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Introduzione alla giurisprudenza costituzionale

1.4. La famiglia di fatto nella giurisprudenza della Corte

1.4.1. Introduzione alla giurisprudenza costituzionale

Il diritto di matrice giurisprudenziale segna inevitabilmente il destino della famiglia di fatto.

Gli interventi della Corte Costituzionale infatti, non hanno contribuito solamente a fare luce sulle dottrine interpretative a fondamento della famiglia non matrimoniale, ma hanno effettivamente costituito la via principale sui cui costruire la disciplina legislativa che oggi appare per la verità, ancora incompleta.

Ecco che quindi la Consulta attraverso le proprie decisioni non si limita a risolvere specifiche questioni penali o civili, ma contribuisce fortemente a condizionare l'opinione generale attraverso gli orientamenti fatti propri.

Certamente delle stessa Corte si può giudicare l'operato , ed è quello che del resto ci accingeremo a fare, esaminandolo nel suo aspetto “evolutivo” confrontando quindi decisioni passate e più recenti allo scopo di evidenziare , semmai ci fosse stato, un cambiamento generale nell'approccio del giudice delle leggi al “fenomeno” famiglia di fatto.

Nella giurisprudenza costituzionale sono numerosi gli interventi che si ripetono anche nelle stesse materie attraverso il richiamo dei giudici rimettenti per questioni particolarmente sentite. In questo senso un ambito toccato è sicuramente quello della famiglia extraconiugale dove è possibile constatare l'incessante bisogno di adeguamento del diritto.

I temi investiti sono molteplici e spesso sottoposti a continue rivisitazioni, e proprio dove la Corte Costituzionale è intervenuta più

volte è possibile cogliere il file rouge su cui la stessa ha costruito il proprio orientamento nel corso del tempo.

A vantaggio di questo scopo, molto in sintonia col resto di questa ricerca, si propone il riesame di una vicenda che ha assunto nel tempo un carattere storico. Nello specifico, la Corte Costituzionale è stata sollecitata più volte sulla nozione di “prossimo congiunto” avendo modo, così, di confrontare famiglia legittima e famiglia di fatto attraverso un aspetto incisivo del diritto perché capace di stimolare “l'ingegno” della Corte non solo per la risoluzione della controversia, peraltro molto importante in se considerata, ma per la costruzione di una propria , matura idea di famiglia.

In effetti, come vedremo, le ripetute pronunce sull'argomento non portano ad esiti molto dissimili tra loro, ma in ogni caso segnano in modo indiscutibile la scelta del sentiero che la Corte ha voluto tracciare a difesa (o ad ostacolo?) del passaggio nel tempo della famiglia di fatto.

Probabilmente, anticipando il contenuto di queste pronunce, è proprio l'aver “sbarrato la strada” alla tutela della famiglia di fatto ripetute volte e sullo stesso punto di diritto che mette ancora più in evidenza il pensiero diffuso della tradizione costituzionale, esprimentesi attraverso il lavoro della propria Corte, “affaticata” nel tentativo di trovare argomentazioni accettabili alle proprie negazioni.

Perciò , scegliere di analizzare uno stesso aspetto del diritto credo possa consentire di comprendere meglio l'evoluzione culturale del nostro Paese su un tema tanto sentito, in quanto ha permesso agli interpreti della Costituzione di fare luce senza condizionamenti esterni o differenti valutazioni di circostanze che certamente accompagnano la visione della famiglia di fatto nel rapporto con altri principi costituzionali di volta in volta considerati.

1.4.2. «Prossimo congiunto» o «convivente di fatto»?

Può un convivente di fatto considerarsi prossimo congiunto?

Rispondere a questa domanda significa prendere inevitabilmente posizione sulla struttura della famiglia di fatto, e di questo ci occuperemo in prospettiva costituzionale, attraverso le pronunce qui di seguito riportate della Consulta.

1977.Un diverso “sentimento familiare” per la Corte Costituzionale

La sentenza della Corte Costituzionale n.6 del 12 gennaio del 197735

costituisce una decisione di particolare importanza in quanto ha ad oggetto la discussione della legittimità costituzionale dell'articolo 350 cod. proc. pen. e dell'articolo 307 ultimo comma del cod. pen. in relazione all'articolo 3 Cost. nella parte in cui le due norme in relazione, non ammettevano in un processo penale la possibilità di astenersi dal deporre anche ai componenti una famiglia di fatto in quanto non compresi nell'insieme dei “prossimi congiunti” disciplinato dall'articolo 307 cod. pen.

