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Connected or addicted ? Giocare per riflettere sulle abitudini digitali

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Academic year: 2021

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(1)

Anita Righetto

Relatore: Maresa Bertolo

Correlatori: Ilaria Mariani, Francesca Antonacci Politecnico di Milano

Scuola del Design

Design della Comunicazione Laurea Magistrale a.a. 2015/2016

Connected

or addicted?

Giocare per riflettere

sulle abitudini digitali

(2)
(3)

Lina, Cristina Balbiano d’Aramengo e Professione Libro, Luca e la Piadineria, Zia Annalisa PLAYTESTER E CONSIGLIERI Ale Fongaro, Pippo, Marti Mora, Gozzi e il Prominesi, la Terri, Tommi Basso, la Robertina, l’Àndre, la Sivi, Nicola, Misco J, la Marcella, Mario, la Misco, la Laura STAMPATORI Tipografia Viganò Edoardo & Figli SNC PERSONAGGI la Sca, Il Luca, l’Ari, la Robi AMICI Sivi, Marcella, Ari, Misco, Laura, Nicola, Mario, Luca, Robi, Ana, Triv, Ele, Albi. Per la pazienza, l’aiuto e il costante sostegno a tutto tondo,

Arianna.

(4)

Indice

ABSTRACT p.13 INTRODUZIONE p.XVI

IN MEDIO STAT VIRTUS

Tra dipendenza e disintossicazione

1. LA DIPENDENZA p. 26

COS’È, SINTOMI, CONSEGUENZE

2. IAD: INTERNET ADDICTION DISORDER p. 28

UNA DIPENDENZA SENZA SOSTANZA

2.1 I diversi tipi di dipendenza online p. 30

2.2 L’IAD è una vera patologia? p. 31

2.3 Gli hikikomori p. 31

3. ESISTE L’OVERDOSE DA INFORMAZIONI? p. 33

LA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE ECCESSIVA

3.1 Internet come utility p. 33

3.2 I nuovi comportamenti digitali p. 37

3.3 Quando si dice “essere multitasking” p. 37

3.4 Digital immigrants e digital natives p. 39

3.5 Le nuove reti sociali p. 41

3.6 L’inizio, e la fine, di un’amicizia in rete p. 44

3.7 Smartphone e bad habits p. 50

4. GLI HABIT-FORMING PRODUCTS p. 56

COME ENTRARE NEL CICLO DELL’ABITUDINE

4.1 Siamo abitudinari p. 58

4.2 L’inizio di un ciclo p. 60

4.3 La reazione dell’utente p. 62

4.4 La ricompensa finale p. 63

4.5 Investire sulle proprie abitudini p. 64

4.6 Si può controllare la propria assuefazione? p. 66

5. DIGITAL DETOX p. 67

DISCONNETTERSI PER RICONNETTERSI

5.1 Che cos’è il digital detox? p. 68

5.2 Should i stay (online) or should i go (to detox)? p. 69

5.3 Tre soluzioni per disintossicarsi p. 72

6. IN MEDIO STAT VIRTUS p. 76

(5)

Quando il gioco si fa persuasivo

1. IL GIOCO È BELLO FINCHÉ DURA POCO! p. 84

L’ACCEZIONE NEGATIVA DELLA PAROLA GIOCO

2. GAME STUDIES p. 85

È TEMPO DI STUDIARE I GIOCHI

2.1 Game e Play p. 86

2.2 Meaningful play p. 87

3. GIOCO E FLUSSO p. 88

ALLA RICERCA DELLA FELICITÀ

3.1 L’erba del vicino è sempre la più verde p. 89

3.2 I piaceri della vita p. 90

3.3 Flow identikit p. 91

3.4 Giocare: l’esperienza di flusso per eccellenza p. 94 3.5 Le quattro gratificazioni del giocare p. 95

4. VERSO L’INFINITO E OLTRE: I VIDEOGAME p. 97

IL CAMBIAMENTO DELLE TECNOLOGIE DIGITALI

4.1 Giochi tradizionali vs digitali p. 99

4.2 I casual games p. 103

4.3 Facciamo un “gioco serio” p. 106

5. SE LA VITA FOSSE UN GIOCO p. 109

COME GIOCARE CON IL MONDO REALE

5.1 Il lavoro (di gioco) rende felici p. 110

5.2 Questo non è un gioco p. 111

5.3 I requisiti di un ARG p. 112

5.4 I confini di un ARG p. 114

5.5 Le ricompense di un ARG p. 116

5.6 In un futuro non troppo lontano p. 117

5.7 I pro e contro degli ARG p. 118

6. GIOCANDO SI IMPARA p. 120

(6)

ANALISI DEI CASI STUDIO

Una panoramica non solo ludica

1. PERFETTI SCONOSCIUTI p. 126

OGNUNO DI NOI HA TRE VITE:

UNA PUBBLICA, UNA PRIVATA E UNA SEGRETA

1.1 Sinossi p. 126

1.2 Pensandoci su p. 127

2. PAPÀ p. 129

A VOLTE PER COMUNICARE DAVVERO LA TECNOLOGIA NON È TUTTO

2.1 Sinossi p. 129

2.2 Pensandoci su p. 130

3. IT’S TIME TO UNPLUG YOURSELF p. 132

DIGITAL DETOX APP

3.1 Digital Detox Challenge p. 133

3.2 ShutApp p. 135

3.3 Color Wars p. 136

3.4 Pensandoci su p. 137

4. NO GAME NO PARTY p. 138

DIVERTIRSI È UNA REGOLA

4.1 Taboo e Pictionary p. 138

4.2 Monkey see Monkey do p. 140

4.3 Vudù p. 141

(7)

TESTARE, MIGLIORARE

Game Design Document

1. MOTIVAZIONI PRIMARIE p. 148

SIAMO TUTTI DIPENDENTI DALLA RETE?

2. TARGET p. 150

LA GENERAZIONE Y

3. OBIETTIVI p. 156

I LIMITI DEL MULTITASKING

4. IL PROGETTO p. 158

SMART WARS: ATTENTI A NON DISTRARVI

4.1 Narrazione e mondo finzionale p. 159

4.2 Personaggi p. 160

4.3 Elementi di gioco p. 164

4.4 Gameplay p. 170

4.5 Condizione di vittoria e fine partita p. 171

4.6 Aspetto e stile p. 175

4.7 Rigiocabilità p. 176

5. PLAYTEST E FEEDBACK p. 176

“UN ATTIMO! SONO INDIETRO CON I CUBETTI”

6. SVILUPPI FUTURI E SPERANZE p. 181

UNO SGUARDO OLTRE LA LAUREA

(8)

Indice figure

.

p 14 Figura A Illustrazione tratta da Il Signore dei ratti di Leo Ortolani (pag. 59, 2011).

1. IN MEDIO STAT VIRTUS

.

p 32 Figura 1.1 Illustrazione di Yuta Onoda raffigurante la stanza di un giovane Hikikomori (4 Febbraio 2015).

.

p 34 Figura 1.2 Quanto può vivere una persona senza… secondo la rubrica “Dati di fatto” di Internazionale online (15 Maggio 2016).

.

p 36 Figura 1.3 Inferno in modalità aereo. Illustrazione di Labadessa pubblicata sulla relativa pagina Facebook (4 Aprile 2016).

.

p 41 Figura 1.4 La tabella riporta alcune differenze di abitudini e comportamenti rilevabili tra nativi digitali e immigrati digitali. I dati sono reperibili sul sito netaddiction.com, (The Center for Internet Addiction Recovery, Copyright 2009-2013).

.

p 42 Figura 1.5 I TONI. Illustrazione di Labadessa pubblicata sulla relativa pagina Facebook (1 Luglio 2016).

.

p 43 Figura 1.6 Le emoticon più usate secondo la rubrica “Dati di fatto” della rivista Internazionale online (3 Giugno 2016).

.

p 45 Figura 1.7 An annual get-together is great, but maintaining a connection year-round has physical as well as emotional benefits. Immagine di Domenic Bahmann per Australian House & Garden Magazine (Dicembre 2015).

.

p 46 Figura 1.8 Percentuale di possessori di smartphone di diverse fasce d’età, che usa lo smartphone per i seguenti motivi (Pew Research Center, 2014). .

p 47 Figura 1.9 Percentuale di possessori di smartphone di diverse fasce d’età, che usa lo smartphone per le seguenti attività (Pew Research Center, 2014). .

p 49 Figura 1.10 Lo screenshot illustra uno degli step da completare per cancellare il proprio account di Facebook.

