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Il rapporto genealogico padre-figlio più menzionato nel testo di questa tragedia è quello che concerne Serse e Dario. Tuttavia, non è il patronimico a svolgere il ruolo principale di identificatore sulla scena del sovrano sconfitto. Nella tragedia, al contrario, a prevalere come elemento identificativo verbale per Serse, è il semplice utilizzo del nome proprio o di titoli

178 Su questo argomento, Arrighetti 1991.

179 L'importanza del nome nella costruzione dell'identità di un individuo, e ancor prima nella formazione diacronica del concetto stesso di persona, era già stata sottolineata da Meyerson 1948, pp. 141-3 (cfr. anche pp. 38-9 e p. 129). Più recentemente, è molto utile Faraguna 2014, in cui viene sottolineata l'importanza del problema dell'identificazione degli individui, soprattutto in ambito giuridico, in Grecia antica (pp. 165-8). Nello stesso volume in cui è pubblicato lo studio di Faraguna, è molto utile anche l'introduzione dei curatori Mark Depauw e Sandra Coussement, da cui traggo la nozione di identifier, che ho liberamente reso in italiano con il termine "identificativo". Come posto dai due studiosi: "identifiers do not only express individuality, but also establish connectedness and through this ambivalence they are archetypical markers of identity" (Depauw - Coussement 2014, p. 3). È questa nozione di connectedness espressa tramite il nome secondo il pensiero genealogico greco che maggiormente interessa questo studio dei patronimici nelle tragedie di Eschilo.

180 Sulla natura e formazione dei patronimici greci Morpugo Davies 1968, Dobias-Lalou - Dubois 1990, Keurentjes 1997, Morpugo Davies 1999, Morpugo Davies 2000 e Masson 2000, pp. 225-9.

affermanti il suo status regale (quali ἄναξ o βασιλεύς). Serse appare dunque più frequentemente in quanto Serse, non in quanto figlio di Dario. Ciò nonostante, credo che la denotazione genealogica del grande protagonista assente sia sintomatica di una precisa connotazione del personaggio da parte dell'autore. Essa infatti si trova in punti di particolare rilievo per la raffigurazione in absentia di questo personaggio che per oltre 900 versi non compare sulla scena. La prima indicazione della filialità di Serse nei confronti di Dario si trova infatti in apertura del dramma nei versi iniziali della parodo. Il coro, entrando in scena, dichiara la propria identità e funzione e dirige subito l'attenzione del pubblico sul sovrano e la sua impresa bellica181:

τάδε μὲν Περσῶν τῶν οἰχομένων Ἑλλάδ᾽ ἐς αἶαν πιστὰ καλεῖται, καὶ τῶν ἀφνεῶν καὶ πολυχρύσων ἑδράνων φύλακες κατὰ πρεσβείαν οὓς αὐτὸς ἄναξ Ξέρξης βασιλεὺς Δαρειογενὴς εἵλετο χώρας ἐφορεύειν

Noi qui dei Persiani partiti

per la terra d'Ellade siamo chiamati i fedeli, e dei ricchi e molto dorati

seggi i custodi, i quali in virtù

dell'anzianità lo stesso signore re Serse nato da Dario

scelse per vegliare sulla regione

La presentazione del personaggio avviene tramite tre elementi nominali: i primi due sottolineano la regalità del personaggio182, mentre la terza lo colloca sin dall'inizio della

tragedia in rapporto con il defunto padre Dario. L'aggettivo, Δαρειογενὴς, è un hapax e si presenta come insolito rispetto ai modi più tipici di formazione di patronimici. La sua particolarità era stata notata sin dall'antichità, come testimoniano gli autori degli scoli che, pur essendo l'aggettivo di immediata comprensione, hanno sentito il bisogno di glossare l'aggettivo con il tautologico Δαρείου υἱός183. Lo stesso aggettivo si ritrova, con medesima

posizione metrica, in chiusura della parodo184:

πῶς ἄρα πράσσει Ξέρξης βασιλεὺς Δαρειογενής;

πότερον τόξου ῥῦμα τὸ νικῶν, ἢ δορυκράνου

λόγχης ἰσχὺς κεκράτηκεν;

Come si trova dunque il re Serse nato da Dario?