La vicenda nello specifico riguardava il caso di una signora convivente da sette anni con l'uomo contro cui era chiamata a deporre, e da cui aveva avuto un figlio. Questa donna si rifiutò di deporre sostenendo come giustificazione il fatto di sentirsi a tutti gli effetti moglie dell'imputato. Per l'ostinatezza nel suo atteggiamento fu arrestata in esecuzione dell'articolo 372 cod. pen. e per questo gli atti del procedimento dei due conviventi furono separati e quelli della signora furono rimessi al magistrato competente, il pretore di Cagliari.

Fu proprio questi a rilevare nelle pretese della donna una questione costituzionalmente rilevante e non manifestamente infondata in relazione all'articolo 3 Cost.

Precisamente il pretore lamentava l'illegittima l'esclusione dal novero delle persone cui spetta l'astensione dal deporre «di quelle situazioni affettive di natura familiare, basate sulla convivenza ed animate da intenti di reciproca assistenza e da propositi educativi della prole comune, di fatto ed oggettivamente identiche a quelle ivi disciplinate» ed inoltre a fondamento delle sue richieste rilevava : « altresì che la ratio della norma processuale sopra richiamata "determinata dalla particolare considerazione attribuita al motivo per cui il prossimo congiunto si è indotto a commettere un fatto altrimenti dalla legge preveduto come reato (motivo che il sentimento etico comune esige sia rispettato)", ricorresse immutata anche nella ipotesi di una famiglia di fatto costituitasi, se pure non legittimata dal vincolo familiare.»

Per questi motivi giungeva a sostenere la violazione dell'articolo sull'uguaglianza in quanto situazioni che presentavano le medesime caratteristiche subivano un evidente disparità di trattamento.

Analizziamo adesso quel che in fin dei conti ci interessa, ovvero la riposta della Corte Costituzionale.

Innanzitutto la Corte sostiene una diversità ontologica alla base delle due situazioni, la famiglia legittima e la famiglia di fatto. Tale diversità, sostiene la Corte, non può essere eliminata sostenendo la somiglianza negli interessi che sono alla base di entrambe le “comunità”, e per questo presupporre come conseguenza che quell'elemento o profilo in comune siano sufficienti al fine di stabilire che tutte le situazioni previste siano identiche a quelle omesse.

Insomma la Corte esclude la violazione dell'articolo 3 Cost. in quanto la diversità ontologica dei due concetti esclude una disparità di trattamento.

Inoltre nei punti salienti delle proprie motivazioni il Collegio fa riferimento a quel “sentimento familiare” che accompagna la ratio

dell'articolo 307 cod. pen. quando individua i soggetti non obbligati a deporre. Precisamente la Corte richiama la contrapposizione tra interesse pubblico (il dovere di testimoniare) e privato, sostenendo la prevalenza di quest'ultimo solo in particolari circostanze che possano costituirsi esclusivamente sulla garanzia di un rapporto giuridico tipico. In sostanza la Consulta individua nell'elenco dei “prossimi congiunti” previsto dall'articolo 307 cod. pen. un complesso di persone portatrici di interessi tipici (coniugio, parentela, affinità); contrapponendoli agli interessi dei membri di coppie e famiglie di fatto che si dimostrano eventuali e comunque debbano necessariamente essere provati. Quindi alla luce di queste considerazioni la Corte ha ritenuto opportuno privilegiare solo quei rapporti tipici in modo da non ostacolare, rallentandolo, il processo penale penalizzando di conseguenza il principio inquisitorio insieme a quello dell'oralità e della concentrazione.

Presa la sua decisione di non fondatezza costituzionale, la Consulta invita comunque il legislatore a prendere atto dell'importanza e della diffusione di certi interessi , promuovendone un intervento.

In conclusione pare oggi di poter dire che la decisione del 1977 della Corte Costituzionale sicuramente coglie l'opportunità di distinguere famiglia di fatto e famiglia fondata sul matrimonio, considerandole giustamente come due realtà differenti che non possono essere assimilate in toto nella disciplina.

Decisamente discutibile è invece la motivazione che poggia sulla diversa valutazione del “sentimento familiare” al fine di evitare lo scontro psicologico tra il dovere di testimoniare e l'astenersi dal poter infangare una persona congiunta. Infatti escludere questa possibilità per i componenti una famiglia di fatto sul presupposto di un accertamento che richiederebbe tempi lunghi di considerazione non ci pare non convincente.

In primo luogo il principio di oralità e di concentrazione divengono principi costituzionali solo recentemente36 con la legge del “giusto

processo”.