.

p 51 Figura 1.11 Il logo della campagna Stop Phubbing (2012). .

p 53 Figura 1.12 Illustrazioni del francese Jean Jullien, che con le sue opere ha deciso di esplorare la nostra crescente dipendenza da smartphone e social network: In metro, Sorgi e splendi, Vite moderne, Il concerto, A tavola, I love New York.

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p 55 Figura 1.13 Illustrazioni tratte dalla vignetta di Zerocalcare intitolata La fascia oraria delle bermude.

.

p 55 Figura 1.14 Percentuale di possessori di smartphone che descrivono i “sentimenti” provati per il proprio telefono (Pew Reasearch Center, 2014).

.

(9)

.

p 66 Figura 1.17 Godersi il momento secondo la rubrica “Dati di fatto” della rivista Internazionale online (11 Maggio 2016).

.

p 74 Figura 1.18 Disconnecting from your devices and reconnecting with reality is one of the healthiest things you can do for mind and body. Immagine di Domenic Dahmann per Australian House & Garden Magazine (Giugno 2016).

2. GIOCANDO SI IMPARA

.

p 89 Figura 2.1 Diagramma che illustra il verificarsi del flusso. .

p 90 Figura 2.2 Immagine che illustra la piramide dei bisogni, teorizzata dallo psicologo statunitense A. Maslow nel 1943 in A Theory of Human Motivation. Vengono qui evidenziati i bisogni che possono trovare appagamento tramite l’attività di gioco. .

p 101 Figura 2.3 Indizi nel gioco per mobile device Alto’s Adventure (Snowman, 2015). .

p 102 Figura 2.4 Una schermata di Tetris. .

p 104 Figura 2.5 L’immagine raffigura uno screenshot del videogioco Alto’s adventure (Snowman, 2015) in cui il paesaggio di sfondo non cambia mai radicalmente, ma è costituito da elementi ripetuti in un ordine sempre diverso. L’unica azione “permessa” all’utente è quella ti toccare lo schermo facendo così saltare il proprio personaggio per superare gli ostacoli e totalizzare più punti.

.

p 105 Figura 2.6 Una schermata di Pac-Man. .

p 106 Figura 2.7 Una schermata di FarmVille. .

p 108 Figura 2.8 The mutual position of PG and SG according to Bogost’s (2007) perspective (I. Mariani, 2015, pag. 34).

.

p 114 Figura 2.9 L’immagine raffigura lo scambio continuo tra ciò che si trova all’interno del cerchio magico ed il contesto esterno in cui esso vive.

.

p 117 Figura 2.10 Logo del gioco World Without Oil (2007). .

p 119 Figura 2.11 Uno screenshot di Chore Wars (Devis, 2007). .

p 120 Figura 2.12Fotogramma del film Mary Poppins (Walt Disney, 1964) che ritrae la protagonista impersonata da Julie Andrews.

(10)

3. ANALISI DEI CASI STUDIO

.

p 126 Figura 3.1 Fotogramma del film Perfetti Sconosciuti, in cui i protagonisti si scattano un selfie.

.

p 129 Figura 3.2 Fotogramma finale dello spot pubblicitario Papà per Wind. .

p 132 Figura 3.3 La mela, oggi (Peccato originale).Illustrazione di Labadessa, riguardante la nascita dell’era degli smartphone, pubblicata sulla relativa pagina Facebook (30 Dicembre 2015).

.

p 133 Figura 3.4 Schermate tratte dall’applicazione Digital detox challenge di Martin Stava (update 2016).

.

p 135 Figura 3.5 Schermate tratte dall’applicazione Shutapp - digital detox di Swiperience GmbH (update 2015).

.

p 138 Figura 3.6 Tre carte del gioco Taboo. .

p 139 Figura 3.7 Due carte del gioco Pictionary e il disegno di un giocatore. .

p 140 Figura 3.8 Tre carte del gioco Monkey See Monkey Do. .

p 141 Figura 3.9 Tre carte del gioco Vudù.

4. PROGETTARE, TESTARE, MIGLIORARE

.

p 149 Figura 4.1 Una schermata dell’applicazione menù di Holy Burger (Luglio 2016). .

p 151 Figura 4.2 La tabella riporta le domande del questionario proposto ai destinatari. .

p 154 Figura 4.3 Percentuali dei soggetti che secondo il test IAT presentano un più o meno grave Internet Addiction disorder.

.

p 155 Figura 4.4 Percentuali del’uso dello smartphone in ambito: di studio/lavorativo personale

.

p 156 Figura 4.5 Un’opera di Bansky che esprime in maniera ironica qual è il ruolo e il posto dei device nella quotidianità.

.

p 158 Figura 4.6 Il logo di Smart Wars Attenti a non distrarvi. .

p 160 Figura 4.7 Le illustrazioni realizzate per i personaggi del gioco. .

(11)

la seconda comune. .

p 168 Figura 4.11 Una carta Strategia A e una B. .

p 169 Figura 4.12 I 600 cubetti colorati che rappresentano le sei abitudini digitali. .

p 170 Figura 4.13 Il diagramma di flusso di una fase di gioco dal punto di vista di un singolo giocatore.

.

p 171 Figura 4.14 Il QR code da scansionare con lo smartphone del vincitore. .

p 175 Figura 4.15 Le icone, (a lato) i personaggi e la palette colori del progetto. .

p 176 Figura 4.16 Schema del processo iterativo di design di I. Mariani (2016) e adattato da Zuberskerritt (2001).

.

p 178 Figura 4.17 Un dettaglio della plancia “ad incastro”. .

p 179 Figura 4.18 I giocatori durante uno dei playtest. .

p 181 Figura 4.19 Una fase di gioco di uno dei playtest.

.

(12)
(13)

13

Abstract

Q

uesta tesi nasce dalla volontà di riflettere sulla questione controversa della dipendenza da Internet e nuove tecnologie digitali, focalizzando l’attenzione sui cambiamenti che queste ultime hanno portato nella quotidianità. In particolare pone l’accento su uno specifico aspetto della questione, cioè la propensione dell’essere umano ai comportamenti multitasking, analizzandola per comprendere quali sono le possibili conseguenze e poiché molto diffusa nella società odierna.

La proposta progettuale presentata è dunque un artefatto ludico che intende sensibilizzare gli individui della cosiddetta Generazione Y (nativi digitali attualmente tra i 20 e i 29 anni) sul tema della dipendenza dai device digitali; nello specifico il progetto evidenzia come l’eccessivo utilizzo dello smartphone, durante lo svolgimento di altre mansioni, possa portare ad una perdita di efficienza ed efficacia.

Adottando la prospettiva del Design della Comunicazione è stata effet-tuata una ricerca sull’utilizzo dei device digitali e della rete, avvalendosi di saperi e conoscenze che derivano dai Media Studies e dall’ambito della sociologia. Analizzando la situazione attuale, si è riscontrata la necessità di portare gli individui a riflettere sul modo in cui vivono la presenza dei device e non soltanto sulla quantità di tempo dedicata all’utilizzo degli stessi. Alla luce di ciò è emerso che il gioco, quale potente ed efficace strumento comunicativo, sfruttando la retorica procedurale e la sua capacità di ridurre scenari complessi, riesce a porre il giocatore di fronte a situazioni o temi difficili da affrontare nel quotidiano. È stato quindi necessario avvicinarsi alla disciplina dei Game Studies partendo dalle sue basi, come la definizione di gioco e la significatività delle azioni del giocatore, per poi approfondire il concetto di cerchio magico quale “luogo” sicuro in cui cresce la propensione ad assumere prospettive diverse e riflettere su argomenti talvolta problematici.

Da qui nasce Smart Wars, un gioco da tavolo in cui i giocatori possono sfidarsi a chi è più multitasking, riflettendo sugli aspetti positivi e nega-tivi delle proprie abitudini digitali. Con il progetto non si vuole indicare cosa sia giusto o sbagliato, ma suggerire che un uso bilanciato dei device potrebbe essere la via per una vita più consapevole e, forse, migliore.

(14)
(15)
(16)

Introduzione

Internet ha contribuito in maniera

decisiva a ridefinire lo spazio

pubblico e privato, a strutturare

i rapporti tra le persone

e tra queste e le Istituzioni.

Ha cancellato confini e ha costruito

modalità nuove di produzione

e utilizzazione della conoscenza.

Ha ampliato le possibilità

di intervento diretto delle persone

nella sfera pubblica.

Ha modificato l’organizzazione

del lavoro. Ha consentito lo sviluppo

di una società più aperta e libera.

