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LA RESPONSABILITA' MEDICA, TRA AUTONOMIA, LIBERTA' E MALPRACTICE ALLA LUCE DELLA LEGGE GELLI-BIANCO

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UNIVERSIT À DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di laurea Magistrale a ciclo unico in Giurisprudenza

T E S I D I L A U R E A

LA RESPONSABILITÀ MEDICA, TRA AUTONOMIA,

LIBERTÀ E MALPRACTICE ALLA LUCE

DELLA LEGGE GELLI-BIANCO

Il Candidato: Relatore: Chiar.ma

Gianmarco MALTESE Prof.ssa Luisa AZZENA

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I N D I C E

INTRODUZIONE ...1

CAPITOLO PRIMO L’ATTIVITÀMEDICA ...5

1.1 L’arte medica tra libertà, autonomia e norme deontologiche ...5

1.2 La responsabilità del medico ante riforma ... 11

1.3 La responsabilità degli ospedali e delle case di cura ... 15

1.4 Il dibattito nella giurisprudenza di merito e di legittimità ... 17

CAPITOLO SECONDO LASICUREZZADELLECURE ...24

2.1 Le principali novità in materia della sicurezza delle cure e della persona assistita ... 24

2.2 Rapporto tra i pubblici poteri e il diritto alla salute ... 27

2.3 Il centro per la gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente ... 29

2.4 L’osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità ... 31

2.5 La trasparenza dei dati ... 33

2.6 Le linee guida nel sistema sanitario ... 35

CAPITOLO TERZO LARESPONSABILITÀPROFESSIONALE...39

3.1 La malpractice tra questioni giuridiche e proposte normative ... 39

3.2 Le ragioni del fallimento della legge Balduzzi ... 41

3.3 La nuova formulazione dell’art.7 della legge Gelli-Bianco ... 43

3.4 La responsabilità delle strutture sanitarie ... 45

3.5 La responsabilità del sanitario ... 56

3.6 La conciliazione obbligatoria ... 62

CAPITOLO QUARTO PROFILIRISARCITORI ...64

4.1 L’azione di rivalsa ... 64

4.2 Il risarcimento del danno al paziente e la rilevanza del comportamento del professionista ai fini della determinazione del risarcimento ... 67

4.3 I limiti delle linee guida scientifico-ministeriali ... 69

4.4 L’applicazione delle tabelle ministeriali previste per il danno biologico nelle R.C.A... 76

4.5 L’obbligo di assicurazione per le strutture sanitarie e socio sanitarie pubbliche e private ... 79

4.6 Il fondo di garanzia per danni derivanti da responsabilità sanitari ... 82

4.7 La responsabilità dei sanitari ... 85

CAPITOLO QUINTO ILSISTEMASANITARIOITALIANOACONFRONTOCONGLI ALTRISISTEMI ...91

5.1 La responsabilità medica nel sistema inglese ... 91

5.2 Sostenibilità del modello attuale di responsabilità nel confronto con gli altri Stati e con il Regno Unito ... 95

(3)

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE ...112

BIBLIOGRAFIA ...116

EMEROGRAFIA ...122

SITOGRAFIA ...124

APPENDICE N.1 LEGGEGELLI-BIANCO...126

APPENDICE N.2 LINEEGUIDAATTUALIDELSISTEMANAZIONALESANITARIO ....141

APPENDICE N.3 PROSPETTORIEPILOGATIVOPREEPOSTRIFORMA ...143

APPENDICE N.4 INUMERISULLAMALPRACTICE ...144

APPENDICE N.5 REPERTORIODELLESENTENZEDELLACORTEDI CASSAZIONE ...145

APPENDICE N.6 FEDERAZIONENAZIONALEDEGLIORDINIDEIMEDICI CHIRURGHIEDEGLIODONTOIATRICODICEDIDEONTOLOGIAMEDICA ...169

APPENDICE N.7 INTESASTATOREGIONI-LARETENAZIONALEEILMODELLO DIGOVERNANCE ...190

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I

NTRODUZIONE

È vero che non sei responsabile di quello che sei, ma sei responsabile di quello che fai di ciò che sei.

Jean-Paul Sartre

La presente tesi ha lo scopo di suscitare riflessioni sui contenuti della nuova responsabilità sanitaria, introdotta dalla legge 28 febbraio 2017 (d’ora in poi, legge Gelli-Bianco), che non si limiti alla interpretazione dei nuovi articoli, ma li legga in correlazione sia con le regole della responsabilità sanitaria che con il complessivo quadro giurisprudenziale e dottrinale, formatosi nella materia.

Si è ritenuto quindi necessario, preliminarmente, puntualizzare i contenuti della responsabilità sanitaria, prestando attenzione agli orientamenti giurisprudenziali degli ultimi decenni, attraverso il richiamo alle pronunce della Suprema Corte, intervenuta nella materia, e alle tesi di autorevole dottrina.

L’attività del medico - come è noto - si espone, più di ogni altra, direttamente ai beni primari dell’uomo, quali la vita e l’incolumità psicofisica della persona.

Per tale, principale, ragione, la questione concernente le diverse forme di responsa-bilità giuridiche non possono non essere sottovalutate.

Nel panorama normativo e giurisprudenziale, si registra un dato costante, costituito dalla consapevolezza di assicurare la piena ed effettiva tutela della salute degli individui1. Diviene per l’operatore sanitario essenziale anteporre ai suoi interessi quelli dei pazienti, fissare e mantenere standard di competenza e di integrità ottimali per offrire alla società un’adeguata consulenza professionale sulle questioni attinenti al bene - salute.

I principi e le responsabilità della professionalità medica devono essere ben chiari sia alla professione che alla società, dovendo la conoscenza della normativa, l’etica e le competenze professionali presiedere il “contratto tra medico e società”.

I recenti provvedimenti legislativi, seguitisi negli anni, non a caso, evidenziano, con maggiore forza, l’attenzione sulla qualità delle prestazioni erogate e sull’efficacia degli interventi sanitari, nel quadro di un nuovo rapporto tra cittadini e strutture sanitarie, ove

1 L’art. 32 della Costituzione Italiana recita che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto

dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non piò in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

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i primi da soggetti passivi divengono soggetti attivi e partecipi all’azione di cura e i secondi attenti alla nuova domanda di salute, al fine di adeguare l’azione alla centralità del paziente e alla qualità delle prestazioni, alla valutazione dei servizi e alla misurazione dei risultati.

Nella stessa direzione, si pone l’obiettivo di rafforzare la sicurezza dei pazienti, quale fattore essenziale della qualità delle cure mediche, destinata ad agire nei livelli essenziali di assistenza.

In tale articolato contesto, non va trascurato il rapporto tra il paziente e la struttura sanitaria, presso cui viene effettuato il ricovero, legato ai cambiamenti sociali e scientifici (nuove apparecchiature, nuove tecniche diagnostiche, nuove terapie, nuove aspettative da parte dei pazienti ecc.) che negli ultimi decenni hanno investito la professione medica, rendendola oggetto di inedite problematiche, sino ad attivare un acceso dibattito parlamentare teso a delineare un nuovo sistema sanitario in materia di responsabilità professionale sia in campo penale che in campo civile.

Sotto altro profilo, la progressiva attribuzione ai medici e alle strutture sanitarie del pieno onere probatorio, nell’intento di tutelare il paziente secondo l’indicata evoluzione giurisprudenziale, ha comportato un aumento dei risarcimenti concessi ai pazienti, con il maggiore aggravio per le finanze pubbliche e il fiorire di pratiche di cd. medicina difensiva.

Quest’ultima consiste, nella sua dimensione attiva, nella prescrizione di farmaci e di accertamenti diagnostici dettati dall’esigenza di precostituirsi la migliore difesa in un eventuale giudizio, e non da ragioni cliniche, ovvero si risolve, se passiva, nel rifiuto di prendere in carico pazienti che si è in grado di curare, ma che necessitano di trattamenti rischiosi, rinviandoli ad altre strutture (più attrezzate) o ad altri professionisti (più esperti), in un continuo discarico di responsabilità.

