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La pianificazione finanziaria: contenuti e prospettive

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

La pianificazione finanziaria è un processo che, negli ultimi anni, sta coinvolgendo sempre più l’interesse delle famiglie a livello mondiale.

Ciò è accaduto grazie alla crisi, la quale ha messo in evidenza importanti criticità, che impediranno alla popolazione di vivere con serenità le proprie scelte di vita future, se non affrontate in modo adeguato; ma anche grazie ai benefici legati all'utilizzo dell'approccio alla pianificazione finanziaria, che riguardano non solo i singoli soggetti interessati, bensì l'intero sistema economico.

Ciò ha suscitato la necessità di creare, a livello internazionale, una normativa ad hoc volta a disciplinare le fasi del processo di pianificazione finanziaria e i soggetti abilitati alla prestazione di tale servizio. Così nasce la norma UNI ISO 22222, recepita nel nostro Paese nel 2010 con apposita specifica tecnica.

L'obiettivo della tesi è quello di sottolineare i vantaggi legati all'utilizzo di tale processo, analizzando nel dettaglio le diverse aree specifiche della pianificazione finanziaria: l’investimento, la previdenza, la protezione, l’indebitamento.

Saranno dettagliate le regole da osservare per costruire un progetto di pianificazione del bilancio familiare, che sia efficiente ed efficace, e verranno messe in luce le difficoltà applicative di ciascun progetto, legate, soprattutto alle componenti psicologiche e comportamentali degli individui.

Dopo aver trattato il tema da un punto di vista teorico, sarà fatto un approfondimento concreto sull'effettivo utilizzo dell'approccio alla pianificazione finanziaria all'interno del nostro Paese: la tesi approfondirà i dati raccolti sulle scelte delle famiglie italiane nelle varie aree specifiche, al fine di sottolineare i punti di forza e i punti di debolezza. Verrà infine trattato il tema dell'educazione finanziaria, sottolineandone la propedeuticità per la diffusione della pianificazione finanziaria.

In tale sede, la tesi valuterà le varie forme d'intervento a supporto del progetto in Italia, realizzate da diverse fonti a livello nazionale, mettendo in luce la rilevanza strategica e i benefici derivanti per il nostro Paese.

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CAPITOLO I

IL PERCORSO VERSO LA PIANIFICAZIONE FINANZIARIA

1.Premessa

La crisi economico-finanziaria che negli ultimi anni sta interessando la popolazione a livello mondiale ha messo in evidenza le dannose conseguenze che inevitabilmente ricadono sulle condizioni di vita delle famiglie: disoccupazione, inflazione, credit

crunch, aumento delle tasse1, eccetera.

Ma, aldilà di ovvie considerazioni, emergenti da ogni crisi che storicamente ci ha coinvolto, questa ultima ha messo in luce un importante fattore, di cui prima non si era mai parlato, in grado di incidere sulla capacità di un soggetto di gestire e superare situazioni di difficoltà.

La crisi, infatti, può essere interpretata come una delle molteplici problematiche a cui un individuo deve trovare soluzione nel corso della propria vita. Esistono molte altre situazioni che portano conseguenze all’interno della sfera finanziaria dell’individuo stesso e della sua famiglia: l’istruzione, l’avviamento al mondo del lavoro, il matrimonio, l’acquisto della prima casa, la nascita e la crescita dei figli, gli imprevisti, la disoccupazione, la malattia, la pensione. Quindi, poiché un soggetto deve necessariamente affrontare e gestire delle scelte di natura finanziaria, egli deve sapersi organizzare efficientemente per poterne ricavare il miglior risultato.

Da qui nasce il concetto della pianificazione finanziaria, che è definibile come quel processo che consente alle persone di analizzare e quantificare i propri bisogni, inclusi quelli della famiglia, verificare i flussi delle entrate e uscite nel tempo, e programmare i risparmi e i consumi per il raggiungimento dei propri obiettivi2.

Un aspetto importante della pianificazione finanziaria è la sua capacità di portare effetti benefici che valgono non solo per il singolo individuo, ma anche per l'economia e la società nel loro insieme.

1 D’Apice Vincenzo e Ferri Giovanni, L’Instabilità Finanziaria: dalla Crisi Asiatica ai Mutui Subprime, Carrocci Editore, Roma, 2009, pag.12-16.

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Infatti, la pianificazione finanziaria può contribuire alla stabilità economica, aiutando i consumatori a scegliere prodotti e servizi adeguati, con conseguente riduzione dei tassi di insolvenza, per esempio nel caso di prestiti e mutui, e risparmi e investimenti maggiormente diversificati e, quindi, più sicuri. In questo modo si possono prevenire, o almeno attenuare, situazioni quali la crisi dei mutui subprime che ha colpito gli Stati Uniti nel 2007 e ha avuto ampie ripercussioni sui mercati finanziari globali.

I cittadini che dispongono delle capacità di scegliere prodotti meno costosi e più adeguati possono contribuire a rendere più efficiente l'industria finanziaria e a migliorare il benessere economico, facendo aumentare la concorrenza, stimolando l'innovazione ed esigendo migliore qualità e diversificazione.

Cittadini a loro agio con gli investimenti possono fornire liquidità aggiuntiva ai mercati dei capitali, che nella UE può essere utilizzata per il finanziamento delle piccole imprese, un elemento essenziale a sostegno della crescita e dell'occupazione.

Dalla pianificazione finanziaria, quindi, si genera un effetto boomerang positivo, che si diffonde in tutta la società.

E' questo il motivo per cui la tendenza spinge verso la diffusione e l’applicazione di questo modello a livello mondiale.

Tale attività, anche se apparentemente può sembrare semplice e scontata, in realtà è molto complessa, come analizzeremo meglio in seguito.

Ciò è dovuto soprattutto a due fattori:

1) L’emotività dell’individuo, che, spesso, prevalendo sulla razionalità, lo conduce verso scelte non corrette o adatte rispetto alla propria situazione di partenza; 2) La mancanza di conoscenza ed esperienza del singolo soggetto nei settori

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2. Le difficoltà ricorrenti nella progettazione e realizzazione di scelte di pia-nificazione finanziaria: la finanza comportamentale

La pianificazione finanziaria conduce verso l’allocazione ottimale delle risorse redditua-li e patrimoniaredditua-li di un soggetto all’interno delle aree tipiche di anaredditua-lisi (finanziaria, assi-curativa, previdenziale). Nonostante i molteplici effetti positivi sopra citati, resta tutta-via ad oggi scarsamente applicata dalle famiglie. Ciò accade perché, sebbene l’uomo sia eccezionalmente abile nello svolgimento delle proprie attività lavorative, quando entra nell’ambiente familiare e deve compiere scelte di pianificazione finanziaria, è influenza-to da dinamiche irrazionali che, spesso, lo conducono verso strade sbagliate. L’emotività delle scelte, quindi, spinge l’individuo a commettere una serie di errori che, data la ri-corsività e la somiglianza, possono essere raggruppati in diverse categorie, a seconda che la scelta da realizzare sia di natura finanziaria, assicurativa o previdenziale.

2.1 Le decisioni di investimento

Gli studiosi classici hanno sempre affermato che, nella realizzazione di scelte d’investi-mento, gli individui fossero assolutamente ed esclusivamente razionali3, fino ad essere

smentiti, a partire dagli anni ’70, dalle evidenze empiriche fornite dagli studi di finanza comportamentale4, i quali riconoscevano la tendenza degli individui ad acquisire ed

ela-borare le informazioni utilizzando regole intuitive e scorciatoie della mente. Tali appros-simazioni permettono di ridurre sia i tempi sia la complessità dei problemi, ma possono, al tempo stesso, generare errori sistematici e significativi5.

Gli errori che gli individui tendono a compiere nella presa di decisioni finanziarie pos-sono derivare da bias interni e da bias esterni (il termine inglese bias indica un condi-zionamento che predispone a compiere un errore). I primi sono vincoli che derivano sia 3 Franzosini Gianfranco, Franzosini Sogol, Finanza comportamentale:psicologia delle scelte, Libreria Universitaria, 2010, pp. 31-38.

4 Barberis, N. e Thaler, R.H., A Survey of Behavioural Finance, a cura di G.M. Constantinides, M. Harris, R. Stultz, Amsterdam, Elsevier Science, 2003, pp. 278-286.

5 Khneman, D. e Tversky, A., Judgment under uncertainty: Heuristics and biases, in “Science” 1974, n. 185, pp. 1124-1131.

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dalla struttura dei meccanismi mentali (bias cognitivi) sia dall’influenza che la nostra psicologia individuale esercita sugli stessi (bias emotivi).

