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La conoscenza: modelli gnoseologici a confronto

3.2 Il contesto: questioni di tempo, di identità e di conoscenza

3.2.3 La conoscenza: modelli gnoseologici a confronto

Come si è visto sin dall'analisi testuale del brano, il tema della conoscenza sembra essere intimamente legato all'episodio, benché in sordina come una filigrana sottilissima. L'incontro

427 Pl. Mx. 245d.

428 Il tema dell'eterogeneità delle genealogie greche e della distinzione tra greci per natura e greci per convenzione è stato studiato dettagliatamente da Finkelberg 2005, pp. 24-41.

tra Pelasgo e il coro si presenta come un processo conoscitivo suddivisibile in tre parti, ciascuna delle quali riassumibile nelle seguenti domande: chi sono le fanciulle e come possono essere argive? Cosa vogliono ad Argo e perché sono fuggite dall'Egitto? Quale è il modo migliore di comportarsi nei loro confronti?

Le ultime due fasi conoscitive risulteranno nella decisione finale, presa dalla comunità politica di Argo, di difendere le fanciulle dal matrimonio indesiderato con i cugini Egittiadi. La presa di posizione, tuttavia, risulta esplicitamente da un gioco di persuasione effettuato prima dal coro sul sovrano e in seguito da Danao (e da Pelasgo stesso) sull'assemblea cittadina. Se le domande presuppongono un dubbio di tipo etico-gnoseologico, le soluzioni vengono rappresentate come decisioni prese sulla base della persuasione:

Βα. πῶς οὖν πρὸς ὑμᾶς εὐσεβὴς ἐγὼ πέλω; [Χο.] σὺ δὲ παρ᾽ ὀψιγόνου μάθε γεραιόφρων [Βα.] ἐγὼ δ᾽ ἂν οὐ κραίνοιμ᾽ ὑπόσχεσιν πάρος, ἀστοῖς δὲ πᾶσι τῶνδε κοινώσας πέρι. Χο. σύ τοι πόλις, σὺ δὲ τὸ δήμιον· πρύτανις ἄκριτος ὢν κρατύνεις βωμόν, ἑστίαν χθονός, μονοψήφοισι νεύμασιν σέθεν, μονοσκήπτροισι δ᾽ ἐν θρόνοις χρέος πᾶν ἐπικραίνεις · ἄγος φυλάσσου [Βα.] ἀμηχανῶ δὲ καὶ φόβος μ᾽ ἔχει φρένας δρᾶσαί τε μὴ δρᾶσαί τε καὶ τύχην ἑλεῖν. Βα. οὐκ εὔκριτον τὸ κρῖμα· μή μ᾽ αἱπροῦ κριτήν. [Χο.] τί τῶνδ᾽ ἐξ ἴσου ῥεπομένων μεταλ- γὲς τὸ δίκαιον ἔρξαι; Βα. δεῖ τοι βαθείας φροντίδος σωτηρίου [...] μῶν οὐ δοκεῖ δεῖν φροντίδος σωτηρίου; Χο. φρόντισον καὶ γενοῦ πανδίκως εὐσεβὴς πρόξενος · [...] ἴσθι γάρ, παισὶ τάδε καὶ δόμοις, ὁπότερ᾽ ἂν κτίσηις, μένει Ἄρει ᾽κτίνειν ὁμοίαν θέμιν. τάδε φράσαι. δίκαια Διόθεν κράτη. Βα. καὶ δὴ πέφρασμαι, δεῦρο δ᾽ ἐξοκέλλεται· [...] θέλω δ᾽ ἄιδρις μᾶλλον ἢ σοφὸς κακῶν εἶναι· γένοιτο δ᾽ εὖ παρὰ γνώμην ἐμήν. [Βα.] πειθὼ δ᾽ ἕποιτο καὶ τύχη πρακτήριος.

[Δα.] ἔδοξεν Ἀργείοισιν, οὐ διχορρόπως, ἀλλ᾽ ὥστ᾽ ἀνηβῆσαί με γηραιᾶι φρενί· [...]