Tale ultimo intervento legislativo rende necessario un lavoro di rielaborazione, di analisi e di sistemazione della nuova responsabilità sanitaria, che riesca a bilanciare la tutela risarcitoria del diritto alla salute del paziente con il rispetto della professionalità degli operatori in funzione della certezza del diritto, scongiurando la contrapposizione tra legislazione e giurisprudenza, foriera, in ambito sanitario, di effetti umani particolarmente gravi, dato il valore etico delle attività dirette alla protezione della vita e della salute delle persone.

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Dopo la bocciatura del testo in senato in prima battuta l’11 gennaio scorso, la Camera dei Deputati ha varato in seconda lettura la nuova legge in materia di responsabilità medica, a larga maggioranza.

Per la stesura della tesi, inedita dal punto di vista legislativo, si è resa necessaria la lettura di numerosi testi bibliografici e di articoli giornalistici, sulla carta o sui siti internet, a firma dei più accreditati editorialisti dei settori della sanità e della giurisprudenza, impegnati nel tentativo di fornire una prima chiave di lettura ragionata sulle singole norme della nuova legge, di cui saranno interpreti, per primi, nelle sedi giudiziarie gli avvocati e i giudici.

Tra i contenuti più salienti non mancano le appendici riguardanti le statistiche, espresse in diagrammi o in tabelle, le nuove linee guida emanate dal Ministero della salute, gli atti parlamentari in materia di responsabilità medica e, in ultimo, il Repertorio delle leggi e delle sentenze della Corte di Cassazione relative alla responsabilità medica. Nelle pagine che seguono sono stati esaminati i processi storici che hanno portato il Senato e la Camera dei deputati ad occuparsi in maniera fattiva e veloce della soluzione di un “problema” tanto annoso quanto importante.

Considerato il carattere innovativo e sperimentale di tale lavoro (tutte le norme di attuazioni della presente legge sono ancora in itinere e si confrontano con altri sistemi di responsabilità medica), non è mancato il confronto con esperti della sanità del Regno Unito, per tentare di comparare la “tenuta” del nostro modello sanitario con l’esperienza straniera.

Compiuta questa premessa di ordine generale, vanno verificate le questioni più attuali in tema di responsabilità medica, in primis la questione delle principali novità in materia della sicurezza delle case di cura e della persona assistita.

Sposteremo poi la nostra attenzione sulla malpractice tra questioni giuridiche e proposte normative e sulla responsabilità del sanitario.

Da quanto fin qui esposto possono derivarsi alcune valutazioni. Delle cinque parti di cui si compone questa tesi, nei capitoli secondo, terzo e quarto ho riscontrato una maggiore difficoltà di ricerca e di definizione dal punto di vista amministrativo e della dottrina, in quanto la sua stesura, iniziata ancor prima della entrata in vigore della legge si è protratta fino al mese di settembre, data del suo epilogo. E nel limbo di variabilità e di sfumature ad oggi anche i giuristi più esperti non hanno ancora definito la sua vera natura e la sua forza di applicazione.

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Per questo motivo l’attenzione della dottrina si e rivolta, infatti, ad analizzare soprattutto gli aspetti civilistici e penalistici e con minore rilievo, forse, verso quelli più propriamente amministrativistici, parimenti rilevanti, di cui si auspica una più informata riflessione per una successiva rimeditazione.

Tuttavia, a ben vedere, il novum legislativo ha fin da subito presentato profili di criticità, ma anche di sensata applicazione.

Analizzeremo, infine, lungo il percorso il quadro normativo, con il supporto di una appendice riguardante tutte le sentenze, le professioni sanitarie, de jure (Legge Balduzzi) e de jure condendo (Legge Gelli Bianco).

(8)

C

APITOLO

P

RIMO

L’ATTIVITÀ

MEDICA

1.1 L’arte medica tra libertà, autonomia e norme deontologiche

L’articolo 4 del codice deontologico della professione medica stabilisce che l’eser-cizio dell’attività medica deve fondarsi sulla libertà, indipendenza, autonomia e respon-sabilità, dovendo sottrarsi a interessi, imposizioni o condizionamenti di qualsiasi natura. Nello svolgimento della sua professione, il medico opera tra libertà, norme deonto-logiche e autonomia, garanzie per il malato di essere curato secondo necessità per una accettabile qualità della propria vita; il primo valore, in particolare, costituisce la condizione fondamentale perché il bene sia riconosciuto come tale.

Non è raro che la libertà si tramuti nel libero arbitrio, svilendone il significato. La libertà è, nella sua essenza, esperienza di soddisfazione, non soltanto possibilità di scelta. La libertà è, dunque, profondamente legata al problema del bene, della beneficenza e del rispetto.

Nella medicina, il principio di beneficenza include, anche, il dovere di non arrecare danni al paziente e l’obbligo di rispettare e di favorire la libera scelta dello stesso.

Omettere tale premessa, capovolge il concetto stesso, rendendo la libertà umana schiava dei percorsi della scienza e del soggettivismo individuale2.

2 Immanuel Kant, aveva imparato dall’economista Adam Smith che sul mercato ogni cosa ha un prezzo, sia

pure arbitrario e convenzionale, poiché ogni cosa ha un valore relativo. L’uomo, invece, in quanto persona, ha un valore assoluto. Di qui la formulazione del suo imperativo pratico: “agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo”. Tale imperativo, tuttavia, presuppone una concezione della vita “basata su una serie di esperienze vissute che hanno consentito all’essere razionale di capire come e che cosa sia una vita guidata dal bene”.

Di più: Kant afferma, ancora, con fermezza l’esistenza di una legge morale assoluta, libera da ogni condizionamento, caratterizzata da due particolarità fondamentali: la prima della incondizionatezza dell’atto come conseguenza ineludibile del postulato della libertà, della vita etica e la scelta morale che non può che essere libera e fine a sé stessa; la seconda autonoma, che la necessità e la universalità, non può e non deve dipendere in alcun modo dalla situazione contingente e particolare, ma è uguale per tutti alla medesima maniera.

La morale secondo Kant, è considerata la “praxis”, ossia un agire volto alla realizzazione di un preciso scopo interno al soggetto e in secondo luogo essa prende la forma del dovere in un soggetto morale. Tale comportamento morale è insito in modo assoluto nella volontà del soggetto che diventa causa prima e libera della propria decisione e quindi del proprio agire. Viene sottolineata, comunque, la difficoltà che caratterizza tale libertà: spesso il soggetto è condizionato dal mondo esterno nel momento in cui egli sceglie, nel nostro caso da imposizioni legislative e logistiche.

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Il concetto di libertà viene meno se non reca con sé i termini imprescindibili di etica e morale del comportamento umano, individuati, tradizionalmente, nel complesso dei principi che, dal punto di vista religioso o filosofico, definiscono il presupposto spirituale della condotta dell’uomo, specie in rapporto alla possibilità individuale di scelta tra il bene e il male.

L’etica sanitaria, concernente il mondo della salute, comprende quel complesso di principi e norme che ispirano l’agire, il comportamento e le scelte degli operatori sanitari nell’ambito delle professioni sanitarie.

Spesso del rapporto tra medico e paziente, si è parlato di una “profonda ed irriducibile razionalità asimmetrica”, sottolineandosi come proprio perché asimmetrica questa relazionalità ha bisogno di innestarsi in una dimensione deontologica3.

Alla deontologia è stato allora affidato, in campo medico, il delicato compito di correggere “l’intrinseca asimmetria del rapporto medico-paziente, esplicitando le norme di comportamento a cui i sanitari si impegnano ad attenersi”4: il compito di rimediare a

quella “situazione di inferiorità”, che se caratterizza tipicamente e in via generale l’atteggiarsi delle posizioni reciproche del professionista e del cliente, viene ad essere esaltata, in campo medico, dal tipo di beni - salute e vita - su cui l’attività professionale è chiamata qui ad incidere, e in maniera spesso irreversibile.

Proprio tale peculiare situazione di “soggezione” del paziente ha reso evidente, fin di tempi più risalenti, che l’accettazione sociale dell’attività medica non può passare che attraverso una sorta di autolimitazione del “potere” esercitato dal medico.