Gli errori che nascono dai bias cognitivi sembrano manifestarsi sia nel momento della raccolta delle informazioni, sia nella fase in cui le stesse informazioni sono elaborate in funzione della decisione finale. Invece, gli errori che derivano da bias emotivi si mani-festano solo nella fase di elaborazione delle informazioni.

I condizionamenti esterni, infine, sono di tipo sociale, poiché legati a meccanismi che inducono gli individui a comportarsi in relazione al giudizio che essi attendono di rice-vere da parte della comunità di appartenenza. Anche questi condizionamenti, così come quelli emotivi, sembrano esercitare la propria influenza sugli individui soprattutto quan-do, dopo aver raccolto le informazioni disponibili, le stesse vengono elaborate per giun-gere alla presa di decisione. La figura 2.1 illustra in modo sintetico l’articolazione dei condizionamenti che influiscono sulle decisioni di investimento, in funzione della loro origine, che determinano gli errori che saranno illustrati di seguito.

Fig. 2.1 - Bias ed errori nelle decisioni di investimento

Fonte: Studi e Ricerche di Alemanni B., Brighetti G. e Lucarelli C., Decisioni di investimento, assicurative e previ-denziali, Il Mulino, Bologna, 2012, pp.32.

Condizionamenti (bias) interni Condizionamenti (bias) esterni Bias sociali Bias emotivi Bias cognitivi Errori nella raccolta di informazioni Errori nell’elaborazione di informazioni

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I BIAS COGNITIVI

I bias cognitivi, derivanti dalla struttura mentale dell’individuo, possono dare luogo a una serie di errori diversi, a seconda che si vada a considerare la fase di raccolta o di elaborazione delle informazioni6.

Per quanto riguarda la raccolta delle informazioni, la letteratura ha sottolineato come gli individui siano influenzati dalla facilità con la quale le stesse possono essere richiamate alla mente. Sulla base di questo, gli errori emergenti sono:

- easy of recall bias: è l’errore che deriva dal fatto di considerare eventi più

recen-ti o più significarecen-tivi come più probabili. Si tratta, ad esempio, di domandare ad un soggetto che abbia assistito ad un incidente stradale la frequenza con cui ac-cadono gli incidenti nella propria città. Egli dichiarerà che sarà superiore rispetto a quella percepita prima di aver assistito all’incidente;

- familiarity bias: fenomeni maggiormente familiari, ossia dei quali il valutatore

ha o pensa di avere una conoscenza approfondita, sono mediamente ritenuti meno rischiosi di altri fenomeni meno conosciuti. Tale errore si manifesta, ad esempio, con riferimento alla scelta geografica degli investimenti: prodotti fi-nanziari emessi da aziende domestiche, quindi ritenute familiari rispetto aziende straniere, sono ritenuti meno rischiosi;

- illusory correlation: valutare la probabilità di un evento in base ai ricordi

dispo-nibili, può indurre l’operatore a generare correlazioni inesistenti tra due eventi che sono in realtà indipendenti l’uno dall’altro, ossia una correlazione illusoria7.

Ad esempio, nel valutare la probabilità di default di una società che manifesta determinati sintomi, un analista può cercare nella memoria i casi di società falli-te con gli sfalli-tessi sintomi, trascurando i casi di società che pur esibendo quei sin-tomi non sono fallite;

- illusion of truth: si tratta dell’inclinazione degli individui a ritenere vere

infor-mazioni che sono facili da processare8.

6 Gabaix, X. E Laibson, D., A Boundedly Rational Decision Algorithm, in “American Economic Review”, 2000, pp.433-438.

7 Jennings, D., Amabile, T.M. e Ross, L.D., Informal Covariation Assessment: Data-based vs. Theory-based Judge-ments, in Judgement Under Uncertainty: Heuristic and Biases, a cura di D. Kahneman, P. Slovic, A. Tversky, New York, Cambridge Press, 1982.

8 Reber, R. e Schwarz, N., Effects of perceptual fluency on judgements of truth, in “Consciousness and Cognition”, 1999, n.8, pp. 338-342.

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Per questa ragione gli individui tendono ad accettare più facilmente informazioni che sono presentate in modo chiaro e semplice e a rifiutare invece le informazio-ni difficili da interpretare;

- illusion of knowledge: si tratta di fenomeni di information over load che

induco-no gli individui posti di fronte ad un elevato numero di opzioni a preferire quelle che comprendono meglio realizzando spesso scelte sub- ottimali9. Ciò accade

poiché i dettagli entrano in competizione10 (cue competition) e quelli più evidenti

dominano e distraggono l’attenzione da quelli rilevanti ai fini della decisione. La

cue competition può dare luogo, inoltre, a fenomeni noti come illusion of con-trol, ossia la tendenza a trascurare l’importanza del caso e credere invece che il

ruolo dell’abilità personale sia predominante. Si tratta ad esempio della tendenza degli individui a considerare più fortunati i biglietti della lotteria che scelgono da soli piuttosto che quelli che sono assegnati casualmente dall’incaricato. Con riferimento al processo di elaborazione delle informazioni in funzione della deci-sione finale, invece, ci sono almeno due tendenze che condizionano il comportamento degli individui e che inducono a commettere errori: da un lato l’attitudine degli indivi-dui a formulare decisioni sulla base di stereotipi (la cosiddetta euristica della rappresen-tatività), dall’altro la consuetudine di formulare decisioni partendo da un’ informazione o una stima iniziale che non viene modificata dall’arrivo di nuove informazioni che po-trebbero anche contrastare con le precedenti (euristica dell’ancoraggio).

Riguardo all’euristica della rappresentatività possiamo elencare alcuni significativi esempi:

- halo effect: riguarda la tendenza degli individui a prendere decisioni estendendo

gli aspetti positivi di una situazione all’intera situazione nel suo complesso, tra-scurando gli aspetti negativi che dovrebbero essere comunque considerati in fun-zione della decisione finale. Si tratta ad esempio della possibilità che le stime positive di crescita di un’azienda siano estesi anche ai rendimenti futuri dell’a-zienda stessa;

- base rate neglect: si tratta in particolare del caso in cui gli individui, nel

9 Barber, B.M. e Odean, T., Boys Will be Boys: Gender, Overconfidence, and Common Stock Investment, in “The Quarterly Journal of Economics”, 2001, n.116, pp. 261-292.

10 Linciano, N., Errori cognitivi e instabilità delle preferenze nelle scelte di investimento. Le indicazioni di policy del -la finanza comportamentale dei risparmiatori retail, in “Quaderni di finanza Consob”, 2010, n.66.

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giudicare la probabilità di un’ipotesi, trascurino l’informazione di base e tendano a concentrarsi sulle convinzioni che hanno maturato in base a stereotipi;

- conjunction fallacy: attribuire la probabilità sulla base della somiglianza può

portare a sovrastimare la probabilità di due eventi congiunti e a sottostimare la probabilità di due eventi disgiunti;

- law of small number: nascono dall’incapacità11 di tenere conto delle dimensioni

del campione e dalla tendenza di estendere a campioni piccoli regole che tendo-no a manifestarsi per campioni molto grandi di eventi. Tale fetendo-nometendo-no assume la sua manifestazione più evidente nei giochi d’azzardo, realizzando l’errore noto come gambler’s fallacy. In tale situazione gli individui ritengono che un evento casule abbia più probabilità di verificarsi perché non si è verificato per un certo periodo di tempo12. Si tratta, ad esempio, della ragione per cui, nel gioco della

roulette, si tende a scommettere sui numeri che non escono da un certo intervallo di tempo;

- mean reversion: è quello che porta ad ignorare l’effetto di regressione verso la

media. Si tratta cioè della tendenza degli individui ad ignorare che gli eventi estremi tendano a tornare verso la media. Questo porta i valutatori a ritenere, per esempio, che le azioni che hanno sovra-performato l’indice di mercato per un certo periodo di tempo abbiano buone probabilità di crescita e quelle che hanno sotto-performato siano a rischio di perdita;

- mental accounting: tale fenomeno consiste nel contabilizzare i guadagni e le

perdite in due conti mentali distinti. Tipicamente gli individui tendono a dividere i conti mentali in tre categorie a seconda della destinazione delle risorse in essi contenute: conti di spese (indirizzati alle spese correnti), conti di reddito (relativi agli incassi) e conti di ricchezza (che includono diverse tipologie di ricchezza). Le valutazioni che sono fatte sui conti possono portare errori importanti, poiché i tre conti funzionano mentalmente in modo separato. Ad esempio, nel caso del conto di spese correnti, un errore che viene compiuto spesso consiste nel soprav-valutare le spese realizzate per piacere rispetto a quelle realizzate per necessità 11 Rabin, M., Inference by believers in the law of small numbers, in “Quarterly Journal of Economics”, 2002, n.117, pp.775-816.

