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CSR e corporate reputation: analisi quantitativa e qualitativa di alcuni casi studio

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in Marketing e Ricerche di Mercato

TESI DI LAUREA

CSR e corporate reputation: analisi quantitativa e

qualitativa di alcuni casi studio

RELATORE

Dott.ssa Annamaria TUAN

CANDIDATO

Chiara LEMMI

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INDICE

INTRODUZIONE ... 1

CAPITOLO 1. LA CORPORATE SOCIAL RESPONSIBILITY ... 4

1.1 Il contesto di sviluppo ... 4 1.1.1 La globalizzazione ... 5 1.1.2 Il trend attuale ... 6 1.2 Cosa è la CSR? ... 6 1.2.1 La definizione di CSR ... 7 1.3 CSR, un concetto multidimensionale ... 9

1.4 Implementazione della CSR in azienda... 10

1.4.1 La dimensione interna ed esterna ... 10

1.4.2 I vantaggi e le motivazioni ... 11

1.5 La comunicazione della CSR ... 14

1.5.1 Strategie per comunicare la CSR ... 15

1.5.2 I vantaggi e i rischi della comunicazione della CSR ... 18

CAPITOLO 2. LA CORPORATE REPUTATION ... 21

2.1 Definizione e vantaggi ... 21

2.1.1 Identity, Image, Legitimacy: alcuni concetti relativi alla reputazione... 24

2.2 Le fonti della reputazione ... 25

2.3 Come la CSR determina la corporate reputation ... 28

2.3.1 Il bilancio sociale (CSR reporting) e la sua relazione con la corporate reputation ... 30

2.3.2 Corporate brand credibility e corporate brand equity ... 31

2.3.3 Il ruolo della trasparenza ... 32

2.4 Walking CSR e Talking CSR ... 33

2.4.1 Walking CSR: un’opportunità per migliorare la propria reputazione ... 35

2.4.2 Talking CSR: il rischio di un danno reputazionale ... 36

2.4.3 Quando “essere troppo buoni” si può ritorcere contro ... 36

2.5 RepTrak®: un sistema per misurare la reputazione aziendale ... 37

2.5.1 Le sette dimensioni del modello RepTrak® Pulse ... 38

2.5.2 Lo score totale ... 40

CAPITOLO 3. METODO E STRUMENTI DI RICERCA ... 43

3.1 Thomson Reuters ESG scores ... 44

3.1.1 L’elaborazione dei dati ... 44

3.1.2 I punteggi ... 45

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3.3 Il software statistico SPSS... 50

CAPITOLO 4. ANALISI QUANTITATIVA ... 51

4.1 AstraZeneca ... 51

4.1.1 Gli ESG score ... 51

4.1.2 La corporate reputation ... 54

4.1.3 L’analisi della stampa internazionale ... 55

4.2 Bayer ... 58

4.2.1 Gli ESG score ... 58

4.2.2 La corporate reputation ... 61

4.2.3 L’analisi della stampa internazionale ... 62

4.3 Novartis ... 64

4.3.1 Gli ESG score ... 64

4.3.2 La corporate reputation ... 67

4.3.3 L’analisi della stampa internazionale ... 68

4.4. Bristol-Myers Squibb ... 70

4.4.1 Gli ESG score ... 70

4.4.2 La corporate reputation ... 73

4.4.3 L’analisi della stampa internazionale ... 73

4.5 GlaxoSmithKline ... 75

4.5.1 Gli ESG score ... 75

4.5.2 La corporate reputation ... 78

4.5.3 L’analisi della stampa internazionale ... 78

4.6 Sanofi ... 80

4.6.1 Gli ESG score ... 80

4.6.2 La corporate reputation ... 83

4.6.3 L’analisi della stampa internazionale ... 83

4.7 Osservazione delle differenze statistiche tra le variabili e le aziende prese in esame ... 85

CAPITOLO 5. ANALISI QUALITATIVA ... 88

5.1 Astra Zeneca ... 88 5.2 Bayer ... 92 5.3 Novartis ... 98 CONCLUSIONI ... 103 BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA ... 105 APPENDICE ... 107