Internet deve essere considerata come

una risorsa globale e che risponde

al criterio della universalità. […]

(Preambolo, Dichiarazione dei diritti

in Internet, 2015)

(17)

XVII

I

per i diritti e i doveri relativi ad Internet ha pubblicato il testo della prima Dichiarazione dei diritti in Internet. Come dichiarato sulla pagina web della Camera dei Deputati, è la prima volta che in Italia si istituisce in sede parlamentare una Commissione di studio su questo tema. L’idea nasce dalla consapevolezza che considerare Internet un media qualsiasi è riduttivo e improprio. Oggi la rete è molto di più: è una dimensione essenziale per il presente e il futuro delle nostre società; una dimensione diventata in poco tempo un immenso spazio di libertà, di crescita, di scambio e di conoscenza (cfr. www.camera.it, 2015).

Vi sono però alcuni aspetti della rete che nella nostra società spesso vengono considerati negativi, nocivi alla salute; talvolta questi “difetti” sono associati alla diffusione degli smart device, ossia i dispositivi digitali di cui si fa largo uso nel quotidiano (ne sono un esempio smartphone, tablet e smartwatch). Si parla perfino di Internet dipendenza dovuta ad un eccessivo utilizzo della rete, come si parla di dipendenza dal fumo o dall’alcol.

Il tema della dipendenza da Internet e nuove tecnologie digitali è controverso (v. capitolo 1) ed è oggetto di analisi e dibattiti. Un aspetto peculiare che lo contraddistingue è che non viene a tutti gli effetti considerato al pari delle altre dipendenze (v. capitolo 1, paragrafo 2). La decisione di approfondire la questione è nata da una semplice domanda:

siamo tutti dipendenti dalla rete e dai device digitali?

La tesi propone una panoramica sulla situazione attuale (2016) per quanto riguarda l’utilizzo dei device digitali e della rete. In particolare, come spiegato in dettaglio nel capitolo 4 paragrafo 1, si vuole portare il lettore a concentrare la propria attenzione sulle abitudini digitali degli individui, sulla comunicazione online (ad esempio riportando le reazioni degli utenti ad alcuni contenuti o come alcuni artisti si esprimono sul tema) e sui rimedi o soluzioni che vengono proposti per il digital detox.

(18)

XVIII

Nel corso dei miei studi, come i miei coetanei e le generazioni prece-denti la mia, ho potuto assistere alla nascita degli smartphone e tablet e all’espansione dell’utilizzo della rete. Questo è avvenuto sia in ambito professionale, che accademico, sia, naturalmente, quotidiano e personale. Sempre più persone utilizzano i device digitali: sui mezzi pubblici, per leggere, studiare, lavorare, guardare film o simili; o ancora, per giocare, telefonare o fotografare tutti gli istanti più significativi della propria vita, dal primo piatto al ristorante al tramonto in vacanza, dalla performance di un cantante in concerto al selfie scattato davanti ad un’attrazione turistica. Prestando attenzione ai comportamenti delle persone con cui condivido le mie giornate, ho notato che in ogni momento si può “trovare una scusa” per utilizzare lo smartphone: che sia per cercare qualche informazione interessante emersa discutendo a cena, o per giocare mentre ci si racconta la propria giornata seduti sul divano. Vi sono anche alcuni locali in cui il menù viene presentato in un tablet e non è più il cameriere a prendere l’ordine, ma quest’ultimo si effettua tramite l’apposita applicazione sul dispositivo.

Ciò che ha stimolato il mio interesse verso la tematica della dipendenza dalla rete, suscitando la domanda posta all’inizio del paragrafo (Siamo tutti dipendenti dalla rete e dai device digitali?), è stata una ricerca svolta durante il corso di Sintesi Finale intitolato The Web, the Data and Myself (A. A. 2014/15)1. Insieme a quattro colleghi, ho indagato quali sono le caratteristiche dell’Internet Addiction e quali le numerose opportunità tra cui è possibile scegliere per il proprio digital detox (v. nota 12, capitolo 1). Da un’analisi su diverse piattaforme online (tra cui Amazon.com, Google Play, Digital Detox Holidays), risulta che molti studiosi (come ad esempio Turkle [2012] e Carr [2011]) mostrano avere un atteggiamento critico e a volte ostile nei confronti della rete e dei device, convinti della loro capacità di creare assuefazione tanto da doversene disintossicare.

Alla luce di quanto osservato nel quotidiano e indagato tramite una prima analisi della letteratura, ho ritenuto decisamente interessante approfondire la tematica e investigare ulteriormente il problema. In particolare, ho ritenuto opportuno non concentrare la mia ricerca sul problema vero e proprio dell’assuefazione, rischiando di spingermi oltre i confini delle mie competenze. Ho adottato invece la prospettiva del design della Comunicazione, cui ho affiancato saperi transdisciplinari che derivano dai media studies e dall’ambito della sociologia.

1. Il Laboratorio di Sintesi Finale, sez. C3, è stato tenuto dai professori Paolo Ciuccarelli, Marco Fattore, Stefano Mandato, Donato Ricci, Salvatore Zingale.

(19)

XIX

Ho deciso dunque di concentrarmi su uno specifico aspetto della questione, cioè la propensione dell’essere umano ai comportamenti multitasking, analizzandola per comprendere quali sono le possibili conseguenze e poiché molto diffusa nella società odierna. Stando a quanto afferma Proserpio (2011), gli individui riescono a “processare” più di un’informazione alla volta, ma per un essere umano non è facile dedicarsi a diverse attività contemporaneamente e garantendo su tutti i fronti le prestazioni adeguate. Tuttavia, i device hanno un posto prediletto al fianco di ognuno di noi, li controlliamo frequentemente, e, da veri multitasker, ce ne serviamo nel corso delle attività che svolgiamo quotidianamente. Ragionando su come gli esseri umani riescano a concentrare la propria attenzione su diverse attività simultaneamente, mi sono chiesta come fosse possibile, ad esempio, conversare durante una cena tra amici e nel frattempo utilizzare la chat di Facebook, senza distrarsi o dalla prima o dalla seconda.

Da qui la scelta di evidenziare, esagerandone alcuni aspetti, come l’eccessivo utilizzo dello smartphone, durante lo svolgimento di altre mansioni, possa portare ad una perdita di efficienza ed efficacia. Lo smartphone in particolar modo, per via delle sue maneggevoli di-mensioni e delle molteplici funzionalità che offre (tra cui telefonare, inviare messaggi, giocare, navigare in Internet), è il device digitale più diffuso in Italia (Eurispes, Rapporto Italia 2016); tre persone su quattro ne possiedono uno e lo portano con sé negli spostamenti quotidiani.

Oggigiorno il gioco, essendo uno strumento di comunicazione potente ed efficace, viene utilizzato sempre più frequentemente nell’ambito dell’istruzione, dell’apprendimento e della sensibilizzazione sociale. Grazie alle caratteristiche che lo definiscono e che verranno indagate tramite alcuni tra i più importanti scritti sul tema, come ad esempio Rules of Play (Salen e Zimmermann, 2004) e Persuasive Games (Bogost, 2007), il gioco è in grado di coinvolgere il giocatore e, attraverso la simulazione e la retorica procedurale (Bogost, 2007), porlo di fronte a temi complessi o difficili da affrontare nel quotidiano. L’ingresso nel cerchio magico (Huizinga, [1938] 2002), ossia il mondo finzionale di gioco, aiuta gli individui a rilassarsi, consapevoli di essere entrati in un ambiente sicuro in cui vivere nuove esperienze. In questo “luogo” cresce la propensione ad assumere prospettive diverse e riflettere su argomenti talvolta problematici.

(20)

XX

Le ricerche da me condotte su come siamo inclini a percepire la rete e qual è il ruolo dei device digitali nelle nostre vite, mi hanno portata a paragonare il mondo di Internet con quello del gioco, anche se quest’ul-timo è già parte integrante della realtà online dato il ruolo significativo dei videogame disponibili sul Web. Com’è facile immaginare i due mondi presentano diverse caratteristiche comuni e spesso vengono accusati di essere soltanto dei modi per perdere tempo, evadere dalla realtà o addirittura creare dipendenza. Certamente un uso sconsiderato dell’uno e dell’altro può avere conseguenze anche molto spiacevoli, ma concordo con McGonigal (2011) nel sostenere che ambedue hanno le potenzialità necessarie per migliorare le nostre vite, facendoci ritrovare il piacere delle piccole gioie quotidiane.