È vittorioso il tiro dell'arco oppure la forza

dell'asta dalla punta acuta ha prevalso?

A distanza di 141 versi, la stessa indicazione genealogica viene usata per nominare il personaggio di Serse. Nelle due posizioni più marcate delle parodo (l'ingresso del coro e la fine della marcia) il tragediografo sottolinea il rapporto che lega Serse al padre. Nel farlo, Eschilo adopera anche uno strumento linguistico marcato che se, da una parte, sembra essere

181 Aesch. Pers. 1-7. Il testo riprodotto è quello di A. F. Garvie (Garvie 2009). 182 Cfr. Hall 1996, p. 107.

183 Glossa che è poi entrata a testo in diversi manoscritti della tradizione, secondo la maggior parte degli interpreti. Si veda a riguardo Garvie 2009, p. 51 e pp. 94-5.

necessario per motivi metrici, appare invece dall'altra essere una scelta ben ponderata dell'autore. Gli aggettivi composti con suffisso in -γενής sembrano essere una sperimentazione linguistica tipicamente eschilea. Senza entrare in ulteriori dettagli, una rapida ricerca lessicale mostra che gli aggettivi con questo tipo di formazione hanno una scarsa tradizione letteraria antecedente ad Eschilo185. Tuttavia, un antecedente importante sembra

imporsi come possibile modello di Δαρειογενής: si tratta di uno degli epiteti più genealogicamente rilevanti della produzione epica, Διογενής, che ricorre ben 46 volte nei poemi omerici. Naturalmente, è difficile stabilire se la parola eschilea potesse in qualche modo rievocare nella coscienza del pubblico ateniese la parola epica, a maggior ragione dal momento che, nella stessa parodo, Eschilo utilizza la stessa modalità di formazione aggettivale altre tre volte con connotazioni più geografiche che propriamente genealogiche186.

Ciò nonostante, la suggestione rimane, rinforzata dal testo al v. 80, nel quale il coro denota Serse come χρυσογόνου γενεᾶς ἰσόθεος φώς.

Ipotizzando dunque che l'insolito patronimico eschileo richiamasse l'epiteto tradizionale riservato ai discendenti del dio dei Greci per antonomasia, bisognerebbe concludere che, piuttosto che Serse, dovrebbe essere Dario a subire una sorte di deificazione nella finzione scenica. Curiosamente, questo è esattamente quanto accade. Poco dopo la seconda occorrenza del patronimico in esame, è sempre il coro a fornire questa informazione. Commentando l'entrata in scena di Atossa, il coro si esprime con queste parole187:

ὦ βαθυζώνων ἄνασσα Περσίδων ὑπερτάτη, μῆτερ ἡ Ξέρξου γεραιά, χαῖρε, Δαρείου γύναι· θεοῦ μὲν εὐνάτειρα Περσῶν, θεοῦ δὲ καὶ μήτηρ ἔφυς, εἴ τι μὴ δαίμων παλαιὸς νῦν μεθέστηκε στρατῷ.

O signora suprema delle Persiane dalla cinta profonda,

madre anziana di Serse, salve, donna di Dario:

del dio dei Persiani compagna di letto, del dio anche madre per natura,

se l'antico spirito non è mutato ora per l'esercito.

La regina, come Serse del resto, viene subito identificata tramite le sue coordinate genealogiche, che fanno di lei la madre di Serse e la moglie di Dario (v. 156). Il prestigio della sua posizione viene esponenzialmente aumentato nel verso successivo: già compagna di letto del dio dei Persiani, lei è anche per natura madre del dio, purché Serse confermi questo suo

185 I risultati più significativi, oltre al caso di Διογενής che sta per essere preso in considerazione, sono παλαιγενής, che ricorre 3 volte in Omero (Il. III 386, XVII 561 e Od. XXII 395) e 3 volte negli Inni (II 101, II 113, IV 199), εὐγενής, che ricorre una sola volta negli Inni (V 94), e μονογενής, che ricorre 3 volte in Esiodo (Theog. 426, 448 e Op. 376).