12 Clotfelter, C. e Cook, P., The Peculiar Scale Economies of Lotto, in “American Economic Review”, 1993,n.83, pp. 634-43.

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(cosiddetto hedonic framing). Ciò è un conflitto con il principio di fungibilità del denaro, adottato dalla teoria economica, in base al quale le risorse monetarie sono sostituibili a prescindere dalla fonte da cui provengono o dall’impiego a cui sono destinate. Un aspetto importante correlato al precedente è quello dell’in-quadramento ridotto (narrow framing)13, ovvero la tendenza a considerare le

di-verse componenti di un problema in maniera isolata dalle altre (ad esempio, le singole scelte di investimento all’interno di un portafoglio).

Nel processo di elaborazione delle informazioni legate a scelte di investimento, gli ope-ratori economici commettono poi ulteriori errori cognitivi, la cui origine può essere ri-trovata nell’euristica dell’ancoraggio. Si tratta, in particolare, della consuetudine di an-corarsi ad un’informazione o ad una ipotesi iniziale nel processo di risoluzione di un problema. L’ipotesi iniziale, in genere, non viene rivista o viene rivista in modo insuffi-ciente all’arrivo di nuove informazioni e la soluzione del problema risulta essere sbilan-ciata all’ipotesi iniziale anche se fissata in modo arbitrario. L’ancoraggio aiuta a com-prendere una serie di errori che sono commessi nel processo di elaborazione delle informazioni. Tra questi comprendiamo:

- conservatism: ossia la tendenza a formulare giudizi sulla base di un’ipotesi

ini-ziale anche nel momento in cui tale ipotesi dovesse essere contraddetta o co-munque ridimensionata;

- cognitive dissonance: ossia il conflitto mentale che gli individui vivono quando

si trovano di fronte all’evidenza che una loro convinzione è errata. Per contenere le sensazioni spiacevoli che derivano da tale dissonanza gli individui possono adottare comportamenti irrazionali, quale ad esempio evitare in ogni modo nuo-ve informazioni, oppure sviluppare argomentazioni contorte utili a mantenere le vecchie opinioni14.

- confirmatory bias: ossia la tendenza degli individui ad interpretare le nuove

in-formazioni in linea con le convinzioni già maturate in precedenza.

13 Khaneman, D. e Lovallo, D., Timid choices and bold forecasts: A cognitive perspective on risk taking, in “Manage-ment Science”, 1993, n.39, pp.17-31.

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I BIAS EMOTIVI

Accanto agli errori che derivano da bias cognitivi, nel processo decisionale sono coin-volti anche altri fattori che originano da bias emotivi del decisore. Tra questi fattori, una delle emozioni più importanti è il rimpianto che deriva dalla sofferenza che provoca il rendersi conto do aver compiuto una scelta sbagliata (regret avversion). Il rimpianto, per sua natura, si verifica ex post, ma può condizionare la scelta anche ex ante.

La paura di prendere una decisione sbagliata per poi rimpiangerla, può infatti bloccare gli individui e impedire loro di scegliere, oppure scegliere commettendo degli errori:

- disposition effect:è un errore tipico, che discende dall’avversione al rimpianto,

in base al quale gli investitori che acquistano tendono a vendere troppo presto i titoli con performance positiva e detengono troppo a lungo i titoli con perfor-mance negativa15. All’opposto di quanto appena descritto, un altro errore

docu-mentato in letteratura è noto come omission bias16 ossia l’immobilismo legato al

rimpianto di una scelta sbagliata, al rammarico di non aver preso una decisione che invece si sarebbe rivelata corretta;

- self attribution bias: consiste nella ricerca di una causa esterna alla quale

impu-tare la responsabilità di scelte sbagliate. Ciò spiega anche la tendenza a seguire il comportamento della maggioranza, in modo da ridurre l’insoddisfazione e le re-criminazioni che deriverebbero dall’aver preso isolatamente decisioni sbagliate. Oltre all’avversione al rimpianto, un altro tipo di avversione documentata è quella alle perdite (loss avversion). Si tratta, in particolare, di un sentimento in base al quale il di-spiacere associato alla perdita di un oggetto di cui si è in possesso è maggiore del piace-re associato all’acquisto di quello stesso oggetto.

Da tale effetto derivano alcuni errori comportamentali:

- house money effect, ossia il fatto che gli individui sarebbero meno restii a

ri-schiare il denaro che hanno ottenuto in seguito a una vincita o a un investimento, in quanto è come se usassero denaro di altri (ossia adottando la terminologia del gioco d’azzardo, denaro del banco, da cui la terminologia house money effect). - break even effect: nel caso in cui un soggetto realizzi delle perdite economiche,

15 Barber ev Odean, Trading is Hazardous to Your Wealth: the common stock investment performance of individual in-vestors, in The Journal of Finance, 2000, n.55, pp.773-806.

16 Ritov e Baron, Reclutance to vaccinate: omission bias and ambiguity, in Journal of Behavioral Decision Making, 1990, n.3, pp. 263-227.

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la sua avversione al rischio dovrebbe aumentare; tuttavia perdite pregresse molto significative possono incentivare l’assunzione di ulteriori rischi allo scopo di re-cuperare interamente e ripristinare la ricchezza iniziale17;

- endowment effect:deriva dall’avversione alle perdite poiché esso consiste nella discrepanza tra il valore che si attribuisce a un bene nel caso in cui lo si possie-da18 e la valutazione che si da allo stesso bene nel caso in cui lo si debba

acqui-stare. L’evidenza sperimentale mostra come gli individui tendano a valutare di più un bene che fa già parte della loro dotazione, trascurandone il costo opportu-nità che consiste nel denaro cui si rinuncia non vendendolo. Allo stesso modo, lo

status quo bias esprime la riluttanza degli individui a modificare una decisione

già presa per paura del rimpianto che potrebbe originare dal riconoscere che la decisione modificata non ha generato i risultati attesi;

hindsight bias: corrisponde all’analisi retrospettiva degli eventi, che porta a

pen-sare che l’esito di un determinato evento fosse ovvio e prevedibile già al mo-mento in cui è stata formulata la decisione19, mentre in verità era giustificabile e

comprensibile solo a posteriori. Studi psicologici dimostrano che le persone rara-mente sono capaci di ricostruire con esattezza, dopo un fatto, quelle che pensa-vano fossero le probabilità di tale evento prima che questo accadesse. Allo stesso modo, eventi che anche gli esperti non sono stati capaci di anticipare, dopo che sono successi sembrano quasi inevitabili.

- ambiguity aversion: identifica la paura per l’ignoto20, ossia la tendenza a

preferi-re emotivamente situazioni in cui l’individuo sente di avepreferi-re competenza e cono-scenza e fuggire invece le situazioni che trasmettono un senso di ignoto e insicu-rezza.

17 Thaler e Johnson, Gambling with the house money and trying to break even: the effects of prior outcomes on risky choice, in Management Science, 1990, n.36, pp. 48-78.

18 Kahneman, Knetsch e Thaler, Experimental tests of the endowment effect and the Coase theorem, in Journal of Political Economy, 1990, n.98, pp. 1325-1348.

19 Hawkins e Hastie, Hindsight: biases judgements of past events after the outcomes are known, in Psychological Bul-letin, 1990, n. 107, pp. 311-327.

20 Heath e Tversky 1991, Preference and belief: ambiguity and competence in choice under uncertainty, in Journal of Risk and Uncertainty, n.4, pp. 5-28.

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I BIAS SOCIALI

Si tratta di condizionamenti che originano dal timore del giudizio altrui o dal desiderio di ottenere l’approvazione a livello sociale. L’influenza dei comportamenti e delle opi-nioni del gruppo sui comportamenti ed opiopi-nioni del singolo è molto forte, soprattutto quando la situazione decisionale è caratterizzata da incertezza.

Questo tipo di comportamento viene paragonato a quello degli animali che si muovono in branco, ovvero l’herding behavior21.

Per queste ragioni gli individui manifestano spesso nei propri comportamenti il

confor-mity effect, ossia la tendenza a conformarsi al giudizio e al comportamento della media

degli altri individui22.

L’errore di availability cascade23 consiste, invece, nel porre un livello di attenzione

mag-giore alle idee o ai fatti che sono sostenuti da conversazioni, abitudini o simboli. Di con-seguenza, il contesto culturale diviene un fattore importante che determina il comporta-mento, poiché una percezione sembra essere confermata e divenire sempre più plausibi-le quando diviene maggiormente oggetto di conversazione tra il pubblico.