Per questi motivi ho scelto di affrontare una tematica controversa e attuale, quale la dipendenza da Internet e smart device, realizzando un artefatto ludico in cui i giocatori possano sfidarsi a chi è più multitasking, riflettendo sugli aspetti positivi e negativi delle proprie abitudini digitali.

L’esito progettuale di questa ricerca è quindi un artefatto ludico (gioco da tavolo) volto a sensibilizzare gli individui della mia generazione sulle modalità di utilizzo dello smartphone e di Internet nel quotidiano. Con il progetto non si vuole indicare cosa sia giusto o sbagliato, ma suggerire che un uso bilanciato di entrambi potrebbe essere la via per una vita più consapevole e, forse, migliore.

La tesi si apre con una definizione del concetto di dipendenza per giungere in seguito all’Internet Addiction (capitolo 1, paragrafo 1-2), una dipendenza senza sostanza. Successivamente è possibile approfondire quali sono i nuovi comportamenti digitali e come le generazioni nate dopo l’avvento del WWW siano più propense all’assuefazione da smart device (capitolo 1, paragrafo 3-4). Si può poi trovare una riflessione sulle opinioni contrastanti di alcuni autori (tra cui Jurgenson [2013] e Turkle [2012]) in merito al digital detox, e la descrizione di diverse soluzioni reperibili online (capitolo 1, paragrafo 5).

Dopo aver tracciato una panoramica della rete nei suoi aspetti positivi e negativi, nel secondo capitolo si presenta una riflessione critica sul ruolo del gioco nella società moderna (capitolo 2, paragrafo 1-2) e, riprendendo quanto sostenuto da studiosi quali ad esempio Csikszentmihalyi (1990) e McGonigal (2011), si riporta un’analisi di come alternative tipologie di attività ludiche contribuiscano a migliorare il nostro quotidiano e spesso persino la nostra stessa esistenza (capitolo 2, paragrafo 3-5).

(21)

XXI

Il terzo capitolo offre un’analisi critica di alcuni esempi di narrazioni inerenti la tematica: dalle strisce a fumetti online ai lungometraggi, dagli spot pubblicitari ai videogiochi. Concentrando l’attenzione sul mondo ludico, è emerso con non poco stupore che non vi sono artefatti riguardanti il problema dell’Internet dipendenza. Sebbene la questione sia ormai discussa largamente, non vi sono ancora giochi che trattano nello specifico l’Internet Addiction Disorder; al contrario è invece facile imbattersi in casi di applicazioni, espedienti all’interno di videogiochi o accorgimenti nella vita quotidiana il cui fine è quello di limitare l’accesso alla rete e ai suoi contenuti (capitolo 3, paragrafo 3).

Chiude la tesi il quarto capitolo, che riporta le scelte progettuali e le meccaniche alla base del funzionamento di Smart Wars. L’artefatto ludico è un card game volto a far riflettere il target individuato (la ge-nerazione Y, capitolo 4, paragrafo 2) su come vive la presenza dei device digitali durante le attività che si svolgono quotidianamente, prestando particolare attenzione a quanto l’uso dello smartphone possa essere fonte di distrazione con ripercussioni in termini di efficienza (capitolo 4, paragrafo 3). Smart Wars è una guerra a chi è più multitasking e sa destreggiarsi al meglio tra le numerose azioni da svolgere in una “gior-nata tipo” di un giovane nativo digitale. Il gioco viene descritto in tutte le sue componenti e vengono ipotizzati i possibili sviluppi da realizzare in futuro (capitolo 4, paragrafo 6), grazie anche ai feedback generati durante i playtest (capitolo 4, paragrafo 5).

(22)
(23)

23

1

In medio

stat virtus

Tra dipendenza

e disintossicazione

(24)

“Internet

deve esser

considerata

come una

risorsa globale

e che risponde

al criterio

della

universalità.”

Preambolo,

Dichiarazione

dei diritti in Internet,

28 Luglio 2015

“Internet

deve esser

considerata

come una

risorsa globale

e che risponde

al criterio

della

universalità”

Preambolo,

Dichiarazione

dei diritti in Internet,

28 Luglio 2015

(25)

25

A

vete mai provato a contare quante volte al giorno sbloccate lo schermo del vostro smartphone? Se vi guardate intorno sull’autobus o in treno, chi non ha un telefono o tablet in mano? Prima di andare a dormire, leggete un libro o mandate la buonanotte ai vostri amici su Whatsapp?

Dopo essermi posta numerose domande simili a queste, ho iniziato a chiedermi se fosse possibile sviluppare una sorta di dipendenza dallo smartphone o da qualsiasi altro device digitale; così ho scoperto l’esistenza di alcune forme di assuefazione dovute non tanto a delle sostanze chimiche, quali ad esempio l’alcol o il fumo, bensì ad abitudini quotidiane, comportamenti inconsueti e/o strumenti che ne favoriscono la formazione. Tuttavia, per poter approfondire la tematica, ritengo necessario introdurre brevemente il concetto di dipendenza, in modo da poter creare una base terminologica condivisa, che riassuma in parte i concetti centrali della letteratura di riferimento.

(26)

26

1 

LA DIPENDENZA

COS’È, SINTOMI, CONSEGUENZE

Per dipendenza si può intendere un’alterazione del comportamento che da semplice e comune abitudine diventa un bisogno assoluto e irrefrenabile del piacere attraverso mezzi, sostanze o comportamenti che sfociano nella condizione patologica.1 Oggi questo termine, amplia-mente definito in ambito medico-scientifico, è condiviso dalla società e viene utilizzato quotidianamente, tanto da essere trattato anche in una pagina di Wikipedia, l’enciclopedia libera online.

I sintomi tipici possono essere sia di tipo psico-cognitivo che fisiologico e comportamentale. Le conseguenze della dipendenza diventano mano a mano sempre più serie e cronicizzanti a livello sociale, lavorativo, familiare ed affettivo, ovvero in tutte le parti vitali dell’esistenza della persona. Essa può instaurarsi sia con l’abuso di una certa sostanza psi-coattiva, che con quello di una determinata situazione e quindi senza che vi sia uno specifico innesco chimico alla base.

Si può dipendere patologicamente da cibo (bulimia, dipendenza da zuccheri, disturbo da alimentazione incontrollata), da sostanze stupefa-centi (tossicodipendenza), in cui rientrano l’alcolismo, il caffeinismo e il tabagismo, da sesso (dipendenza sessuale, masturbazione compulsiva), da lavoro (work-a-holic), da comportamenti legati alle azzardopatie, dallo shopping (shopping compulsivo), dalla televisione, da Internet (Internet dipendenza), dall’abuso di videogame.

La diagnosi delle varie dipendenze si basa universalmente sui criteri indicati nel manuale internazionale di statistica e diagnostica dei disturbi mentali (DSM, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders2),

1. La definizione, riportata anche su Wikipedia alla voce Dipendenza, è tratta dal sito dell’American Society for Addiction Medicine, Definition of Addiction (2012) ed è reperibile al seguente link [Accesso: Aprile 2016]: http://www.asam.org/ quality-practice/definition-of-addiction

2. Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM) è la classificazione standard dei disturbi mentali utilizzati dai professionisti della salute mentale negli Stati Uniti e contiene un elenco di criteri diagnostici per ogni disturbo psichiatrico riconosciuto dal sistema sanitario degli USA.

La precedente edizione, DSM-IV-TR, è stata utilizzata in una vasta gamma di contesti, da professionisti quali psichiatri e altri medici, psicologi, assistenti sociali, infermieri, terapisti occupazionali e di riabilitazione, consiglieri, nonché da clinici e ricercatori di molti orientamenti diversi (ad esempio, bio-logici, psicodinamici, cognitivi, comportamentali, interpersonali, familiari). Il DSM viene utilizzato sia in ambito clinico (pazienti ricoverati, ambulatoriali,

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strumento di diagnosi che applica la relativa stabilità dei sintomi descritti in un periodo minimo di osservazione.

Secondo il DSM, quando si manifestano tre o più delle condizioni seguenti entro un periodo di 12 mesi, si può dire di essere dipendenti da una sostanza, da un comportamento o da una situazione. Come si vedrà nel prossimo paragrafo, in cui viene definito l’Internet Addiction Disorder, questi stati d’animo si verificano anche nelle dipendenze senza sostanza. 1) Tolleranza, come definita da ciascuno dei seguenti:

• Il bisogno di dosi notevolmente più elevate della sostanza per raggiungere l’intossicazione o l’effetto desiderato;

• un effetto notevolmente diminuito con l’uso continuativo della stessa quantità della sostanza.