Autolimitazione affidata, appunto, all’etica del sanitario, assai più viva che per le altre professioni, facendosi avvertire l’esigenza della fissazione di dettami, oggettivamente percepibili, dal medico, ma soprattutto dal paziente.

Da qui, l’esigenza risalente dell’elaborazione di un codice di deontologia medica, destinato a rispecchiare, poi, nell’evoluzione delle sue linee portanti, il mutato atteggiamento della società nei confronti dell’attività medica, come riflesso del mutato atteggiamento della società medesima nei confronti della persona e dei suoi valori fondamentali.

Il codice di deontologia medica assume, allora, una sua peculiare rilevanza come strumento che, attraverso il dovere di correttezza professionale cui vale a dare contenuti sufficientemente definiti e certi, consente il delicato e difficile passaggio dal discorso

3 Rilievi di D’Agostino, Deontologia ed etica. La pressi ed i valori, Salute scienza e professione. La

deontologia medica per gli anni 2000. (Atti del convegno, Torino, 24-25 novembre 1995).

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etico al discorso giuridico, in vista dell’esigenza di correggere l’“asimmetria” del rapporto medico-paziente e nell’intento di evitare che il medico “abusi” della sua posizione5.

Alla luce delle suddette considerazioni, più che giustificato risulta il rapido susseguirsi nel tempo dei codici di deontologia medica, che hanno inteso recepire esigenze di disciplina deontologica legate, da una parte, a temi su cui il legislatore è nel frattempo intervenuto (ci si riferisce ad esempio a “caso” Di Bella6, nonché alla legislazione in tema di trattamento dei dati personali) dall’altra, al varo della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano7 riguardo all’applicazione della biologia e della medicina.

È stata la Convenzione sui diritti dell’Uomo e sulla biomedicina, stipulata ad Oviedo il 4 aprile 1997 (col protocollo addizionale del 12 gennaio 1998, n. 168, sul divieto di clonazione di esseri umani), per l’autorizzazione alla cui ratifica è intervenuta la legge 28 marzo 2001, n.145, ad indurre ad una rimeditazione delle regole deontologiche di recente codificazione, soprattutto in relazione al rapporto medico-paziente, che nel codice precedente pure aveva avuto modo di essere affrontato con spunti innovativi.

La regolamentazione deontologica è inevitabilmente destinata, in effetti, a risentire tanto degli sviluppi del dibattito bioetico, quanto dell’elaborazione normativa, sia a livello nazionale che sovranazionale.

La bioetica del resto, a sua volta si trova in un delicato rapporto tra la riflessione etico-filosofica e quella giuridica. Essa è stata definita come l’etica “relativa ai fenomeni della vita organica, del corpo, della generazione, dello sviluppo, maturità e vecchiaia, della salute, della malattia e della morte, non mancando, in altre ricostruzioni, di essere presentata quale ambito di discussione non esclusivamente filosofico.

Quando, in effetti, si accenna alla bioetica in termini di studio sistematico della condotta umana nell’area delle scienze della vita e della cura della salute, si tende a guardarla come “ambito di discussione interdisciplinare, come luogo appunto, d’incontro

5 Art.6 Codice di deontologia medica.

6 Terapia alternativa per il trattamento dei tumori, priva di riscontri scientifici. Ideata dal medico Luigi Di

Bella, fra il 1997 e il 1998. Tale sperimentazione condotta dal Ministero della Salute sancì sostanzialmente l’inefficacia terapeutica, del cosiddetto “multitrattamento” Di Bella, i cui risultati furono pubblicati sul

British Medical Journal.

7 È una convenzione redatta e adottata nell’ambito del Consiglio d’Europa. La CEDU (in francese

“Convention europeéenne des droits de l’homme”) è considerata il testo centrale in materia di protezione dei diritti fondamentali dell’uomo perché e l’unico dotato di un meccanismo giurisprudenziale permanente che consenta a ogni individuo di richiedere la tutela dei diritti ivi garantiti, attraverso il ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’uomo con sede a Strasburgo.

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e di confronto tra varie discipline: discipline filosofiche, giuridiche, antropologiche, scientifiche. Non è un caso che la bioetica si sia sviluppata, come disciplina, nell’ambiente nordamericano proprio sulla scia dei grandi casi giudiziari concernenti la salute e la vita dell’uomo, tanto da indurre ad affermare senz’altro che il diritto ha condotto ed indirizzato la bioetica e che reciprocamente la bioetica ha modellato la legge8, mettendosi in luce la reciprocità di tale rapporto.

Nella trattazione di tali questioni, che costituiscono materia della riflessione bioetica, non potrà essere trascurata la tavola di valori posti a fondamento dell’ordinamento; valori che trovano la loro definizione nella Costituzione e, ora, in ambito europeo, nella anzidetta Convenzione dei diritti dell’uomo e sulla biomedicina del 1977 nonché in quella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che dovrebbe rappresentare il nucleo della futura costituzione europea.

Nell’esperienza costituzionale italiana - non diversamente che in quella degli altri paesi europei e, ora, nei documenti che esprimono lo sforzo di aggregare le diverse esperienze costituzionali del nostro continente intorno ai valori comuni - il rispetto della dignità umana è assunto quale valore fondante e quale filtro attraverso cui verificare l’apprezzabilità di ogni altro valore.

L’intangibilità della dignità dell’uomo, sancita dall’art.1 della Costituzione tedesca, ed il riconoscimento dei “diritti inviolabili dell’uomo”, assieme al richiamo all’adempi-mento dei doveri inderogabili di solidarietà, di cui all’art. 2 della nostra Costituzione, si saldano - come emerge dal preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea - nella volontà di fondare l’Unione stessa, alla luce della consapevolezza del “patrimonio spirituale e morale”, sui valori “di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà”9. E, coerentemente, la Convenzione di Oviedo del 1997 si apre col

programmatico proposito delle Parti contraenti di “proteggere l’essere umano nella sua dignità”.

La dignità, anche nel preambolo della Carta europea, si coordina - non casualmente - con la libertà, l’uguaglianza e la solidarietà, illuminando tali valori e ricevendone luce, in una prospettiva che l’allontana decisamente dalla concezione tendente ad esaurirne ogni valenza nell’esaltazione della stessa autonomia del soggetto, con gli esiti che si sono visti.

8 Per l’esperienza nordamericana e gli opportuni riferimenti, Santosuosso V. Bioetica e diritto, in Medicina

e diritto.

9 L’art.1 della Carta in questione “dignità umana”, inserito al capo I intitolato alla “dignità”, sancisce il

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Così, nella prospettiva della salvaguardia della dignità umana, nel rapporto con l’uguaglianza e la solidarietà, il principio della tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo e come interesse della collettività, (art. 32, comma 1, Cost.), per il dovuto rispetto della persona umana (art. 32, comma 2, Cost.), non sembra tollerare che le scelte che concernono la salute possano essere risolte in termini di costi o benefici, quando incidano su quel “contenuto minimo della salute”, che deve garantirsi a chiunque, secondo quanto evidenziato dalla Corte Costituzionale10.

Soprattutto, la dignità umana, ove assunta quale giustificazione della stessa inviolabilità dei diritti umani fondamentali, costituisce un valore il cui rispetto non può essere completamente rimesso alle determinazioni dell’interessato, essendo la relativa disponibilità destinata ad incontrare limiti invalicabili, di fronte alla irrinunciabilità, almeno, della propria “qualità di uomo”.

In questo contesto costituzionale ed ordinamentale, interno ed internazionale, devono essere inquadrate le scelte del codice deontologico.

Il principio secondo cui il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso informato del paziente (art.32, co.1) viene vitalizzato da una serie di specificazioni, tendenti, in vista della garanzia di un esercizio effettivo della libertà dell’interessato, a “deburocratizzare” le procedure concernenti la prestazione del consenso.

