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Il dovere di fedeltà, assistenza e coabitazione

3. I rapporti personali nella famiglia di fatto

3.1. Il dovere di fedeltà, assistenza e coabitazione

La famiglia di fatto così considerata86 necessità primariamente di una

riflessione che si estenda sul piano dei rapporti personali giuridicamente rilevanti.

In primo luogo può essere considerata l'opportunità, più o meno sensata, di estendere la disciplina codicistica prevista per i coniugi dall'articolo 143 c.c. dove si fa riferimento ai doveri reciproci di fedeltà, assistenza morale e materiale, di collaborazione e coabitazione. Il primo aspetto su cui riflettere è che l'acclarata stabilità dei rapporti e degli effetti non nasconde necessariamente la volontà di un matrimonio impedito per qualche ragione dalla legge, ma più comunemente rappresenta una scelta di fondo, pensata e desiderata dai partners che non intendono sottoporre il proprio rapporto ad una “matrimonializzazione”. Il che ci porta a considerare quantomeno in modo dubbio la scelta di accostare i due modelli familiari.87

In effetti anche la volontà di vivere insieme come famiglia non esclude la scelta, dei conviventi, di un rapporto vissuto in modo “spontaneo” che una regolamentazione ad immagine e somiglianza della famiglia legittima esporrebbe l'ordinamento ad una più che probabile ingerenza indebita.88

86 Riferimento all'unione libera di un uomo e di una donna caratterizzata dalla stabilità dei rapporti e degli affetti.

87 F. Romeo, Le relazioni affettive non matrimoniali,, 2014, Milano, CEDAM, UTET Giuridica, IPSOA.,p.239. L'autore fa riferimento anche ad: Paradiso,

I rapporti personali tra i coniugi, II ed., in Commentario Shelsinger, Milano,

2012, p.132

88 Ivi, p. 240, Si faccia riferimento anche alla Giurisprudenza della Cort. Cost.

con sentenza 13 maggio 1998, n. 166 secondo cui la convivenza di fatto rappresenta una scelta di libertà delle regole che il legislatore ha dettato per

Del resto, anche sul piano dell'efficacia giuridica certi doveri in un contesto come quello della famiglia di fatto rischiano di essere privi di consistenza. Basti pensare che i rimedi tipici in base ai quali è previsto dall'ordinamento un obbligo di risarcimento a tutela delle violazioni dell'articolo 143 c.c. rappresenterebbero un evidente forzatura nella convivenza di fatto, dove pensare di sanzionare un convivente per infedeltà rischierebbe di lenire il diritto proprio del convivente di interrompere il suo rapporto affettivo. Così fedeltà, assistenza e coabitazione non possono avere la medesima pertinenza tra i due modelli familiari e perciò stesso l'intervento del legislatore che si presti a fornire un quadro normativo che rispetti la specifica dignità della famiglia di fatto, più volta richiamata anche dalla Corte Costituzionale, rappresenta un obbiettivo irrinunciabile per tutta la società. Purtroppo però si tratta di un intervento ancora inattuato seppure oggi, più che mai, rappresenta una prospettiva concretamente ipotizzabile.89

Dunque il piano della tutela si sviluppa oggi soprattutto attraverso le Corti, che di volta in volta prendono in considerazione un aspetto giuridico controverso, a svantaggio inutile dirlo, dell'uniformità del diritto. Si tratta peraltro, com'è facile intuire, di interventi difficili che si pongono tra i principi del diritto e l'autonomia dei conviventi.90

La giurisprudenza sicché si è fatta scudo su quei principi che presiedono ogni relazione nel contesto giuridico; si parla così del principio di solidarietà o di quello di correttezza, per cui ad esempio la Suprema Corte si è espressa91 a proposito del diritto d'abitazione,

il matrimonio e per cui un'automatica estensione rappresenterebbe una violazione del principio di libera determinazione delle parti.

89 Il riferimento è al D.D.L S. 14 “Legge Cirinnà” in discussione alle camere 90 F.Romeo, Op. cit.,p.244. L'autore rimanda a: Scalisi, La “famiglia” e le

famiglie. Il diritto di famiglia a dieci anni dalla riforma, in Studi catanzaresi in onore di Falzea, Napoli, 1987, p.285 e Roppo, La famiglia senza matrimonio. Diritto e non diritto nella fenomenologia delle libere unioni, in Riv. trim. dir. proc. civ..,1980, p.736

avendo riguardo del convivente non proprietario dell'immobile alla fine del rapporto affettivo, garantendogli la possibilità di restare all'interno dell'abitazione per un certo periodo di tempo, affinché trovi un'altra sistemazione. Un esempio di come abbia operato il principio di buona fede e correttezza.

Ma pur avendone anticipato il problema di compatibilità e con esso la sua possibile soluzione, è necessario tornare alla riflessione incentrata sui principi di dovere richiamati dall'articolo 143 c.c. proprio per prospettarne, magari, una diversa interpretazione.