2) Astinenza, come manifestata da ciascuna dei seguenti: • La caratteristica sindrome di astinenza per la sostanza […]; • la stessa sostanza (o una strettamente correlata) è assunta per attenuare o evitare i sintomi di astinenza;

• la sostanza è spesso assunta in quantità maggiori o per periodi più prolungati rispetto a quanto previsto dal soggetto.

3) Desiderio persistente o tentativi infruttuosi di ridurre o controllare l’uso della sostanza.

4) Una grande quantità di tempo viene spesa nel procurarsi la sostanza (per esempio, recandosi in visita da più medici o guidando per lunghe distanze), ad assumerla o a riprendersi dai suoi effetti.

5) Interruzione o riduzione di importanti attività sociali, lavorative e ricreative a causa dell’uso della sostanza.

6) Uso continuativo della sostanza nonostante la consapevolezza di avere un problema persistente o ricorrente, di natura fisica o psicologica, verosimilmente causato o esacerbato dalla sostanza (per esempio, il soggetto continua ad usare cocaina malgrado il riconoscimento di una depressione indotta da cocaina, oppure continua a bere mal-grado il riconoscimento del peggioramento di un’ulcera causato dell’assunzione di alcol).

(DSM-IV-TR, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, text revision, pp. 219-220)

ospedalieri parziali, clinici, di pratica privata e di assistenza primaria), nonché con la popolazione della comunità. Oltre a fornire descrizioni dettagliate dei criteri diagnostici, esso è anche uno strumento necessario per la raccolta e la comunicazione di statistiche sulla salute pubblica circa la diagnosi di disturbi psichiatrici (cfr. American Psychiatric Association, APA, 2014).

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Tale ricerca ed utilizzo aumentano progressivamente fino a diventare compulsione e a provocare nell’individuo ansia e stress per la mancata assunzione o il difficoltoso reperimento. Le varie sfere che compongono la vita dell’individuo vengono allora man mano trascurate e gradual-mente compromesse.

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IAD: INTERNET ADDICTION DISORDER

UNA DIPENDENZA SENZA SOSTANZA

Internet: è la rete ad accesso pubblico che connette vari dispositivi

in tutto il mondo. Dalla sua nascita rappresenta il principale mezzo di comunicazione di massa che offre all’utente una vasta serie di contenuti informativi e servizi. Il termine “internet” è stato mutuato dall’inglese, dove nasce come acronimo di interconnected networks (in italiano reti interconnesse) e viene utilizzato per la prima volta nel 1975. Si tratta di un’interconnessione globale tra reti informatiche di natura e di estensione diversa, resa possibile da una suite di protocolli di rete comune chiamata TCP/IP, dal nome dei due protocolli principali, il TCP e l’IP; questi ultimi costituiscono la “lingua” con cui i computer connessi ad Internet (gli host) comunicano tra loro ad un livello superio-re, indipendentemente dalla loro sottostante architettura hardware e software, garantendo così l’interoperabilità tra sistemi e sottoreti fisiche diverse (Marinelli, Enciclopedia Treccani online, Internet e Web, 2008). Internet rappresenta indubbiamente la più grande rivoluzione so-cio-culturale del XXI secolo: oltre a rendere disponibile un’enorme quantità d’informazioni, rappresenta anche un cyberspazio senza più confini spazio-temporali, in cui è possibile fare diverse esperienze emotive soddisfacendo in modo immediato i propri impulsi.

Gli psicologi David Scaramozzino e Maurizio Rabuffi, in un articolo scritto nel dicembre 2014, sostengono che sia questa la ragione per cui l’utilizzo del Web ha aperto la strada a specifiche forme psico-patologiche; queste ultime si configurano o come nuove versioni di dipendenze comportamentali già note, è il caso del gioco d’azzardo o del sesso, oppure come inedite dipendenze dagli stessi strumenti, i quali consentono di rimanere in contatto con altre persone in ogni istante e virtualmente in ogni luogo, ad esempio le chat o i social network.

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Anche la rete quindi non è immune dal poter esser usata in modo peri-coloso e/o patologico. Negli ultimi anni si è potuta osservare nel campo delle scienze mentali, la nascita di una moderna forma di dipendenza, definita Internet-dipendenza, in inglese Internet Addiction Disorder (IAD).

Rispetto alle psicopatologie la dipendenza dalla rete rappresenta spesso un fattore aggravante, un ulteriore sintomo che va ad aggiungersi agli altri. In un primo periodo Internet permette di compensare e tamponare alcune difficoltà della persona afflitta da una psicopatologia: un esempio è la possibilità di instaurare relazioni velocemente e senza difficoltà emotive; ma dopo un po’ di tempo si può incorrere in sintomi e disagi psicologici e sociali simili a quelli legati all’abuso di sostanze o al gioco d’azzardo. Dunque, nei casi di una psicopatologia preesistente, l’uso di Internet è, o comunque può essere, collegato ad essa.

I due studiosi affermano inoltre che la rete, così ricca di opportunità di informarsi e di conoscere, possa diventare un problema anche per le persone che non hanno mai avuto alcun disturbo psicologico, le quali potrebbero divenire vittime dei propri stessi bisogni. Attraverso dei comportamenti di uso eccessivo infatti, porta ad una progressiva disgre-gazione delle esperienze e delle dinamiche della vita reale, spingendo l’individuo verso una sempre maggiore alienazione sociale ed affettiva.

A tutto ciò si aggiunge il fatto che la rete possiede grandi potenzialità, come ad esempio quella di indurre sensazioni di onnipotenza, di sopraf-fare le distanze e il tempo e/o cambiare identità o nasconderla, oltre alla possibilità di fornire emozioni e rapporti interpersonali virtuali senza ruoli, vincoli e convenzioni.

Secondo lo studio citato in precedenza, inizialmente la dipendenza dalla rete è caratterizzata dall’attenzione ossessiva a temi e strumenti, come il controllo ripetuto della posta elettronica durante la stessa giornata, la ricerca di programmi e mezzi di comunicazione sempre più efficaci, lunghissimi periodi passati in chat.

In un secondo momento vi è il progressivo aumento del tempo tra-scorso online, con un crescente senso di malessere, di agitazione, di bassa attivazione quando si è scollegati. A questo punto si presentano gli stessi sintomi clinici tipici della dipendenza da sostanze, cioè quelli di tolleranza, di astinenza e di danno in aree del funzionamento sociale, sentimentale, occupazionale, familiare.

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2.1 I DIVERSI TIPI DI DIPENDENZA ONLINE

Secondo la pioniera di queste ricerche Kimberly Young, che ha fondato il Center for Online Addiction statunitense nel 1995, sono stati riconosciuti 5 tipi specifici di dipendenza online (1999):

1) Dipendenza cyber-sessuale, ovvero la dipendenza da pornografia online, dove gli individui che ne soffrono sono di solito dediti allo scaricamento, all’utilizzo e al commercio di materiale pornografico online e/o sono coinvolti in chat-room per soli adulti.

2) Dipendenza cyber-relazionale, definibile anche dipendenza da Social Network (es. Facebook), dove gli individui che ne sono affetti diventano fortemente coinvolti in relazioni online o possono intraprendere un adulterio virtuale. In questo caso gli amici online diventano rapida-mente più importanti dei rapporti reali con la famiglia e gli amici. 3) Net Gaming, cioè la dipendenza dai giochi in rete, che comprende

una vasta categoria di comportamenti, compreso il gioco d’azzardo patologico, giocare ininterrottamente a videogame, lo shopping compulsivo e il commercio online compulsivo.

4) Sovraccarico cognitivo, dovuto alla ricchezza dei dati disponibili in rete e che crea un comportamento compulsivo di navigazione e di utilizzo dei dati del Web.

5) Gioco al computer, anch’esso se eccessivamente prolungato, si può tra-mutare in una compulsione. Negli anni ottanta, giochi quali Solitario (1990) e Campo Minato (1989) furono programmati nei calcolatori e i ricercatori scoprirono che vi era un nuovo problema nelle strutture organizzate, infatti gli impiegati trascorrevano la maggior parte del giorno a giocare piuttosto che a lavorare. Nonostante rientri tra i tipi di dipendenza online, nessuno di questi giochi prevede l’interazione di più giocatori o l’essere giocato in rete.