Se il carattere informato rappresenta il presupposto irrinunciabile della validità del consenso, assume, allora, rilevanza essenziale la regola secondo cui il medico, nell’informare il paziente, dovrà tenere conto delle sue capacità di comprensione, al fine di promuovere la massima adesione alle proposte diagnostiche-terapeutiche (art.30, co.1). Si tratta della realizzazione di quell’alleanza terapeutica, nella quale si dovrebbe perdere ogni traccia della tradizionale concezione “autoritaria” del rapporto medico-paziente, secondo un modello, invece, collaborativo.

La dovuta attenzione per l’autonomia del paziente, in effetti, non può risolversi nella trasformazione del ruolo del medico in quello di mero esecutore delle determinazioni del paziente, proprio per il rispetto dovuto alla dignità professionale del medico, che deve restare, quindi, insieme al paziente, sicuramente coprotagonista dell’attività diagnostica e terapeutica.

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Se “la prescrizione di un accertamento diagnostico o di una terapia impegna la responsabilità professionale ed etica del medico” (art.12 co.1), senz’altro si giustifica che “il medico al quale vengano richieste prestazioni che contrastino con la sua coscienza o con il suo convincimento clinico, può rifiutare la propria opera, a meno che questo comportamento non sia di grave e immediato nocumento per la salute della persona” (art.19); e si giustifica anche la precisazione secondo cui “in nessun caso il medico dovrà accedere a richieste del paziente in contrasto con i principi di scienza e coscienza allo scopo di compiacerlo” (art. 12, comma 5).

E si tratta di un’idea che sicuramente rafforza una visione della salute in una dimensione psicologica che ciascuno abbia della propria situazione di benessere (per cui, in particolare, non si può ignorare il diritto di ognuno di privilegiare il proprio stato attuale, ad onta dell’opportunità terapeutica dell’intervento): sicché si è ritenuto - a ragione - che la valutazione dello stato del paziente in termini di salute è necessariamente dialettica, e la conclusione è possibile solo come sintesi tra la tesi medica e l’antitesi di autopercezione, in vista di una soluzione concorde11.

Come qualsiasi esercizio di libertà, la prestazione del consenso non può essere che personale, non risultando quindi, ammissibile la sostituzione del consenso dell’interes-sato, in caso di soggetto capace d’intendere e di volere, con quello di altri, in particolare di parenti12.

L’informazione personale non potrà mai mancare. Non convince l’affermazione secondo cui “risponde a criteri di ragionevolezza che il chirurgo taccia al malato la gravità del suo male e il rischio che una operazione comporta”13. Tale posizione è stata superata da quella a favore dell’ammissione di un diritto a conoscere la “verità” comunque, sottolineandosi, anzi, come proprio nei casi di maggior gravità ciò imponga.

Questo non solo perché il paziente sia messo in grado di assumere tempestivamente decisioni relative alla generalità dei suoi rapporti, ma pure in funzione di quel suo “diritto di rifiutare le cure mediche, lasciando che la malattia segue il suo corso, anche fino alle estreme conseguenze, trattandosi di una scelta che riguarda la qualità della vita14.

Significativo che pure il codice deontologico, a partire dal 1995, sia orientato nel senso di della conformazione di tale dovere medico, prevedendo che “le informazioni riguardanti prognosi gravi o infauste o tali da poter procurare preoccupazione e sofferenza

11 Zatti P., Il Diritto di scegliere la propria salute, Nuova giurisprudenza civile e commentata, 2000, II, p. 1. 12 Con chiarezza il Tribunale di Milano, 14 maggio 1998.

13 Trib. Milano, 16 ottobre 1964, cit.

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alla persona, devono essere fornite con prudenza, usando terminologie non traumatizzanti e senza escludere elementi di speranza” (art.30, comma 4).

Quanto al rifiuto delle terapie, se esso non sembra potersi risolvere nella negazione della professionalità del medico, non pare neppure che l’invocazione della c.d. “posizione di garanzia” del medico stesso possa legittimare un’imposizione della cura non voluta, in aperto contrasto col principio di cui all’art.32, comma 2, Cost.15.

1.2 La responsabilità del medico ante riforma

Il rapporto tra medico e paziente si è sensibilmente modificato per l’entrata in vigore della Costituzione Italiana che, all’art. 32, “tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo interesse della collettività e garantisce cure gratuite per tutti gli indigenti”. La giurisprudenza costituzionale non solo riconosce il diritto alla salute durante l’attività lavorativa, ma tutela, altresì, il diritto ad essere curato da strutture pubbliche organizzate dal servizio sanitario nazionale, nonché l’autodeterminazione del soggetto ad autorizzare la cura attraverso il consenso informato16.

La manifestazione del consenso informato del paziente17 ha mutato profondamente il rapporto tra medico e ammalato, in quanto costituisce un presupposto determinante ed essenziale della liceità del trattamento medico-chirurgico e conferma il “contatto” e l’intervenuto rapporto tra medico e paziente18.

I problemi connessi al mutamento del rapporto medico-paziente si sono posti soltanto dopo il diffondersi e lo sviluppo del Servizio Sanitario Nazionale, tra gli anni ottanta e novanta del secolo scorso, in relazione ai danni subiti dal paziente, mal curato dal medico pubblico da lui non scelto né pagato perché retribuito dalla pubblica amministrazione.

In questa fase dell’evoluzione la giurisprudenza ha distinto la responsabilità della struttura sanitaria dalla responsabilità del medico in essa operante; la prima infatti, si riteneva fosse contrattuale19, ipotizzandosi, quindi, la conclusione di un contratto d’opera

15 Sul tema della c.d. “posizione di garanzia” del medico e dei relativi, cfr. anche Fiori, Medicina legale

della responsabilità medica, I Milano 1999, 491 ss.

16 Corte cost. civ. sez. III, 23 dicembre 2008.

17 Soldini M., Filosofia e medicina, Armando Editore, Anno 2006.

18 Lamberti L. Diritto sanitario, Itinera Guide giuridiche, Milano, Anno 2012, ove afferma la natura

contrat-tuale della responsabilità medica.

19 Cassazione civile, Sez. III, 11 aprile 1995, n. 4152, in Enti pubblici, 1996, 908. In tale pronuncia si

affermava che la responsabilità dell’Ente Ospedaliero, gestore di un servizio pubblico sanitario, aveva natura contrattuale di tipo professionale. Da ciò si faceva discendere che la responsabilità diretta dall’ente e quella del medico, inserito organicamente nella organizzazione del servizio, fossero disciplinate in via analoga dalle nome volte a disciplinare la responsabilità in tema di prestazione professionale medica in esecuzione di un contratto di opera professionale, senza che potesse trovare applicazione, nei confronti del medico, la normativa prevista dagli artt.22 e 23 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, con riguardo alla responsabilità degli impiegati civili dello Stato per gli atti compiuti in violazione dei diritti dei cittadini.

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professionale tra paziente ed ente ospedaliero, giusta l’obbligazione dell’ospedale di compiere l’attività diagnostica e terapeutica in relazione alla situazione patologica del paziente preso in cura e l’accettazione del paziente derivante dal pagamento dei ticket ai fini del ricovero o di una visita specialistica ambulatoriale.

Viceversa la responsabilità del medico, dipendente e pagato dalla struttura sanitaria pubblica, si riteneva che avesse natura extracontrattuale con esclusione della colpa lieve nei casi di negligenza o imprudenza20.

Al fine di evitare che una medesima condotta potesse caratterizzarsi come inadempimento e illecito extracontrattuale, tale impostazione è stata superata dalla sentenza della Corte di Cassazione, sez. III civile, del 22 gennaio 1999, n. 589, nella quale i giudici hanno chiarito che, a seguito dell’istituzione del servizio sanitario, la responsabilità del medico dipendente ospedaliero deve qualificarsi da inadempimento, al pari di quella dell’ente gestore del servizio sanitario nazionale, non già in forza dell’esistenza di un precedente rapporto obbligatorio sussistente tra le parti, ma in virtù di un rapporto di fatto originato dal contatto sociale e dal consenso informato sulle cure.

