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La famiglia di fatto tra realtà sociale e riconoscimento giuridico

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione...3

Premessa...5

Parte prima: La realtà sociale tra i principi generali 1. La famiglia di fatto nella Costituzione...22

1.1. Introduzione alla Costituzione...22

1.2. La teoria « originalista »...27

1.3. Il fondamento costituzionale della famiglia di fatto...31

1.4. La famiglia di fatto nella giurisprudenza della Corte Costituzionale...40

1.4.1. Introduzione alla giurisprudenza costituzionale...40

1.4.2. «Prossimo congiunto» o «convivente di fatto»?...42

1.4.3. Riflessione sull'operato della Corte Costituzionale...58

2. Famiglia di fatto e diritto comunitario...62

2.1. Introduzione al diritto di famiglia europeo...62

2.2. Un approccio di “basso” profilo...65

2.3. Sviluppo e limiti del diritto di famiglia comunitario...70

2.4. La Francia come modello di riferimento: la disciplina dei “PACS”...82

Parte seconda: Il riconoscimento giuridico della famiglia di fatto Una questione preliminare...89

3. I rapporti personali nella famiglia di fatto...93

3.1. Il dovere di fedeltà, assistenza e coabitazione...93

3.2. Indirizzo di vita, amministrazione di sostegno e procreazione medicalmente assistita...98

3.3. L'adozione e l'affidamento del minore nella famiglia di fatto ...101

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4. Aspetti patrimoniali nella famiglia di fatto...112

4.1. L'obbligazione naturale e l'arricchimento senza causa...112

4.2. Gli atti di liberalità...117

4.3. L'abitazione comune...123

4.4. Altri strumenti di tutela nel diritto privato...126

4.5. « Contratti di convivenza »...133

5. Prospettive di riforma: la “legge Cirinnà”...140

5.1. Introduzione alla riforma legislativa...140

5.2. Le convivenze di fatto nella “legge Cirinnà”...144

5.2.1 I rapporti personali nella proposta di legge...145

5.2.2. I rapporti patrimoniali nella proposta di legge...148

Conclusione...155

Appendice documentale...160

Radici storiche: approfondimento...160

I PACS francesi : Statistiche ...161

I contratti di convivenza : approfondimento...162

I contratti di convivenza nella “legge Cirinnà”...169

Proposta di legge n. 3634...170

Bibliografia...176

Giurisprudenza...184

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Introduzione

Famiglia di fatto e famiglia legittima da sempre rappresentano un binomio in disaccordo, frutto di una difficile coesistenza etica, giuridica e sociale che, ancora oggi, tormenta l'animo di quanti sostengono che non c'è famiglia senza matrimonio.

Invero, inesorabili, le dinamiche sociali avanzano proponendo una realtà fatta di modelli e aggregati culturali sempre nuovi che, prima degli altri, coinvolgono il luogo ideale in cui i legami personali si autodefiniscono: la famiglia.

E così, se la famiglia è realtà sociale, questa non può essere il frutto di una scelta che si impone dall'esterno ma semplicemente l'automatico manifestarsi delle esigenze più intime dei consociati, escludendo in radice la possibilità di etero-definirne i connotati.

La questione sociale così premessa può essere affrontata anche dal punto di vista giuridico, ed è esattamente quello che questa ricerca si propone di fare. La prima parte del presente contributo cercherà di sviscerare la legittima esistenza della famiglia di fatto, attraverso l'interpretazione prima del diritto costituzionale e poi di quello comunitario. Due capitoli in cui l'oggetto argomentativo sarà sviluppato tanto attraverso l'analisi del testo normativo quanto attraverso la sua effettiva rielaborazione ad opera della dottrina e della giurisprudenza, ed è proprio in conseguenza dell'approccio ermeneutico che non si accetta in conclusione un'unica forma definitoria, ma l'esistenza della famiglia come espressione di valori apprezzabili, rispettabili, ovunque distinguibili. Valori e principi che spesso connotano la famiglia di fatto ad immagine e somiglianza di quella coniugale.

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giuridico attribuito alla famiglia non matrimoniale attraverso il prevalente lavoro della giurisprudenza che ha supplito l'atteggiamento indolente del legislatore. L'impossibilità di sviluppare in modo onnicomprensivo una tematica che lambisce il diritto in modo trasversale ha imposto di scegliere solo alcuni ambiti tra quelli maggiormente sostanziali.

Così il capitolo terzo si occuperà dei rapporti personali, attraverso i principi fondamentali del diritto di famiglia come il dovere di fedeltà, assistenza e coabitazione, e pure l'indirizzo di vita, l'amministrazione, di sostegno e la filiazione.

Non meno importanti ed anzi tendenzialmente prevalenti, sono i problemi connessi ai rapporti patrimoniali tra i conviventi, sviluppati ed analizzati nel capitolo quarto. Qui, si parlerà principalmente dei meccanismi di protezione economica che tutelano il “partner debole”; istituti che nascono nel diritto comune e trovano un naturale adattamento nella famiglia di fatto. L'obbligazione naturale, gli atti di liberalità e gli altri strumenti di tutela, ma anche e soprattutto l'autonomia contrattuale si rivelano molto utili alla “causa di convivenza” .

Da ultimo si è considerata una concreta prospettiva di riforma che per la verità costituisce il sincero stimolo di tutto il presente lavoro. Infatti, sembrano maturi i tempi per l'introduzione di una legge che, se definitivamente approvata, costituirebbe una riforma anzitutto culturale e poi giuridica. La “legge Cirinnà” presentata e poi analizzata anch'essa negli aspetti dei rapporti personali e patrimoniali è l'oggetto esclusivo dell'ultimo, fondamentale capitolo quinto.

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Premessa

Realtà sociale, idea di famiglia e radici storiche

Realtà sociale

Oggi come ieri, stabilire quale sia il contenuto minimo , nonché adeguato dei valori che il concetto di famiglia debba esprimere per poter essere riconosciuto normativamente, rappresenta una questione che accende vigorosamente il dibattito politico e sociale.

Il nostro ordinamento, si appoggia al dettato costituzionale per individuare ontologicamente la nozione stessa di famiglia, mentre si affida alle numerose leggi civili per la disciplina dei rapporti familiari.

Ma la forza del riconoscimento giuridico, raggiunto e costruito attraverso la cultura e la tradizione, può condizionare in modo fuorviante il pensiero diffuso di una società che, fondata sull'istituto del matrimonio, fa apparire tutto ciò che esso presuppone e regolamenta come l'unico modello giusto e lecito di unione, in un sistema consolidato e insofferente a cambiamenti.

Invero, la capacità di ogni ordinamento, di riuscire a collimare realtà giuridica e realtà sociale subisce spesso fenomeni di discrasia che ne mettono in discussione gli istituti, appunto, riconosciuti.

Questo schema patologico del diritto, si manifesta appieno quando parliamo di famiglia; dove i rapporti tra genitori e figli, le relazioni tra i partner e quelle che coinvolgono soggetti terzi rispetto al

mènage familiare spesso escono dai modelli per loro prefigurati dalla

legge che per questo si dimostra restia, o meglio dire riluttante rispetto alle numerose e sostanziali esigenze delle coppie o formazioni sociali, non unite in matrimonio.

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parte ancora oggi, sul dubbio e quanto mai ambiguo concetto di stabilità.

Infatti , disinteressandoci volutamente delle coppie omosessuali -che ci proiettano in una sfera del diritto estremamente problematica e su cui pesa la diversità di appartenenza ai valori tradizionali che, certo, può dirsi sicuramente connessa ma non altrettanto così estesa rispetto alle coppie eterosessuali- notiamo come l'incapacità di parificazione ruoti tutt'attorno alla convinzione che il matrimonio certifichi l'assunzione, verso la società, di un impegno reciproco tra i coniugi capace di dare stabilità al proprio progetto di vita e all'ordine pubblico, altrimenti irraggiungibile.

A ben vedere, però, si può opportunamente constatare che così facendo si finisce per scambiare la causa con l'effetto.