La dottoressa Young, oltre ad essere autrice di numerosi libri, come ad esempio Caught in the Net (1998), articoli e ad aver tenuto diverse conferenze, ha ideato un test chiamato IAT (Internet Addiction Test), utile a diagnosticare l’insorgere di problemi legati all’uso eccessivo della rete. Nel 2014 ha avuto luogo a Milano il primo Congresso Interna-zionale sull’Internet Addiction Disorder e, per la prima volta in Italia, le nuove dipendenze derivanti dal web sono state dibattute e analizzate.

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Il congresso, organizzato da ESC Team (fondato da Paolo Giovannelli nel 2010 a Milano), ha visto l’intervento di 40 tra i migliori ricercatori italiani ed internazionali tra cui anche la dottoressa Young.

2.2 L’IAD È UNA VERA PATOLOGIA?

Ivan Goldberg, studioso e psichiatra statunitense, propose già nel 1995, in forma provocatoria, di introdurre nel DSM una nuova sindrome denominata Internet Addiction Disorder. Eppure, sebbene la dipendenza dalle nuove tecnologie sia sicuramente in fase di crescita, purtroppo viene spesso confusa con situazioni psicopatologiche diverse. Il gioco d’azzardo patologico è al momento l’unico disturbo non correlato a sostanze, inserito come categoria diagnostica nel DSM-5. Il gruppo di lavoro dell’American Psychiatric Association, che ha redatto nel 2013 il DSM-5, ha esaminato più di 240 articoli trovando similitudini compor-tamentali tra gioco su Internet, disturbo da gioco d’azzardo patologico e disturbo da uso di sostanze. Mancando però ancora una definizione standard dell’IAD è difficile determinare i dati con precisione ed è per questo che essa non è stata ancora inserita ufficialmente all’interno del DSM (Scaramozzino e Rabuffi, 2014).

2.3 GLI HIKIKOMORI

Come si è visto nei paragrafi precedenti, l’IAD è una modalità eccessiva di utilizzo della rete telematica che si traduce in una serie di sintomi cognitivi e comportamentali tra cui la perdita di controllo, la tolleranza e l’astinenza. Se ai soggetti viene impedito di usare il computer, diventano irritabili, ansiosi o tristi. Spesso rimangono senza cibo o sonno per lunghi periodi e trascurano i normali doveri sociali. Da alcuni anni in Giappone, per esempio, vi sono casi di giovani che vivono reclusi volontariamente nella propria camera per mesi o addirittura per anni, connessi al resto del mondo soltanto via computer e refrattari a qualsiasi tipo di relazione diretta o concreta con la realtà e i propri simili (A. Mariani, 2012). Essi vengono detti hikikomori (引きこもり letteralmente "stare in disparte, isolarsi", dalle parole hiku “tirare” e komoru “ritirarsi”), solitamente sono figli unici, maschi, sui quali i genitori proiettano forse troppe aspetta-tive, in particolare dal punto di vista scolastico; essi cominciano così a

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presentare problemi con i compagni di scuola, si sentono inadeguati, sono vittime di bullismo e piano piano non vogliono più uscire dalla loro stanza, né lavarsi [Figura 1.1]. Trascurando la vita reale si immergono sempre più profondamente nel mondo virtuale, soprattutto quello dei giochi MMORPG (Massively Multipayer Online Role-Playing Games).

Data la rilevanza sociale del fenomeno (cfr. Aguglia et al., 2010: 157-164), in Giappone si è cercato di porre rimedio al problema degli hikikomori attraverso due principali tipi di approcci, ciascuno dei quali con il proprio stile e la propria filosofia di trattamento. L’approccio medico-psichiatrico consiste nel trattare la condizione come un disturbo mentale o compor-tamentale, quindi con il ricovero ospedaliero, sedute di psicoterapia e assunzione di psicofarmaci. L’approccio basato invece sulla risocializ-zazione guarda al fenomeno come a un problema di socializrisocializ-zazione piuttosto che come ad una malattia mentale. L’individuo viene quindi ospitato in una comunità-alloggio in cui sono presenti altri hikikomori, con la possibilità di interagire lontano dalla casa di origine. In ogni caso i giovani che manifestano atteggiamenti simili vengono sottoposti all’attenzione di specialisti e medici così da non sottovalutare il problema e porvi rimedio il prima possibile.

Questo però non è un fenomeno esclusivamente giapponese (A. Mariani, 2012), essendo diffuso, in percentuale minore, anche nel resto del mondo con casi certificati negli Stati Uniti, Regno Unito, Spagna, Francia, Italia,

Figura 1.1 Illustrazione di Yuta Onoda raffigurante la stanza di un giovane

Hikikomori

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America Latina e nel resto dell’Asia. Si può considerare dunque il com-portamento volontario dei giovani hikikomori, come la loro risposta all’overdose cognitiva che caratterizza la società contemporanea e che tratta in modo più approfondito il paragrafo successivo.

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ESISTE L’OVERDOSE DA INFORMAZIONI?

LA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE ECCESSIVA

Nella nostra società, che lo scrittore italiano Giuliano Da Empoli (2002) definisce dell’informazione eccessiva, e a cui fa riferimento il sottotitolo di questo paragrafo, è in atto un’esplosione dell’offerta dei contenuti informativi, la quale può essere descritta come overdose cognitiva. Essa è caratterizzata da molti aspetti positivi, ma comincia in alcuni casi a diventare un problema; certamente è legata alla mole schiacciante di dati resi disponibili in Internet e grazie ai nuovi dispositivi tecnologici, ma non è determinata da questi ultimi.

L’autore di Overdose (2002) sostiene che, dall’invenzione della stampa a caratteri mobili in poi, abbia iniziato a crearsi un divario sempre mag-giore tra le informazioni disponibili e la capacità umana di assimilarle o anche solo di venirne a conoscenza. Oggi questa sproporzione viene accentuata dalla presenza di nuovi mezzi di comunicazione che ci bombardano costantemente di nozioni, tanto che la nostra paura più grande è diventata quella della disconnessione, dell’essere esclusi dal flusso incessante di novità che percorre la società della rete.

Ormai c’è una necessità continua di aggiornamento e implementazione delle proprie competenze, indispensabili ad affrontare le numerose sfide che ci vengono poste di fronte ogni giorno. Tuttavia, se tutti abbiamo diritto ad avere accesso alla rete e con essa a tutto il suo bagaglio di informazioni, è giusto porsi anche il problema di garantire uno speculare diritto alla disconnessione nel momento del bisogno. Di conseguenza l’uso che la società fa di queste tecnologie è determinante.

3.1 INTERNET COME UTILITY

Da Empoli (2002) afferma che gli effetti negativi dell’overdose cognitiva si possono suddividere in due categorie: esistono delle patologie vere e proprie che fortunatamente al momento colpiscono solo una fascia limitata di individui (ne è un esempio l’IAD di cui è possibile leggere

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in dettaglio nel paragrafo precedente); esse si manifestano sotto forme diverse, ma la loro analisi rientra nelle competenze di medici specializzati. Vi sono poi alcuni aspetti di carattere sociale che interessano l’intera cittadinanza producendo conseguenze sulla vita nella società. La rete infatti è lo strumento attraverso cui le informazioni vengono veicolate ed il suo essere globale rende il bombardamento certamente molto più efficace di quanto ci immaginiamo.

Se negli ultimi decenni essa ha simboleggiato la modernità, la globa-lizzazione, lo sviluppo, il benessere, ne risulta ad un certo punto che chi non partecipa della vita online è destinato ad essere escluso da tutto questo (Da Empoli, 2002). La navigazione non ha confini, si può essere ovunque nello stesso momento e da questo deriva una sensazione di potere, che diventa tanto maggiore quanto più alto è il numero di interconnessioni stabilite con altri individui.

Ecco quindi come spesso la cyberdipendenza è incoraggiata dalla società in cui viviamo: nessuno vuole rimanere isolato e tagliato fuori.

Tuttavia qual è il limite entro cui l’utilizzo della rete, seppur eccessivo, può essere definito non patologico?

Figura 1.2 Quanto può vivere una persona senza…

secondo la rubrica “Dati di fatto” di Internazionale online (15 Maggio 2016).

cibo

acqua

sonno

Internet

un paio

d’ore

giorni

4-5

settimana

una

mese

un

QUANTO PUÒ VIVERE UNA PERSONA SENZA…

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Al giorno d’oggi sembra che non si possa vivere senza Internet [Figura 1.2], ne facciamo largo uso per quasi ogni mansione quotidiana, tanto che potremmo considerare l’accesso alla rete come una utility, ovvero uno di quei beni o servizi forniti dagli enti pubblici perché siano fruiti indistintamente dai cittadini; ne sono un esempio le opere pubbliche, le forniture di acqua, elettricità e metano.