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INTRODUZIONE

In un contesto di mercato come quello attuale, costellato di piccole, medie, ma soprattutto grandi imprese che fatturano miliardi di dollari, le aziende sono sempre più viste come attori fondamentali, non solo nell’ambito economico ma anche in quello sociale. Al contempo quest’ultime sono alla continua ricerca di aspetti innovativi su cui far leva per ottenere quel vantaggio competitivo che permetta loro di sopravvivere e aver successo nel mercato globale. Uno degli ambiti attraverso cui le aziende oggi cercano di distinguersi dalla concorrenza è rappresentato dalla responsabilità sociale d’impresa, la Corporate Social Responsibility (CSR), un concetto dinamico e multidimensionale con il quale, sostanzialmente, si fa riferimento a tutte quelle pratiche e le iniziative messe in campo dalle aziende, piccole e grandi, per promuovere i temi della sostenibilità ambientale e sociale. Nello stesso momento, ciò che principalmente interessa alle aziende è costruirsi una reputazione aziendale forte e positiva, che apporti in primis vantaggi economici, risultanti dal premium price che il consumatore è disposto a pagare per l’acquisto dei prodotti o servizi offerti, e tenga la gestione aziendale al riparo da scandali o controversie. La determinazione di una certa corporate reputation si lega quindi in maniera chiara all’aspetto della CSR, considerata l’attenzione sempre crescente di tutti gli stakeholder aziendali nei confronti dei temi ambientali, etici e sostenibili.

Il Capitolo 1 affronta in maniera approfondita il tema della Corporate Social Responsibility, partendo dall’evoluzione della sua definizione, da “integrazione volontaria delle preoccupazioni ecologiche e sociali delle imprese nelle loro operazioni commerciali” alla più forte affermazione di “responsabilità delle imprese per il loro impatto sulla società”. Vengono descritte, dunque, le varie dimensioni che concorrono a definire il concetto di CSR, dalla dimensione normativa a quella integrativa, la prospettiva strumentale, politica e, infine, la dimensione emergente, che caratterizza la CSR come un concetto instabile, per cui non è idoneo definirlo in un solo modo per ogni periodo storico. Successivamente il capitolo affronta le modalità di implementazione della CSR a livello aziendale, sia nelle relazioni interne che in quelle esterne: la responsabilità sociale d’impresa, infatti, si mette in pratica nelle relazioni con ogni tipologia di stakeholder dell’azienda, che siano i consumatori, i fornitori o i dipendenti. Un argomento fondamentale affrontato nel primo capitolo sono i vantaggi derivanti dall’introduzione, corretta, di pratiche socialmente responsabili in azienda: la convenienza economica, declinata nel miglioramento delle performance finanziarie e nella diminuzione del rischio d’impresa, il miglioramento dei rapporti con le istituzioni, governative e non, e, soprattutto, i vantaggi in termini reputazionali e di legittimazione. Infine, viene proposto un

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approfondimento riguardo la comunicazione della CSR ad opera dell’azienda, un aspetto principale al quale porre attenzione per non incappare in gravi errori che rischierebbero di provocare danni ingenti all’immagine aziendale. Vengono, quindi, descritte le principali strategie di comunicazione delle attività legate alla responsabilità sociale d’impresa: dall’informazione degli stakeholder alla strategia di riposta degli stakeholder, per arrivare ad un vero e proprio coinvolgimento degli stakeholder aziendali. In conclusione, vengono affrontati i principali vantaggi che possono derivare per l’impresa da una valida comunicazione delle pratiche sostenibili e, al tempo stesso, i principali rischi che l’azienda può correre, fra cui il “greenwashing” e lo scetticismo dall’effetto “window-dressing”.

Il Capitolo 2 affronta il tema della corporate reputation, definendone in primis l’importanza in termini di asset intangibile dell’azienda; l’elaborato cerca quindi una risposta alle domande “come si guadagna una forte reputazione aziendale?”, ma anche “cosa può danneggiarla, diminuendone il valore?”. Con la descrizione dei vantaggi di cui l’azienda può godere nel momento in cui è forte di una buona reputazione vengono introdotti anche alcuni concetti legati a questo costrutto, quali il concetto di identity, image e legitimacy. Il capitolo prosegue affrontando la relazione tra la CSR e la corporate reputation, fulcro della tesi: a tal riguardo il giudizio degli esperti non è unanime, anche se è innegabile che fra i due ambiti ci sia uno stretto legame, come testimoniato dalla definizione del concetto di reputazione promossa dal Reputation Institute. Ancora in relazione a questo tema viene fatta una distinzione tra le due principali modalità con le quali un’azienda può scegliere di implementare e comunicare pratiche di CSR, ovvero “talking CSR” oppure “walking CSR”, andando incontro, nel primo caso, alla possibilità di rischiare un danno reputazionale, nel secondo caso all’opportunità di migliorare la propria reputazione. Infine, il secondo capitolo dell’elaborato descrive approfonditamente il costrutto della corporate reputation secondo la definizione del Reputation Insitute, che ne identifica sette dimensioni e che, mediante lo strumento del RepTrak® Pulse, ne fornisce una misurazione oggettiva e comparabile tra le aziende.