186 Ἀσιατογενής al v. 12, Αἰγυπτογενής al v. 35 ed ἠπειρογενές al v. 42. 187 Aesch. Pers. 155-8.

statuto divino con una vittoria militare188. Da questa dichiarazione traspare un messaggio

chiaro: se Serse non dovesse essere vittorioso contro i greci, perderebbe anche il suo diritto alla deificazione189. Atossa, pur perdendo il suo statuto di madre del dio, rimarrebbe

comunque compagna del dio. Per tutta l'opera infatti non viene mai messa in discussione la deificazione di Dario, che anzi viene a più riprese trattato od esplicitamente nominato come dio190. Serse invece, in seguito all'annuncio della sconfitta persiana, non riceverà più

l'equiparazione agli dèi riscontrata nella parodo.

Questa tragedia straordinaria, nel senso etimologico del termine, offre, nell'unicità del suo genere, una molteplicità di letture. La più tradizionale è naturalmente quella che analizza la rappresentazione nel dramma dell'opposizione occidente/oriente o meglio, in ottica ateniese, l'opposizione noi/altri. Tuttavia, come è già stato ampiamente dimostrato, l'opera si presta anche ad una lettura che veda nell'opposizione padre/figlio il nucleo tragico centrale191. Se

infatti il movente tragico, tutto extra-scenico, del dramma è la battaglia di Salamina, dove l'opposizione storica è veramente quella tra Greci e Persiani, l'elemento tragico capace di suscitare φόβος ed ἔλεος all'interno del dramma è da cercare altrove, nella dimensione più intimamente familiare della tragedia. Questo, almeno, è quanto sembra suggerire Aristotele quando, ponendosi il problema di cosa debba essere rappresentato dal poeta tragico, dice192:

ἂν μὲν οὖν ἐχθρὸς ἐχθρόν, οὐδὲν ἐλεεινὸν οὔτε ποιῶν οὔτε μέλλων, πλὴν κατ᾽ αὐτὸ τὸ πάθος· οὐδ᾽ ἂν μηδετέρως ἔχοντες· ὅταν δ᾽ ἐν ταῖς φιλίαις ἐγγένηται τὰ πάθη, οἷον ἢ ἀδελφὸς ἀδελφὸν ἢ υἱὸς πατέρα ἢ μήτηρ υἱὸν ἢ υἱὸς μητέρα ἀποκτείνῃ ἢ μέλλῃ ἢ τι ἄλλο τοιοῦτον δρᾷ, ταῦτα ζητητέον.

Quando dunque si tratta del nemico [sc. contro] il nemico, non vi è niente di compassionevole né nelle fare né nel stare per fare, eccetto l'accadimento in sé; e nemmeno quando si tratta di due persone indifferenti tra di loro. Quando invece questi accadimenti avvengono tra cari, quali un fratello che uccide o sta per uccidere o compie qualcos'altro di simile contro un fratello, un figlio contro un padre, una madre contro un figlio o un figlio contro una madre, queste sono le cose che vanno cercate.

Certo, nei Persiani non si assiste ad un'azione violenta tra congiunti. Questo tema, che percorre tutte le altre tragedie eschilee, sembra essere assente da questo insolito dramma. Tuttavia, il rapporto genealogico tra Dario e Serse, espresso sin dall'inizio del dramma e più volte ripetuto, congiuntamente a quanto si è detto sulle nozioni operanti dietro il discorso

188 Cfr. Hall 1996, p. 121.

189 Per Garvie 2009, pp. 99-100 l'opposizione è più tra lo statuto di morto e quello di vivente (essendo Serse ancora vivo, può essere solo potenzialmente equiparato ad un dio), ma lo stesso studioso indica, a p. 76 in relazione al v. 80, che questo tipo di spiegazione (la più accreditata tra la critica più recente) non è tuttavia soddisfacente: di Dario verrà infatti detto al v. 711 che era come un dio quando era vivo.