Anche la dottrina ha condiviso la nuova impostazione, in considerazione delle nuove prospettive dell’attività professionale del medico, non più libero professionista privato, ma medico pubblico, inserito nell’attività prestata dal servizio sanitario, organizzato dallo Stato e dalle regioni, per la tutela del diritto alla salute costituzionalmente protetto.

La qualificazione della responsabilità del sanitario come responsabilità da inadempi-mento ha comportato l’aggravainadempi-mento della posizione processuale del professionista convenuto in ragione del più agevole onere probatorio, che il sistema della responsabilità contrattuale pone a carico del creditore insoddisfatto.

In tale contesto, il legislatore, facendo ricorso alla decretazione d’urgenza, allo scopo di contenere l’esplosione del contenzioso, legato ad episodi di medical practice ed al contempo del fenomeno della medicina difensiva, è intervenuto, statuendo che “l’esercente la professione sanitaria che, nello svolgimento della propria attività si attiene

20 Cass. Civ. Sez. III, 13 marzo 1998 n. 2750. I giudici in questa sentenza affermavano che: “in tema di

responsabilità extra contrattuale del medico dipendente da ente ospedaliero per danni subiti da un neonato a seguito di difettosa assistenza al parto, l’addebito al sanitario di grave imprudenza può essere correlato alla mancata predisposizione da parte sua, quando egli chiamato ad eseguire un intervento non privo di rischi, benché non implicante particolari difficoltà, delle misure idonee a superare eventuali carenze organizzative, senza che inoltre l’addebitabilità dell’errore professionale produttivo del danno ad una delle persone che lo coadiuvavano valga ad escludere la sua colpa, se egli non abbia predisposto e coordinato i compiti altrui in modo da evitare l’errore e non si posto nelle condizioni di poterli tempestivamente superare. Si veda anche Cass. Civ. Sez. III, 18 novembre 1997, n. 11440, Rivista giuridica 1998, n. 67: “Il medico chirurgo chiamato a risolvere il caso di particolare complessità, il quale cagioni un danno a causa della propria imperizia, è responsabile solo se versa in dolo o colpa grave, ai sensi dell’art. 2236 c.c., tale limitazione di responsabilità, invece, anche nel caso di interventi particolarmente difficili, non sussiste con riferimento ai danni causati per negligenza o imprudenza, dei quali il medico risponde in ogni caso”.

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a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 del codice civile. Il giudice anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”.

L’attenzione degli studiosi si è, quindi, immediatamente rivolta a comprendere se il riferimento alla norma cardine in materia di responsabilità extracontrattuale debba intendersi in maniera pregnante e quindi tale da costituire il nuovo paradigma della responsabilità del medico a scapito dell’art. 1218 c.c.

In altre parole, si è cercato di comprendere se il riferimento valorizzasse il regime aquiliano ovvero se dovesse all’opposto ritenersi che non vi fosse stato alcun mutamento concernente le azioni esperibili dai pazienti danneggiati, più favoriti dal regime della responsabilità aquiliana sia sul piano probatorio che sul piano della prescrizione del diritto al risarcimento del danno.

La giurisprudenza di merito sul punto ha offerto risposte diverse.

Una prima impostazione ha ritenuto che la previsione riguardi solo le ipotesi di responsabilità per contatto, in cui manca un rapporto contrattuale tra sanitario e paziente (come nel caso del medico dipendente) oppure un rapporto atipico di spedalità, senza che ciò possa sollevare problemi di responsabilità.

Secondo diversa impostazione, la rilevanza applicativa della norma e del riferimento all’art. 2043 varrebbe solo per i medici pubblici dipendenti e le strutture pubbliche, restando escluse le strutture private.

Un’ulteriore tesi, ancora recente, ha ritenuto che il riferimento all’art. 2043 rivelerebbe l’esistenza di un doppio binario di responsabilità: contrattuale per la struttura ed extracontrattuale per il medico dipendente. Così, opinando la domanda rivolta contro l’ente ospedaliero impone che l’attore dovrebbe da un lato provare l’esistenza del contratto (o del contatto sociale) l’insorgenza o l’aggravamento della patologia, dall’altro allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato.

Resterebbe a carico del debitore (la struttura sanitaria) l’onere di provare che l’inadempimento non vi è stato oppure che, pur essendovi stato, esso non sia eziologicamente riconducibile alla condotta del medico, ma ad un evento imprevisto e imprevedibile.

La domanda spiegata nei confronti del sanitario di contro imporrebbe all’attore di fornire la più gravosa prova di tutti gli elementi idonei ad integrare l’illecito aquiliano.

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Diffuso è apparso anche l’orientamento propenso a ritenere che il secondo periodo dell’art. 3, comma 1, legge 8 dicembre 2012, n. 189, debba essere interpretato in stretta correlazione con il periodo precedente al quale espressamente si collega, in virtù dell’incipit “in tali casi”.

Secondo tale impostazione, la norma del secondo periodo avrebbe, cioè, la funzione di chiarire che l’esclusione della responsabilità penale non fa venire meno l’obbligo di risarcire il danno. Il richiamo all’art. 2043 dunque sarebbe limitato all’individuazione dell’obbligo risarcitorio (e non all’intera disciplina in punto di responsabilità extracontrattuale) senza condizionare i criteri da applicare nell’accertamento della responsabilità, fatto salvo il parametro del rispetto delle linee guida.

Secondo l’orientamento in esame, una diversa impostazione implicherebbe, tra l’altro, di dovere applicare il supposto modello extracontrattuale anche ad ipotesi pacificamente contrattuali, posto che l’esenzione penale riguarda tutte le ipotesi di condotte sanitarie idonee ad integrare reato e non solo quelli derivanti da contatto sociale. In tale contesto, di disorientamento della giurisprudenza, è intervenuta la Corte di Cassazione nel febbraio del 2013, la quale ha precisato che la materia della responsabilità civile segue le regole consolidate anche per la responsabilità contrattuale del medico e della struttura sanitaria da contatto sociale.

La giurisprudenza è dell’avviso quindi che rimane ferma la tradizionale responsabilità civile contrattuale degli esercenti le professioni sanitarie, anche qualora questi non rispondano in campo penale per gli eventi dannosi prodotti per colpa lieve, risultando la propria condotta conforme alle linee guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica.

Al paziente che agisce in sede civile compete, pertanto, di allegare (non provare) che il professionista, debitore della prestazione sanitaria, è stato inadempiente, avendo tenuto un comportamento, attivo e passivo, astrattamente idoneo a cagionare il danno subito, mentre il medico, perché possa andare esente da responsabilità, deve provare che il danno s’è verificato senza sua colpa, dimostrando di avere correttamente eseguito la propria prestazione.

L’intervento della Suprema Corte non può dirsi risolutivo, trattandosi di decisione di inammissibilità ai sensi dell’art. 360 bis, comma 1, c. p. c. e come tale assumendo la valenza di mero obiter dictum e non di precedente.

Si profilerebbe, secondo la critica della dottrina maggioritaria, una possibile questione di costituzionalità della normativa, che anziché tutelare il diritto alla salute della

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persona e il diritto del cittadino di essere curato dallo Stato, al fine di ridurre i costi del servizio sanitario, opera sia sul piano penale per escludere la responsabilità del medico per colpa lieve sia attraverso la responsabilità aquiliana, riducendo i termini della prescrizione e gravando il danneggiato anche dell’onere della prova, intaccando in tal modo il suo diritto al risarcimento del danno subito.

1.3 La responsabilità degli ospedali e delle case di cura

La giurisprudenza prevalente qualifica oggi la responsabilità della struttura sanitaria nei confronti del paziente come responsabilità contrattuale, a partire da una risalente pronuncia, che argomenta l’esistenza del rapporto obbligatorio in forza della prestazione del consenso al trattamento medico.21

Solo con l’approvazione della riforma del servizio sanitario nazionale (legge 23 dicembre 1978, n. 833) l’indirizzo si è consolidato nelle parole di un’importante pronuncia22, che lega la struttura sanitaria al paziente per mezzo di “un contratto d’opera intellettuale”.