La seconda parte della tesi propone un’analisi quantitativa e qualitativa di alcuni casi studio, individuati in alcune aziende multinazionali dell’industria farmaceutica, andando ad indagare l’applicazione da parte di quest’ultime delle pratiche di CSR e, al contempo, la loro valutazione reputazionale negli ultimi dieci anni.

Il Capitolo 3 descrive la metodologia e gli strumenti utilizzati per la ricerca. L’analisi quantitativa, riportata nel Capitolo 4, è stata svolta utilizzando gli ESG score forniti da Thomson Reuters, che forniscono una misura oggettiva dei principali ambiti relativi alla responsabilità sociale d’impresa (ambientale, sociale, governance) e i dati reputazionali annuali elaborati dal

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Reputation Institute; è stata, quindi, approfondita mediante l’analisi di articoli dei principali quotidiani internazionali, dai quali sono state estratte le misure dell’incidenza dei principali temi relativi alla CSR nel testo: ciò ha reso possibile disegnare i trend relativi alle suddette tematiche, che sono stati quindi confrontati e interpretati con gli indici a disposizione. Il Capitolo 5 riporta un’analisi qualitativa di alcune delle aziende prese in considerazione, elaborata tramite uno studio nel merito degli articoli pubblicati, per migliorare o confermare l’intepretazione dei dati sviluppata nel capitolo precedente.

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CAPITOLO 1. LA CORPORATE SOCIAL RESPONSIBILITY

1.1 Il contesto di sviluppo

In un contesto globale in cui alcune aziende guadagnano cifre più alte del Prodotto Interno Lordo della maggior parte dei paesi mondiali è interessante considerare che la relazione tra autorità pubbliche e private si è decisamente modificata. La globalizzazione, insieme all’emergere del fenomeno delle privatizzazioni di beni e servizi pubblici, ha generato una situazione in cui lo stato si è ritirato da molte delle aree in cui tradizionalmente esercitava un monopolio regolare, in particolare nei Paesi occidentali. Oggigiorno le imprese forniscono servizi come l’approvvigionamento idrico, i trasporti, l’educazione e la sanità; aziende private gestiscono prigioni, forniscono servizi di sicurezza e sono diventate attori principali negli scenari di conflitto.

Le organizzazioni economiche assumono un ruolo sempre più cruciale rispetto ad alcuni aspetti della società, tra cui quelli fondamentali per la sicurezza e il welfare, e si sono tramutate in attori sempre più potenti, assumendo spesso ruoli politici, direttamente o indirettamente. Questo è reso loro possibile grazie all’incremento continuo delle loro dimensioni e dei proventi che permettono di contribuire in modo così significativo alle questioni sociali ed ambientali a livello globale.

L’Agenda dello Sviluppo Sostenibile, firmata nel 2015 dalle Nazioni Unite, enfatizza l’importanza dello sviluppo di abilità per debellare le problematiche sociali globali attraverso il settore privato (“La portata ambiziosa della nuova Agenda richiede una Partnership Globale rivitalizzata per garantirne la realizzazione. Siamo totalmente impegnati a tal fine. Questa Partnership opererà in uno spirito di solidarietà globale, mostrando particolare solidarietà verso le persone più povere e più vulnerabili. Promuoverà un impegno globale intensivo per supportare la realizzazione di tutti gli obiettivi e i traguardi, unendo i governi, il settore privato, la società civile, il sistema delle Nazioni Unite e altri attori, e mobilizzando tutte le risorse disponibili.”). Le aziende sono sempre più viste come partner affidabili che mobilitano risorse e si attengono volontariamente a nuovi standard; questo affidarsi fortemente alle imprese, però, può rivelarsi un’arma a doppio taglio, generando l’impulso alla dipendenza nei confronti delle imprese private come istituzioni dominanti della società moderna.

La relazione tra imprese e società globale è cambiata anche a causa dello sviluppo dell’economia digitale e, conseguentemente, della corsa all’acquisizione di dati che riguardano persone e organizzazioni; quest’ultimo aspetto, in particolare, impatta sulla responsabilità delle imprese per diversi motivi: innanzitutto rende sempre più controllata la condotta, responsabile

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o irresponsabile che sia, delle imprese e, dall’altro lato, ha creato nuove potenti organizzazioni con un nuovo set di responsabilità.