In altri casi, gli individui ritengono che coloro ai quali manifestano le proprie convin-zioni manifestino un consenso al riguardo che è più forte di quanto non sia in realtà, ge-nerando un false consensus effect. Si tratta della tendenza a proiettare sugli altri il pro-prio modo di pensare. In altre parole, certe persone presuppongono che tutti gli altri la pensiono come loro. Questa presunta concordia è statisticamente infondata e porta alla percezione di un consenso che non esiste. Questo errore logico fa si che un gruppo o un individuo creda che le proprie opinioni, convinzioni e preferenze siano generalmente più diffuse tra il pubblico di quanto non siano realmente. Tale pregiudizio è presente in ambienti nei quali si pensa che l’opinione collettiva del proprio gruppo coincida con quella di una popolazione più vasta. Poiché i membri di un gruppo raggiungono tra di loro un consenso e incontrano raramente coloro che potrebbero obiettare, tendono a cre-dere che tutti la pensino alla stessa maniera.

Con i condizionamenti esterni si conclude l’analisi degli errori ricorrenti nelle scelte d’investimento, che si possono complessivamente riepilogare nella figura 2.2.

21 Prechter, Unconcious Hearding Behavior as the Psychological Basic of Financial Market Trends and Patterns, in Journal of Bahavioral Finance, 2001, n.3, pp. 120-125.

22 Bond e Smith, Cross-cultural social and organizational psychology, in Annual Review of Psychology, 1996, n.47, pp. 205.

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Fig. 2.2 – Riepilogo Bias ed errori nella raccolta ed elaborazione delle informazioni

Condizionamenti interni Condizionamenti esterni

Bias cognitivi Bias Emotivi Bias Sociali

Errore Errore Errore Errore

nella raccolta nell’elaborazione nell’elaborazione nell’elaborazione

delle informazioni delle informazioni delle informazioni delle informazioni easy of recall bias halo effect regret aversion herding behavior familiarity bias base rate neglect disposition effect conformity effect home bias conjunction fallacy omission bias availability cascade illusory correlation law of small numb self attribution bias false consensus effect illusory of truth gambler’s fallacy loss aversion

illusion of knowledge mean reversion house money effect cue competition mental accounting break even effect illusion of control hedonic framing endowment effect narrow framing status quo bias conservatism hindsight bias cognitive dissonance ambiguity aversion confirmatory bias

Fonte: Studi e Ricerche di Alemanni B., Brighetti G. e Lucarelli C., Decisioni di investimento, assicurative e previ-denziali, Il Mulino, Bologna, 2012, pp.47.

2.2 Le decisioni assicurative

Il comportamento di scelta dei soggetti nel mercato assicurativo può essere analizzato seguendo due approcci:

un approccio deduttivo, ossia un procedimento razionale che fa derivare una

conclusione particolare di comportamento da premesse più generiche (dall’uni-versale al particolare);

un approccio induttivo, ossia un procedimento che, al contrario, parte dai singoli

casi per cercare di stabilire una legge a validità universale (dal particolare all’u-niversale).

L’obiettivo di tali approcci è quello di riscontrare alcune regolarità all’interno di un campione di dati, al fine di utilizzarle in modo acritico e agnostico per prevedere i comportamenti assicurativi dei soggetti. I lavori empirici che studiano i fattori re-sponsabili del comportamento di acquisto dei soggetti nel mercato assicurativo sono estremamente numerosi: i loro risultati dimostrano alcune regolarità, ma anche

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moltissi-me contraddizioni. Per una trattazione sistematica sembra utile suddividere gli studi in una serie di categorie, ciascuna riferita ad un fattore rilevante24.

LE DETERMINANTI DEMOGRAFICHE

Il primo parametro che viene preso in considerazione per analizzare la domanda di co-perture assicurative è l’età del richiedente. In generale, si dovrebbe supporre che la do-manda di prodotti assicurativi cresca all’aumentare dell’età del soggetto, in quanto con-temporaneamente aumentano il reddito percepito e la necessità di coperture per familiari a carico. Tuttavia, oltre una certa età si potrebbe immaginare che la domanda di polizze cali, in quanto i figli sono diventati autosufficienti e il tempo ha permesso loro di accu-mulare una ricchezza adeguata per fronteggiare eventuali situazioni avverse. I lavori empirici che analizzano l’impatto dell’età sulle scelte assicurative dei soggetti, infatti, non conducono a risultati univoci.

Entrambe le situazioni appena citate possono essere considerate valide, ma, in più, alcu-ni studiosi distinguono all’interno della famiglia il diverso atteggiamento di mariti e mogli. Il loro lavoro evidenzia come l’età sia negativamente correlata alla domanda di polizze vita per i mariti, mentre non sia una variabile significativa quando si studia la domanda di polizze vita delle mogli.

La maggior parte degli studi empirici concorda, invece, che esista una relazione positiva tra livello di istruzione del soggetto e domanda di polizze. Tale relazione è spiegata, con specifico riferimento alle polizze vita, considerando che per i soggetti con un livello di istruzione superiore è prevista una maggior progressione di carriera, dunque, una cresci-ta del reddito superiore e protratcresci-ta più a lungo; l’eventuale premorienza del capofami-glia, più istruito e quindi percettore di un reddito maggiore, cagionerebbe alla fa-miglia una perdita economica relativamente più gravosa e, dunque, aumenterebbe il bisogno di una copertura assicurativa. Prescindendo dal caso specifico delle polizze per la premo-rienza del capofamiglia, si potrebbe argomentare, in alternativa, che i soggetti più istrui-ti abbiano generalmente una maggior predisposizione a comprendere l’importanza della gestione del rischio, soprattutto nel contesto delle assicurazioni.

24 Per una rassegna più esaustiva della letteratura empirica sul tema si veda Emily Norman Zietz, An Examination of the Demand for Life Insurance, 2003.

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Tuttavia, c’è chi25 trova una associazione negativa tra il livello di istruzione e la

sotto-scrizione di polizze assicurative; gli autori spiegano che i soggetti più istruiti sono in grado di percepire che l’inflazione potrebbe erodere il potere d’acquisto del capitale ac-cumulato e questo potrebbe indurre un comportamento di diniego.

Le dimensioni della famiglia e il numero dei figli sono variabili altrettanto significative nello spiegare la domanda di copertura assicurativa secondo numerosi studi empirici26.

Un numero superiore di familiari a carico induce una maggiore richiesta di copertura, in quanto le risorse finanziarie necessarie in caso di premorienza del soggetto percettore di reddito sono più elevate. Anche in questo caso, tuttavia, alcuni studi trovano una rela-zione negativa, e altri un legame non significativo.

Gli studi empirici condotti sul legame tra occupazione e domanda di polizze condivido-no la conclusione che se il capo famiglia ha un impiego stabile la propensione a sotto-scrivere polizze assicurative potrebbe aumentare. Tuttavia, di maggiore interesse è l’im-patto che l’eventuale occupazione della moglie potrebbe avere sulla domanda di coper-tura assicurativa della famiglia. In questo senso, i risultati empirici non sono univoci: da un lato, trovano che se la moglie ha un impiego, ciò produce un effetto decrementativo sulla domanda di copertura da parte del marito, in quanto la percezione di un reddito da lavoro da parte della moglie funge da sostituto assicurativo in caso di premorienza del coniuge. Dall’altro, evidenziano che l’impiego della moglie aumenta complessivamente la sottoscrizione di polizze da parte della famiglia, in quanto aumentano le risorse finan-ziarie a disposizione per l’acquisto di coperture.

Tra le altre variabili demografiche indagate negli studi empirici, compaiono anche lo stato di salute, lo stato civile e la nazionalità del soggetto; si tratta, tuttavia, di fattori meno discussi le cui evidenze possono essere compendiate in un unico punto di tratta-zione. Lo studio27 tratta le scelte di un individuo in merito all’acquisto di una polizza

vita e alla sottoscrizione di titoli azionari, giungendo alla conclusione che tra gli ele-menti che influenzano la decisione ci sono anche le circostanze personali del soggetto, tra cui le prospettive sul suo stato di salute; in questo senso, un aumento nella probabili-25 Lin Y. e Grace M.F., Household, Life cycle protection: Life insurance holding, financial vulnerability and portfolio implications, in The Journal of Risk and Insurance, 2007, n.74, pp. 1-10.

26 Gandolfi A.S. e Miners L., Gender-based differences in life insurance ownership, in The Journal of Risk and Insur-ance, 1996, n.63, pp. 683-693.

27 Zhu, One-Period model of individual consumption, life insurance, and investment decision, in Journal of Risk and Insurance, 2007, n. 74, pp. 613-636.

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tà percepita di sopravvivenza incoraggerebbe il soggetto a sottoscrivere più polizze. Lo stato civile, a sua volta, rientra tra le variabili che possono incidere sulla domanda di polizze, sia individuali che per la famiglia: si è indotti a pensare che gli uomini sposati spendano di più nell’acquisto di polizze rispetto agli uomini single. Tuttavia, alcuni stu-di empirici mostrano una associazione negativa tra lo stato civile del coniugato e la spe-sa per polizze assicurative, così come altri lavori giungono alla conclusione che non sussista una relazione significativa.