190 Si veda Aesch. Pers. 643, 651 e 711.

191 In quest'ottica l'interpretazione di Paduano 1978, pp. 85-103. 192 Arist. Poet. 1453b 17-22.

genealogico, aiuta a capire i termini di un confronto tra i due personaggi che, con il suo esito negativo, determina i limiti della crisi rappresentata nella tragedia.

Per tutta la durata del dramma, Dario viene rappresentato, in maniera assolutamente astorica, come sovrano positivo, accrescitore di ricchezze e garante della pace, privo di onta e soprattutto mai sconfitto. La sua totale deificazione non è che una conseguenza di queste sue virtù. Serse, come si è visto, viene presentato al pubblico della tragedia come suo figlio. Non sorprende dunque che, prima dell'annuncio della sconfitta, egli riceva dal coro l'epiteto di ἰσόθεος. In quanto figlio, egli naturalmente partecipa delle qualità del padre, o almeno così dovrebbe fare secondo un'ottica genealogica tutta greca profondamente influenzata dal modello epico ed eroico. Anche dopo l'annuncio della sconfitta il personaggio di Atossa si fa portavoce di questa identificazione genealogica dei due personaggi, al punto di poter chiamare Dario semplicemente "il padre del figlio"193:

τοιγὰρ κέλευθον τήνδ᾽ ἄνευ τ᾽ ὀχημάτων χλιδῆς τε τῆς πάροιθεν ἐκ δόμων πάλιν ἔστειλα, παιδὸς πατρὶ πρευμενεῖς χοάς φέρουσ᾽, [...]

Per questo dunque questo viaggio senza carri e lo sfarzo di prima dal palazzo ho fatto a ritroso, portando libagioni proprizie al padre del figlio, [...]

È proprio nello stasimo e nell'episodio che seguono, tuttavia, che questa identificazione genealogica viene messa in discussione e, in ultima istanza, rotta lasciando uno squilibrio irrimediabilmente negativo nei confronti di Serse. Per tutto lo stasimo, il coro ribadisce il carattere divino e positivo del defunto sovrano e le sue qualità vengono elencate soprattutto in negativo194: πέμπετε δ᾽ ἄνω οἷον οὔπω Περσὶς αἶ᾽ ἐκάλυψεν. οὔτε γὰρ ἄνδρας πώποτ᾽ ἀπώλλυ πολεμορφθόροισιν ἄταις. Mandate su uno quale mai

la terra persiana ricoprì.

Né mai una volta infatti mandò in rovina uomini

con accecamenti di funesta guerra

Naturalmente il termine di paragone è rappresentato da Serse. Nello stasimo precedente infatti il coro, commentando la notizia della disfatta, aveva commentato così195:

Ξέρξης μὲν ἄγαγεν, ποποῖ, Ξέρξης δ᾽ ἀπώλεσεν, τοτοῖ, Ξέρξης δὲ πάντ᾽ ἐπέσπε δυσφρόνως βαρίδεσσι ποντίαις. τίπτε Δαρεῖος μὲν οὕτω τότ᾽ ἀβλαβὴς ἐπῆν τόξαρχος πολιήταις Σουσίδος φίλος ἄκτωρ;

Serse condusse, popòi Serse distrusse, totòi,

Serse incalzò del tutto forsennatamente con zattere marine.

Perché mai Dario allora così privo di danno era, capo arciere dei cittadini

il sovrano caro di Susa?