1.1.1 La globalizzazione

Esiste uno squilibrio tra la flessibilità delle imprese multinazionali nell’espandere le attività del loro core business in paesi diversi e la limitata capacità delle società civili e delle nazioni nel regolare adeguatamente l’ambiente legislativo; infatti, la sovranità delle autorità politiche viene rispettata all’interno dei confini nazionali ma non avviene altrettanto fuori. Nel frattempo, però, l’economia è divenuta sempre più internazionale e questo crea difficoltà ai governi dei vari paesi nell’affrontare i problemi sociali e ambientali, che vanno ben oltre i singoli confini dei Paesi. Un chiaro esempio è la complessa questione della lotta al riscaldamento globale, per cui i governi hanno provveduto all’Accordo Internazionale di Parigi (dicembre 2015), ma con il rischio sempre in atto che non tutti i Paesi firmatari mantengano fede alle promesse fatte in tale occasione. Tutto questo ha portato alla cosiddetta “globalizzazione delle responsabilità” e richiede vie alternative per regolare l’economia internazionale.

Le istituzioni politiche sovranazionali esistenti hanno bisogno di poteri formali o di supporto politico per imporre eventuali regole che siano vincolanti, o sanzioni alle imprese con cattiva condotta. Il sistema ONU regola sì gli stati sovrani, ma non è all’altezza degli attori non statali: raramente è possibile applicare normative direttamente alle imprese, specialmente quando hanno lo scopo di regolare il loro impatto ambientale e sociale, anche a causa degli interessi politici contrastanti e dell’influenza delle lobby economiche. Si rende necessario compensare queste difficoltà con una più forte regolamentazione legislativa extraterritoriale, che permetta ai diversi Paesi di esercitare la propria autorità sugli attori e le attività fuori dal territorio statale. In generale si può affermare che una certa legislazione extraterritoriale ha migliorato la regolamentazione dell’economia globale in alcune aree specifiche, ma non ha colmato sufficientemente la lacuna regolativa che interessa soprattutto la condotta delle imprese multinazionali.

In un tale contesto, la Corporate Social Responsibility (indicata con la sigla CSR, in italiano “Responsabilità Sociale dell’Impresa”) viene vista come un’alternativa più pragmatica per regolare il comportamento degli attori privati nell’economia globale, soprattutto dove sono limitate le normative nazionali; in ogni caso la CSR rimane in primis una scelta volontaria, basata sull’autoregolamentazione e sul controllo esercitato da una serie di stakeholder (i “portatori di interesse” dell’impresa) ed offre un orientamento per le imprese che riflettono sulle loro responsabilità sociali e ambientali in un contesto globale complesso ed eterogeneo.

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6 1.1.2 Il trend attuale

Il KPMG Survey of Corporate Responsibility Reporting 2017 mette in evidenza i trend più recenti, a livello globale, riguardo l’andamento del fenomeno di attuazione e comunicazione di pratiche sostenibili delle imprese. La ricerca utilizza due diversi campioni: il campione N100, che prende in considerazione le prime 100 aziende in termini di reddito per ognuno dei 49 Paesi considerati e il campione G250, che fa riferimento alle 250 aziende mondiali con il profitto maggiore basandosi sulla classifica Fortune del 2016.

Il report rivela una crescita di 2 punti percentuali, dal 2015 al 2016, dei bilanci sociali delle aziende a livello globale, considerando il campione N100, crescita che va di pari passo con quella del campione G250 (Figura 1). Si riscontra, inoltre, un significativo aumento, dal 2015, in alcuni Paesi quali il Messico (+32%), la Nuova Zelanda (+17%) e Taiwan (+11%), nei quali nuove leggi hanno determinato la crescita consistente dei report sociali delle imprese.

Figura 1. Trend global CSR reporting

Fonte: The KPMG Survey of Corporate Responsibility Reporting 2017

1.2 Cosa è la CSR?

Dare una definizione esatta di cosa sia la Corporate Social Responsibility (CSR) non è certo semplice. In primo luogo, la CSR è un concetto definito (e applicato) in maniera differente da diverse entità; con l’etichetta di CSR si riuniscono varie linee di pensiero che si concentrano sul ruolo dell’economia, in particolare dell’impresa privata, nella società che la circonda. In secondo luogo, il concetto di CSR si sovrappone con altre concezioni che descrivono le

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relazioni tra aziende e società (ad esempio l’etica professionale, la sostenibilità o la trasparenza). Infine, la CSR è un fenomeno dinamico, che cambia con il mutare delle pratiche e dei problemi che lo compongono.

1.2.1 La definizione di CSR

L’Unione Europea ha sviluppato una prima definizione ufficiale di CSR nel “Libro Verde” elaborato dalla Commissione Europea e presentato a Bruxelles nel mese di luglio 2001, con il titolo “Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese”. In questo ambito la CSR viene definita come: “l’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate.”