Escludere il riconoscimento giuridico sul presupposto dell'assenza di un progetto di vita duraturo e per questo irresponsabile, evidenzia come sia la stessa assenza di qualificazione giuridica il primo fattore a creare instabilità ed incertezza e che pertanto più che dell'irresponsabilità di coloro che rivendicano i propri diritti e insieme a questi i propri doveri, si dovrebbe parlare dell'irresponsabilità di coloro che negando i primi escludono anche i secondi.1

Allora, seguendo questo ragionamento è evidente come un giusto ordinamento, per potersi qualificare tale, debba concedersi quantomeno l'opportunità di cambiare; di strutturare gli istituti in sintonia con l'espressione culturale del proprio tempo, ed ammettere prima e tutelare poi la concezione di un'idea di famiglia diversa , che si è trasformata nel tempo.

Questa situazione, di evidente importanza, appare bene illustrata dall'arcinota metafora “dell'arcipelago” di cui si serve la nostra dottrina: «Sul “mare” che lambisce la famiglia spira un vento

1 C. Saraceno, Coppie famiglie e società. Intervista a Chiara Saraceno, dal sito web “www.Redazionefemminileplurale,” 2013

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procelloso: riusciranno i flutti minacciosi a inghiottire l'”isola”2 o

l'isola si frantumerà in tante isolette?»3

Con queste parole, Busnelli in effetti si interroga circa la possibilità che la famiglia possa considerarsi “morta” oppure frantumata appunto in numerosissime sottospecie.

La prima ipotesi, giustappunto, appare come naturale conseguenza dell'ostentata conservazione dello stato ad un'unica filosofia tollerabile: quella della famiglia istituzione o famiglia tradizionale, riconducibile frequentemente a luogo di oppressione e “antiistintività”. Qui, costantemente si afferma la sottomissione delle necessità individuali a vantaggio della protezione del “modello familiare”, secondo uno schema imposto dall'esterno che giorno dopo giorno allontana l'individuo da se stesso, imboccando la strada dell'anonimato in direzione della scomparsa del “proprio” modo di essere all'interno delle relazioni familiari. Morte della famiglia, appunto.

La soluzione, sinteticamente, si trova nella ricerca del primato dell'affettività fisica, dell'amore come cosa buona in se stessa4 e libero

dalla legge. Oppure secondo una dottrina successiva, che prende il nome di “teoria economica della sessualità” di Richard Posner, si cerca un'alternativa costruendo una regolamentazione sessuale basata sulla laicità, funzionalista e utilitaristica, quasi fosse una teoria economica, o per meglio dire “bioeconomica”5

Ma questa tesi della “non famiglia”6 è rimasta soltanto un

2 Questa metafora appartiene a Jemolo, A.C., La famiglia e il dirito, in Annali di

seminario giuridico dell'Università di Catania, Napoli, 1949, p. 38

3 F.D.Busnelli, La famiglia e l'arcipelago familiare. Rivista di

diritto civile, 2002, p. 509. L'autore fa riferimento ad Alberto Trabucchi, Morte

della famiglia o famiglia senza famiglie? Nell'introduzione al coonvegno «Una

legislazione per la famiglia di fatto? (Roma, 3 dicembre 1988)

4 F.D. Busnelli, Op.Cit, p. 511. Concetto ripreso da D.Cooper in The Death of

family. Londra,1971

5 F.D. Busnelli, Op.Cit. p. 510 e ss. Concetto ripreso da R.Posner in Sex and

Reason, Cambridge, 1994

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ragionamento teorico; incapace alla prova dei fatti di dare consistenza ai propri costrutti.

La seconda riflessione, probabilmente più contestuale, valuta invece la possibilità di ammettere diverse alternative alla famiglia fondata sul matrimonio, considerando la crisi di identità di tale concetto e dunque anche l'effettiva esclusività dello stesso. L'idea che sollecita il Busnelli, è che l'etnocentrismo culturale e giuridico debba cedere il passo ad una cultura pluralista, che tolleri e rispetti diverse usanze e tradizioni, che permetta in sostanza la libertà di scelta del tipo di unione e di struttura del rapporto familiare, costruendo in pratica più che un'alternativa all'idea conservatrice di famiglia, una vera e propria “frantumazione” delle famiglie. Un arcipelago.

Orbene, il passo successivo sarà ovviamente stabilire giuridicamente la linea di discrimine tra famiglia e non-famiglia, non potendo il diritto rinunciare a disciplinare e a lasciare quindi nell'indifferenza l'affermarsi continuo di unioni stabili non unite in matrimonio.

Ecco dunque che la forza del riconoscimento giuridico, inteso quale sforzo estensivo di produzione normativa al fine di raggiungere l'equiparazione dei diritti tra i diversi rapporti affettivi, funge quindi da premessa, da punto di partenza tanto per la sensibilizzazione culturale all'evoluzione sociale quanto per l'effettiva ed esaustiva tutela.

Idea di famiglia

Premesso il riconoscimento giuridico come risultato a cui aspirare, il ragionamento introduttivo non può fermarsi senza chiedersi di che cosa parliamo quando discutiamo di famiglia rivolgendo l'attenzione ai valori racchiusi nella società. Solo in questo modo probabilmente ci avvicineremo alla realtà sociale, al modo di pensare e vivere i

antropologici ed etico giuridici. in “La famiglia alle soglie del terzo millennio” Lugano,1994 p. 8 e ss,

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rapporti familiari considerati in modo soggettivo e contemporaneo; il vero significato che il sentimento popolare attribuisce alla famiglia. Tutti noi, del resto, abbiamo un'idea di essa come di un'esperienza intima, le cui strutture e relazioni incidono sul modo in cui pensiamo e viviamo i rapporti umani; una conoscenza naturale e ovvia che non ha bisogno di spiegazioni.

In realtà è un modello solo apparentemente comune agli altri, ma che invece evidenzia tutte le sue peculiarità non appena si confrontano i diversi aspetti che lo caratterizzano.

Prima di tutto, sembra difficile stabilire a priori chi debba essere considerato membro interno alla famiglia e chi invece debba starne fuori; i componenti stessi di essa possono avere una percezione reciprocamente differente di chi ne faccia parte, e ciò può cambiare anche nel corso del tempo. I legami di sangue non presuppongono necessariamente una concretezza familiare, e così famiglia legale e famiglia degli affetti raramente coincidono.

Al diverso sentimento di appartenenza parentale si accompagnano una pluralità di modelli educativi, dove spesso la figura maschile e femminile assumono un ruolo e un peso differente che dipende dalla stratificazione sociale della famiglia e che si ripercuote sulla formazione dei figli. Infatti, la struttura organizzativa è condizionata dagli impegni lavorativi oltre che da quelli di altro genere, sviluppando così modelli diversi a cui fanno seguito differenti divisioni di responsabilità tra uomo e donna il cui risultato è espressione inevitabile di un'eterogenea influenza educativa sulla prole.

Ebbene, riflettendo su certi aspetti, dovremmo pensare anche al contesto storico come ad uno dei fattori più fortemente condizionanti nel modo di essere di una famiglia. Il periodo storico in cui si nasce e si diventa adulti differenza in modo radicale anche generazioni vicine

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tra loro. In Italia, se confrontiamo le tre generazioni ancora presenti attualmente notiamo come, quella più anziana degli ultraottantenni, sia cresciuta durante la guerra ed è diventata adulta in un periodo di grande difficoltà, passando poi ad un contesto più favorevole nel dopoguerra beneficando dell'espansione del welfare statale soprattutto su pensioni e sanità. I lori figli invece, sono cresciuti in un ambito storico segnato dallo sviluppo della scolarità, della liberalizzazione sessuale e dell'emancipazione femminile oltre che da una forte fioritura economica. I lori nipoti infine, i giovani d'oggi , crescono in un contesto segnato da orizzonti professionali limitati, da un'imprescindibile mobilità lavorativa ma con prospettive di tolleranza sociale e di parificazioni tra i sessi.