δημηγόρους δ᾽ ἤκουσεν εὐπειθὴς στροφὰς

δῆμος Πελασγῶν, Ζεὺς δ᾽ ἐπέκρανεν τέλος.430

Non si trova lo stesso processo di decision-making per quanto riguarda la prima delle tre domande: chi sono le fanciulle giunte dal mare assieme al padre e in che modo giustificano la loro dichiarazione, contraria ad ogni apparenza, di essere argive? Il lessico impiegato da Eschilo per la risoluzione di questa domanda parla chiaro: la soluzione viene posta in termini esclusivamente gnoseologici, di possesso e condivisione di informazioni tra le due parti. Queste informazioni sembrano essere soggette a due processi connotativi, che ambo le parti svolgono e confermano: il primo determina la loro prossimità (o meno) alla verità, il secondo la loro capacità di istruire. Se si allarga l'analisi ai versi iniziali dell'incontro tra Pelasgo e il coro, è possibile notare il filo conduttore di questa riflessione sul valore conoscitivo del discorso genealogico: [Βα.] καὶ τἄλλα πόλλ᾽ ἔτ᾽ εἰκάσαι δίκαιον ἦν, εἰ μὴ παρόντι φθόγγος ἦν ό σημανῶν. Χο. εἴρηκας ἀμφὶ κόσμον ἀψευδῆ λόγον. [Βα.] ἔχουσα δ᾽ ἤδη τἀπ᾽ ἐμοῦ τεκμήρια γένος τ᾽ ἂν ἐξεύχοιο καὶ λέγοις πρόσω· μακράν γε μὲν δὴ ῥῆσιν οὐ στέργει πόλις. <Χο>. βραχὺς τορός θ᾽ ὁ μῦθος · Ἀργεῖαι γένος ἐξευχόμεσθα σπέρμα τ᾽ εὐτέκνου βοός · καὶ ταῦτ᾽ ἀληθῆ· πάντα προσφύσω λόγον. Βα. ἄπιστα μυθεῖσθ᾽, ὦ ξέναι, κλύειν ἐμοί, ὅπως τόδ᾽ ὑμῖν ἐστιν Ἀργεῖον γένος. [Βα.] [...] διδαχθεὶς <δ᾽> ἂν τόδ᾽ εἰδείην πλέον, ὅπως γένεθλον σπέρμα τ᾽ Ἀργεῖον τὸ σόν. <Βα.> καὶ ταῦτ᾽ ἔλεξας πάντα συγκόλλως ἐμοί. <Χο.> [...] εἰδὼς δ᾽ ἁμὸν ἀρχαῖον γένος πράσσοις ἂν ὡς Ἀργεῖον ἀνστῆσαι στόλον. <Βα.> δοκεῖτε <μέν> μοι τῆσδε κοινωνεῖν χθονὸς τἀρχαῖον· [...].431

Il confronto che viene delineato, come si nota dalle sezioni testuali selezionate, è tra due diverse modalità di comprensione della realtà e della sua verosimiglianza. La comprensione della realtà da cui parte il personaggio di Pelasgo è una empirica fondata sull'evidenza fisicamente percettibile: le Danaidi sembrano straniere in virtù del loro κόσμος. A conferma di

430 Aesch. Suppl. 340; 361; 368-75; 379-80; 397; 405-17; 418-54; 523; 605-24. 431 Aesch. Suppl. 244-6; 271-8; 289-90; 310; 323-6.

questo modo di comprendere la realtà è anche il v. 271: volendo riassumere il fatto che Pelasgo ha fornito fino in fondo una propria identificazione al coro, Eschilo impiega l'espressione τἀπ᾽ ἐμοῦ τεκμήρια. Il termine τεκμήριον ha una forte valenza deittica: è la traccia, il segno, la prova, spesso tangibile, che si può concretamente vedere, sentire, mostrare e percepire. Il τεκμήριον in Eschilo può essere l'impronta del piede o il gettone che il soldato mostra per riscuotere la propria razione di cibo: il suo campo semantico appare per lo più legato ad una fruizione empirica del mondo.