In secondo luogo all'interno del processo penale certamente opera il principio dell'onere della prova su cui si costruisce il bilanciamento tra speditezza e attività di parte. Di conseguenza una volta che il “sentimento familiare” di un'unione non matrimoniale venga dimostrato, allora anche questo merita l'equiparazione con quello proprio della famiglia legittima.

1986. Famiglia di fatto è “formazione sociale”

Nel 1986 nella sentenza n.237 la Corte Costituzionale37 è chiamata a

pronunciarsi ancora sulla legittimità costituzione degli articoli 307 e 384 c.p in rapporto agli articoli 3 e 29 della Costituzione.

Il giudizio è promosso da cinque differenti ordinanze tra il 1980 e il 1985. Le diverse Corti rimettenti individuano l'illegittimità costituzionale dell'articolo 307 ultimo comma, e dell'articolo 384 c.p. nella parte in cui la scriminante prevista da questo ultimo articolo non si possa estendere anche al convivente more uxorio. Si tratta di un giudizio di relazione tra le due norme in quanto siffatta circostanza esimente si basa sull'elenco dei “prossimi congiunti” tassativamente indicato dall'articolo 307 (4ºcomma) c.p.

I giudici rimettenti, con parole diverse, esprimono la stessa necessità e lo stesso pensiero.

Attraverso l'apprezzamento della ratio della scriminante si capisce infatti che quelle stesse condizioni si presentano identiche nelle convivenze di fatto stante l'esigenza dell'articolo 384 c.p., di tutelare “quel vincolo affettivo coltivato quotidianamente”. Il legislatore non avrebbe considerato quelle situazioni familiari che pur prive del

36 L. Costit, 23 Novembre 1999, n.2

vincolo legale si costruiscono sul medesimo principio di “società naturale” cui fa riferimento l'articolo 29 della Costituzione.

Le parole utilizzate dai giudici del Tribunale di Novara, Torino e Camerino impressionano per la loro capacità di adattarsi al presente. Dimostrano una straordinaria capacità di veduta che apre la porta alla famiglia di fatto. “Un assist” invitante per la Corte Costituzionale. La Consulta invece mantiene un approccio che di certo non pare azzardato, e preferisce ancora assumere una posizione per così dire “pilatesca”.

In primo luogo la Corte esclude la possibilità di equiparare le due tipologie di comunità familiari in riferimento all'articolo 29 in quanto, specificando l'intenzione che fu propria dei Costituenti, la compagine familiare è un istituto fortemente legato all'apparato giuridiche il che esclude ogni aggregato che pur socialmente apprezzabile non identifichi le qualità del rapporto coniugale.

Poi per ciò che concerne il giudizio di costituzionalità dell'articolo 3 la Corte ribadisce un concetto già espresso nella sentenza del 1977. Il rapporto di fatto a giudizio della Consulta sarebbe inapprezzabile in virtù della mancanza di certezza e di stabilità e per la possibilità di recedere ad natum dal rapporto, (sentenza n.45/1980) a cui si aggiunge la necessità di dover valutare gli interessi dedotti e carenti nel diritto positivo. (sentenza n.6/1977)

Resta da chiederci quale sia obbiettivamente la differenza nel concetto di stabilità tra possibilità di recedere liberamente dal rapporto e possibilità di esercitare liberamente il divorzio.

Decisamente più comprensibile è la parte della motivazione in cui la Corte fa riferimento all'impossibilità di pronunciarsi in sostituzione del legislatore. Sicuramente apprezzabile è anche l'invito sollecitato a quest'ultimo ad intervenire non solo nella materia qui controversa, ma anche nelle numerose altre situazioni in cui suddetta disparità tra

famiglia legittima e famiglia di fatto si presenta nel processo penale, elencando ad esempio, quali disposizioni che richiederebbero una modifica, la disciplina relativa all'astensione del giudice piuttosto che quella relativa alla titolarità della richiesta di revisione della sentenza. In generale ogniqualvolta ci si riferisca al “prossimo congiunto”. Da un altro punto di vista la pronuncia della Consulta rappresenta un importante punto di arrivo (forse è meglio dire punto di partenza?) circa il consolidamento della tutela costituzionale relativa all'articolo 2 Cost.

A ben vedere, ripercorrendo i passi più importanti della decisione della Corte leggiamo alcune parole importanti, di un certo peso e significato.