Con una nuova comunicazione nell’ottobre 2011, la Commissione Europea ha riesaminato la nozione espressa nel Libro Verde e ha formulato una nuova definizione di CSR, descrivendola come la “responsabilità delle imprese per il loro impatto sulla società”. La nuova impostazione apporta significative novità alla complessa discussione intorno al tema, riducendo il peso di un approccio soggettivo delle imprese e richiedendo maggiore adesione ai principi promossi dalle organizzazioni internazionali come l'OCSE e l'ONU.

In ogni caso, ciò che queste definizioni non enfatizzano, ma che costituisce un aspetto fondamentale, è che il concetto di CSR non si riferisce solo ad attività “filantropiche” dell’impresa ma si pone alla base delle strategie aziendali, si allinea e si integra con gli obiettivi strategici d’impresa; si inserisce nelle attività quotidiane dell’impresa e si riflette nelle scelte di direzione strategica della stessa.

L’evoluzione nella definizione del concetto sottolinea il passaggio ad una minor “volontarietà” nella decisione di applicare certe linee guida: di fatto l’aspetto della responsabilità sociale e ambientale è già richiesto a moltissime aziende, basti pensare alle imprese del settore automobilistico. In molti ambiti economici le aziende osservano implicitamente obblighi ad assumersi determinate responsabilità e alcuni governi hanno iniziato ad incentivare economicamente le attività di CSR delle imprese.

La CSR non è appannaggio solo delle grandi imprese ma anche di quelle piccole e medie, che spesso pongono in essere attività di CSR perché influenzate dai principi condivisi personalmente dal loro proprietario/fondatore; nelle grandi imprese la CSR è guidata principalmente dalla speranza che mettere in pratica determinate azioni produca un ritorno finanziario positivo e soddisfi gli interessi degli stakeholder. Le attività di CSR nelle PMI sono anche maggiormente connesse alle necessità delle comunità locali nelle quali sono inserite,

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mentre le grandi imprese generalmente si rifanno a pratiche sociali e ambientali che riguardano l’ambiente globale.

1.2.2 Altre definizioni di CSR

Mentre le definizioni “ufficiali” sottolineano determinati aspetti della Corporate Social Responsibility, altre nozioni descrivono il fenomeno sotto punti di vista diversi; il range di definizioni esistente riflette la natura ambigua, dinamica e contestata della CSR.

Alcuni studiosi hanno enfatizzato la dimensione normativa della CSR; le loro definizioni tendono quindi a sottolineare le fondamenta etiche per cui l’impresa ha la necessità di accettare le proprie responsabilità in termini sociali e ambientali poiché è un dovere etico allineare le proprie attività economiche ai valori della società. Per esempio, Bowen ha definito la CSR riferendosi all’“obbligo per l’imprenditore di perseguire le politiche, prendere le decisioni e seguire le linee d’azione che sono desiderabili in termini di obiettivi e valori della nostra società.” (Bowen, 1953). Le aziende e i loro manager, quindi, basano le loro decisioni e le azioni da intraprendere sul benessere della società come obiettivo principale.

Altri studiosi hanno inteso la CSR nella sua dimensione integrativa, nel senso che la responsabilità sociale dell’impresa è un modo per far fronte alle diverse richieste che derivano dalla società, di natura etica, legale e ambientale, includendole nelle proprie attività economiche; secondo questa visione, infatti, le imprese dipendono dalla società in cui sono inserite per la loro esistenza, quindi rispondere attivamente alle richieste che ne derivano diventa di vitale importanza. La definizione di CSR classica di Carroll riflette questa prospettiva: “La responsabilità sociale dell’impresa comprende le aspettative economiche, legali, etiche e discrezionali che la società ha delle organizzazioni in un dato momento.” (Carroll, 1979). In questo contesto, quindi, le aziende e i loro manager mettono in atto azioni di CSR come mezzo per apparire legittimati con i loro stakeholder più significativi. Secondo Carroll, le organizzazioni agiscono in maniera socialmente responsabile se evitano in ogni modo di arrecare danno ai propri stakeholder o, nel caso, si preoccupano tempestivamente di correggersi.

Parte degli studi sulla CSR adottano una prospettiva strumentale, che tende ad enfatizzare un approccio economico nella responsabilità dell’impresa; la CSR, in questo caso, diventa uno strumento strategico per ottenere un vantaggio competitivo. McWilliams e Siegel affermano che “la CSR può essere vista come una forma di investimento e i manager hanno bisogno di determinare il livello appropriato di investimento in CSR.” (Mc Williams, Siegel, 2001). La

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CSR quindi contribuisce all’interesse economico dell’azienda e i manager sono legalmente obbligati ad adempiere ai loro doveri fiduciari.