Il definitivo riconoscimento della natura contrattuale della struttura sanitaria si è avuto con un intervento delle Sezioni Unite Cassazione civile23 confermato dalle successive sentenze e seguito dalla opinione della dottrina.

Al contratto di spedalità si applicano, quindi, le regole comuni relative all’adempi-mento e all’inadempiall’adempi-mento delle obbligazioni e, in particolare, gli artt. 1218 e ss.

Dalla qualificazione in termini obbligatori del rapporto intercorrente tra l’ente ospedaliero e il paziente derivano interessanti rifletti sotto il profilo probatorio: prima si è avuta la uniformazione dell’onere alla disciplina generale in materia di responsabilità contrattuale24, poi è stato rivisto l’onere della prova in punto di nesso causale, determinando un regime di maggior favore per il malato creditore, il quale dovrà provare soltanto il titolo da quale l’obbligazione è derivata e il preteso danno subito, limitandosi ad allegare l’inesatto adempimento della prestazione medica, mentre l’ente ospedaliero convenuto sarà tenuto a provare che l’inadempimento non c’è stato o che pure esistendo non è stato rilevante sul piano eziologico. L’accettazione nella struttura costituisce dimostrazione sufficiente del rapporto contrattuale.25

In merito al rapporto ente-paziente, taluni hanno ritenuto applicabile analogicamente le norme sul contratto d’opera professionale, di cui anche gli articoli 2236 e 1228. Poiché

21 Cassazione civ. sez. III, 25 luglio 1967, n. 1950. 22 Cassazione civile sez. III, 21 dicembre 1978, n. 6141. 23 Cassazione sez. Unite 1 luglio 2002, n. 9556.

24 Cassazione civile sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533. 25 Cassazione civ. sez. III, 26 maggio 2011, n. 11621.

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l’art. 1228 presuppone un illecito colpevole dell’autore immediato del fatto, il comportamento del sanitario viene assunto come elemento necessario per l’affermazione della responsabilità dell’ente.

Ne consegue anche che l’inadempimento riguarda una prestazione prettamente sanitaria (e non lato sensu organizzativa) ed è esclusa la configurabilità di un’autonoma responsabilità della struttura rispetto a quella del personale medico ivi operante.

È stato affermato26 che ne deriva un riduttivo appiattimento della responsabilità della struttura su quella del medico: qualificando il legame tra la struttura sanitaria e il medico come rapporto di “preposizione”, l’ente ospedaliero risponde - ex art. 1228 c.c.- dell’inadempimento dell’obbligazione sanitaria anche quando esso derivi da fatto colposo o doloso del medico, senza configurare una culpa in eligendo.

Secondo la Suprema Corte possono considerarsi ausiliari del debitore soltanto coloro che agiscono su suo incarico e il cui operato sia assoggettato ai suoi poteri di direzione e di controllo o quando sussista un collegamento tra l’attività del preteso ausiliario e l’organizzazione aziendale della struttura, a prescindere dalla natura giuridica del rapporto e non rilevando in contrario la circostanza che il sanitario risulti di fiducia o scelto dallo stesso paziente, dovendosi accertare un nesso di causalità tra il fatto colposo o doloso dell’ausiliario e la prestazione dovuta dalla struttura.

In dottrina, non è mancato chi, muovendo dall’incompatibilità tra l’autonomia di scelta della professione medica e il ruolo tipico dell’ausiliario, ha sostenuto l’inapplicabilità dell’art. 1228, ritenendo applicabile lo schema del fatto altrui previsto dall’art. 2232 c.c., secondo l’obbligazione di cura, che solo il medico è legittimato ad eseguire, ma del cui inadempimento risulta responsabile l’ente ospedaliero.

Il prevalente indirizzo ha qualificato il rapporto intercorrente tra la struttura ospedaliera e il paziente come “contratto atipico di spedalità”, individuando un’obbli-gazione complessa a carico dell’ente, consistente, oltre che nella prestazione medica, anche in una serie di prestazioni accessorie che ad essa si affiancano, al fine di potere affermare ipotesi di responsabilità autonoma dell’ente per carenze organizzative, a prescindere dalla colpa del sanitario.

L’imputabilità dell’inadempimento passerebbe in tal modo attraverso il tradizionale raccordo tra gli artt. 1175 e 1218 del c.c. nonché attraverso la corretta distribuzione dell’onere della prova.

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1.4 Il dibattito nella giurisprudenza di merito e di legittimità

La nuova normativa affronta e disciplina i temi della sicurezza delle cure e del rischio sanitario, della responsabilità dell’esercente la professione sanitaria e della struttura sanitaria pubblica o privata, delle modalità e caratteristiche dei procedimenti giudiziari aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria, nonché degli obblighi di assicurazione e dell’istituzione del Fondo di Garanzia per i soggetti danneggiati da responsabilità sanitaria. Fra gli obiettivi quello di ridurre il contenzioso, civile e penale, avente ad oggetto la responsabilità medica e al tempo stesso garantendo un più efficace sistema risarcitorio nei confronti del paziente.

La professione medica è molto antica, come pure antico è il riconoscimento della sua importanza per la società umana27.

L’importanza della professione deriva evidentemente dal fatto che essa ha per fine la tutela della salute e della vita stessa degli uomini. Chi si rivolge al medico, gli affida questi suoi beni fondamentali, manifestandogli una fiducia tutta particolare28. Il medico perciò viene a trovarsi in una posizione di supremazia di fatto sul malato, che ha posto nelle sue mani la propria persona; quest’ultimo a sua volta si trova in una situazione di inferiorità, dovuta alla sua ignoranza scientifica.

Quindi è necessario che il medico da un lato sia preparato scientificamente e praticamente, e dell’altro sia moralmente irreprensibile, sì da ispirare al paziente la massima fiducia.

Tenendo conto di queste due diverse esigenze, si possono distinguere due tipi di responsabilità medica, l’uno derivante dalla violazione dei principi deontologiche, l’altro dalla violazione delle regole tecniche e scientifiche della professione, nella prima affermazione, tenendo conto della personalità umana del malato e in più in generale relativi ai fini sociali e umani della professione.

Una differenza pratica sta in ciò, che la responsabilità nel campo tecnico profes-sionale va valutata in base a criteri scientifici in continuo divenire, per forza di cose ignorati di solito dai giudici, che devono perciò ricorrere a periti e consulenti tecnici29; mentre la responsabilità nel campo deontologico segue invece criteri costanti, tradizionali e accertabili dal giudice senza bisogno di farsi assistere da specialisti in materia.

27 Cfr. l’Iliade, XI, v. 514.

28 Cfr. Cattaneo G., La responsabilità del professionista, Giuffrè, Anno 1958, pag. 237.

29 Nei procedimenti civili e nei procedimenti penali aventi per oggetto la responsabilità sanitaria, l’autorità

giudiziaria affida l’espletamento della consulenza tecnica e della perizia a un medico specializzato di medicina legale e a uno o più specialisti nella disciplina che abbia specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento, avendo cura che i soggetti di nominare, scelti tra gli iscritti agli albi di cui ai commi 2 e 3, non siano in posizione di conflitto di interesse nello specifico procedimento o in altri connessi e che i consulenti tecnici d’ufficio da nominare nell’ambito del procedimento di cui all’art.8, comma 1, siano in possesso di adeguate e comprovate competenze nell’ambito della conciliazione acquisite anche mediante specifici percorsi formativi.

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Tuttavia anche questi principi mutano, sia pure lentamente, con l’evoluzione della professione medica e per l’aumentato interesse collettivo in questo campo.

La salute è un bene tipicamente individuale. La tutela di tale bene perciò è stata in passato totalmente, ed in gran parte è oggi ancora, affidata all’autonomia privata e regolata dal principio della libertà contrattuale. Tale libertà va intesa nel senso che ciascuna delle parti è libera di contrarre o no, e può scegliere la controparte che preferisce; non invece naturalmente nel senso dell’autonomia privata sia libera di determinare a suo arbitri il contenuto del contratto, giacché si tratta di diritti indisponibili. Oggi però la salute viene considerata non come un qualsiasi bene individuale, sia pure indisponibile, ma come un “fondamentale diritto dell’individuo”.