Anche le differenze razziali, che pure sottendono differenze culturali come l’attitudine nei confronti del concetto di morte, di famiglia, di rischio, non sono risultate significati-ve nei pochi studi empirici che ne hanno trattato l’impatto28.

LE DETERMINANTI ECONOMICHE

Studi empirici hanno sistematicamente mostrato che il reddito ha un forte effetto positi-vo sulla domanda di polizze assicurative. Intuitivamente, al crescere del reddito disponi-bile, l’acquisto di polizze diventa più accessibile. Inoltre, all’aumentare del reddito per-cepito da un soggetto, aumenta il costo-opportunità derivante dalla sua eventuale pre-morienza: per mantenere in capo agli eredi uno standard di vita inalterato i soggetti che percepiscono redditi più alti tendenzialmente sono più propensi all’acquisto di polizze assicurative.

L’effetto della ricchezza sulla domanda di polizze assicurative non è, tuttavia, condiviso in maniera generalizzata dalla letteratura empirica. Alcuni studi rintracciano una relazio-ne positiva tra ricchezza e sottoscriziorelazio-ne di polizze; l’idea sottostante è che l’avversiorelazio-ne al rischio di un soggetto cresca all’aumentare della sua ricchezza (Increasing Relative

Risk Avversion, IRRA), per cui una maggiore ricchezza induce una maggior domanda di

coperture assicurative.

Tuttavia, altre indagini empiriche supportano la conclusione che esista una relazione ne-gativa tra la ricchezza delle famiglie e la loro propensione alla sottoscrizione di copertu-re assicurative, soprattutto polizze vita; l’argomentazione addotta è che le famiglie in possesso di una ricchezza cospicua, hanno di per sé una maggiore capacità di assorbire la perdita economica derivante dall’eventuale morte del familiare percettore di reddito, 28Baek e DeVaney, Human Capital, bequest motives, risk, and the purchase of life insurance, in Journal of Personal Finance, 2005, n. 4, pp. 62-84.

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senza bisogno di ricorrere a coperture assicurative esterne (in questo caso si parla di

De-creasing Absolute Risk Aversion, DARA).

Altri studi empirici condotti confermano la relazione positiva tra la proprietà di una casa e la sottoscrizione di polizze. In particolare, studiano l’effetto della proprietà immobilia-re sulla sottoscrizione di polizze, investigando se l’effetto possa cambiaimmobilia-re per gli uomini e le donne; i dati del loro studio sono tratti dall’American Council of Life Insurance (ACLI) e dalla Life Insurance Marketing and Research Association (LIMBRA) e con-fermano che la proprietà di un immobile è positivamente correlata alla domanda di po-lizze sia per il sottogruppo degli uomini, sia per quello delle donne.

LE COMPONENTI PSICOGRAFICHE

Gli studi empirici sulla domanda di prodotti assicurativi si spingono a considerare anche elementi di differenza interpersonali meno evidenti e oggettivi rispetto alle caratteristi-che demograficaratteristi-che ed economicaratteristi-che di un soggetto; si tratta di fattori più sfuggenti da rile-vare, riconducibili principalmente alle caratteristiche di personalità e di comportamento dell’individuo. L’area di indagine che coglie questi aspetti prende il nome di psicogra-fia. Con questo termine si intende la descrizione analitica delle caratteristiche di un sog-getto in termini di attitudini, personalità, opinioni, stili di comportamento.

Un lavoro empirico che estende le variabili determinanti la domanda di assicurazioni alle componenti psicografiche è quello di Burnet e Palmer:gli autori indagano l’effetto di ventidue variabili psicografiche, tra cui l’etica del lavoro, la stima in se stessi, il coin-volgimento nella comunità, l’atteggiamento sociale e religioso, per stimare se e quanto questi fattori possano dare risposta alle differenti scelte dei soggetti nella sottoscrizione di polizze. Il loro studio utilizza dati sul comportamento dei consumatori di una cittadi-na americacittadi-na di medie dimensioni e giunge a risultati interessanti: per esempio, il fatto di “porre importanza alle assicurazioni in generale” non risulta una variabile significati-va, suggerendo che la domanda di polizze assicurative prescinde dal fatto che l’indivi-duo “creda” o meno nel settore assicurativo, ma risponde ad una esigenza specifica del soggetto e alle sue caratteristiche di personalità.

In particolare, lo studio evidenzia che i maggiori acquirenti di polizze assicurative sono soggetti più istruiti della media, con famiglie numerose, alto reddito, geograficamente

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stabili, amanti del rischio, non attenti ai prezzi, non fedeli ad una specifica marca, non pesantemente dipendenti dal governo.

Ovviamente, lo studio non vuole delineare un “identikit” dei soggetti detentori di coper-ture assicurative, ma, bensì, ha l’obiettivo di dimostrare che i motivi per i quali un sog-getto sceglie di assicurarsi non sono legati tanto al prodotto in sé, quanto piuttosto ad un insieme di fattori soggettivi che generano la necessità di dotarsi di una protezione assi-curativa, o meno.

2.3 Le decisioni previdenziali

Tra le decisioni di risparmio, quelle inerenti all’ambito previdenziale sono quelle che in-contrano gli ostacoli maggiori. Infatti, il lungo arco temporale collegato alla program-mazione pensionistica, distoglie spesso l’attenzione del contribuente dall’obiettivo fina-le, facendogli preferire nel corso della sua vita scelte d’impiego di più breve periodo, in grado di soddisfare esigenze più imminenti29.

Il grado di autocontrollo limitato induce così le famiglie a non accantonare le risorse ne-cessarie, aumentando il rischio di non disporre di risorse sufficienti a mantenere inalte-rato il proprio tenore di vita al raggiungimento dell’età pensionabile.

La tendenza a procrastinare le scelte previdenziali è un problema definito da Samuelson e Zeckhauser “status quo bias”. Quest’ultimo può essere visto come un’implicazione dell’avversione alle perdite e di quella al rimpianto: gli individuo hanno una tendenza a protrarre lo status quo, perché gli svantaggi che si otterranno abbandonandolo sembrano maggiori dei vantaggi.

La rilevanza di inerzia e procrastinazione trova conferma nel successo dei piani previ-denziali a iscrizione automatica (automatic enrollment), basati sul concetto del silenzio-assenso.In termini generali, l’efficacia dei piani di iscrizione automatica trova origine nel modo in cui vengono effettivamente prese le decisioni. Davanti alle difficoltà, gli in-dividui tendono ad adottare delle scorciatoie, regole euristiche, utili per semplificare i problemi fronteggiati.

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Una semplice regola euristica è quella di accettare l’opzione di default disponibile, in al-tri termini fare propria la decisione presa da alal-tri. Nel caso dell’iscrizione automatica ai piani la decisione più semplice è la non decisione: non far nulla.

LA SCELTA DEL TASSO DI CONTRIBUZIONE

Se la scelta di quando iniziare a contribuire è certamente la prima variabile ad influenza-re l’accumulo nei piani pinfluenza-revidenziali, il passaggio successivo è la scelta del tasso di contribuzione. Lo status quo bias, oltre a spiegare il successo dell’automatic enrollment, è la causa del suo principale svantaggio: il basso livello di contribuzione.

L’automatic enrollment, infatti, da un lato provoca un incremento di risparmio per colo-ro che altrimenti non si sarebbecolo-ro iscritti alla previdenza complementare, dall’altcolo-ro, a causa dello status quo bias, diminuisce il risparmio di coloro che si sarebbero iscritti co-munque, ma che si limitano ad accettare passivamente l’opzione di default, qualsiasi sia il tasso di contribuzione. L’elevato grado di inerzia, quindi, si traduce nella necessità di analizzare opportunamente quale debba essere l’ammontare di risparmio che ciascun in-dividuo intende destinare alla previdenza complementare.

Anche il modo di costruire i piani influenza il tasso di contribuzione: esistono dei piani che risolvono il problema dell’automatic enrollment.

Il programma Save More Tomorrow (SMART), proposto da Benarzti e Thaler30,

introdu-ce una forma di automatic escalalation, dal momento in cui prevede che i partecipanti inizino a contribuire ai piani ad un tasso abbastanza basso, ma si impegnino implicita-mente a una serie di aumenti automatici, scaglionati nel tempo e sincronizzati con gli scatti di stipendio. In questo modo i partecipanti non vedono mai diminuire l’ammonta-re netto dello stipendio e non percepiscono l’aumento dei contributi pl’ammonta-revidenziali come una perdita.