Ciascuno di tali intrecci ha significato differenze sostanziali nel fare la famiglia, nel modo di concepirla e per quel che ci interessa ha modificato radicalmente la concezione del legame di coppia ed il rapporto tra i partner al suo interno; la rottura del nesso tra procreazione e genitorialità determinata dal sempre più ampio ricorso a tecniche di riproduzione alternative ne è un chiaro esempio.6

Alla famiglia tradizionale costituita da un uomo e una donna uniti in matrimonio, ed eventualmente dai figli generati, si sono affiancati nel quadro di una progressiva evoluzione altri tipi di unioni non fondate sul matrimonio la cui approvazione sociale non è più oggetto di discussione.7

Le ragioni che inducono una coppia di tendenza eterosessuale ad

6 C. Saraceno, Coppie e famiglie. Non è questione di natura, Milano, Feltrinelli., p. 115

7 Indagini statistiche evidenziano nell'arco degli ultimi anni un calo netto dei matrimoni e un forte aumento delle coppie di fatto; l'ISTAT nel 2014 rileva il numero di matrimoni in 189.765 unità, circa 4.300 in meno del 2013. Nel complesso dal 2008 al 2014 il calo è di circa 57.000 unità. Le coppie di fatto, invece, nel 2014 si attestano in un numero superiore al milione, decuplicate dal 1994 e con una propensione alla procreazione in aumento: un figlio su quattro nasce da genitori non sposati. Istat, meno matrimoni in Italia . E le coppie di

fatto superano il milione, dal sito web “corrieredellasera.it”, 12 novembre

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optare per questa scelta possono, per certi aspetti, sicuramente essere collegate alla volontà di vivere la propria esperienza affettiva in modo spontaneo, in piena libertà al di fuori di vincoli che potrebbero snaturarla.

Molto spesso, però, la coppia decide di convivere secondo un modello che riproduce fattualmente quello matrimoniale, nel rispetto sostanziale dei relativi doveri anche se frutto di una libera scelta , con un consenso manifestato privatamente revocabile in qualsiasi momento.

Altre volte l'opzione per un'unione non matrimoniale è obbligata; in quanto sussistono degli impedimenti, anche temporanei, per uno o entrambi i partner, altre ancora è frutto di una scelta personale ma non giustificata da un rifiuto generalizzato per le regole, quanto dall'esigenza di soddisfare, ipoteticamente, la possibilità di poter pervenire allo scioglimento dell'unione in crisi senza dover affrontare i tempi ordinariamente previsti per il divorzio e i relativi oneri economici. Sempre più spesso poi, tra le giovani coppie appare avvertita l'esigenza di dover sperimentare la solidità della propria relazione prima di compiere il passo successivo del matrimonio. In situazioni più complesse si trova la coppia omosessuale, alla quale il matrimonio è precluso dall'ordinamento italiano e per cui la convivenza rappresenta l'unico contesto nel quale costruire la propria vita affettiva.

Difficile è anche la situazione della coppia in cui uno dei membri abbia mutato il proprio sesso dopo la celebrazione del matrimonio, in quanto detto mutamento dovrebbe comportare lo scioglimento del vincolo, seppure di recente alcune decisioni giurisprudenziali della Cassazione7, in palese contrasto con la Corte Costituzionale 9sembrano orientarsi per una soluzione di temporanea conservazione

7 Cass., sez.I civ. 21 aprile 2015, n. 8097, in Consulta-online, 2015, p. 305 e ss. 9 Corte Cost. 11 giugno 2014, n.170 in Corr. giur.,2014, p. 1041 e ss.

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degli effetti dello stesso.

Certamente da prendere in considerazione è anche l'unione costituita da una coppia non coniugata che si forma dopo precedenti esperienze affettive in cui sono stati generati figli, le cosiddette famiglie ricomposte.

Pensandoci bene potremmo dire che ogni coppia in ogni tempo ha dato luogo ad una famiglia diversa.

Questa situazione estremamente eterogenea diventa molto complessa se proviamo a riconoscerle formalmente e sostanzialmente gli attributi che il diritto dà alla famiglia. La discussione riguarda sia l'aspetto terminologico, se possano cioè definirsi o meno “famiglie” sia l'aspetto sostanziale e quindi, in che misura siffatte relazioni possono godere delle norme dettate per il matrimonio.

Sotto il primo aspetto, la questione sembra interrogarsi sulla possibilità di estendere all'unione di fatto la stessa “dignità familiare” della coppia istituita in matrimonio. Nel tempo il linguaggio giuridico ha utilizzato diverse terminologie; passando da “concubinato” “convivenze more uxorio”, “unioni parafamiliari” fino a quella che sembra aver preso il sopravvento “famiglie di fatto”.

Sotto il secondo aspetto, che si può dire conseguente al primo, si tratta di considerare ammissibile la disciplina prevista per la famiglia fondata sul matrimonio anche agli altri tipi di unione. In effetti, possiamo preannunciare già, prima di scendere nell'analisi dettagliata degli stessi, che sforzi normativi di questo genere sono stati fatti costantemente nel corso del tempo, ma hanno disciplinato di volta in volta, attraverso disposizioni normative speciali, solo alcuni aspetti della convivenza dandogli rilevanza giuridica.10

Ma questa situazione di estremo dinamismo necessità di una precisa, definitiva ed unitaria collocazione normativa che, per tornare alla

10 T. Auletta, Modelli familiari, disciplina appllicabile e prospettive di

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premessa iniziale, è essa stessa il fattore più forte di condizionamento, di potenziale disparità o di uguaglianza, di effettiva tutela.

Si può dire che è la norma che decide di volta in volta che cosa della “natura” è considerato socialmente legittimo e ciò che non lo è, o che lo è solo parzialmente. Si pensi al paradosso secondo cui prima della riforma sul diritto della famiglia del 1975 un uomo coniugato non poteva riconoscere un figlio avuto con un'altra donna; un chiaro esempio di come la natura si sia sottoposta sostanzialmente alla legge nel diritto di famiglia. Ma ancora oggi, la distinzione tra figli legittimi e naturali nel linguaggio giuridico prelude ad una certa artificialità costruttiva, preimpostata e comunque non certo naturale e quindi probabilmente inadeguata.11

Dunque preso atto dell'imprescindibilità normativa quale elemento strutturante ed insieme risolutivo per la costruzione di una pacifica e condivisa idea di famiglia, non resta che analizzare i contenuti delle norme che hanno tracciato nella storia della nostra Repubblica un tentativo costante di accorciare le distanze tra famiglia di fatto e famiglia fondata sul matrimonio.

Radici storiche

La possibilità di considerare ammissibile la tutela che il nostro ordinamento offre alla famiglia fondata sul matrimonio anche ad altre tipologie di unioni che a tale vincolo non sono legate necessita inevitabilmente di una riflessione storicistica circa l'evoluzione della disciplina che ha accompagnato il progresso culturale del nostro paese.12

Potremmo opportunamente affermare che il diritto della famiglia, in

11 C. Saraceno, op.cit. p. 23

12 Per un approfondimento si veda “Allegato n. 1” in Appendice documentale, p. 160

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Italia , si sia strutturato sotto l'influenza di tre grandi periodi: quello delle codificazioni del 1865 e del 1942, quello dell'ingresso della Costituzione e delle relative normative d'attuazione e infine quello relativo al processo di integrazione al diritto europeo.13

«Dall'unità di Italia ad oggi per la famiglia è un tempo di radicali mutamenti, nel segno del passaggio da un modello unico di famiglia (la grande famiglia patriarcale, nobiliare e contadina) ad una pluralità invece di modelli, con il diritto all'inizio in preminente posizione “dominante” e successivamente invece in posizione sempre meno “potestativa” e progressivamente sempre più “recettiva” e servente» queste le parole di Scalisi nel saggio sotto citato che descrivono bene questo processo evolutivo14

Pertanto può essere utile, al fine di comprendere bene suddetto cambiamento , analizzare le caratteristiche salienti del modello codicistico del 1865 e del 1942 prima dell'ingresso della Costituzione. Quello del 1865 è un codice che esprime i contenuti della società del tempo; borghese, preindustriale e fondamentalmente agricola, governata da uno stato autoritario allo specchio del quale la famiglia si strutturava in modo gerarchizzato e fortemente patriarcale. Un sistema stabile e piramidale , con una netta distinzione tra i ruoli.15

Occorre fin da subito precisare che l'opportunità di analizzare il contenuto di questo contesto storico non sta tanto, ed ovviamente, nella possibilità di scorgerne un modello applicabile a una tipologia di famiglia non istituzionalizzata, che si avvicini per caratteristiche a quella oggetto di questa ricerca. I motivi sono evidenti e di diverso aspetto e se ne possono elencare alcuni più importanti e pure assorbenti.