Non è questo il criterio su cui fondano la propria rivendicazione di "argività" le fanciulle del coro. La loro dimostrazione si fonda esclusivamente su una ricostruzione genealogica di una storia familiare, che implica un certo grado di astrazione e argomentazione fondata sostanzialmente sulla condivisione di informazioni tra le due parti (Pelasgo riconosce che quanto viene detto dalla corifea coincide con quello che lui conosce della storia di Io) e sulla corretta esecuzione di una genealogia, ossia di una lista di nomi propri di individui percepiti come diacronicamente allineati e legati tra loro da rapporti generativi. Tale discorso ha come esito l'acquisizione di una determinata conoscenza nell'interlocutore (διδαχθεὶς <δ᾽> ἂν τόδ᾽ εἰδείην πλέον...εἰδὼς δ᾽ ἁμὸν ἀρχαῖον γένος) che sollecita una presa di posizione legata alla nozione di espressione di un'opinione personale (δοκεῖτε <μέν> μοι) sulla base della verosimiglianza del discorso, anche contraria all'apparenza immediata dei fatti.

A ben vedere, la correlazione tra queste nozioni mentali e la forma espressiva genealogica non è dissimile a quella incontrata, alla fine del primo capitolo di questo studio, nell'opera di Ecateo di Mileto. Anche nell'opera del genealogista milesio, il discorso genealogico si presentava come strumento tramite il quale discernere tra μῦθοι molteplici e poco credibili, al fine di produrre un discorso (in quel caso, scritto) i cui contenuti potessero sembrare veri all'autore, con una presa di posizione personale espressa tramite il verbo δοκεῖν432.

Questo valore conoscitivo del discorso genealogico non è confinato a questo brano eschileo e al frammento ecataico. Senza uscire dalla produzione di Eschilo, è possibile osservare come il linguaggio genealogico venga impiegato in numerosi casi per esprimere, in maniera metaforica, conoscenze su concetti etici. Il caso più eclatante si trova ai vv. 750-771 dell'Agamennone: παλαίφατος δ᾽ ἐν βροτοῖς γέρων λόγος τέτυκται, μέγαν τελε- σθέντα φωτὸς ὄλβον τεκνοῦσθαι μηδ᾽ ἄπαιδα θνῄσκειν, ἐκ δ᾽ ἀγαθᾶς τύχας γένει 432 Thomas 1989, pp. 183-4. Cfr. Zunino 2015, pp. 26-7.

βλαστάνειν ἀκόρεστον οἰζύν. δίχα δ᾽ ἄλλων μονόφρων εἰ- μί· τὸ δυσσεβὲς γὰρ ἔργον μετὰ μὲν πλείονα τίκτει, σφετέρᾳ δ᾽ εἰκότα γέννᾳ· οἴκων γὰρ εὐθυδίκων καλλίπαις πότμος αἰεί. φιλεῖ δὲ τίκτειν ὕβρις μὲν παλαι- ὰ νεάζουσαν ἐν κακοῖς βροτῶν ὕβριν, τότ᾽ ἢ τόθ᾽ ὅταν τὸ κύριον μόλῃ νεαρὰ φάους κότον δαίμονά τε τὸν ἄμαχον ἀπόλεμον ἀνίερον θράσος, μέλαιναν μελάθροισιν Ἄταν, εἰδομέναν τοκεῦσιν.

A differenza di altre metafore genealogiche presenti in Eschilo, in cui tramite il ricorso al linguaggio genealogico vengono messi in correlazione nozioni etiche sull'associazione mentale "nascita da un genitore = effetto di una causa", quella che si trova nel secondo stasimo dell'Agamennone presenta un tratto di particolare rilievo: la presa di posizione ponderata di chi esprime il ragionamento (in questo caso il coro). Come nel brano delle

Supplici, e parzialmente come nel frammento metodologico di Ecateo, il parlante si distacca

da un'interpretazione della realtà fondata sull'auto-evidenza immediata, sia essa dettata dall'apparenza fisica o dal peso sociale della tradizione, per proporre un proprio ragionamento fondato sul criterio del simile che produce il simile. Questo ragionamento ha la pretesa di essere non solo vero, ma soprattutto verosimile433. In termini meyersoniani, si potrebbe

sostenere che tramite il ricorso al discorso genealogico gli Ateniesi del V secolo stessero cercando una soluzione al problema della filiazione tra una successione di fatti434.