Negli ultimi tempi hanno assunto valore anche le definizioni di CSR che sottolineano la sua dimensione politica, come quella di Bowen che si riferisce alla CSR come un “potere delegato diretto al welfare sociale” (Bowen, 1953). Un riferimento più recente alla CSR sotto questo punto di vista è quello espresso da Scherer, Rasche, Palazzo e Spicer quando notano che la CSR “implica quelle attività economiche responsabili che trasformano le aziende in fornitori di beni pubblici nei casi in cui le autorità pubbliche sono impossibilitate o non disposte a vestire questo ruolo.” (Scherer, Rasche, Palazzo, Spicer, 2016). Le aziende si tramutano spesso in attori politici e vengono coinvolte, direttamente o indirettamente, nel regolamento di problematiche sociali o ambientali.

Infine, è opportuno presentare una prospettiva emergente della CSR, nella quale si sottolinea la sua natura mutevole. Si rende quindi più idoneo descrivere la CSR come “una questione permanente e un’area di dibattito nella teoria e nella pratica manageriale, piuttosto che un costrutto ben stabilizzato con un’operatività chiara e costante.” (Gond, Moon, 2011). L’idea di base è che non esiste un unico concetto che possa definire la responsabilità sociale dell’impresa, in quanto si tratta di un costrutto “instabile”, contestato, con la tendenza costante ad adattarsi al contesto culturale e storico che, in quanto tale, è in continuo mutamento. Questa prospettiva prevede quindi un maggior coinvolgimento proattivo dei manager nel dibattito sulla CSR, chiamati in prima persona a definire le azioni e le linee guida di questo tema.

1.3 CSR, un concetto multidimensionale

Ciò che si nota dall’analisi delle varie definizioni di CSR fornite dagli studiosi è che si tratta di un costrutto multidimensionale; questo aspetto è ripreso anche nella Comunicazione della Commissione Europea 681/2011 nella quale si ribadisce in modo esplicito la natura multidimensionale ed integrata della CSR: “(...) la CSR copre almeno le prassi in materia di diritti umani, lavoro e occupazione (quali formazione, diversità, parità di genere, nonché salute e benessere dei lavoratori), le questioni ambientali (per esempio la biodiversità, i cambiamenti climatici, l'efficacia delle risorse, l'analisi del ciclo di vita e la prevenzione dell'inquinamento) nonché la lotta alla corruzione. Anche il coinvolgimento e lo sviluppo delle collettività, l'integrazione delle persone disabili e gli interessi dei consumatori, compresa la privacy...” (COM, 2011, p. 8)

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Questi ambiti non sono comunque esaustivi per la definizione delle responsabilità aziendali, ma formano una sorta di “bussola”, uno standard minimo, con il quale discutere cosa la società si aspetta dalle azioni intraprese dalle imprese.

L’approccio alla CSR è anche, certamente, di tipo “multistakeholder”: tra gli stakeholder che la Commissione ritiene gravitino attorno l’impresa si annoverano i sindacati, le organizzazioni della società civile, i consumatori, gli investitori, i media e le autorità pubbliche.

1.4 Implementazione della CSR in azienda

1.4.1 La dimensione interna ed esterna

Il Libro Verde dell’Unione Europea indica l’esistenza di due dimensioni della CSR all’interno dell’impresa, la dimensione interna e quella esterna. Della dimensione interna fanno parte la promozione, in termini di responsabilità sociale, dei seguenti ambiti:

• Gestione delle risorse umane: istruzione e formazione dei lavoratori lungo tutto l’arco di tempo lavorativo; responsabilizzazione del personale e miglioramento del circuito informativo nell’impresa; attenzione alle problematiche familiari e del tempo libero; applicazione del principio di uguaglianza retributiva e di prospettive di carriera; attenzione a prassi responsabili di reclutamento del personale, che favoriscano l’inserimento di lavoratori provenienti da minoranze etniche o in condizioni di disagio. • Salute e sicurezza sul lavoro: interessamento a forme complementari di promozione

della salute e della sicurezza rispetto agli obblighi prescritti per legge; applicazione di programmi di certificazione dei sistemi di gestione del lavoro e della qualità dei prodotti. • Adattamento ai cambiamenti aziendali: equilibrio degli interessi e coinvolgimento nelle preoccupazioni di tutte le parti interessate ai cambiamenti e alle decisioni; garanzia della partecipazione e del coinvolgimento delle persone interessate alle trasformazioni aziendali attraverso una procedura aperta di informazione e di consultazione; valutazione dei rischi più importanti e di soluzioni alternative in grado di limitare i licenziamenti; impegno nello sviluppo locale e nelle politiche attive del mercato del lavoro.