13 V. Scalisi, Le stagioni della famiglia nel diritto dall'unità di Italia ad oggi in Riv.Civi. , V. 59, A. 2013, n. 5 p.1045

14 V. Scalisi, op. cit. p.1043

15 V.Scalisi, op.cit., p.1046, si veda anche L.Brigida, La patria potestas dal codice

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In primo luogo dobbiamo considerare la totale assenza della stessa necessità di garantire la protezione di una situazione, come quella della famiglia di fatto, che non avrebbe avuto modo di svilupparsi nelle medesime circostanze di oggi. Le ragioni si evincono naturalmente dall'appartenenza estremamente radicata ad una cultura familiare di tipo patriarcale, in cui le condizioni disagiate dei cittadini hanno imposto nel corso del tempo uno schema rigido, gerarchizzato tutt'attorno alla figura del marito, capo famiglia.

L'idea di fondo era costituita dalla convinzione, che per far fronte alle sostanziali difficoltà quotidiane, ci si dovesse appoggiare totalmente alla protezione dell'uomo su cui pesava la responsabilità del sostentamento di tutti, e non solo; anche la garanzia dell'amore e dell'affetto protettivo. La donna invece era esclusa dalla possibilità di contribuire alle più importanti decisioni familiari e non aveva nessuna autonomia, personale o patrimoniale; infatti per la sua naturale predisposizione alla maternità poteva svolgere esclusivamente una mansione materna, che avrebbe dovuto comunque soddisfarla ed appagarla. In ogni caso la donna-madre, educatrice della famiglia, si trasformava di riflesso in educatrice della società e consolidava l'idea del nucleo familiare come “cellula base” su cui costruire la struttura della comunità, secondo uno schema per cui “il padre comanda, la madre persuade” oppure dire che il “padre determina le regole e la madre le applica”.

Nei confronti del marito, del resto, sarebbe rimasta in una condizione di inferiorità e disparità.

I figli, invece, avrebbero obbedito al padre con devozione e gratitudine e ne avrebbero sempre accettato l'autorità. Una volta diventati adulti avrebbero agito nei confronti dei propri figli con lo stesso tipo di educazione ricevuta, pur restando comunque sottoposti in qualche modo alle dipendenze del padre ancora in vita, il

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“patriarca”.

Si trattava di famiglie composte da almeno tre generazioni; padri figli e figli dei figli che poi spesso si allargavano secondo una logica di “ragione” in matrimoni conclusi al preciso scopo di consolidare la forza, la stabilità e l'unità familiare. Pertanto le famiglie erano molto numerose per garantire “braccia lavoro” all'economia di tutti i congiunti.

Nelle famiglie si viveva di lavoro proprio ed era quasi esclusivamente agricolo; quindi le abitazioni si insediavano in zone rurali in cui era obbiettivamente difficile lasciarsi influenzare da una diversa filosofia di vita e quindi emanciparsi mentalmente. 16

Altra componente fortemente condizionante era quella Cattolica. La Chiesa, infatti, ha esercitato una pressione secolare sull'idea di famiglia, e al tempo dell'introduzione del codice civile nel 1865 quando si apprestava alle prime grandi concessioni, rappresentava ancora un fortissimo fattore capace di influenzare i rapporti all'interno di ogni famiglia.

L'idea di base del Cristianesimo porta(va) con se la convinzione che il matrimonio suggellasse un vincolo voluto da Dio, e perciò stesso indissolubile. La stabilità dell'unione ha come effetto naturale, sempre secondo la volontà di Dio, una precisa missione: assicurare la procreazione e l'educazione della famiglia, e consolidare nel tempo la bipolarità uomo-donna.

In verità , queste caratteristiche del pensiero Cattolico rimangono tutto sommato intatte ancora oggi come capisaldi, ma al tempo stesso non è difficile comprendere come nel pensiero diffuso in Italia nei primi anni seguenti alla sua unità, questi avessero una capacità persuasiva notevolmente differente.17

16 R. Spiazzi, Lineamenti di etica della famiglia. pp. 42-43, 1990, Edizioni Studio Domenicano, Bologna.

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Quindi appare logico che nei precetti legislativi del primo codice civile d'Italia nulla si dicesse sulla possibilità di considerare una disciplina a tutela di coppie che non intendessero sposarsi.

Anzi ben chiaramente ogni forma di relazione esterna al matrimonio che si strutturasse secondo una forma di convivenza era fortemente ostacolata e sanzionata penalmente. Il riferimento è esplicitamente al reato di concubinato.

Siffatto crimine, invero, costituisce una precisa disposizione (art.56 c.p.) del codice Rocco (1930), seppure la sua introduzione non fu di certo per il popolo italiano una assoluta novità.

Infatti , eccetto che per la parentesi normativa del Codice Zanardelli (1889-1930), il quale elimino la distinzione tra adulterio e appunto oncubinato, questa forma di disparità tra uomo e donna in merito alle relazioni extraconiugali era già presente negli Stati Preunitari; ad esempio nel Codice Penale del Granducato di Toscana (art 291-293). Si tratta di un istituto, quello del concubinato, che nella logica di questa ricerca non interessa tanto per collocarsi assieme ad altre e numerose disposizioni discriminatorie tra uomo e donna, quanto per disciplinare in modo inequivocabile l'ipotesi di convivenza extraconiugale.

Come si legge dall'articolo 560 il marito poteva essere punito fino a due anni di reclusione quando, dimostrandosi infedele, avesse tenuto con se presso la casa coniugale o notoriamente altrove la concubina.18

Quindi pare pacifico presupporre alla base del concubinato una forma di convivenza che, stante la sua non appartenenza ad una forma di legale matrimonio, dovesse considerarsi patologica.

In questo senso la normativa passata va interpretata come la volontà di volere escludere ogni forma di relazione extraconiugale qualificandola come illecita; badando bene a chiarire che neppure

18 L'articolo 560 del codice penale viene dichiarato incostituzionale dalla Corte Cost. Il 3 Dicembre 1969 in violazione dell'articolo 3 della Costituzione.

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oggi è tollerata qualsiasi forma di infedeltà coniugale, ma che , nell'accezione della superata legislazione penale l'intento si scorge nella volontà di escludere proprio culturalmente ogni forma di relazione esterna al matrimonio.

Passando oltre, nel primo novecento l'attenzione per il diritto della famiglia è tutta predisposta verso proposte normative volte a garantire una tutela più ampia per i diritti della donna e verso disegni di legge che prospettano l'introduzione del divorzio.

Ancora nulla invece si dice circa la possibilità di regolamentare forme di unioni alternative al matrimonio, certificando una stazionarietà legislativa che corrisponde in larga parte a quella del costume giuridico.

La storia che precede la codificazione del 1942 risente inevitabilmente del clima bellico che aveva attraversato la prima guerra mondiale, generando nei confronti del diritto della famiglia un atteggiamento stato-centrico molto rigido che, rinsaldandosi nell'accordo con la Chiesa dei Patti Lateranensi del 1929 si apprestava ad accompagnare anche gli anni che introducevano la seconda guerra mondiale e con essa la nuova legislazione.