193 Aesch. Pers. 607-10. 194 Aesch. Pers. 644-6 e 653-4. 195 Aesch. Pers. 550-57.

Come si può vedere, il confronto tra i due è sottolineato esplicitamente dal coro. Ciò che causa angoscia, in quest'ultimo brano, è la incredulità di fronte alla constatazione che Dario avesse potuto regnare, un tempo, senza subire danni. Questo ricordo è incompatibile con lo scempio generato dalla tracotanza di Serse. Come può un figlio del genere essere nato da un tale padre?

A differenza degli altri personaggi eschilei che perpetuano nell'errore le qualità negative del padre, rispettando con ironia tragica le regole della rappresentazione genealogica, Serse si configura come personaggio tragico proprio per l'esatto contrario, ossia per la sua incapacità di perpetuare il modello qualitativo del padre ipoteticamente garantito dal legame genealogico. Il vero nucleo tematico della tragedia sarebbe dunque da leggere nella crisi familiare scatenata da questa rottura di cui Serse appare come involontario artefice e alla quale il coro prende parte unendosi alla concettualizzazione genealogica della famiglia reale196. Questa idea riceve una sua formulazione specifica in uno degli interventi del

fantasma di Dario, che formula una specie di breve storia genealogica della successione al trono di Susa197: Μῆδος γὰρ ἦν ὁ πρῶτος ἡγεμὼν στρατοῦ, ἄλλος δ᾽ ἐκείνου παῖς τόδ᾽ ἔργον ἤνυσεν· τρίτος δ᾽ ἀπ᾽ αὐτοῦ Κῦρος, εὐδαίμων ἀνήρ, ἄρξας ἔθηκε πᾶσιν εἰρήνην φίλοις, φρένες γὰρ αὐτοῦ θυμὸν ᾠακοστρόφουν· [...] Κύρου δὲ παῖς τέταρτος ηὔθυνε στρατόν.

Un Medo infatti era il primo condottiero dell'esercito e un altro figlio di quello portò a termine quest'impresa: e per terzo da se stesso Ciro, uomo felice,

avendo preso il potere fornì pace a tutti i suoi cari, infatti i pensieri guidavano come un timone il suo animo:

e il figlio di Ciro per quarto guidò l'esercito.

In questo punto del dramma più che in qualunque altro si comprende, a mio avviso, la tragicità del fallimento di Serse198. Questo catalogo regale semi-genealogico è collocato dal

poeta in una posizione abbastanza importante a livello di svolgimento del dramma: dopo aver identificato, grazie ad Atossa, le cause che spinsero Serse a compiere l'atroce empietà e prima di indicare, in qualità di morto, la via preferibile da seguire. Non è verosimile pensare che il catalogo sia dettato da un puro desiderio di erudizione, dal momento che, come si è visto, Eschilo non sembra minimamente interessato a riprodurre un'immagine storicamente credibile dei personaggi. Bisognerà allora cercare altrove il senso del brano, e credo che la soluzione più immediata si trovi nella struttura che vi soggiace. L'elenco inizia con un anonimo Medo, cui viene attribuito il pregio di essere stato il primo a essere condottiero dell'esercito. Di suo figlio, altrettanto anonimo, viene semplicemente detto che portò a compimento l'opera del

196 Paduano 1978, p. 96. 197 Aesch. Pers. 765-73. 198 Paduano 1978, pp. 102-3.

padre. Il terzo re ad essere menzionato, senza continuità genealogica esplicita con il figlio del Medo, è Ciro, che Dario ricopre di elogi. Ancor più del Medo il regno di costui è caratterizzato da tratti positivi. Anche di Ciro viene nominato, come quarto re, il figlio, di cui viene semplicemente detto che tenne dritto l'esercito. Lo stesso modello generazionale visto per i primi due sovrani achemenidi viene dunque riproposto.