Da quando la rete ha cominciato ad occupare un posto sempre più importante nelle nostre vite abbiamo piano piano smesso di considerarla un bene accessorio, dando per scontata la sua presenza in ogni luogo e in ogni momento: in metropolitana, sui treni, negli spazi aperti, nei locali, nelle scuole e così via, possiamo spesso usufruire di un accesso libero ad Internet grazie ai servizi di free Wi-fi.3 Inoltre per coloro che sono nativi digitali e sono cresciuti navigando il Web giorno dopo giorno, è come se Internet fosse sempre esistito e l’assenza di connessione non fosse quasi possibile [Figura 1.3].

1. L’accesso a Internet è diritto fondamentale della persona e condizione per il suo pieno sviluppo individuale e sociale.

2. Ogni persona ha eguale diritto di accedere ad Internet in condizioni di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e aggiornate che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale. […] (Dichiarazione dei diritti in Internet, Art.2 Diritto all’accesso, 2015) Come possiamo leggere dalla neonata Dichiarazione dei diritti in In-ternet (redatta all’interno della Camera dei Deputati italiana ad un anno dall’istituzione della Commissione di studio per l’elaborazione di principi in tema di diritti e doveri relativi ad Internet), l’accesso alla rete è diventato nell’estate 2015 un diritto fondamentale dei cittadini. Come si può sviluppare una dipendenza per un bene di questo tipo? Forse non è essa stessa il problema bensì ciò che veicola, come ad esempio i social network, i giochi online, il porno, i siti di shopping. L’utilizzo che facciamo di queste piattaforme spesso ci spinge ad acquisire abitudini compulsive da cui successivamente sentiamo il bisogno di disintossicarci.

3. Il termine Wi-Fi, ‹uài fài› s. m. [sigla dell’ingl. Wireless Fidelity, propr. «fedeltà senza fili»] nella tecnica delle comunicazioni è il protocollo per la trasmissione di dati su brevi distanze tramite onde elettromagnetiche; la procedura consente di creare reti senza fili di calcolatori di estensione relativamente limitata nello spazio (per esempio all’interno di un alloggio o di un’azienda), a loro volta collegate alla rete Internet. Tale definizione è tratta dall’enciclopedia online Treccani al link [Accesso: Aprile 2016]: http://www.treccani.it/enciclopedia/wi-fi/

Figura 1.3 (Pagina seguente)

Inferno in modalità aereo.

Illustrazione di Labadessa pubblicata sulla relativa pagina Facebook (4 Aprile 2016).

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3.2 I NUOVI COMPORTAMENTI DIGITALI

Come si è visto, Internet ci ha cambiati e con noi ha cambiato i nostri punti di riferimento, tanto che stentiamo a ricordare come ci comporta-vamo prima del suo avvento. La portata di questo cambiamento è tale da aver reso automatici in poco tempo numerosi nuovi comportamenti a cui molti si sono adeguati immediatamente, mentre altri faticano a tenere il passo e vivono questa situazione con disagio.

Il ruolo della rete nella diffusione dell’informazione e dei nuovi com-portamenti è determinante: consente di ampliare la propria memoria, mette a disposizione una serie di canali di comunicazione simultanei ed efficaci anche a distanza, mette in discussione il principio dell’auctoritas permettendo agli stessi utenti di generare informazioni.

A tutto questo sono legati indissolubilmente lo sviluppo e la diffu-sione delle nuove tecnologie, le quali hanno modificato radicalmente gli atteggiamenti delle persone che le usano e per questo motivo Luigi Proserpio, docente presso l’università Bocconi di Milano, li definisce appunto comportamenti digitali (2011).

3.3 QUANDO SI DICE “ESSERE MULTITASKING”

Il professor Proserpio (2011) sostiene che nel momento in cui si deve fare una ricerca, si devono prendere delle decisioni o scrivere un pezzo critico, la rete appaia come uno strumento assai utile, ma nello stesso tempo sia una grande fonte di distrazione; la quantità di informazioni che essa mette a disposizione come ben sappiamo è pressoché infinita e spesso non bisogna fermarsi ad un primo livello di contenuti, bensì cercare di esplorarla più a fondo, trovando spunti per il confronto o dati maggiormente attendibili.

Purtroppo la nostra società non induce gli individui ad essere pazienti e a prendersi il proprio tempo nelle attività di ricerca online, così spesso viene meno la capacità di scindere ciò che è affidabile da ciò che non lo è (Proserpio, 2011). Inoltre, in questo senso, non gioca a nostro favore l’overdose informativa a cui siamo sottoposti ogni giorno, su ogni mezzo di comunicazione esistente. La possibilità di essere sempre connessi è spesso fonte di tentazione, è infatti molto facile poter controllare i propri impegni professionali o coltivare le proprie amicizie in ogni momento, sfruttando i tempi morti come i viaggi in treno e così via; grazie alle nuove tecnologie si può guadagnare tempo in modo efficiente, ad esempio

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rispondendo alle email o organizzandosi per una serata chattando mentre si torna da una giornata di lavoro.

Questo però comporta una perdita di efficacia nell’azione svolta, dato che il risultato ottenuto dedicandosi lungamente ad un’attività, sia essa utile o dilettevole, non è lo stesso di quando i minuti sono molto ridotti e la concentrazione dimezzata. Senza contare, inoltre, che così facendo si riempiono tutti quei momenti di “vuoto” e/o silenzio presenti nelle giornate e in cui sarebbe possibile rilassarsi, riflettere, lasciar volare la propria immaginazione incondizionatamente. L’essere sempre concen-trati e occupati in qualcosa è molto impegnativo, sia per la mente che per il corpo, perciò i comportamenti cosiddetti multitasking devono essere dosati con cura, affinché non perdano né di efficienza né di efficacia.

In informatica, un sistema operativo con supporto per il multitasking (multiprocessualità) permette di eseguire più programmi contempo-raneamente: se ad esempio viene chiesto al sistema di eseguire nello stesso momento due processi A e B, la CPU (unità di elaborazione centrale) eseguirà per qualche istante di tempo il processo A, poi per qualche istante successivo il processo B, poi tornerà a eseguire A e così via (cfr. Encyclopedia Britannica, 2016).

Anche gli individui riescono a “processare” più di un’informazione alla volta (Proserpio, 2011), ma per un essere umano non è facile dedicarsi a diverse attività contemporaneamente e garantendo su tutti i fronti le prestazioni adeguate.

Il multitasking può essere in input, quando si acquisiscono informazioni da più fonti, o in output, nel momento in cui si producono nuovi conte-nuti; si può dire che sia più facile riceve nozioni piuttosto che produrne, infatti in quest’ultimo caso spesso diminuisce la qualità del risultato. Naturalmente la tipologia dei compiti che si svolgono è determinante: se ci si cimenta in qualcosa di completamente nuovo, ogni distrazione può portare al mancato raggiungimento del risultato sperato; al contrario si dovrebbero prediligere attività semplici che non richiedono grossi sforzi cognitivi. Maggiore è il numero di variabili in gioco durante il multitasking e più la nostra mente è portata alla distrazione. È inoltre fondamentale anche la predisposizione di un individuo allo svolgimento di più attività simultaneamente, infatti non tutti gli utenti usufruiscono dei device digitali allo stesso modo.

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3.4 DIGITAL IMMIGRANTS E DIGITAL NATIVES

Secondo quanto scrive il docente milanese nel suo Comportamenti Digitali (2011), vi sono due tipologie di utenti su Internet ed essi si possono distinguere in base a come si approcciano alla rete: l’autore identifica con l’espressione “individuo verticale”, colui che è a conoscenza di un limitato corpus di nozioni e quindi possiede molte e approfondite in-formazioni su pochi argomenti; l’”individuo orizzontale” al contrario ha una memoria meno ricca, ma riesce a connettere tra loro una vasta quantità di dati e informazioni a disposizione. I primi dovrebbero quindi essere completamente autonomi poiché possiedono una conoscenza che permette loro di destreggiarsi nel prendere le proprie decisioni, mentre i secondi sarebbero più dipendenti della rete per poter sfruttare le proprie connessioni e muoversi agilmente tra i risultati di ricerca.