«In effetti, un consolidato rapporto, ancorché di fatto, non appare - anche a sommaria indagine - costituzionalmente irrilevante quando si abbia riguardo al rilievo offerto al riconoscimento delle formazioni sociali e alle conseguenti intrinseche manifestazioni solidaristiche (art. 2 Cost.). Tanto più - in ciò concordando con i giudici remittenti - allorché la presenza di prole comporta il coinvolgimento attuativo d'altri principi, pur costituzionalmente apprezzati: mantenimento, istruzione, educazione. In altre parole, si è in presenza di interessi suscettibili di tutela, in parte positivamente definiti (si vedano ad es. gli artt. 250 e 252 del codice civile nel testo novellato con la legge 19 maggio 1975 n. 151), in parte da definire nei possibili contenuti. Comunque, per le basi di fondata affezione che li saldano e gli aspetti di solidarietà che ne conseguono, siffatti interessi appaiono meritevoli indubbiamente, nel tessuto delle realtà sociali odierne, di compiuta obiettiva valutazione.»

Non deve sottovalutarsi la posizione della Corte in merito al riconoscimento fatto proprio in considerazione dell'articolo 2 Cost. Benchè dovrebbe apparire implicito, forse addirittura scontato, il

riconoscimento quale formazione sociale dotata di stabilità e solidarietà assume per la prima volta una decisa conformazione giurisprudenziale.

Un traguardo raggiunto che sa di beffa, un po' per il ritardo con cui si realizza e un po' per quello che, nell'atteggiamento flemmatico della Corte, lascia presagire.

1996. “Due famiglie, due dignità”

Avvicinandoci di un decennio ai giorni nostri le esigenze del “sentire sociale” non appaiono diverse.

Nella sentenza della Consulta n.8 del 199638 il giudizio di legittimità

costituzionale concerne ancora l'articolo 307 c.p. e 384 c.p. in relazione agli articoli 3 e 29 della Costituzione. La questione si ripropone molto similmente a quella precedentemente analizzata, affrontata e decisa dalla Corte con sentenza n. 237/1986. Questa volta è il tribunale di Torino ha sollecitare il giudizio di costituzionalità sul rispetto costituzionale del concetto di “prossimo congiunto”. Anche le ragioni avanzate della Corte piemontese sono in parte coincidenti; e in primo luogo riguardano la necessità di equiparare “il modello di vita familiare” quando questo si costruisca sulla base di un vincolo affettivo coltivato quotidianamente. La censura è così simile che mi sembra inutile approfondire.

Da un altro punto di vista invece il Tribunale di Torino, ovviamente conscio del parere già espresso dalla Corte Costituzionale, fa valere la propria perplessità costituzionale su di un altro aspetto del diritto fino ad allora inedito. Si tratta della considerazione del nuovo codice di procedura penale39 che, all'articolo 199 c.p.p. (3ºcomma, lettera a),

prevede la rilevanza della convivenza di fatto come fattore in grado di ammettere l'astensione dalla testimonianza, dalla quale però

38 Corte Cost., 18 gennaio 1996, n.8, in Fam. dir.,2, 1996, p. 107 e ss 39 Introdotto con D.P.R. 22 settembre 1988, n. 447

scaturisce una grave incongruenza logica con l'articolo 384 c.p., nel momento in cui si intende ammessa l'esimente quando il convivente renda dichiarazioni al pubblico ministero e non quando lo faccia nei confronti della polizia giudiziaria pur risultando ambedue ipotesi riguardanti la fase delle indagini preliminari.40

Ma questa seconda questione si riduce ad una pronuncia squisitamente tecnica della Corte Costituzionale che non merita uno specifico approfondimento.41

Invece, benchè riproposta nei medesimi termini, la prima considerazione del giudice rimettente sollecita una risposta molto più interessante. La Corte, come si potrebbe facilmente intuire non stravolge la propria precedente opinione, ma si distingue comunque per sottigliezze interpretative che suscitano particolare attenzione. Innanzitutto la Corte ritiene infondata la questione, ribadendo ancora una volta la preferenza costituzionale di cui gode la famiglia matrimoniale e che legittima la diversità di trattamento.

Ma in particolare, ad avviso della Corte, dalla necessità di tenere distinta l'una dall'altra tipologia familiare si svilupperebbe quella condizione indispensabile per garantire ad entrambe la propria specifica dignità. Questo, aggiunge la Consulta, permetterebbe alla

40 In particolare nelle considerazioni di fatto del giudice rimettente « La citata

nuova previsione processuale enuclea, ad avviso del giudice a quo, un ulteriore profilo di "incongruenza" e di disparità di trattamento a svantaggio

della posizione del convivente imputato di favoreggiamento personale, rispetto al convivente imputato di favoreggiamento personale, rispetto

all'imputato di falsa testimonianza o di false informazioni al pubblico ministero.