Segue una breve parentesi sull'usurpatore Mardo, meglio noto come lo pseudo-Smerdis, e sulla sua destituzione ad opera di una congiura guidata da Artaferne e di cui lo stesso Dario faceva parte: il suo regno è naturalmente connotato come negativo e vergognoso. Il pubblico viene dunque a sapere che Dario ottenne, come sesto re, il potere sui persiani199:

κἀγὼ· πάλου δ᾽ ἔκυρσα τοῦπερ ἤθελον. κἀπεστράτευσα πολλὰ σὺν πολλῷ στρατῷ, αλλ᾽ οὐ κακὸν τοσόνδε προσέβαλον πόλῃ. Ξέρξης δ᾽ ἐμὸς παῖς νέος ἐὼν νέα φρονεῖ, κοὐ μνημονεύει τὰς ἐμὰς ἐπιστολάς. εὖ γὰρ σαφῶς τόδ᾽ ἴστ᾽, ἐμοὶ ξυνήλικες, ἅπαντες ἡμεῖς, οἳ κράτη τάδ᾽ ἔσχομεν, οὐκ ἂν φανεῖμεν πήματ᾽ ἔρξαντες τόσα.

Ed anch'io: ottenni la sorte che davvero volevo. E feci molte spedizioni con grandi eserciti, ma non gettai un male così grande alla città. Mio figlio Serse, essendo giovane, pensa cose nuove,

e non tiene a mente le mie raccomandazioni. Sappiate ben chiaramente questo, miei coetanei, tutti quanti noi, che tenemmo questo potere

non saremo mai considerati autori di un danno tanto grande.

Riprendendo il modello usato per i primi quattro sovrani, Dario definisce, per opposizione, il rapporto di non-continuità che si è instaurato tra il suo regno e quello del figlio. Di se stesso viene detto che intraprese sì molte spedizioni militari, ma che non procurò (di nuovo una caratterizzazione di Dario in negativo) un male tanto grande alla città. Serse invece, al contrario dei suoi predecessori figli di grandi sovrani, non ha saputo continuare l'opera del padre. La sua colpa più grande pare essere proprio quella annunciata ai vv. 782-3: egli non seguendo i consigli del padre ebbe pensieri nuovi, dettati dalla giovane età. Interrompendo il modello genealogico che vede nei figli dei grandi sovrani i prosecutori della loro opera, Serse si configura come fautore di catastrofi che tutti i re precedenti messi insieme non avrebbero saputo compiere200. Accecato dalla propria ὕβρις, Serse non raccoglie l'eredità del padre, ed è

questo che provoca maggior turbamento in Dario201:

[...] πῶς τάδ᾽ οὐ νόσος φρενῶν

εἶχε παῖδ᾽ ἐμόν; δέδοικα μὴ πολὺς πλούτου πόνος

οὑμὸς ἀνθρώποις γένηται τοῦ φθάσαντος ἁρπαγή.

Come non fu dunque una malattia dei pensieri a tenere mio figlio? Temo che la grande fatica della mia

ricchezza diventi bottino del primo arrivato fra gli uomini.

199 Aesch. Pers. 779-85.

200 Anche Garvie 2009, pp. 274-5 e pp. 305-6 è d'accordo sul fatto che sia questa la funzione drammatica del catalogo, e sottolinea in queste pagine come il confronto tra i due sovrani fosse stato posto al pubblico sin dal primo stasimo.

Serse non agisce correttamente il proprio ruolo genealogico nei confronti di Dario, e sembra essere questo uno dei temi portanti della rappresentazione. Lo stasimo che segue l'episodio di Dario non è altro che una nostalgica esaltazione del regno del defunto sovrano seguita da un'amara conclusione che prelude all'entrata in scena finale di Serse202:

νῦν δ᾽ οὐκ ἀμφιλόγως θεότρεπτα τάδ᾽ αὖ φέρομεν πολέμοισι,

δμαθέντες μεγάλως πλαγαῖσι ποντίαισιν.

Ma ora sopportiamo con parole non ambigue questi divini stravolgimenti nelle guerre, domati enormemente dai colpi marini.