La scena politica era dominata dagli esponenti fascisti, in cui spicca primo fra tutti nel campo della legislazione fondamentale, Alfredo Rocco, la cui idea di famiglia era fortemente ancorata ad un istituto sociale e politico che strutturasse “la prima cellula della Nazione”. L' eredità della guerra aveva consolidato la volontà di proteggere la compagine familiare e la sua visione tradizionale, stigmatizzata ad immagine e somiglianza di un organismo solido e forte al cospetto della crisi sociale e dell'anarchia politica figlia del dopoguerra.19

Dunque la società gerarchica, di stampo fascista, aveva persuaso normativamente e mentalmente la famiglia. A distanza di decenni dal

19 P. Ungari, Storia del diritto della famiglia in Italia (1796-1975) pp 183 e ss., 2002, Il Mulino, Bologna

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primo codice civile nulla sembrava differire dallo schema patriarcale che caratterizzava la società rurale dell'Italia di fine secolo.

Ancora una volta il diritto civile ignorava le coppie di fatto.

La convivenza non matrimoniale si considerava ancora come una “condizione di peccato” la cui rilevanza giuridica era quasi esclusivamente penale nel caso in cui si costituissero gli estremi del reato di concubinato.

L'attenzione legislativa nel campo del diritto civile è pertanto molto più che superficiale, annoverando pochissimi articoli che possono interessare la disciplina dei rapporti tra coppie non coniugate.

L' articolo 2034 c.c. , tutt'ora vigente, configurando pienamente ciò che accade in una coppia di fatto non ammette la restituzione di quanto spontaneamente prestato in esecuzione dei doveri morali o sociali.20

Ma forse il riferimento normativo più importante, perché capace di anticipare una visione alternativa al fenomeno delle convivenza di fatto, è l'articolo 269 c.c. in materia di dichiarazione giudiziale della paternità.

Si attribuiva infatti carattere probatorio alla convivenza “come coniugi” della donna e del preteso padre al momento del concepimento, assegnando inevitabilmente al concetto di “more

uxorio” il significato di unione fuori coniugio, essendo impossibile

altrimenti il riconoscimento del figlio, perché adulterino, se la donna o l'uomo fossero uniti in matrimonio tra loro o con terzi.

Dunque, concubinato e convivenza more uxorio erano due concetti che si “costruivano” sulla stessa base fattuale, ma che differivano oltre che per lo stato civile, libero o coniugato, soprattutto per “lo spirito”che avrebbe dovuto accompagnare la convivenza come

20 B. De Filippis, La separazione nella famiglia di fatto, Cedam, Milano, p. 245 e ss

(20)

disciplinata dall'articolo 269 c.c..21

Questa riflessione, lungi dall'essere banale, ci dimostra in tutta semplicità come i fattori culturali esprimano una diversa realtà sociale per ogni contesto storico considerato. Né si può altrettanto dubitare che ad ogni trasformazione sociale sia conseguito un opportuno adattamento legislativo.

Pertanto “il tuffo nel passato” anche non troppo recente serve più che altro a stimolare questo meccanismo mentale di innovazione e assestamento che nel diritto, probabilmente più che altrove, si ripete costantemente nel corso della storia quasi fosse un ciclo produttivo che si rigenera e cambia il proprio vestito adattandolo all'esigenza culturale del proprio tempo.

21 F. Gazzoni, Dal concubinato alla famiglia di fatto, , Giuffrè, Milano, 1983 pp. 49-50

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Parte prima

La realtà sociale tra i

principi generali

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1. La famiglia di fatto nella Costituzione

1.1. Introduzione alla Costituzione

L'opportunità di analizzare la storia della famiglia di fatto nel contesto normativo italiano trova la più completa realizzazione con l'entrata in vigore del testo Costituzionale.

Di certo, le disamine politiche e sociali precedenti l'avvento della Repubblica hanno contribuito a far comprendere la forma mentis su cui si era costruito il diritto della famiglia, evidenziando un punto di partenza non trascurabile per presupporre oggi una conoscenza approfondita di questa realtà sociale.

Altrettanto chiaramente però non si può negare, come del resto messo in luce nella seconda premessa, l'innegabile superficialità che ha caratterizzato per anni l'ordinamento tutto, la cui conseguenza è stata un inevitabile e fastidioso vuoto normativo.

Ecco perché la Costituzione, attraverso la capacità di prestare i propri precetti a ragionamenti interpretativi anche estesi, ha rappresentato una svolta significativa nell'approccio al diritto della famiglia di fatto. La considerazione iniziale, che balza agli occhi osservando il testo costituzionale, è l'assenza di un riferimento esplicito alle unioni diverse da quelle matrimoniali, lasciando presagire un dibattito politico e culturale in effetti non ancora sopito.

Invero la possibilità di scorgere nella Costituzione la soluzione al vuoto normativo lasciato negli anni precedenti non è un'operazione immediata e probabilmente nemmeno in definitiva risolutiva.

Innanzitutto l'approccio dello studioso, come del resto quello dell'interprete , deve dirigersi verso la corretta individuazione degli

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articoli costituzionali di riferimento, il che circoscrive il campo di applicazione a due principali articoli prima degli altri.

Sicuramente l'articolo 29 perché in questo caso è presa in considerazione esplicitamente la famiglia, nondimeno l'articolo 2 perché nel meccanismo di protezione offerto dallo stato a tutela dei diritti fondamentali dell'uomo compare l'espressione “formazione sociale” in cui di certo si può rivedere la famiglia.

Per inciso:

«La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. » (art.29, 1ºcomma)

«Il matrimonio è ordinato sull'uguaglianza giuridica e morale dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare. » (art. 29, 2ºcomma).

L'articolo secondo :

« La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.» (art. 2).

Prima di esaminare il loro contenuto e i connessi ragionamenti interpretativi pare opportuno, anche per una questione di coerenza filologica, ripercorre sinteticamente quelli che furono i dibattiti politici che accompagnarono la stesura del testo dei due articoli in Assemblea Costituente in modo da cogliere, ancora una volta, la diversa mentalità culturale su cui si costruiva l'idea di famiglia. Va detto fin da subito che l'intero testo Costituzionale appare come il risultato del compromesso politico tra le due fazioni politiche più influenti del 1948. Il partito Comunista e la Democrazia Cristiana. Lungi dal voler celebrare la storiografia italiana in chiave politica, l'appartenenza culturale alla visione dell'uno o dell'altro partito serve fortemente al fine di comprendere le parole del testo che furono scelte

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al tempo per i due articoli e che, inevitabilmente condizionano ancora oggi il modo possibile di interpretare la realtà sociale all'interno della struttura costituzionale.

Pertanto, passando per così dire dalla teoria alla pratica, soffermandosi prima sull'articolo 29 ciò che è necessario approfondire è la natura dell'espressione “società naturale fondata sul matrimonio” che si riferisce alla famiglia.

Il preannunciato compromesso è ben vedibile.

Da una parte, la corrente Cattolica spingeva verso la codificazione della famiglia quale organismo inseparabile dall'istituzione matrimoniale caratterizzata da elementi tipici che potessero distinguerla e renderla riconoscibile. Un istituto appunto.

Dall'altra parte, la corrente marxista, dove invece ciò che emerge è la volontà di “liberare” la famiglia dalla prescindibile istituzionalizzazione secondo un'appartenenza decisamente laica il cui scopo era delineare solo i diritti all'interno della stessa ma escludendone la tipizzazione. Un approccio giusnaturalistico.

Dunque la decisione della Costituente fu quella di adottare parzialmente entrambe le prospettive accogliendo la soluzione della famiglia naturale ma strutturandola sul matrimonio.1

Lo schema d'implicazione è così forte da apparire contraddittorio. Come può una società naturale, se cosi si definisce la famiglia, trovare ragion d'essere all'interno di un istituto , il matrimonio, che si origina e si tramanda attraverso il secolare potere Cattolico?

Tale dilemma è destinato a vivere nel tempo.

L'incapacità di superare l'insormontabile peso di un dogma centenario può e deve essere compensato con la necessità di sviluppare ipotesi

1 R. Di Maria, Corte costituzionale e famiglia: brevi note ricostruttive e spunti

critici. 2008 in: Norma quotidiano di informazione giuridica , p 6. L'autore si

ricollega all'opera di Caggia e Zoppini, Commento all’art. 29, in Bifulco, Celotto, Olivetti (a cura di), Commentario alla Costituzione, Padova, 2007, pag 602 e ss.