Ci si potrebbe dunque domandare se Eschilo non stesse mettendo in scena, tramite questo ricorso a forme espressive genealogiche, gli elementi di una riflessione sul confronto tra pensiero induttivo e pensiero deduttivo435. Da una parte, infatti, il ragionamento induttivo

sembra costituire la forma più tradizionale di elaborazione della realtà: l'osservazione dei singoli casi umani consente di stabilire γνώμαι facilmente condivisibili quali l'affermazione dello φθόνος θεῶν, oppure di stabilire l'identità culturale di un gruppo umano a partire da tratti facilmente connotabili quali il colore della pelle. Il linguaggio del discorso genealogico, al contrario, si presenta come fortemente deduttivo: l'elaborazione del pensiero genealogico

433 Thomas 1989, pp. 175-7. 434 Meyerson 1948, pp. 119-21.

435 Il tema del valore gnoseologico delle metafore genealogiche in Eschilo è stato proposto da Helm 2004. Lo stesso tema trova invece una riflessione di più ampio respiro in Maslov 2013, che si concentra successivamente su Pindaro. Sul più ampio tema del confronto tra pensiero induttivo e pensiero deduttivo in Grecia antica, non basterebbe una pagina intera per proporre una bibliografia completa: mi limito a segnalare lo studio da cui qualsiasi riflessione a riguardo dovrebbe partire, ossia Lloyd 1966, nella speranza di poter presto tornare in maniera più dettagliata sull'argomento.

che dai poemi omerici giunge ad Ecateo sviluppa l'idea che i genitori trasmettono le proprie qualità ai figli, ossia che dal simile nasce il simile. Tale idea trova una sua corroborazione nella realtà umana più semplice (i figli assomigliano ai genitori) e questo attribuisce al ragionamento genealogico verosimiglianza e necessità. A loro volta, la verosimiglianza e la necessità ormai implicate nel ragionamento genealogico permettano di impiegare il linguaggio genealogico per formulare ipotesi (le Danaidi sono argive perché discendono da Io; l'opera empia genera opere altrettanto empie) che risultano condivisibili in virtù delle premessa da cui partono.

La genealogia, dunque, in virtù del criterio di verosimiglianza e necessità che induttivamente le appartengono e tramite l'attribuzione di nomi che le è propria, si configura come gnoseologia tragica e come traduzione perfetta di quell'universale che Aristotele poneva come senso ultimo della poesia tragica.

CONCLUSIONI

Il percorso di questa indagine si trova, inevitabilmente, a dover giungere a delle conclusioni. Lo svolgimento di questa ricerca, e soprattutto la lettura dei vv. 271-327 delle

Supplici condotta nel terzo ed ultimo capitolo, ha confermato l'ipotesi che, sin dalla premessa,

ho cercato di difendere: i discorsi genealogici formano un campo di studi euristicamente fertile che può e deve essere esplorato dagli studiosi di antropologia storica del mondo antico. Credo, tuttavia, che la strategia espositiva adottata nella stesura di questa tesi (storia della forma espressiva, analisi fenomenologica della sua correlazione alle dinamiche dei drammi eschilei, esplorazione ermeneutica di un case study significativo) possa rischiare di sembrare centrifuga e necessiti quindi di un riepilogo che, al contrario, mostri l'organicità interna di questa ricerca. Per iniziare questa operazione finale, dunque, bisogna riprendere il quesito dal quale partiva questa proposta interpretativa: quali sono le funzioni psicologiche del discorso genealogico in Eschilo?