PIANI PREVIDENZIALI E SCELTE DI PORTAFOGLIO

La moderna teoria di portafoglio afferma che gli investitori abbiano le dovute compe-tenze per costruire un portafoglio d’investimento ottimo. In realtà, Thaler e Benarzti, 30 Benarzti e Thaler, Save more tomorrow: using bahavioural economics to increase employee saving, in Journal of Political Economy, 2004, n. 112, pp. 164-187.

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analizzando in una ricerca la composizione dei portafogli degli individui selezionati nel campione, hanno fatto emergere che essi dividono i loro risparmi equamente fra le di-verse linee d’investimento offerte. Tale comportamento, definito naive diversification, implica che i risparmiatori non costruiscano portafogli pesati per la loro propensione al rischio, ma generino portafogli più o meno rischiosi come conseguenze delle linee d’in-vestimento offerte dall’azienda.

Un problema legato al diversification puzzle è la propensione dei cittadini-lavoratori ad investire eccessivamente nei titoli della propria azienda31. Questo comportamento,

razio-nalmente giustificato dal meccanismo incentivante presente nelle remunerazioni, trae origine anche da fattori di natura comportamentale.

L’euristica della familiarità32 spinge verso una concentrazione del portafoglio su titoli

noti, quali quelli dell’azienda di appartenenza. L’investimento nell’employer’s stocks è poi riconducibile alla ”euristica dell’affetto” e alle conseguenze dell’eccessiva sicurez-za. Anche il mental accounting aiuta ad interpretare l’eccessivo investimento in azioni della società di appartenenza. In particolare, gli impiegati hanno la tendenza a conside-rare le azioni della propria impresa come una classe d’investimento a sé stante, separata e indipendente dalle altre attività azionarie e obbligazionarie eventualmente inserite nei portafogli. L’inerzia contribuisce nelle scelte sulla composizione dei fondi pensionistici, in quanto meno del 10 per cento dei sottoscrittori in media sceglie di modificare annual-mente la destinazione della propria contribuzione.

La staticità del portafoglio, inoltre, si giustifica come risultato di avversione al rammari-co (regret aversion): gli investitori temono di doversi rammaricare della possibilità che il proprio portafoglio, una volta ribilanciato, ottenga performance meno brillanti di quel-le che si sarebbero potute ottenere mantenendo lo status quo.

LE SCELTE IN FASE DI DISINVESTIMENTO: CAPITALE O RENDITA L’ultima decisione che un agente economico deve prendere in campo pensionistico ri-guarda il veicolo da utilizzare nella fase di de-cumulo del risparmio previdenziale. Le opzioni tra cui scegliere sono sostanzialmente due: un capitale una tantum, equiva-31 Mitchell e Utkus, Company stock and retirement plan diversification in the pension challenge: risk transfer and retirement income security, a cura di O.S. Mitchell, Smetters, Oxford, Oxford University Press, 2003, pp. 71-88. 32 Huberman, Familiarity breeds investments, in Review of financial studies, 2001, n. 14, pp.659-680.

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lente al montante del risparmio accumulato, o una rendita vitalizia commisurata al ri-sparmio accumulato e alla speranza di vita.

Il primo a trattare in modo approfondito la questione è Yaari, il quale dimostra come sia sufficiente una ragionevole ipotesi di avversione al rischio per indurre un risparmiatore, privo del desiderio di generare un lascito ereditario, a scegliere una rendita vitalizia equa a copertura di condizioni di longevity risk. La superiorità delle rendite trova con-ferma in numerosi studi, tuttavia, l’evidenza empirica mostra risultati contrastanti. Questo comportamento si spiega con motivazioni di sistema e normative dovute alle re-gole che disciplinano la scelta e l’acquisto di una rendita e con motivazioni comporta-mentali. Nel nostro paese, dal punto di vista normativo, mentre nel D.lgs. 124/199333

esisteva un particolare regime di favore per la rendita, il D.lgs. 47/200034 ha cambiato

decisamente la prospettiva, introducendo l’eccezione della possibilità di ricevere tutto in capitale (limite dell’assegno sociale).

Nel D.lgs.252/200535 si è provato a ripristinare la centralità della rendita, ma questo

ten-tativo ha prodotto finora scarsi risultati, visti i rischi di rendere il sistema poco attraente all’aumentare del grado di forzatura per la rendita. Anche negli Stati Uniti, la normativa ha creato un contesto sfavorevole alle rendite. Negli anni nel sistema pensionistico sta-tunitense si è registrato il progressivo spostamento dalla previdenza pubblica, di tipo di-stributivo centrata sul vitalizio, che nel settore privato è passata dall’84% della popola-zione nel 1979 al 37% nel 2005, a un sistema contributivo, dove l’oppopola-zione della rendita è sottoutilizzata.

In letteratura, a giustificazione della scelta di non trasformare l’intero risparmio previ-denziale in rendita, si introduce l’”altruismo”, la volontà di generare un lascito per gli redi. Una motivazione di questo tipo, pur razionale, si scontra con la formulazione pre-sente nella teoria dell’homo oeconomicus come soggetto egoista e massimizzatore del-l’utilità individuale. Il desiderio di lasciare un‘eredità potrebbe essere sopravvalutata, o potrebbe essere sempre meno rilevante per il futuro.

In un recente studio di Fidelity 2007 emerge che circa il 32% degli attuali pensionati si dice disposto a vivere con un reddito più contenuto allo scopo di lasciare una eredità, 33 Decreto Legislativo 21 aprile 1993, n. 124, “Disciplina delle forme pensionistiche complementari”.

34Decreto Legislativo 18 febbraio 2000, n. 47, "Riforma della disciplina fiscale della previdenza complementare”. 35 Decreto Legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, "Disciplina delle forme pensionistiche complementari".

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motivazione questa di solo il 13% degli intervistati prossimi alla pensione. Questo è un dato complicato da interpretare sul fronte sociologico, ma certamente significativo in tema di favore per le rendite. Brown e Poterba36 giustificano la scarsa domanda di

rendi-te attraverso la solidarietà familiare che consentirebbe di aggregare i rischi finanziari senza fare ricorso a redditi periodici.

La selezione avversa, ovvero il timore di commettere un errore sulla propria longevità, come suggerito da Friedman e Warhawsky, rappresenta un altro possibile ostacolo alla scelta di rateizzazione. Il timore che allontana dalla rendita è però il frutto di una scarsa comprensione del mortality premium con cui vengono prezzati tali strumenti.

L’annuities puzzle si riconduce anche a rigidità dello strumento, quali l’impossibilità di gestire eventi catastrofici, come la perdita di autosufficienza (health risk)37, o la non

co-pertura dell’inflazione, se la rendita è fissata in termini nominali, o la presenza di costi iniqui e scarsa flessibilità di utilizzo38. Babbel e Merril39, mostrano, poi, che gli

indivi-dui tendono a trasformare in rendite solo una parte del proprio patrimonio, per il timore che le compagnie di assicurazione possano fallire. Tutte queste argomentazioni sono al-meno in parte controvertibili attraverso l’innovazione finanziaria e adeguati indirizzi re-golamentari in grado di aumentare la gamma di prodotti vitalizi ed eliminando una o più delle rigidità e dei rischi appena ricordati.

L’annuity puzzle rimane dunque ancora parzialmente inspiegabile, e altre chiavi inter-pretative si trovano ricorrendo all’analisi comportamentale.

36 Brown e Poterba, Joint life annuities and annuity demand by married couples, in Journal of Public Economics, 2000, n. 91, pp. 1992-2013.

37 Sinclair e Smetters, Health shocks and the demand for annuities, Congressional Budget Office Technical Paper Series, 2004, n. 2004-09.

38 Brown J., Life annuities and uncertain lifetime, NBER reporter, Spring, 2004.

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3. Inquadramento normativo

Tra gli ostacoli alla realizzazione delle scelte di pianificazione finanziaria si aggiunge, all’emotività delle scelte decisionali, anche la mancanza di competenze in ambito finanziario, assicurativo e previdenziale. A colmare queste lacune ci ha pensato la Commissione Servizi dell’ UNI (Ente Nazionale Italiano di Unificazione), che nel 2008 ha elaborato una norma internazionale, la UNI ISO 2222240, in grado di disciplinare

l’attività di pianificazione finanziaria.

Essa è entrata in vigore in Italia il 21 gennaio 2010 e rappresenta il frutto di un intenso lavoro, durato oltre un anno, del Gruppo di Lavoro 14 della Commissione Servizi dell’UNI, composto da rappresentanti di associazioni dei consumatori, intermediari dei mercati assicurativo-previdenziale e finanziari, università, società di ricerca e consulenza e organismi di certificazione.