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alternative che, esito di ponderate riflessioni, trovino soluzioni alternative al problema.

Certamente ci arriveremo perché è proprio dalle diverse interpretazioni della tortuosa rappresentazione della Carta Fondamentale che il nostro apparato giurisdizionale ammette le prime forme di estensioni nella tutela alle famiglie diverse da quelle unite in matrimonio.

Ma prima, al fine di comprendere il meccanismo interpretativo che colloca le famiglie di fatto all'interno delle formazioni sociali e completare quindi il quadro costituzionale introduttivo, è indispensabile ricostruire le intenzioni normative emergenti dall'Assemblea Costituente anche per quanto riguarda la redazione dell'articolo 2.

Pure in questo caso il dibattito coinvolse principalmente la politica Cattolica e quella Comunista. Nel partito della Democrazia Cristiana spiccano l'onorevole La Pira e Aldo Moro, mentre dall'altra parte si ricordano soprattutto gli interventi di Togliatti e Basso.

Da entrambe le fazioni, attraverso le parole dei rispettivi rappresentati, si può ricostruire la volontà diretta ad affermare l'esistenza di principi solidaristici da garantire per mezzo dell'intervento dello Stato.

Non solo. Questa forma di tutela non nasce esclusivamente a protezione del singolo ma tende naturalmente al pluralismo sociale. Dalle parole di Basso si comprende la volontà di concepire la persona in funzione delle relazioni spirituali e materiali stabilite nella società. Dello stesso avviso sono La Pira e Moro per cui i diritti del singolo vanno protetti ed integrati nelle comunità naturali in cui gradualmente si sviluppa la personalità umana come ad esempio la comunità professionale, religiosa o appunto la famiglia.

(26)

Aldo Moro, che contribuisce più di tutti a delineare la forma definitiva dell'articolo 2.

Il politico cattolico coglie l'importanza della disposizione anche a prescindere dai doveri di solidarietà economica politica e sociale, facendo particolare attenzione a due riferimenti intrinsechi della stessa. In una prima direzione la norma avrebbe suggellato la libertà , l'autonomia e la dignità della persona umana, e in un altro senso avrebbe garantito i diritti fondamentali delle formazioni sociali in qualunque modo sviluppassero la propria personalità.

Secondo questo modo di pensare che pone lo Stato al servizio dell'uomo e non viceversa, tali diritti e prerogative non sarebbero stati concessi od attributi a seconda dei casi, ma semplicemente riconosciuti.2

Dunque a conclusione di questo specchio introduttivo non resta che chiederci se, sotteso alle parole scelte dai Costituenti, valutando lo spirito che accompagnò la loro redazione si possa ricondurre effettivamente l'intenzione di garantire sotto la voce formazione sociale e sotto quella di società naturale anche la famiglia di fatto.

(27)

1.2. La teoria « originalista »

Le considerazioni introduttive lasciano uno spiraglio più che aperto alla tutela della famiglia di fatto. Anzi, tutto sommato si potrebbe pacificamente concludere che le garanzie costituzionali nascano già originariamente destinate per estendersi alle convivenze non matrimoniali.

Questa conclusione in realtà è tutt'altro che scontata.

Seguendo un tipo di interpretazione molto rigorosa, ancora oggi da molti sostenuta, la Carta considererebbe famiglia solo quella strutturata sul matrimonio. Le parole di Antonio Ruggeri, noto costituzionalista, sintetizzano bene questo approccio refrattario: «ogni definizione è, per sua natura, esclusiva per il solo fatto di cogliere l'essenza identificante dell'istituto a cui si riferisce»3.

Con ciò intende dire che non si possono considerare come famiglia altre unioni affettive invocando la protezione riservata dall'articolo 2 della Costituzione alle formazioni sociali e questo perché la famiglia appare contemplata da un'apposita norma, l'articolo 29, attraverso il quale l'ordinamento avrebbe individuato l'unica forma familiare ammessa. Pertanto l'ipotesi di estensione ad altre unioni potrebbe svilupparsi solo dopo una riforma costituzionale.4

Per questo l'impossibilità di estendere la famiglia ad una visione più ampia deriverebbe innanzitutto da una questione di diritto, da un ostacolo formale.

Accanto al problema di legittimazione se ne evidenzia un altro di tipo

3 Tommaso Auletta, 2015. Modelli familiari, disciplina appllicabile e prospettive di riforma. p. 620. In Nuove leggi civili commentate n3/2015. L'autore riporta le parole di Antonio Ruggeri in «Strane» idee sulla famiglia, loro ascendenze

teoriche e implicazioni di ordine istituzionale, in La famiglia davanti i suoi giudici, Napoli, 2014 p.334

4 Tommaso Auletta, Ibidem. Si veda anche Busnelli, La famiglia e l'arcipelago

(28)

culturale. Nell’espressione “società naturale” si intende una comunità preesistente allo Stato alla quale va riconosciuta la relativa autonomia ( in ciò si identifica la metafora della famiglia come isola che il mare del diritto può soltanto lambire), ma sarebbe improprio sostenere che questa società assuma nel tempo caratteristiche diverse attraverso difformi interpretazioni evolutive.

Ebbene naturalis societas in senso di struttura sociale non solo spontanea ma anche come espressione della natura propria dell'uomo in quanto rappresenta un bisogno in esso radicato che appunto appare naturale.

Si tratta di una rappresentazione riconducibile a valori distinguibili, consolidati nel tempo. Famiglia come organizzazione di vita in comune, sia materiale che spirituale, da parte di due esseri umani di sesso diverso ed in prospettiva fortemente procreativa e genitoriale così come la tradizione insegna.5

Questo modo di considerare la famiglia presuppone necessariamente il vincolo sacramentale o quello civile, negando la possibilità ad una compagine spontanea come la famiglia di fatto di potersi attribuire le qualità spettanti alla famiglia legittima.6

“Società naturale” è soltanto quella la cui non occasionalità sia attestata dalla solennità dell'impegno che i coniugi si scambiano davanti alla legge col matrimonio.8

Per di più le famiglie non legittime che, secondo questo modo di

5 V. Scalisi, op.cit., pp.1049 e 1050.

6 S. Rossi,. La famiglia di fatto nella giurisprudenza della Corte

Costituzionale ,p.4,in B. Pezzini (a cura di), Tra famiglie, matrimoni e unioni di fatto. Un itinerario di ricerca plurale, Jovene, Napoli.,2008. L'autore rimanda

a: Grassetti, I principi costituzionali relativi al diritto di famiglia, in Commentario sistem. Cost., diretto da Calamandrei e Levi, Roma, 1950 ; Bernardini, La convivenza fuori dal matrimonio, Cedam, Padova, 1992; Palazzani, Diritto naturale ed etica matrimoniale in Christian Thomasius- La

questione del concubinato, Giappichelli, Torino, 1998

8 S.Rossi, op.cit., l'autore rimanda a :De Cupis, Orientamenti sulla filiazione

naturale con particolare riguardo a quella adulterina nei progetti di riforma, in

Riv. Dir.civ. 1971, II, 349 ss.; Schlesinger, Famiglia e società sarda, in Studi Sassaresi, 368-369

(29)

pensare, si ricordano soprattutto con l'espressione “convivenze more

uxorio” nemmeno riuscirebbero ad inquadrarsi nel contesto dei diritti

inviolabili dell'uomo protetti dall'ordinamento. Questo perché la “socialità” implica per sua stessa definizione, la necessaria presenza di nessi di reciprocità nei rapporti interpersonali che, stante la possibilità di recedere ad nutum non caratterizzerebbero di certo la famiglia di fatto esponendo i suoi membri ad una posizione di fievole protezione.9

Insomma, un istituto che nasce (e forse muore?) nel diritto consuetudinario ; « quel concetto di famiglia che ci deriva dal passato, di cui è intrisa la nostra cultura, a cui certo non sono affatto estranei i valori della religione cattolica. È la famiglia che si basa sul matrimonio, come patto indissolubile tra persone di sesso diverso e teso, come suo elemento costitutivo almeno tendenziale, alla riproduzione. In una parola, la famiglia legittima »10.