Per affrontare tale domanda, è stato necessario chiarire innanzitutto che cosa si dovesse intendere per discorso genealogico: partendo dunque dalle prime attestazioni letterarie di quello che oggi definiremo una genealogia, ho cercato di mostrare lo sviluppo di una forma espressiva cui naturalmente seguiva lo sviluppo e l'intreccio di molteplici forme di pensiero. La convinzione metodologica, resa ancora più forte dai risultati ottenuti da questa ricerca, rimane quella espressa in apertura del primo capitolo: non si dà comprensione dei fenomeni se non attraverso la comprensione della loro storia. Nel caso specifico dei discorsi genealogici in Eschilo, sarebbe stato impossibile proporre una lettura storico-antropologica del materiale senza tenere anche in considerazione almeno tre secoli di produzione letteraria e intellettuale precedenti al tragediografo. Naturalmente, delineare una storia della forma espressiva genealogica dalle suo origini all'alba del quinto secolo è un compito che di per sé potrebbe costituire l'oggetto di un'indagine altrettanto se non più estesa di quella che ho voluto proporre in questa sede. Per non deviare dunque dal campo d'indagine scelto, col rischio di perdere di vista lo scopo e l'organicità di questa ricerca, è stato inevitabile analizzare solamente i casi che ho ritenuto essere più significativi, nella speranza di poter tornare, in altra sede, ad una storia più sistematica delle forme espressive della genealogia nella grecità arcaica. Sulla scorta di quanto ho osservato, credo fermamente che uno studio di questo genere gioverebbe al panorama degli studi storico-antropologici sullo sviluppo delle forme di pensiero in Grecia antica. La presenza costante di forme espressive riconducibili alla genealogia in contesti

storico-culturali diversificati dimostra una vivacità di significati polisemica la cui diacronia merita di essere studiata.

Ad ogni modo, la necessaria premessa a tale operazione si è trovata inevitabilmente nei poemi omerici, e soprattutto nell'Iliade, che presenta una notevole quantità di genealogie e il modello, in un certo senso, di ciò che ho voluto intendere con l'espressione "discorso genealogico". Come è stato possibile dimostrare, le genealogie iliadiche si presentano tendenzialmente all'interno di un dialogo diretto, normalmente tra due eroi, e sono marcatamente funzionalizzate ad asseverare lo status del parlante. Presentano dunque i due requisiti che ritengo essere fondamentali per differenziare un discorso genealogico da un dato genealogico: elaborazione narrativa (sono, anche nella loro forma più elementare, un racconto) e pragmaticità sociale (servono ad uno scopo correlato ad una determinata interazione sociali).

Tramite il racconto genealogico, il guerriero omerico si presenta al proprio avversario e conferma la propria appartenenza al gruppo di ἀριστῆες: egli detiene la conoscenza e la memoria della propria storia familiare, privilegio della classe dominante, e mostra di saperla correttamente utilizzare. Il discorso genealogico, dunque, forma la risposta immediata alla domanda identificativa "τίς σύ ἐσσι;": chi sei? Già nell'Iliade si può registrare quindi una funzione nettamente identitaria del discorso genealogico, che si distingue per il suo carattere prevalentemente inclusivo. Nella costruzione identitaria che il discorso genealogico omerico fornisce, infatti, l'accento risiede non tanto sulla distinzione operata dall'appartenenza ai diversi γένη, ma sull'appartenenza al medesimo piano sociale, quello degli ἀριστῆες, che il semplice possesso di una genealogia garantisce. In quanto membri di un γένος, tramite filiazione, dotato di κλέος, i guerrieri omerici possono accedere ad un piano di interazione sociale tra pari. Penso in particolare al caso di Diomede nel XIV libro e di Enea nel XX. Nel primo caso l'eroe greco impiega il discorso genealogico per abilitarsi a parlare in consiglio davanti ad Agamennone, Odisseo e Nestore, nonostante sia molto più giovane. Nel secondo caso, invece, l'eroe troiano sfoggia il proprio articolatissimo discorso genealogico per vanificare i tentativi di Achille di schernirlo e intimarlo a ritirarsi dallo scontro armato.