La sua specifica tecnica, la UNI/TS-11348, definita come "Guida all’applicazione della

UNI ISO 22222:2008, Terminologia, classificazione e requisiti del servizio", adatta i

requisiti di qualità della consulenza al mercato italiano e alle normative vigenti, come la MiFID.

L’adozione di quest’ultima nel corpo normativo nazionale è il primo esito di un percorso di lavoro tuttora attivo. Sono infatti prossime un rapporto tecnico relativo alle Linee guida per la scelta del pianificatore finanziario, economico e patrimoniale previsto dalla ISO 22222 e una norma tecnica che definisce i requisiti di qualità della Educazione

finanziaria del cittadino.

La norma ha l’obiettivo di definire i requisiti e gli standard di qualità della pianificazione finanziaria personale e illustra come insegnare ai singoli individui e alle loro famiglie a sfruttarli meglio. Partendo dal presupposto che una corretta attività di pianificazione non può essere fatta senza il supporto di un Financial Planner, ovvero di 40 La norma internazionale ISO 22222 è stata elaborata dal Comitato Tecnico ISO/TC 222 ed il Segretariato è stato svolto dalla Germania (DIN). Tra parentesi è indicata la sigla dell’Ente di Normazione. I Paesi partecipanti alla produzione della Norma sono stati 17: Australia ( SA ), Austria ( ON ), Bulgaria ( BDS ), Canada ( SCC ), China ( SAC ), Colombia (CONTEC ), France ( AFNOR ), Japan ( JISC ), Korea, Republic of ( KATS ), Malaysia ( DSM ), Netherlands ( NEN ), Norway ( SN ), South Africa ( SABS ), Sweden ( SIS ), USA ( ANSI ), United Kingdom ( BSI ). I Paesi osservatori sono stati 20: Argentina ( IRAM ), Bosnia and Herzegovina ( BAS ), Botswana ( BOBS ), Costa Rica ( INTECO ), Egypt ( EOS ), Hong Kong, China ( ITCHKSAR ), India ( BIS ), Jamaica ( BSJ ), Kuwait ( KOWSMD ), Mauritius ( MSB ), Morocco (IMA), Poland ( PKN ), Russian Federation (GOST R), Serbia ( ISS ), Singapore ( SPRING SG ), Spain ( AENOR ), Switzerland ( SNV ), Trinidad and Tobago ( TTBS ), Turkey ( TSE ), Vietnam ( TCVN ).

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un consulente specializzato, la norma specifica la metodologia della pianificazione nonché i comportamenti etici, le competenze, l’esperienza professionale richieste agli operatori e descrive i vari metodi di valutazione della conformità, precisando i requisiti applicati a ognuno di essi.

Il supporto al cliente si estende su tutte le necessità e i bisogni della famiglia, quali la tutela della sicurezza, l’investimento, l’indebitamento, il settore immobiliare, il pensionamento e la fiscalità, che devono essere analizzati, valutati e pianificati in maniera integrata.

Il processo di personal financial planning, come viene definito dagli anglosassoni, è costituito da almeno sei fasi che possono essere percorse ripetutamente nel tempo. Tale caratteristica di "ricorsività" evidenzia che il processo consulenziale non ha un esito definitivo, ma necessita di essere rivisto e aggiornato periodicamente, in funzione delle mutate condizioni economiche e finanziarie, oltre che di vita, dei soggetti interessati. Le sei fasi del progetto di pianificazione finanziaria, che andremo ad approfondire successivamente, sono le seguenti:

1) DEFINIZIONE DELLA RELAZIONE PROFESSIONALE CON IL FINANCIAL PLANNER

2) ACQUISIZIONE DELLE INFORMAZIONI DAL CONSUMATORE E DEFINIZIONE DI OBIETTIVI E ASPETTATIVE

3) ANALISI E VALUTAZIONE DELLO STATUS FINANZIARIO DEL CONSUMATORE

4) SVILUPPO E PRESENTAZIONE DEL PIANO FINANZIARIO 5) IMPLEMENTAZIONE DEL PIANO

6) MONITORAGGIO E SUCCESSIVE MODIFICHE

Nella prima fase, in cui avviene l’incontro tra il consulente e il consumatore, è necessario definire la relazione professionale su cui si baserà il futuro progetto lavorativo. In particolare, il Planner, secondo le qualifiche e l’esperienza professionale maturata, deve fornire al consumatore il quadro entro il quale si svolgerà la relazione professionale, rilasciando una dichiarazione dettagliata del metodo utilizzato per dimostrare la conformità alla UNI ISO 22222.

Dopo aver dettagliato la propria area di competenza, il Planner, in merito al servizio offerto, dovrà specificare una serie di aspetti pratici:

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b) qualsiasi elemento di conflitto di interesse c) i tempi delle fasi e di rilascio del servizio, d) la durata del servizio,

e) la frequenza degli incontri,

f) gli impegni alla riservatezza circa le informazioni acquisite.

A questo punto, si entra sempre più in profondità, passando alla fase successiva, ovvero quella in cui il Planner dovrà acquisire le informazioni dal consumatore e definire i suoi obiettivi e aspettative, in modo da creare un progetto di pianificazione personalizzato. Le informazioni da acquisire sono quelle relative a:

a) lo stato patrimoniale e il conto economico personale e familiare: vengono richiesti entrambi in modo da considerare non solo le esigenze del singolo individuo, ma valutare l’intera unità familiare nel suo complesso, sotto tutti i punti di vista;

b) gli elementi rilevanti attinenti alla tutela familiare e alla gestione dei rispettivi rischi: si cerca di capire la sensibilità del consumatore rispetto ai rischi che ricadono sulla propria persona e sul suo patrimonio e come si è mosso nel tempo per tutelare se stesso e la sua famiglia;

c) i dati relativi alla tolleranza del rischio finanziario: in questa sede si cerca di valutare l’esperienza e la conoscenza del consumatore in ambito finanziario, per capire le modalità secondo cui egli si è mosso con gli investimenti in passato e perché. Ciò è utile per individuare la sua posizione rispetto al rischio, che servirà per ponderare, nelle fasi successive, le sue scelte d’investimento;

d) il dettaglio di esigenze ed obiettivi, opportunamente quantificati, con le relative scadenze temporali e priorità;

e) assunzioni economiche;

f) orientamenti ed attitudini di tipo sociale, etico, religioso ed ambientale.

Raccolte tutte le informazioni, viene richiesta la capacità del Planner di analizzarle singolarmente e nel loro insieme, nonché di comprenderne le relazioni tra esse; in particolare, creando una combinazione tra tempo, rischio finanziario ed obiettivi del consumatore si determina una prima bozza di pianificazione finanziaria personalizzata del consumatore (output). L’analisi della situazione del consumatore deve essere effettuata anche in una prospettiva evolutiva, in quanto il Planner deve essere in grado di identificare i potenziali cambiamenti futuri del singolo e della sua unità familiare,

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includendo i suoi obiettivi e preferenze.

Una volta definiti gli obiettivi del consumatore e della sua famiglia è importante contestualizzarli: bisogna verificarne la fattibilità finanziaria.

Nella valutazione dello status finanziario del consumatore, il Planner dovrà, quindi, identificare e rappresentare, in maniera comprensibile, i punti di forza e di debolezza del conto economico e dello stato patrimoniale in relazione a obiettivi, vincoli, grado di tolleranza al rischio finanziario, gestione dei rischi demografici e dei bisogni assicurativi di tutela, di previdenza e successori. È, infatti, inutile elaborare un bellissimo piano se questo è irraggiungibile o impraticabile per ragioni chiaramente riscontrabili a priori.

La Norma prevede che, dopo aver effettuato tutte le analisi necessarie, l’output ottenuto dalle fasi precedenti debba essere utilizzato per elaborare un documento ufficiale da sottoporre alla valutazione del consumatore.

La definizione per iscritto delle raccomandazioni è importante sia per il Planner che per il consumatore:

- per il Planner, perché gli consente di verificare la comprensione e la completezza delle informazioni acquisite, gli obiettivi, la tolleranza al rischio finanziario del consumatore;

- per il consumatore, perché permette di far comprendere a quest’ultimo le metodologie utilizzate dal Planner per supportare il raggiungimento dei suoi obiettivi.

In altre parole, in questa fase, il Planner deve essere in grado di spiegare il "perché" le soluzioni elaborate sono adeguate per il consumatore, mettendo in evidenza le teorie utilizzate, le tecniche e i procedimenti di lavorazione impiegati.

Dovrà poi dettagliare una lista di raccomandazioni per implementare il piano, basate sul conto economico e lo stato patrimoniale attuale e futuro, che devono essere discusse con il consumatore, laddove ciascuna raccomandazione deve rispondere chiaramente ai termini: chi, che cosa, quando, dove, perché e come.