Ad essere evidenziato dunque è il mutamento rispetto alla situazione precedente. In questo senso credo che il rapporto padre-figlio sottolineato sin dai primi versi della tragedia ed espresso a più riprese tramite l'utilizzo del linguaggio genealogico, costituisca uno dei possibili punti di lettura dell'opera. Il dato oggettivo della sconfitta dell'esercito persiano a Salamina viene vissuto in un'ottica che si potrebbe definire familiare e che calca, tramite il confronto con la figura del padre, l'inadempienza di Serse rispetto al suo statuto genealogico. Confrontato con l'accusa di aver mietuto la gioventù persiana, la prima cosa che Serse risponderà sarà proprio: ὅδ᾽ ἐγὼν οἰοῖ αἰακτός· / μέλεος γέννᾳ γᾷ τε πατρῴᾳ / κακὸν ἄρ᾽ ἐγενόμαν203.

Il coro e Dario

Oltre al rapporto padre-figlio predominante, la tragedia presenta altre brevi menzioni genealogiche elementari interessanti. Una di queste è sicuramente il rapporto di filialità che il coro dichiara nei confronti del re defunto. Questa menzione si ritrova nello stasimo che accompagna la preparazione del rituale necromantico necessario per evocare Dario e costituisce un refrain che si trova ripetuto alla fine della terza strofe e della relativa antistrofe204:

βάσκε πάτερ ἄκακε Δαριάν· οἴ· Vieni Dario, padre privo di mali: ohi!

L'indicazione genealogica fornita dal coro dei vecchi assume naturalmente un valore metaforico: nessuno può mettere in dubbio il fatto che il coro sia composto da persone che, in termini assoluti, occupano lo stesso piano generazionale del defunto Dario. I suoi membri sono infatti i vecchi fedeli, a più riprese connotati come coetanei di Dario. Come si è visto, sono loro ad attuare maggiormente il confronto sistematico tra l'operato di Dario e quello di

202 Aesch. Pers. 905-6. 203 Aesch. Pers. 931-3. 204 Aesch. Pers. 663 = 671.

suo figlio, con tragica nostalgia per il passato cui hanno un tempo assistito. Nella stessa antistrofe in cui si trova questo refrain sono loro stessi a sottolineare che la loro gioventù è ormai svanita rovinosamente (νεολαία γὰρ ἤ-/δη κατὰ πᾶσ᾽ ὄλωλεν205).

Il testo, credo, può essere interpretato in due modi, entrambi legati ad una prospettiva ermeneutica interessata ad analizzare la dimensione familiare del dramma. Se, come buona parte della critica206, si ricorre ad una spiegazione etnografica per l'appellativo, per cui the

Greeks may have believed that Persian kings required this form of address207, credo si faccia

un indiscutibile torto all'importanza tematica che la parola πατήρ, e più in generale il lessico familiare, riveste all'interno del dramma. Come ha dimostrato anche Helen Moritz in un suo studio sui refrain corali eschilei, gli elementi lessicali di questi versi ripetuti hanno, oltre ad un'importanza rituale, una rilevanza tematica volutamente cercata dall'autore208. L'utilizzo

dell'espressione πάτερ ἄκακε in questo caso ne è conferma. La connotazione paterna di Dario da parte del coro, infatti, può essere interpretata in due direzioni: da una parte l'uso della parola non sarebbe metaforico ma ricondurrebbe alla reale paternità di Dario nei confronti di Serse. Inserito, in un momento di elevata tensione scenica, all'interno di un confronto sistematico tra la figura idealizzata di Dario quale padre-sovrano modello e quella di Serse quale figlio-tiranno deviante dal coretto svolgimento della continuità genealogica delle qualità del padre, l'uso dell'espressione non sarebbe altro che un ulteriore elemento volto a stigmatizzare il παῖς κακὸν209. Dario è il padre privo di male, sia in senso attivo che in senso

passivo, contrapposto al figlio che di male è sia causa che vittima.

D'altra parte, il passo può essere inteso anche come una dichiarazione simbolica di filialità