È significativo che una simile funzione inglobante sia, in un certo senso, riscontrabile nell'uso di identificativi genealogici di tipo patronimico presenti nel catalogo degli eroi dei

Sette contro Tebe, la tragedia eschilea più manifestamente influenzata dalla tradizione epico-

eroica. Come ho discusso nella relativa sezione del capitolo dedicato all'analisi del patronimico in Eschilo, l'indicazione genealogica di filiazione da un padre è associata ad una rappresentazione dei personaggi extra-scenici evocati come dotati delle τιμαί proprie degli

ἀριστῆες. Nella sua minimalità, l'accorgimento serve a inglobare i difensori di Tebe, assieme al virtuoso indovino Anfiarao, in una categoria positiva che richiama la figura dell'ἀριστεύς dell'ideologia eroica. Nella tragedia, tuttavia, si trova rispetto al testo epico uno sviluppo nuovo di tale ragionamento genealogico: correlata alla funzione sociale inclusiva espressa dall'impiego del patronimico si trova una funzione rappresentativa più marcatamente oppositiva, che discerne appunto gli ἀριστῆες tebani dotati di genealogia dagli invasori argivi, connotati in maniera nettamente ubristica e privi di patronimico.

Se è vero che i discorsi genealogici iliadici si presentano in primo luogo come strumenti inclusivi impiegati per accedere ad una medesima categoria sociale, è anche vero che l'accesso a tale categoria non è privo di strategie e dinamiche interne tese a corroborare la propria appartenenza a tale categoria, delegittimare quella del proprio avversario o applicare diversi livelli qualitativi di appartenenza alla categoria socialmente gerarchizzati. Come hanno mostrato i casi di Achille ed Enea nel XX libro e di Achille ed Asteropeo nel XXI, le genealogie possono esprimere anche differenze: benché entrambi i guerrieri possano professare l'appartenenza ad un γένος degno di κλέος, lo statuto degli antenati (soprattutto dei capostipiti) e la estensione della continuità dinastica creano rapporti di potere all'interno della stessa categoria di ἀριστῆες. In questo senso, i discorsi genealogici iliadici si presentano come degli agoni verbali che spesso preludono all'agone bellico sostenuto in carne ed ossa e che talvolta addirittura sostituiscono lo scontro: quest'ultimo è il caso della coppia di discorsi genealogici di Glauco e Diomede nel VI libro iliadico.

Anche in questo caso, si trova un interessante parallelo nella produzione eschilea. La lunga scena genealogica delle Supplici analizzata nel terzo capitolo di questa ricerca presenta, con le ovvie differenze dovute ai diversi contesti storico-culturali di produzione, alcuni tratti analoghi agli agoni genealogici epici. Il problema in questione è l'appartenenza o meno al medesimo gruppo sociale, precedentemente definito da Pelasgo: egli è argivo e lo è in virtù della sua discendenza dalla stessa terra. Il coro, per convincere il sovrano della legittimità della propria rivendicazione di essere argive, adopera a sua volta il linguaggio genealogico sfoggiando strategie non dissimili da quelle impiegate dai guerrieri omerici. Rispetto alle tre generazioni della genealogia di Pelasgo, rispondono con una genealogia di origine argiva che vanta una continuità generazionale lunga il doppio e non mancano di demarcare lo statuto assolutamente privilegiato dei capostipiti del γένος: da una parte la sacerdotessa di Era Io, dall'altra lo stesso sovrano degli dèi, Zeus.

Infine, i discorsi genealogici omerici presentano due ultime caratteristiche degne di nota. In primo luogo, il dato genealogico sembra essere totalmente fluido e regolato dalla

contingenza: il racconto genealogico non si presenta dunque come particolarmente ontologizzato, ma presuppone una visione particolarmente fluida della memoria sociale il cui scopo principale è legato al presente del parlante piuttosto che al passato di coloro che compongono il racconto. È il caso di Diomede, che nel discorso genealogico del VI libro dichiara di ricordare poco del padre Tideo, mentre nel XIV mostra di possedere una memoria più definita del padre. La spiegazione di tale apparente incongruenza si coglie nelle diverse finalità dei due discorsi genealogici: nel VI libro Diomede è interessato a dichiarare i rapporti di ξενία ereditaria che intrattiene con Glauco in virtù della loro discendenza dai rispettivi nonni paterni Oineo e Bellerofonte, mentre nel XIV l'eroe ha come scopo primario quello di dimostrare la propria filiazione da un padre ἀριστεύς.