Se è infatti vero che diversa è l'obiettività giuridica dei reati di favoreggiamento e di falsa testimonianza, perché quest'ultima tutela la giusta definizione del processo, mentre il primo tutela le investigazioni anche preprocessuali, questa differenza risulta ben più "sfumata" quando il raffronto sia istituito tra favoreggiamento (a mezzo dichiarazioni alla polizia giudiziaria) e reato di false informazioni al pubblico ministero, essendosi in tutti e due i casi in presenza di

dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari.»

41 La Corte Cost. si esprime sulla questione considerando “artificiosa” la richiesta del giudice rimettente in quanto avrebbe dovuto considerare il medesimo soggetto (solo il convivente e non anche il coniuge) e comunque in relazione al 2ºcomma dell'articolo 384 c.p. e non il 1ºcomma.

famiglia di fatto di non vedersi qualificata come una forma minore del rapporto coniugale, ammettendo le basi ed i presupposti perché nel futuro più vicino il legislatore consideri l'opportunità di un intervento diretto specificatamente a queste realtà sociale. La Corte considera inappropriata qualsiasi ostinata “rincorsa” che pretenda di amalgamare la famiglia di fatto nella disciplina della famiglia legittima. La convivenza di fatto, continua la Corte, ha bisogno del proprio spazio giuridico per potersi riconoscere ed in particolare di un contesto capace di dare precedenza alla soggettività individuale dei conviventi rispetto a quella del rapporto in se considerato.

Il ragionamento della Consulta è una conseguenza della valutazione che attribuisce in primo luogo al rapporto coniugale. Infatti considera il matrimonio come una vera istituzione che a differenza delle libere convivenze merita protezione in quanto società stabile nell'ordine pubblico. Qui la protezione delle esigenze della famiglia precedono quelle individuali dei membri che la compongono, accogliendo quindi un differente “peso” dei valori familiari sottesi alle due realtà.

Dunque nel caso di specie, “prossimo congiunto” non può ancora considerarsi il membro di una convivenza di fatto, perché incapace di dare quelle certezze e stabilità che esige l'ordinamento. Ma stavolta la Corte si addentra più in profondità delle motivazioni, rilevando la propria incontestabile appartenenza più tradizionale.

2004. L' approccio “disinteressato” della Consulta

Nel 200442 la questione si presenta nuovamente sollecitata dal G.i.p.

di Reggio Calabria e sempre in riferimento agli articoli 307 e 384 c.p. in relazione agli articoli 2 e 3 della Costituzione.

Nel caso specifico il Giudice a quo chiedeva l'estensione nel novero dei “prossimi congiunti” del soggetto convivente che altrimenti

sarebbe stato condannato per il reato di favoreggiamento personale ex

art.378 c.p

Le motivazioni del giudice rimettente cercano di essere particolarmente persuasive facendo leva sui valori emergenti dalla realtà sociale e su quelli fatti propri dalla giustizia ordinaria in più occasioni. Il concetto ruota ancora attorno a quello di “stabilità del rapporto” alla presenza del quale parrebbero inutili differenziazioni normative che causerebbero solo la violazione del principio di non discriminazione.

In oltre il G.i.p incoraggia in un certo senso la Consulta ad una valutazione più approfondita della famiglia di fatto, considerandola in quanto formazione sociale in grado di permettere lo sviluppo della personalità dell'individuo parimenti a quanto accade nella famiglia legittima, prospettando pertanto una chiara violazione dell'articolo 2 Cost. da parte delle norme penali di riferimento. Anzi secondo il giudice rimettente è proprio questa considerazione a superare le pronunce già emesse dalla Corte sulla stessa questione.

La Consulta dal canto suo non pare nemmeno stavolta destare segni di cedimento. Per l'ennesima volta sollecita una riflessione che porta alla distinzione costituzionale dei valori sottesi alla famiglia legittima, (art. 29 Cost). e di quelli invece posti alla base della famiglia di fatto (art. 2 Cost.), all'esito della quale giunge evidente quanto già abbondantemente espresso dalla Corte stessa in più occasioni; ovvero la possibilità concessa esclusivamente al legislatore di operare nel diritto distinzioni tra l'una e l'altra tipologia familiare.

Aggiunge soltanto la Corte che «se da un lato la distinta considerazione costituzionale della convivenza e del rapporto coniugale non esclude affatto la comparabilità delle discipline