• Gestione degli effetti sull’ambiente e delle risorse naturali: riduzione del consumo delle risorse o delle emissioni inquinanti e dei rifiuti.

La dimensione esterna di applicazione della CSR si riferisce, invece, ai seguenti ambiti: • Comunità locali: offerta del proprio contributo alla comunità locale fornendo posti di

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proponendo formazioni professionali complementari, sostenendo le associazioni non a fini di lucro attive nella tutela dell’ambiente, reclutando tra gli esclusi, fornendo strutture di custodia dei figli dei dipendenti, stringendo partnership locali, sponsorizzando manifestazioni sportive o culturali locali o facendo donazioni ad opere di carità.

• Partnership commerciali, fornitori e consumatori: stretta collaborazione con i propri partner commerciali per ridurre complessità e costi delle operazioni, aumentandone la qualità; scelta di prassi responsabili nel settore sociale e ambientale; facilitazione della creazione di imprese innovative attraverso il corporate venturing (ovvero l’acquisizione di una quota minoritaria nel capitale di una start up promettente, promuovendone lo sviluppo); elaborazione di prodotti e servizi utilizzabili dal maggior numero possibile di persone, compresi i disabili.

• Diritti dell’uomo: maggiore attenzione alle circostanze nelle quali il proprio settore di responsabilità si distingue da quello dei governi; controllo dei partner commerciali riguardo il rispetto dei valori fondamentali e di quale sia il loro approccio e il loro metodo di lavoro in paesi nei quali i diritti dell’uomo sono spesso violati; impegno nella lotta contro la corruzione; applicazione di codici di condotta, a tutti i livelli della catena produttiva e organizzativa, relativi alle condizioni di lavoro e ai diritti dell’uomo. • Preoccupazioni ambientali a livello mondiale: incoraggiamento del miglioramento delle

prestazioni ambientali lungo tutta la catena produttiva; ricorso agli strumenti europei e internazionali collegati alla gestione e ai prodotti.

1.4.2 I vantaggi e le motivazioni

Le motivazioni per cui un’impresa decide di impegnarsi in azioni di CSR sono numerose e ancora oggetto di numerose ricerche teoriche e soprattutto empiriche; è possibile ricondurre quest’ampia materia ad alcune categorie nelle quali si inseriscono tali aspetti: vantaggi economici, motivazioni istituzionali, vantaggi in termini reputazionali e di legittimazione. La convenienza economica è una delle motivazioni maggiormente addotte come determinanti per le imprese nella decisione di intraprendere un percorso in termini di responsabilità sociale; molte aziende, infatti, mettono in atto politiche e pratiche di CSR perché ritengono che ciò apporti loro un positivo ritorno finanziario.

In realtà non esiste una relazione certa tra le performance finanziarie di un’azienda e le azioni praticate riguardo l’ambiente sociale e il dibattito su questo tema è ancora aperto e complesso. Sin dai primi anni in cui si è parlato di CSR si sono alternate visioni contrastanti, di chi vede in

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modo positivo l’impatto della CSR sulle performance economiche aziendali e chi, invece, non si trova d’accordo.

Nel 1970, Milton Friedman scriveva un articolo dal titolo “The social responsibility of business is to increase its profits” nel quale affermava che “il vero dovere sociale dell’impresa è ottenere i più elevati profitti – ovviamente in un mercato aperto, corretto e competitivo - producendo così ricchezza e lavoro per tutti nel modo più efficiente possibile” (New York Times, 13 settembre 1970). È il fulcro della cosiddetta “teoria degli shareholder”, secondo la quale i dirigenti delle imprese hanno una sola ed unica “responsabilità sociale”: massimizzare gli utili a vantaggio degli azionisti.

Da una visione di questo tipo la disciplina si è evoluta in una direzione decisamente più favorevole nei confronti delle tematiche sociali legate alle azioni imprenditoriali e numerose ricerche empiriche focalizzate su questo aspetto sostengono l’idea che un corretto uso della CSR porti ad ottenere benefici sostanziali e comporti una creazione di valore sia per l’impresa che per la società (Margolis e Walsh, 2003, Orlitzky et al., 2003, Rettab et al., 2009, Lin et al., 2009 e Sun, 2012).

In ogni caso ci sono numerose difficoltà pratiche nel provare a misurare l’impatto della CSR sulle performance finanziarie; alcune attività di CSR sono talmente inglobate nelle operazioni complessive dell’azienda che è difficile isolare i loro effetti nei risultati finanziari, tanto più se si vogliono distinguere determinate metriche economiche.

Il Global Compact delle Nazioni Unite con i suoi Principi per gli Investimenti Responsabili del 2013 ha proposto una discussione riguardo l’impatto finanziario della CSR facendo riferimento a tre componenti: l’aumento dei ricavi, il miglioramento della produttività e la minimizzazione del rischio.