Inoltre, tutti i discorsi genealogici omerici si collocano su un piano metanarrativo che, tramite la menzione di coordinate geografiche, nomi leggendari e accenni di imprese, consente di osservare una conoscenza sul passato leggendario greco che esula dalla trama specifica del racconto.

Anche queste ultime due caratteristiche sono ravvisabili nell'opera eschilea: nel secondo capitolo è stato possibile dimostrare come il patronimico si trovi spesso associato ad una rete semiotica di immagini poetiche che riconducono in maniera abbastanza coerente ad un determinato piano metanarrativo di tipo leggendario. La conclusione che si potrebbe trarre da questa osservazione è che anche il semplice patronimico, in quanto forma elementare del discorso genealogico, opera a livello mentale sull'autore e sul pubblico evocando immagini mitiche riconducibili a racconti leggendari di cui i riferenti dei patronimici sono protagonisti. Questo a sua volta permette di vedere nel discorso genealogico uno spazio privilegiato in cui indagare la competenza leggendaria del gruppo sociale reale che produce la singola forma espressiva genealogica e crea l'occasione per un'analisi della stratificazione diacronica delle immagini associate al singolo nucleo leggendario evocato.

Per quanto riguarda la fluidità della memoria sociale e genealogica attestata nei poemi omerici, e la pressocché totale funzionalizzazione del passato rispetto ad una situazione di interazione sociale cogente, qualcosa di simile si è potuto osservare nell'uso degli identificativi patronimici impiegati nei confronti di Agamennone nell'Orestea. Per tutta le sezione dell'Agamennone che prelude all'uccisione del sovrano, il re viene identificato come "Atride", preparando così il campo alla spiegazione dietro la vendetta di Egisto. In seguito all'uccisione, nel tentativo di giustificare il proprio operato di fronte al coro, Clitemestra impiega il patronimico "Tantalide" per sottolineare l'antichità e la continuità delle violenze propria del γένος. Infine nelle Coefore, Oreste impiega il patronimico "Pelopide" in

riferimento al padre e così facendo pone la figura del padre sotto la sfera connotativa positiva di cui questo membro del γένος gode nella trattazione riservatagli da Eschilo e, più in generale, a livello cultuale fuori dalla realtà drammatica.

Tuttavia, questa marcata funzionalizzazione del passato genealogico nei confronti delle interazioni sociali presenti è un aspetto che appare comunque relativamente isolato nelle opere eschilee, nelle quali il dato genealogico tende ad essere abbastanza coerente e definito, al punto da agire, anzi, nella maggioranza dei casi come costante nella rappresentazione del personaggio tragico. Credo che questa differenza rispetto ai discorsi genealogici omerici sia da attribuire prevalentemente alle novità di pensiero apportate alla forma espressiva dal suo sviluppo successivo alla sedimentazione del "testo" omerico.

Infatti, attraverso una più breve analisi dell'opera esiodea e delle figure dei primi genealogisti in prosa, tra cui Ecateo di Mileto, è stato possibile vedere come la forma espressiva già presente nei poemi omerici si sia sviluppata in un modo di rappresentare la realtà, il cosiddetto genealogical thinking individuato da Robert Fowler436, a cui si associa una

sempre maggiore esigenza di razionalizzazione del divenire. La forma espressiva genealogica subisce una notevole risemantizzazione e diventa operazione intellettuale attraverso la quale asseverare una verità e costruire non solo una rete di immagini leggendarie o rapporti sociali, ma anche e soprattutto modelli di rappresentazioni della realtà. Cresce inoltre in maniera esponenziale l'interesse nei confronti della genealogia come operazione intellettuale e forma