare al brano delle Supplici, infatti, il problema che sembra veramente essere posto dai personaggi in scena è il seguente: cosa significa, per le due parti, essere argivi?