Il dovere di fedeltà, per primo, non può essere letto esclusivamente nella sua valenza “sessuale”. Una famiglia, e più in particolare una famiglia di fatto può intendere questo valore come riferito ad un più generale riferimento di devozione verso tutti gli impegni della vita.92

Per cui sarebbe prospettabile più che altro la violazione del dovere di lealtà, visto che la fedeltà tra l'altro potrebbe configurare come già detto la legittima intenzione di porre fine al rapporto.

Così come pure il dovere di coabitazione non è necessariamente trasgredito con l'interruzione della comune convivenza, dovendo privilegiare piuttosto altri fattori di riferimento come la stabilità costruita dalla persistenza dell'affectio nel tempo. Anche perché, nuovamente, i rimedi tipici previsti dal Codice Civile per la famiglia legittima che all'abbandono della casa familiare prefigurano l'interruzione del diritto di assistenza morale e materiale mal si conciliano con la famiglia non coniugale; dove paradossalmente l'effetto sarebbe ben più grave andando a pregiudicare la continuazione del rapporto stesso in quanto farebbe venire meno il presupposto della continuazione del rapporto stesso.

Proprio i profili sanzionatori rappresentano l'impedimento più forte all'estensione analogica della tutela prevista dall'articolo 143 c.c. nei

92 Ivi, p. 246. Il riferimento va anche a: Gazzoni, Dal concubinato alla famiglia di

sui aspetti relativi alla fedeltà e alla coabitazione.

Anche considerando il dovere di assistenza materiale e morale non si può desistere da una riflessione che si estenda sull'aspetto etico della questione. Infatti proprio la famiglia di fatto in questo ambito considerata93 suppone un progetto di vita che si basa sull'assistenza e

protezione reciproca, che evidenzia anche all'interno di un rapporto “libero” una volontà finalistica: la comunione spirituale e materiale protratta nel tempo. E allora proprio perché non si tratta di una verità solo di principio è necessario accorgersi degli impegni reciproci che assumono i conviventi nella loro dimensione autonoma e non etero- imposta.

Il punto più delicato della questione è sicuramente quello relativo al regime giuridico della somministrazione delle prestazioni eseguite dai conviventi riconducibili all'esecuzione di tale dovere di assistenza. Stante l'assenza di un riferimento normativo, la soluzione non può che essere quella di riferire la reciproca assistenza morale e patrimoniale all'esecuzione di un obbligazione naturale94 ex art. 2034 c.c. con

l'importante conseguenza di dover escludere la ripetizione dell'indebito. Ed è proprio sull'effettivo adempimento di certe obbligazioni che peraltro è possibile valutare l'indice di qualificazione della coppia; nel senso di dover escludere in assenza delle stesse l'esistenza di una convivenza di fatto dotata di stabilità di rapporti e di affetti.95

L'archetipo dell'obbligazione naturale assume la propria conformazione anche a proposito di prestazioni di cui sia stata chiesta la restituzione a fine rapporto. A proposito si può citare una sentenza

93 Si veda nota n.86

94 Soluzione avvallata anche dal Tribunale di Monza, 1 ottobre 2008 secondo cui gli esborsi elargiti durante una convivenza attinenti alla conduzione e al mantenimento familiare sono da annoverare tra le obbligazioni naturali. 95 F.Romeo, op.cit., p., 250, il riferimento va anche a: D'Angeli, La tutela delle

della Suprema Corte96 che nel valutare la situazione di un rapporto ha

stabilito che le prestazioni eseguite all'interno della convivenza di fatto sono idonee a ricollegarsi alla necessità di assicurare adeguati mezzi di sussistenza in vista dell'adempimento morale che grava reciprocamente sui conviventi e che quindi anche al momento della fine del rapporto le prestazioni restano obbligazioni naturali proprio allo scopo di concedere protezione al “convivente debole” che abbia ragionevolmente confidato sulla serietà e sulla durata della propria relazione. Certo resta sempre un tipo di tutela poco incisiva rispetto alle più ampie garanzie attribuibili alle pretese creditizie azionabili in via giudiziale.

Per altro verso, il dovere di assistenza durante il mènage familiare assume rilevanza anche per quanto riguarda le prestazioni alimentari, facendo scaturire un forte dubbio sulla disposizione codicistica che all'art. 433 c.c. impone l'obbligazione alimentare solo estesa ad una tipologia di soggetti obbligati in cui si includono oltre il coniuge, i suoceri, i generi, le nuore ma nessun riferimento viene fatto al convivente.

In realtà il convivente viene preso in considerazione anche in questo ambito, ma non perché possa in qualche modo fruire di tal diritto, ma per rappresentarne la causa di esclusione in un altra situazione. Si tratta dell'ipotesi per cui l'assegno di mantenimento venga revocato ad un ex coniuge che non si trovi più nello stato di bisogno, necessario per godere dell'assegno stesso, in quanto stabilizzato all'interno di una nuova convivenza, anche di fatto, in cui benefici di un nuovo sostentamento economico.

E dunque in conclusione si può dire che il dovere di fedeltà, assistenza e coabitazione sia presente, essenziale e rilevante anche nella famiglia di fatto.

3.2. Indirizzo di vita, amministrazione di sostegno e