Ancora secondo questa teoria, che potremmo definire “originalista”, tra matrimonio e famiglia esisterebbe un rapporto di strumentalità necessaria per cui si determinerebbe un “tipo di unione” risultante « dalla combinazione di due elementi: l'unione di due soggetti di sesso diverso, e il matrimonio, mescolati insieme si da rendersi indistinguibili ed entrambi appunto ormai in via consuetudinaria riconosciuti ad egual titolo componenti della famiglia, che solo dalla congiunta considerazione prende forma e significato »11.

Questa appartenenza al valore ideale più tradizionale della famiglia certamente non risolve l'ambiguità del costrutto che lega, nel testo costituzionale, società naturale e matrimonio.

9 S.Rossi, Ivi

10 R.Bin, La famiglia nella costituzione:alla radice di un ossimoro, 2000,p 1067 11 A.Ruggeri, «Strane» idee sulla famiglia, loro ascendenze teorihe e implicazioni

di ordine istituzionale, in La famiglia davanti i suoi giudici, Napoli, cit., p 757.

Si veda anche : Massimo Cavino, Chiara Tripodina , 2012.La tutela dei diritti

fondamentali tra diritto politico e diritto giurisprudenziale: "casi difficili" alla prova. p.,127 e ss., Giuffrè, Milano

(30)

Allora la spiegazione a difesa di una teoria così conservatrice non può che poggiare su un'architettura interpretativa che colloca il concetto di società naturale forse in una dimensione impropria.

Così finisce per far riferimento ad esempio al rapporto di filiazione che crea il rapporto tra genitori e figli a prescindere dalla volontà dei primi, e ciò facendo leva sull'articolo 30 della Costituzione che equipara la condizione dei figli naturali a quelli legittimi , relegando ad un aspetto giuridicamente irrilevante il fatto che siano nati dentro o fuori dal matrimonio.12 Altre volte la “naturalità” si riconduce al

bisogno d'affetto, di cura, di riservatezza e di riproduzione della persona che pertanto si tramuta in un'esigenza relazionale e finisce , solo in questo senso, per ricollegare l'articolo 29 all'articolo 2 della Costituzione in quanto tutela lo sviluppo della personalità dell'uomo.13

Ma al di là delle molteplici ricostruzioni del concetto di “società naturale” quello che preme evidenziare è la “destrutturazione” del medesimo che finisce per negarne la struttura di postulato unitario. In tal senso allora la conclusione adottata da questo filone dottrinario è quella di ricondurre l'articolo 29 nell'ottica di una “definizione di limiti” , come una norma che traccia una linea di demarcazione tra autonomia privata e autorità statale nell'intento protettivo verso altri principi costituzionali garantiti quali l'uguaglianza dei coniugi, l'unità familiare, l'istruzione ,l'educazione e il mantenimento dei figli.14

12 P. Cavalleri, M. Pedrazza Gorlero, G. Sciullo, Libertà politiche dei minori e

potestà educativa dei genitori nella dialettica del rapporto educativo familiare,

in: L’autonomia dei minori tra famiglia e società, a cura di M. De Cristofaro A. Belvedere,1980, Milano, Giuffrè, p., 94 ss. Si veda anche A.Pugiotto in Alla

radice costituzionale dei casi: la famiglia come «società naturale fondata sul matrimonio» in Relazione svolta al Convegno «Questioni attuali in materia di

famiglia», in occasione della dedicatio di un’Aula della Facoltà ad Alberto Trabucchi (Verona, Facoltà di Giurisprudenza, 29 febbraio 2008)

13 A.Pugiotto, Ivi. Si veda anche, R. BIN, op.cit., p., 1066. 14 A. Pugiotto, Ibidem, p.,4 e 5

(31)

1.3. Il fondamento costituzionale della famiglia di

fatto

Prima di analizzare gli interventi giurisprudenziali e legislativi che hanno contribuito in modo incisivo ad equiparare la tutela delle famiglie di fatto a quelle coniugate, è opportuno soffermarsi ancora su un diverso approccio interpretativo alla Costituzione che in effetti funge da premessa per i necessari adattamenti nel diritto.

Alla tesi “originalista” si contrappone una diversa teoria che si costruisce su di un'interpretazione che privilegia una lettura più aperta del dettato costituzionale. L'obbiettivo è valorizzare i “mutamenti sociali dello stare insieme” considerando quindi, come realtà familiari a tutti gli effetti anche le famiglie di fatto, e non come semplici unioni parafamiliari.15

Cominciamo col dire che la teoria precedentemente analizzata che si sviluppa sul concetto di tradizione appare doppiamente sbagliata. L'errore appare evidente fin dalla premessa.

Infatti posiamo certamente osservare attraverso un approccio storico-sociologico come la tradizione, intesa quale complesso di memorie usanze e testimonianze trasmesse da una generazione all'altra, sia il primo fattore che nel tempo si usura e cambia i propri connotati anche all'interno di uno stesso ordinamento.

La storia del diritto di famiglia non fa sicuramente eccezione; difatti possiamo constatare come certi caratteri un tempo valutati irrinunciabili abbiano assunto nel tempo una considerazione sempre più negativa fino a divenire intollerabili.

La famiglia italiana come abbiamo già potuto osservare ha raccontato un passato caratterizzato dall'indissolubilità del vincolo matrimoniale oltre che da una forte struttura gerarchica e dalla subordinazione

(32)

femminile.

Certi valori oggi sono nella realtà sociale inammissibili, e questo prima di tutto alla luce di quanto già considerato nella premessa iniziale , su cui mi sembra inutile tornare.

E poi, soprattutto grazie ad importanti interventi normativi e giurisprudenziali che ci accingeremo ad analizzare nei prossimi paragrafi, questi stessi valori si considerano certamente scardinati.16

Inoltre, da un diverso punto di vista la “teoria originalista” è fallace in quanto nel diritto la tradizione è priva di consistenza giuridica; nel senso che « servire la tradizione per mero riguardo verso la tradizione stessa non rientra certamente tra gli scopi del diritto»17.

Il tradizionalismo in effetti presenta alcuni vantaggi, tra i quali «le sue scarse pretese e il suo effetto di ancoraggio: far sì che le persone non debbano pensare ogni volta daccapo a cosa fare. Se pensare ogni volta daccapo è una ricetta per l’instabilità e l’errore, il tradizionalismo, in democrazia e nel diritto costituzionale, sembra essere parecchio allettante»18

Ciò dunque ci dimostra come una certa consuetudine per quanto possa essere radicata nella cultura, finisca per produrre discriminazioni costituzionali che quindi vanno eliminate dall'ordinamento.

Esclusa nel fondamento la tesi “originalista” non resta che costruire una teoria alternativa per ammettere la tutela delle famiglie di fatto in Costituzione.

Il presupposto dunque torna ad essere il fattore culturale da cui possiamo apprendere « il carattere socialmente e storicamente

16 Andrea Pugiotto, op.cit.,p 9 e 10.

17 M. Gattuso, .La Costituzione e il matrimonio fra omosessuali, 2007, il Mulino, p., 457.

18 Cass. R. Sunstein, A cosa servono le Costituzioni,2008 p., 95.Bologna, Il Mulino

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condizionato dell'istituto familiare»19 che porta a sostenere l'assenza

di un modello unico e universalmente valido di famiglia; la cui struttura e funzione si evolve nel corso delle varie epoche storiche riflettendo un'organizzazione sociale di volta in volta differente. Alla luce di questa considerazione allora il significato della “società naturale” dell'articolo 29 «è quello di rinviare …per quanto attiene alla struttura all’organizzazione della famiglia …alle valutazioni operanti nell’ambiente..” 20 come del resto può essere appreso facendo

ancora una volta riferimento alle parole dei costituenti: secondo Aldo Moro quella dell’art. 29 « non è una definizione, è una determinazione di limiti» e nello stesso senso Costantino Mortati21

ribadì che essa aveva lo scopo di «circoscrivere i poteri del futuro legislatore in ordine alla sua [della famiglia] regolamentazione». Questa riflessione di certo ci aiuta a comprendere un significato diverso e probabilmente meno banale dell'articolo 29; in cui ciò che non immediatamente si scorge è l'intenzione del legislatore di dare alla “società naturale” un significato recettizio; rispecchiando quel riconoscimento che il nostro ordinamento attribuisce secundum

naturam al concetto di famiglia in un preciso momento storico e al

relativo contesto sociale.