Esiste poi una differenziazione tra coloro che sono nati e cresciuti circondati da Internet, i nativi digitali (la cosiddetta generazione Y o Net generation), e coloro che invece hanno imparato a conviverci durante la maturità (immigrati digitali o generazione X) e per questo non sempre mostrano una totale naturalezza nell’utilizzo di tutti gli strumenti messi a disposizione dalla rete (Proserpio, 2011).4

Nello svolgere le mie ricerche, ho constatato che non sempre essere nativi digitali significa essere anche individui orizzontali, o viceversa; tuttavia è molto più probabile che una persona cresciuta servendosi delle nuove tecnologie e dei nuovi strumenti disponibili online, abbia sviluppato un metodo di apprendimento e selezione delle informazioni molto più legato alle peculiarità della rete. Allo stesso modo non è detto che tutti coloro i quali appartengono alla generazione X, si trovino effettivamente disorientati e inermi di fronte all’enorme calderone di possibilità che offre Internet. In ogni caso com’è semplice immaginare, i nativi digitali, essendo cresciuti insieme ad Internet, hanno svilup-pato in questo senso delle capacità maggiori rispetto alle generazioni precedenti [Figura 1.4].

Proserpio continua osservando che nella società contemporanea, infatti, ci siamo abituati ad apprendere tutto nel minor tempo possibile, e, dalla nascita degli smartphone, stiamo assistendo alla proliferazione

4. Tali definizioni sono tratte da quelle di Marc Prensky scrittore statunitense, consulente e innovatore nel campo dell’educazione e dell’apprendimento. Egli è conosciuto proprio come l’inventore e divulgatore dei termini digital natives e

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Older

Digital Immigrants

Digital Natives

Younger

Prefer to talk on phone or in person. Text sparingly.

Prefer synchronistic communication.

Accustomed to and like manuals with clear steps.

Assume they will work their way up the ladder in the workplace, in a linear fashion, in one career.

Hang out in person, clubs, dinners. Value “proper” English.

Tell friends about a trip on the phone, or with an in-person slideshow.

Use the Internet to gather information. Think young people waste their lives online. Think of the Internet as not “real life”.

One task or pleasure at a time.

Safety concerns: physical kidnapping, assault, robbery.

Prefer to connect via text, chat, Facebook, games, Text more than call.

Prefer sequential communication.

Cannot relate to manuals. They figure it out intuitively.

Try many careers, want balance among family, friends, activities, work. Prefer flexible hours, opportunity to make up work remotely, from a café, on a weekend.

Hang out online in chats, social networking sites. Use texting and instant message shorthand:

cu tomorrow; luv ya, ru going to the game?

Tell friends about a trip by posting an album online. Use the web to socialize, play, watch videos, shows. Many aspects of life are happening only online. Internet is as real, and often more pleasurable, than offline life.

Several tasks or recreation activities at a time. Safety concerns: Sexting, inappropriate pictures online, cyber stalking, identity theft, privacy invasions.

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di applicazioni capaci di insegnarci a fare qualsiasi cosa in modo sem-plice e pratico. Tuttavia non è possibile trasmettere la conoscenza in modo istantaneo, anzi, essa tende a resistere al trasferimento e ci sono delle fasi temporali impossibili da ignorare; quanto più la conoscenza è complessa, tanto più sarà difficile e lento il processo di interiorizzazione. È importante anche fidarsi della fonte da cui si apprendono le informa-zioni, non sempre attendibile, ma la barriera più difficile da superare è la nostra motivazione: spesso la consapevolezza di avere sempre con noi il cellulare ci rende sicuri di poter ricontrollare ciò che ci interessa, senza essere costretti a ricordarcene.

Ecco perché la presenza di Internet per un individuo orizzontale rap-presenta sia una potenzialità, che gli permette di esprimere al meglio le sue idee e di connettere diversi argomenti tra loro, sia un problema, in quanto, senza di esso, egli viene privato di uno dei suoi modi per comunicare e pensare.

IDENTIKIT DEL NATIVO DIGITALE: è un “individuo orizzontale”, memorizza meno informazioni ma è abile nel connetterle tra loro, in particolar modo se gli vengono messi a disposizione gli strumenti della rete; in caso contrario si trova un po’ sperduto, poiché non può esprimere al meglio le proprie potenzialità. Egli è abituato all’essere bombardato di informazioni su tutti i fronti e a svolgere più attività contemporaneamente essendo supportato dalle nuove tecnologie che facilitano il suo essere multitasking. Proprio per questo motivo le sue aspettative di successo sono molto alte, mentre la sua pazienza scarseggia, così si serve di tutti i mezzi possibili per apprendere ogni cosa nel minor tempo.

3.5 LE NUOVE RETI SOCIALI

Le reti sociali a cui sono abituate le generazioni precedenti la Y sono legate al luogo in cui si creano e alle persone che vi abitano; oggi invece, la rete aggiunge una nuova dimensione alle nostre relazioni, permette di diminuire le distanze rendendo così possibile interagire anche con individui che non si trovano dove siamo noi. In questo modo le reti sociali odierne sono più ricche, vi sono gruppi di amici che non si vedono da molto tempo, di colleghi, di compagni di scuola, mentre fino a pochi anni fa si limitavano alla ristretta cerchia di coloro con cui si passavano le giornate.

Figura 1.4 (A lato) La tabella riporta alcune differenze di abitudini e comportamenti rilevabili tra nativi digitali e immigrati digitali. I dati sono reperibili sul sito netaddiction.com, (The Center for Internet Addiction Recovery, Copyright 2009-2013).

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Certamente vi sono delle enormi differenze tra l’interazione faccia a faccia e quella mediata da un qualsiasi device: spesso la tecnologia influenza la trasmissione del contenuto, i messaggi e le emozioni non sono così chiare come dovrebbero, è facile fraintendersi, il concetto di amicizia cambia radicalmente, l’identità dell’interlocutore non è più così scontata come nella realtà fisica.

In questo senso il cellulare si impone come subdolo trasportatore di messaggi, capace di far tremare le ginocchia agli umani disabituati al corteggiamento esplicito. Non esiste più esperienza nelle cose d’amore, né tanto meno prudenza nel seguire la perdizione dei sensi di fronte al malandrino e sconvolgente short message. Centosessanta battute che scardinano ogni baluardo della pudicizia femminile o della tenuta etica maschile; ma alla stessa maniera, in assenza di segnale, possono far precipitare chi è in attesa di risposta nella più cupa depressione (Moriggi e Nicoletti, 2009, pag. 188).

Nonostante si riferisca chiaramente alle relazioni amorose, questo breve passaggio esprime perfettamente come, con gli sms, le mail, le chat, sia stato rivoluzionato il modo di comunicare tra gli individui. Esiste una teoria nota come media synchronicity (Maruping e Agarwal, 2004) che definisce le connessioni interpersonali via rete attraverso 5 caratteristiche:

1) Velocità di feedback: rispetto ad un qualsiasi dialogo faccia a faccia, una conversazione via chat implica un tempo di attesa in cui l’in-terlocutore elabora il suo messaggio e perciò la velocità di risposta è sicuramente minore. In alcuni casi invece, se si verifica il contrario e un utente risponde troppo velocemente, in modo laconico, senza

Figura 1.5 (Sotto) I TONI. Illustrazione di Labadessa pubblicata sulla relativa pagina Facebook (1 Luglio 2016).

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riflettere sul tono [Figura 1.5] che potrebbe assumere quel messaggio scritto di fretta, ecco che potrebbero crearsi spiacevoli fraintendimen-ti. È molto difficile riuscire a riprodurre in una chat una conversazione ricca di espressioni e significati come se ci si trovasse di fronte al proprio interlocutore, perciò è fondamentale integrare le parole con alcuni piccoli accorgimenti, descritti nel prossimo punto.

2) Ricchezza comunicativa: una chat è inoltre più povera di strumenti di comunicazione, essa infatti non permette di vedere le espressioni del viso, i gesti, i movimenti dell’altra persona e di percepirne lo stato d’animo o di sentirne il profumo. La punteggiatura dunque assume un ruolo fondamentale, ma sono stati creati anche alcuni simboli convenzionali, detti emoticons [Figura 1.6], che in un modo o nell’al-tro aiutano a capire il tono con cui si sta portando avanti il dialogo. Essi sono costruiti utilizzando la punteggiatura stessa e creano delle piccole “faccine” le quali riproducono le emozioni umane:   

3) Parallelismo: le comunicazioni di questo tipo permettono di raggiun-gere contemporaneamente un numero molto più elevato di persone che si trovano in luoghi diversi e per parlare di argomenti comple-tamente differenti. Essendo la comunicazione più lenta è possibile discutere senza perdere il filo del discorso su più fronti.

Figura 1.6 Le emoticon più usate secondo

la rubrica “Dati di fatto” della rivista Internazionale online (3 Giugno 2016).

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