Anche la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, proclama che “ogni individuo ha diritto ad un “tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio “e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al “vestiario, all’abitazione e alle cure mediche”.

Il fatto che la cura della salute sia compresa tra i fini dello Stato, ha fatto sì che oggi il medico molto spesso non è professionista libero, ma dipende da enti pubblici, d’altra parte non si dubita neppure che possa essere lavoratore subordinato.

Nonostante i mutamenti di cui si è detto, la tradizione conserva molta importanza. Già si è osservato che in tutte le professioni intellettuali più antiche, ma specialmente in quella medica, si sono venute formando certe norme di “correttezza professionale” o “deontologiche”, la cui autorità deriva soprattutto dalla tradizione. Quelle relative all’esercizio della medicina si trovano raccolte nei c.d. “codice deontologico”, compilati di solito da medici per conto degli Ordini professionali.

La disciplina della responsabilità extracontrattuale o responsabilità aquiliana è prevista dall’art. 2043 c.c. nell’ordinamento giuridico italiano e trae la sua origine in un plebiscito romano del III secolo a.C. denominato Lex Aquilia30 de danno (iniuria dato). Dopo divenne Lex in seguito alla Lex Hortensia del 287 a.C.31 che equiparò il plebiscitum alla Lex Aquilia perché promossa dal Tribuno C. Quilio, superando tutte le leggi precedenti in materia di risarcimento de danno iniuria dato perché era volta a punire

30 Lex Aquilia è un plebiscito fatto votare dal tribuno della plebe di nome Aquilio nel 286 a.C., che provocò

il superamento di tutte le leggi precedenti, compresa quella delle XII Tavole.

31 La Lex Hortensia De Plebiscitis, 287 a.C. fu una legge promulgata a Roma ai tempi della Repubblica,

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quanti avessero arrecato (dato), con un comportamento contrario al jus (iniuria) un qualsivoglia danno a beni appartenenti al soggetto interessato.

Essa introdusse nel diritto romano la responsabilità ex-delicto, ovvero del principio in virtù del quale la lesione di un diritto soggettivo assoluto (o “erga omnes”, cioè opponibile a tutti: ad es. il diritto alla vita e quelli della persona, la proprietà e i diritti reali) obbliga l’autore della lesione a risarcire i danni patrimoniali e non patrimoniali.

La lex Aquilia, quindi è la prima legge scritta in materia di risarcimento del danno, risarcibile, in linea di principio, se l’autore ha agito con dolo o con colpa. Cioè quando l’evento è stato intenzionalmente determinato (dolo) ovvero si è verificato a causa di negligenza, imprudenza o imperizia oppure dell’inosservanza di norme.

Fondamento della responsabilità aquiliana è il principio di convivenza del neminem

laedere sostanzialmente corrispondente a quello (“non fare agli altri...”) già presente nel

pensiero orientale (Lao Tze)32 di un paio di secoli prima e, addirittura, nell’ancora più remoto Codice di Hammurabi33, fino ad arrivare al successivo e forse più noto richiamo evangelico.

In quello fissato dunque dal diritto romano vi si afferma, in termini e con effetti meno filosofici e più giuridici, la responsabilità che ogni individuo si assume per qualsiasi danno arrecato ad altri a causa del proprio comportamento riprovevole (perché lesivo di un diritto altrui) e/o colpevole (perché direttamente voluto ovvero frutto di una volontà “indiretta”, cioè non sufficientemente cosciente, vigile o cauta). Ed è su tale colpevolezza che, per la Lex Aquilia così come per gli ordinamenti giuridici moderni, si giustifica la sanzione (il risarcimento del danno) diretta a ripristinare i diritti lesi ma anche a garantirne il rispetto.

La Lex Aquilia, peraltro, consisteva nel fatto che l’autore dell’illecito non era soggetto ad una pena, ma era gravato da una sanzione in danaro a tutela della proprietà, non potendosi ripristinare il bene danneggiato o distrutto, nel nostro caso la salute. Infatti, difendeva la proprietà e pertanto, concedeva al dominus di ottenere il risarcimento necessario sostitutivo della cosa distrutta o danneggiata. Oggetto dell’iniuria era la cosa nella sua materialità.

32 Lao Tse, o, più esattamente, Lao-Tzu, filosofo cinese del sec. V.

33 Il codice di Hammurabi è il primo codice di leggi scritte, grazie al quale i cittadini potevano sentirsi

tutelati, nel bene e nel male (disparità di trattamento tra nobili e contadini). In precedenza esistevano delle leggi o codici, ma erano tramandati e trasmessi in modo orale, e il re babilonese fu il primo a darne una certezza mettendole nero su bianco. Ne abbiamo testimonianza grazie a due stele conservate a Parigi nel museo di Louvre.

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A spegnere definitivamente l’ordinamento giuridico romano il code civil francese che generalizzò nel fatto colposo di chi arreca ad altri un danno, art.138234 ed il codice italiano del 1865 che stabiliva obblighi per l’uomo che arreca ad altrui danno, art.115135.

Nel corso degli ultimi decenni e fino a questa riforma, la natura penale della responsabilità del medico ha visto tre distinte stagioni. La prima, collocabile fino agli anni ’80 del secolo scorso, aveva reso un orientamento del tutto benevolo nei confronti dei sanitari che cagionavano per colpa eventi dolosi. Si sosteneva infatti, in ragione della complessità della professione, che per ascrivere a tali soggetti una responsabilità penale, dovesse rilevare soltanto l’errore grossolano e macroscopico.

Questo ragionamento poggiava sull’applicazione dell’articolo 2236 del codice civile36, il quale stabilisce la responsabilità civile del prestatore d’opera solo per dolo o colpa grave, qualora la prestazione la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà. Questa concezione ha portato ad una repressione delle condotte colpose decisamente a maglie larghe.

Nei successivi decenni, tale orientamento ha ceduto il passo ad una seconda ed opposta visione, che ha negata l’applicabilità della norma civile, se non nei casi di oggettiva speciale difficoltà, parametro da accertare in concreto caso per caso.

Per il resto, ciò che si considerava rilevante per la determinazione della colpa penale era solo l’articolo 43 del codice penale37, con la conseguenza che anche la colpa lieve

poteva senz’altro assumere rilevanza criminale.

Tale applicazione ha avuto, però, l’effetti di aumentare le denunce nei confronti dei medici con un conseguente e sensibile accrescimento delle condanne penali.

Pertanto il legislatore è intervenuto per porre rimedio nel 2012, con la legge Balduzzi che ha segnato la terza stagione della responsabilità penale dei sanitari. La legge Balduzzi contemplava due requisiti per stabilire l’irrilevanza penale del fatto illecito colposo, commesso dal medico. Da un lato, vi era il rispetto delle linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, dall’altro l’assenza di colpa grave.

34 Article du code civil, principe général de responsabilité : “Tout fait quelconque de l’homme, qui cause à

autrui un dommage, oblige celui par la faute duquel il est arrivé, à le réparer”.

35 Art. 1151 del codice civile del 1865: “Qualunque fatto dell’uomo per colpa del quale è avvenuto a

risarcire il danno”.

36 Dichiarazione di remissione del debito. La dichiarazione del creditore di rimettere il debito estingue

l’obbligazione quando è comunicata al debitore salvo che questi dichiari in un congruo termine di non volerne approfittare.

37 Elemento psicologico del reato. Il delitto è doloso, o secondo l’intenzione, quanto l’evento dannoso o

pericoloso, che è il risultato dell’azione o omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione; (…) è colposo, o contro l’intenzione quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.

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Un testo così innovativo e allo stesso tempo così laconico ha reso necessario l’intervento della Corte di Cassazione, chiamata ad interpretare lo spirito della norma, declinando con i casi concreti.

La nuova legge Gelli-Bianco, oggetto della tesi, ha recepito l’orientamento giurisprudenziale prevalente formatosi sulla legge Balduzzi, inserendo nel codice penale, allo scopo di fare chiarezza, il nuovo articolo 590-sexies38, rubricato “Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario”, facendo scomparire ogni riferimento al problematico concetto di colpa grave. La scriminante oggi opera solo in caso di colpa grave o lieve per imperizia.