Dalla conclusione di questo modo di intendere la famiglia come “società naturale” si può dedurre la possibilità di dare fondamento giuridico anche alla famiglia di fatto nel nostro ordinamento.22

Infatti, abbiamo compreso come l'unione libera di due persone assuma nel tempo caratteristiche precise, da cui emerge chiaramente

19 S. Rossi, La famiglia di fatto nella giurisprudenza della Corte Costituzionale , 2008, p. 4

20 S.Rossi, op.cit., p.4, L'autore rimanda a : M.Bessone ,1975. La famiglia

«società naturale», matrimonio civile e questioni di legittimità del divorzio. In

margine ai problemi di interpretazione dell'articolo 29 co.1 Cost., p.284 e ss. 21 Costantino Mortati (1891-1985) è stato un noto costituzionalista e giurista

italiano. Al tempo dell'Assemblea Costituente era esponente della Democrazia Cristiana

(34)

la volontà di stare insieme “come una famiglia” escludendo una convivenza episodica, transitoria o di amicizia. Certe qualità sottolineano un modo di convivere “in quanto famiglia” e non semplicemente “come se” si fosse marito e moglie; un luogo dunque dove poter esprimere la naturale proiezione delle proprie relazioni interpersonali.23

Allora balza agli occhi immediatamente l'articolo costituzionale di riferimento, dove siffatte relazioni vengono protette.

Il testo della seconda norma costituzionale, vale la pena ripetere, riconosce espressamente «..i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità» dunque come può non attribuirsi alle singole persone che decidano di intraprendere un percorso di vita relazionale comune e di convivere come famiglia questo preciso riconoscimento alla voce formazione sociale?24

L'articolo 2 della Costituzione è considerato come una norma aperta e cioè è in grado di assicurare tutela giuridica a tutte quelle formazioni sociali che si originano nell'ambiente comune e sviluppano la personalità dei singoli. Si tratta di realtà in continuo divenire che per mezzo dell'intervento della dottrina e della giurisprudenza, acquisiscono costantemente maggiore tutela.

In questo contesto di certo si inserisce la famiglia di fatto stante la sua funzione di realizzazione affettiva e solidarietà sociale che consente alla persona la crescita e lo sviluppo della propria personalità.

La conclusione è che il riconoscimento giuridico della famiglia di

23 Il concetto che si vuole esprimere è quello per cui la famiglia di fatto non va più vista soltanto nell'accezione di convivere come se si fosse sposati, ma in quella che la considera prima di tutto come famiglia, portatrice di quei valori che erano stati riconosciuti solo alla famiglia legittima. Così: Alberto Mascia, 2006. La famiglia di fatto:riconoscimento e tutela.,p.32, Halley. L'autore rimanda a : Francesco Gazzoni in : La famiglia di fatto tra legge e autonomia

privata, in Giust.,civil., 1981, p.260 e ss.

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fatto è legato all'articolo 2 proprio perché questo offre garanzia a quelle formazioni sociali in grado di migliorare e sviluppare le caratteristiche elencate.25

Ma non è tutto. Seppure l'articolo 2 Cost. rappresenta certamente il pilastro principale sui cui improntare il fondamento costituzionale delle coppie non unite in matrimonio senz'altro è possibile ravvisare nel testo della Carta Fondamentale altri riferimenti a questa comune realtà.

L' articolo 30 ad esempio, dove al 1ºcomma si legge: «È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio» e al 3ºcomma: «La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima».

A tale proposito quindi appare chiaro come l'ordinamento si riferisca neppure troppo implicitamente ad un “altro” tipo di famiglia attraverso la dizione dei “figli non legittimi” specificando di riconoscere la medesima tutela giuridica e sociale compatibile a quella riconosciuta ai membri della famiglia legittima. Si tratta di un'inespressa previsione di convivenza extramatrimoniale quale luogo di affetto e di reciproco sostentamento capace di acquisire rilevanza proprio nel rapporto tra genitori e figli.26

Ancora, l'articolo 31 della Costituzione prevede al 1ºcomma che: « La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose». In questo caso, secondo la prevalente dottrina la dizione “formazione della famiglia” lascerebbe intendere un riferimento esclusivo alla famiglia legittima.27

La seconda parte dell'articolo recita: «Protegge la maternità, l'infanzia

25 Stefano Rossi, op.cit, p.5

26 S. Asprea, op.cit. p.18, sul punto anche: Alberto Mascia, op.cit p.33 27 Ivi

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e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo.» (2ºcomma). Qui invece, la norma includerebbe anche le famiglie di fatto sul presupposto, ovvio, che tali unioni abbiano generato prole.28

Alcune disposizioni costituzionali contengono un legame meno esplicito alle unioni non matrimoniali, ma una volta considerare tutte insieme esprimono chiaramente la possibilità, oltre che probabilmente la volontà, di prendere in considerazione questa dimensione reale. L'articolo 36 disciplina il diritto del lavoratore ad un' esistenza libera e dignitosa: «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.»

In questa norma la famiglia non può che essere intesa anche come famiglia di fatto, perché altrimenti si ammetterebbe che i membri di una famiglia non legittima non abbiano diritto ad un'esistenza libera e dignitosa.

L'articolo 37 invece nella seconda parte del 1ºcomma recita : «..Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione.» Ovviamente si deve dedurre che la funzione familiare sia senz'altro presente anche nelle famiglie di fatto. Per concludere la disamina costituzionale è molto importante soffermarsi sul combinato disposto dell'articolo 3 con l'articolo 29 della Costituzione. «Il matrimonio è ordinato sull'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare.» (art 29, 2ºcomma).

Il principio di uguaglianza limita la possibilità di regolare autonomamente il mènage familiare, attraverso cioè esclusivamente prescrizioni interne. Ciò in quanto la parità giuridica e morale dei coniugi si pone come specificazione e completamento dell'articolo 3

(37)

della Costituzione e questo fa si che all'interno del nucleo familiare si perseguano prima di tutto gli interessi dei singoli, permettendo quindi ai membri della famiglia di trovare nel principio di “uguaglianza” la garanzia alla tutela delle proprie singole richieste anche quando rappresentino solo una prospettazione “particolareggiata” degli interessi generali della famiglia. 29

Questo approfondimento è rilevante soprattutto perché ci rappresenta una visione dell'articolo 29 in cui i diritti della famiglia vengono intesi non riferiti alla “famiglia in quanto tale”, ma ai singoli individui che la compongono; giacché la famiglia non è destinataria di un tipo di tutela caratteristica di “un'attività di gruppo” ma sottostà alle medesime regole che l'ordinamento impartisce alle persone considerate singolarmente.30

Dunque questo ragionamento interpretativo certamente rinvigorisce, semmai ce ne fosse ancora bisogno, la legittimità della soluzione che colloca la famiglia di fatto all'interno delle formazione sociali, a protezione dei diritti inviolabili dell'uomo ove si sviluppa la sua personalità.

Accordata sul piano giuridico-costituzionale il fondamento della famiglia di fatto va certamente precisato che la stessa si inserisce in un contesto concettuale e normativo differente dalla famiglia legittima.

In primo luogo va accettata una posizione di favor costituzionale per la famiglia fondata sul matrimonio che non cancella comunque, come abbiamo appena visto, il riconoscimento delle unioni non matrimoniali nella Carta fondamentale.

In secondo luogo, preso atto del privilegiato contesto normativo e certamente culturale in cui si inserisce il disegno della famiglia

29 S. Rossi, op.cit.p6. L'autore rimanda a: Cairola, La dubbia utilizzazione del

modello di famiglia come formazione sociale in :Bin-Pinelli.,, I soggetti del pluralismo nella giurisprudenza, Giappichelli, Torino, 1996

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