Proprio perché il servizio di consulenza non è definitivo, ma necessita di una continua revisione nel tempo, la norma indica che, in relazione agli output prodotti nella fase precedente, il Planner dovrà produrre una appropriata documentazione, nella quale si descrive l’esito della discussione con il consumatore. Per ciascuna raccomandazione

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presentata nel piano finanziario deve essere specificata la determinazione del consumatore e le sue motivazioni: accettata, modificata, integrata, differita o rifiutata. In caso di difformità della decisione, il Planner dovrà evidenziare in maniera trasparente le conseguenze delle decisioni del consumatore sugli obiettivi e sullo status economico-finanziario.

Dopodiché, laddove si manifesti la necessità di apportare modificazioni e/o implementazioni al piano consulenziale elaborato, il Planner dovrà assistere il consumatore, nella prescrizione delle raccomandazioni, in sintonia con i termini dell’accordo inizialmente stabiliti e le azioni successivamente realizzate.

La Norma prescrive che il Planner, in seguito alle azioni di implementazione, deve ridefinire nel continuo temporale l’intero set informativo e dispositivo, adattandolo ai cambiamenti derivanti dalla situazione del consumatore, ma anche dallo scenario economico, finanziario e normativo.

Tale operatività deve essere coerente con la programmazione ed i termini dell’accordo di prestazione professionale laddove la metodologia del monitoraggio consiste nel ripetere il processo sin dall’inizio ed eventualmente effettuare interventi correttivi relativamente a tutte o parti delle fasi.

Ogni attività di monitoraggio si deve concludere con la produzione di un documento che aggiorna le raccomandazioni evidenziando per ciascuna l’accettazione, la modificazione, l’integrazione, il rinvio o il rifiuto da parte del consumatore.

La Norma descrive anche un corredo di requisiti etici che necessariamente il Planner deve avere e dimostrare di mettere in pratica, in qualsiasi aspetto della propria attività quotidiana.

L’etica professionale è riassunta in dieci principi ai quali deve ispirare il proprio comportamento: integrità, priorità degli interessi del consumatore, diligenza, osservanza degli standard professionali, gestione attenta di ogni conflitto di interesse, comprensibilità nella comunicazione, obiettività, riservatezza, trasparenza in merito alla sua condizione professionale, competenza.

Naturalmente ogni principio implica una serie di riflessi comportamentali importanti che non devono essere sottovalutati nella loro rilevanza operativa.

In particolare, in relazione ai requisiti di competenza, la Norma definisce una dettagliata mappa che identifica l’insieme strutturato di conoscenze, capacità e atteggiamenti

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necessari per l’efficace svolgimento di una attività di Personal financial planning. La mappa è articolata su diversi livelli cognitivi (conoscenza, comprensione, applicazione, analisi e valutazione) e vengono elencati i metodi che consentono la valutazione del grado di padronanza delle competenze, anche in relazione al loro mantenimento e sviluppo nel tempo. Per quanto riguarda il bagaglio di esperienze professionali, lo standard specifica sia le attività di costituzione dell’esperienza che le condizioni ed i requisiti della sua valutazione.

L’attuale contesto di mercato e le recenti evoluzioni normative nel settore finanziario ed assicurativo, italiano ed europeo, evidenziano che la Norma risponde ad una impellente necessità del nostro tempo.

Ad esempio, essa può arricchire di contenuto tecnico la direttiva europea MiFID41

(Market in Financial Instruments Directive) in vigore dal 1 novembre 2007. Tale direttiva ha la finalità di armonizzare la disciplina che regola i comportamenti degli intermediari, laddove introduce nuovamente la consulenza finanziaria tra i servizi di investimento e ridisegna il sistema di tutela dell’investitore con precise regole di condotta, con l'obbligo di servire al meglio l’interesse del cliente e con una chiara disciplina del conflitto d’interesse.

Così la UNI ISO 22222 può contribuire a:

1. il raggiungimento degli obiettivi generali della MiFID, in quanto concorre a migliorare l’efficienza del funzionamento dei mercati, stimolare la competizione fra gli intermediari in un’ottica di miglioramento del servizio per i clienti ed innalzare il livello di tutela per la clientela che decide di sottoscrivere strumenti finanziari;

2. la concreta attuazione dei principi fondamentali che la MiFID intende applicare alle imprese che svolgono attività d’investimento, ossia l'agire in modo onesto, equo e professionale, per servire al meglio gli interessi del cliente, il fornire informazioni appropriate e complete che siano corrette, chiare e non fuorvianti, e l'offrire servizi che tengano conto della situazione personale del cliente.

In particolare, il contributo che la norma UNI ISO 22222 può fornire per una efficace applicazione della MiFID in Italia è duplice. Da una parte può rendere consapevoli i consumatori dei propri diritti, delle proprie responsabilità e del ruolo attivo che

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dovrebbero assumere all'interno del processo consulenziale, laddove tale consapevolezza può consentire la discriminazione di comportamenti non professionali degli operatori e dunque alla loro marginalizzazione.

Dall'altra parte può fornire agli operatori ed alle loro organizzazioni una indicazione consistente circa i contenuti metodologico - tecnici del processo consulenziale che possono essere inscritti all'interno della cornice normativa dettata dalla MiFID.

Infatti, a tal proposito, la definizione che la MiFID dà della consulenza è che tale servizio "consiste nella prestazione di raccomandazioni personalizzate al cliente, su richiesta del medesimo o ad iniziativa dell’intermediario, riguardo a una o più operazioni relative ad un determinato prodotto finanziario/servizio di investimento". Inoltre la tutela del cliente è assicurata dal fatto che l’intermediario può fornirgli soltanto raccomandazioni a lui "adeguate", laddove la valutazione preventiva dell’adeguatezza consiste in un giudizio attraverso il quale l’intermediario deve verificare che:

1. il cliente sia finanziariamente in grado di sopportare qualsiasi rischio connesso all’operazione o al servizio consigliato, compatibilmente con i suoi obiettivi di investimento;

2. l’operazione o il servizio consigliato corrispondano agli obiettivi di investimento del cliente;

3. il cliente sappia comprendere i rischi inerenti all’operazione o al servizio consigliati.

Dunque la convergenza delle indicazioni normative con il processo di pianificazione definito dalla norma UNI ISO 22222 è evidente, sebbene la MiFID, naturalmente, non entri nel merito della questione specificando la metodologia di valutazione del grado di personalizzazione e di adeguatezza delle proposte.

Ciò crea sia la necessità degli operatori di poter avere un valido orientamento metodologico - tecnico per sviluppare il proprio strumentario consulenziale, che la necessità, da parte del mercato, di definire regole obiettive di riferimento per scoraggiare comportamenti scorretti di applicazione della normativa.

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CAPITOLO II

LE FASI DI SVILUPPO DI UN PROGETTO DI PIANIFICAZIONE FINANZIARIA

1. Le aree di pianificazione

Prima di iniziare a costruire un progetto di pianificazione finanziaria, è necessario individuare e comprendere le diverse aree tipiche che lo contraddistinguono. Ogni area assumerà dei connotati diversi in funzione del tipo di soggetto (e della rispettiva famiglia) che il Financial Planner si troverà di fronte, di volta in volta, nello svolgimento della sua attività di consulenza.

1.1 L'investimento del risparmio

Ciascun individuo ha una naturale propensione al risparmio, in quanto risparmiare risorse oggi apre la possibilità di aumentare i consumi di domani, e quindi di incrementare il benessere futuro. L'unica criticità sussiste nel risparmiare in modo “organizzato” e “finalizzato”: infatti solo questi due fattori insieme consentono di raggiungere effettivamente i benefici desiderati.

In questo senso, un primo passo verso la pianificazione del risparmio ci viene suggerito dall’economista John Maynard Keynes, quando, parlando delle ragioni che spingono un soggetto al risparmio, individua tre motivi1: un motivo transattivo, uno precauzionale e

uno speculativo. Così, in modo più approfondito, il Financial Planner dovrà costruire, a fianco del cliente consumatore, la struttura che il suo risparmio deve avere in funzione delle caratteristiche particolari sue e della sua famiglia.

Il risparmio è strettamente collegato all'investimento e diventa tale quando lo spostamento nel tempo ha come obiettivo l'incremento della risorse finanziarie e patrimoniali. In questo modo l'investimento diventa un semplice mezzo per il perseguimento del suo fine ultimo: il consumo.

Figura

Fig. 2.1 - Bias ed errori nelle decisioni di investimento
Fig. 3.4  –  Costi direttamente collegati alle diverse forme di finanziamento
Tab. 2.2 – La struttura completa di uno stato patrimoniale
Fig. 1.1 – Preferenza delle diverse modalità di offerta formativa per la pianificazione del proprio bilancio familiare
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Riferimenti

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