Resta fermo il rispetto delle linee guida e delle buone pratiche, di cui va fatto un uso confacente al caso concreto: ove occorre debbono essere applicate, diversamente corre l’obbligo di disapplicarle.

Poi cambia tutto. La possibilità di ottenere un giusto risarcimento da parte del medico o della struttura sanitaria che si riteneva avessero compiuto un errore o che non avessero in ogni caso eseguito la procedura nel modo corretto, si è fatta avanti e via via ha assunto caratteristiche di massa, con un numero sempre crescente di procedimenti, sia in sede civile che penale.

La cosiddetta “medicina difensiva”39 nasce come contromisura “negativa” a questa

deriva medico legale e sostanzialmente si pone come forma di “passivo non agire” o “moltiplicatore esponenziale del momento diagnostico” per far sì che, un domani, il medico o la struttura possano presentare copiose documentazioni a loro tutela. In paral-lelo, con meno enfasi, ma senz’altro con più costrutto, si è lavorato a rafforzare il contesto organizzativo e professionale degli operatori studiando protocolli di sicurezza e di riferi-mento diagnostico, clinico e terapeutico tali da creare le condizioni più ottimali possibili per svolgere al meglio il proprio lavoro “evitando” il più possibile gli eventi avversi.

38 Sotto il profilo penale, la novità più importante del disegno di legge in questione è senza dubbio

l’introduzione nel nostro ordinamento, con l’art. 6, comma 1, del citato d.d.l. Gelli-Bianco, e rubricato ‘Responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria’, del nuovo art. 590-sexies c.p. Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario: “1. Se i fatti di cui agli articoli

589 e 590 sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto nel secondo comma. 2. Qualora l’evento si è verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto”.

39 Secondo la definizione elaborata, nel 1994 dall’OTA, Office of Techonology Assessment, U.S. Congress,

“la medicina difensiva si verifica quando i medici prescrivono test, procedure diagnostiche o visite, oppure evitano pazienti o trattamenti ad alto rischio di responsabilità per malpractice. Quando i sanitari prescrivono extra test o procedure, essi praticano una medicina difensiva positiva; quando evitano certi pazienti o trattamenti, praticano una medicina difensiva negativa”. Cfr. Ambrosetti F., Il quadro attuale, tra richieste di depenalizzazione e medicina difensiva. In Todeschini, La responsabilità medica (a cura di), Torino, UTET, 2016, 424 ss.

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E anche in questo caso si è ravvisata ben presto la necessità di normare e regolare al meglio linee guida e standard di sicurezza così da avere un sistema omogeneo di sicurezza delle cure operante e attivo in tutto il Paese.

Ma certamente la spinta più forte a far sì che si arrivasse a una legge interamente dedicata alla sicurezza delle cure e al problema del contenzioso medico legale l’hanno data i medici. E il perché è chiaramente desumibile dalla “paura” che essi hanno di entrare nella spirale del contenzioso medico legale. Secondo un’indagine del 2010 condotta dall’Ordine dei medici di Roma (un po’ datata, ma non corretta da rilevazioni più recenti), il 78,2% dei medici ritiene di correre un maggiore rischio di procedimenti giudiziari rispetto al passato, il 68,9% pensa di avere tre probabilità su dieci di subirne e complessivamente il 65,4 % ritiene di subire una pressione indebita nella pratica clinica quotidiana a causa della possibilità di tale evenienza. Ebbene dai medici la richiesta ai Palazzi della politica di fare qualcosa si è fatta via sempre più forte ottenendo una prima risposta organica sul finire del 2007 con un disegno di legge collegato alla legge finanziaria del ministro Turco per “La qualità e la sicurezza del Ssn”.

Il progetto prevede l’istituzione di specifiche unità per la gestione del rischio clinico e di servizi di ingegneria clinica nelle Asl e negli ospedali per ottimizzare le attività e gli interventi di prevenzione degli errori e per il controllo costante della sicurezza delle apparecchiature e nuove misure atte a favorire la soluzione extragiudiziale delle controversie conseguenti ad errori medici che consentano un rapido accesso agli indennizzi per i pazienti danneggiati.

Quel progetto di legge non vedrà mai la luce, complice anche la fine anticipata della legislatura pochi mesi dopo. Ma in qualche modo il seme è lanciato.

Il tema della sicurezza delle cure e quello della necessità di affrontare il nodo della responsabilità professionale si afferma anche in Parlamento e un primo provvedimento riesce ad essere varato nel 2012, il cosiddetto “Decreto Balduzzi” che introduce il concetto delle linee guida quale riferimento per la valutazione dell’eventuale colpa del medico prevedendo che, attenendocisi, si risponderà dei danni solo in caso di dolo o colpa grave. Viene poi istituito un fondo ad hoc per la copertura assicurativa del rischio professionale e previste altre norme sui contratti assicurativi.

Ma non basta. Per molti quelle norme sono insufficienti, se non “inutili”, (come le definì l’allora presidente della Corte di Appello di Roma Giorgio Santacroce40. Da allora

40 Giorgio Santacroce, La Spezia, 6 aprile 1941 - Roma, 13 gennaio 2017, è stato un magistrato italiano,

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il Parlamento non si è più fermato e con l’avvio della legislatura iniziata nel 2013 vengono presentati diversi disegni di legge in materia da quasi tutte le forze politiche che confluiranno poi in un testo unificato dal titolo “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie” che finalmente viene approvato in via definitiva il 28 febbraio 2017.

Vale la pena ricordare infine che un anno e mezzo fa, una parte originaria di questa legge, quella dedicata più strettamente al “risk management”, fu stralciata e inserita nella legge di stabilità 2016 prevedendo che tutte le strutture sanitarie attivino un’adeguata funzione di monitoraggio, prevenzione e gestione del rischio clinico e inserendo norme innovative sugli audit clinici connessi ad episodi di eventi avversi con il fine di favorire l’emersione di problematicità legate alla sicurezza delle cure.

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C

APITOLO

S

ECONDO

LA

SICUREZZA

DELLE

CURE

2.1 Le principali novità in materia della sicurezza delle cure e della

persona assistita

In questo paragrafo vanno evidenziate le novità in materia della sicurezza delle cure, nell’intento precipuo di salvaguardare il diritto alla salute sancito dal nostro ordinamento. La legge Gelli-Bianco esordisce ponendo alla base di questo diritto la sicurezza delle cure, attraverso la prevenzione e la gestione del rischio, capisaldi di un sistema che permetta ai professionisti sanitari di svolgere con serenità il proprio lavoro e garantisca nel contempo la piena tutela del paziente.

L’insieme di tutte le attività finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio, connesso all’erogazione delle prestazioni sanitarie e all’utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative, ha quale fine la sicurezza delle cure, nell’inte-resse dell’individuo e della collettività.

Alle attività di prevenzione del rischio messe in atto dalle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, è tenuto a concorrere tutto il personale, compresi i liberi professionisti operanti in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale. Nella definizione di Charles Vincent (2011)41, una delle più note a livello internazio-nale, la sicurezza delle cure viene individuata nel processo finalizzato alla prevenzione degli effetti avversi o danni derivanti dal processo di assistenza sanitaria, a causa degli errori e delle devianze dalle regole.

Secondo tale definizione, essa non può, quindi, non considerarsi parte costitutiva del diritto alla salute.

La sicurezza del paziente costituisce la base per una buona assistenza sanitaria; non può non valutarsi, nella sottoposizione del paziente alle cure, se un trattamento medico e sanitario possa causare un danno, anziché guarire o curare.

L’erogazione di cure “sicure”, che non causino danni al cittadino, in accordo con i dettami dei codici deontologici medici, rappresenta il principio fondamentale del diritto alla salute: nell’interesse del singolo individuo, ma anche della collettività, considerati legati alla ricerca, alla sperimentazione, alla gestione organizzativa, oltre gli aspetti strettamente clinici della professione, legati al rapporto medico-paziente.

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