Alcune aziende traggono profitto dalla CSR dal momento che le loro attività sociali e ambientali permettono di innovare i loro prodotti e servizi, e quindi di ottenere una crescita dei ricavi. In alcuni casi le imprese riescono ad espandere la loro quota di mercato e la base clienti per prodotti già esistenti che vengono migliorati con caratteristiche basate sull’essere eco-friendly o socialmente responsabili (ad esempio con il marchio Fairtrade). Un aumento dei ricavi può derivare anche dal penetrare in nuovi mercati dal punto di vista geografico con prodotti collegati alle pratiche di CSR, in particolare se questi attributi socio/ambientali agiscono come differenziatori.

Buone pratiche di CSR possono determinare anche un miglioramento della produttività: ad esempio, mettere in atto politiche di salvaguardia dell’ambiente e di lotta allo spreco delle risorse può portare ad una riduzione dei costi, come quelli di smaltimento dei rifiuti, oltre ad

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una gestione più efficiente delle risorse a disposizione. Maggior produttività può derivare anche da una gestione migliore delle risorse umane impiegate in azienda: quest’ultima, infatti, può esercitare un’attrattiva maggiore nei confronti di lavoratori abili e particolarmente talentuosi se si distingue per il suo impegno a favore della responsabilità sociale; inoltre può trarre vantaggio da condizioni di maggior sicurezza e benessere sul lavoro.

Infine, la CSR spesso permette alle aziende di minimizzare il rischio d’impresa (rischi normativi, rischi nella catena di fornitura, rischi reputazionali…) e di instaurare, quindi, un miglior rapporto con gli investitori.

Indubbiamente è opportuno considerare le specificità di ogni settore economico e di mercato nell’andare ad analizzare, anche empiricamente, la relazione tra le pratiche di CSR e le performance economico/finanziarie; nel fare ciò è necessario, inoltre, considerare le diverse dimensioni e tipologie di imprese coinvolte (Blasi, Caporin, Fontini, 2018).1

Le teorie istituzionaliste hanno sviluppato ulteriori spunti di riflessione sulle motivazioni che spingono le imprese ad impegnarsi in azioni di CSR; in particolare, queste ricerche si focalizzano sull’ambiente istituzionale nel quale è inserita l’azienda: in questo contesto, spesso vengono adottate pratiche di CSR perché anche le altre aziende lo hanno fatto, secondo un fenomeno di “isomorfismo”. Questo comportamento è particolarmente rilevante se le imprese hanno a che fare con un certo grado di incertezza nell’ambiente in cui si trovano, ad esempio riguardo i regolamenti normativi futuri. Campbell parla di una serie di fattori istituzionali che influenzano le imprese in tema di responsabilità sociale, affermando che condizioni economiche più difficili, come un alto tasso di inflazione, riducono le probabilità che le aziende intraprendano investimenti in CSR, preferendo disporre delle poche risorse a disposizione in ambiti diversi, caratterizzati da una miglior recuperabilità dell’investimento (Campbell, 2007). Ulteriori fattori istituzionali che sembrano favorire l’investimento da parte delle imprese in azioni di CSR sono la presenza di attori che monitorano costantemente i loro comportamenti (organizzazioni non governative, media…) e l’esistenza di una regolamentazione più severa riguardo, per esempio, le sanzioni in ambito di salute e sicurezza sul lavoro.

In ultima analisi, le imprese si dedicano a pratiche di CSR per ottenere vantaggi in termini

reputazionali e di legittimazione, aspetti fondamentali se si pensa all’azienda come ad

un’organizzazione che ha continuamente a che fare con numerosi stakeholder, sia interni che esterni.

1 Blasi, S., Caporin, M., & Fontini, F. (2018). “A Multidimensional Analysis of the Relationship Between Corporate

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Ormai moltissimi studiosi sono concordi nell’affermare che le imprese non possono essere considerate separatamente dalla società; tra questi, Lynn Sharp Paine, nel suo libro “Value shift” (2003), sostiene che questa relazione forte tra il business e l’ambiente circostante costringe i manager a imprimere una dimensione morale ed etica alle loro decisioni e agli assetti strategici dell’intera organizzazione. La CSR, quindi, è divenuta prioritaria per le imprese, essendo considerata, agli occhi della società, legittimante per l’attività d’impresa (Deegan, 2002; Holmstrom, 2003; Hooghiemstra,2000; Neu et al., 1998; Wartick e Cochran, 1985), la cui “licenza sociale ad operare” può essere revocata in caso di violazione di un qualunque termine del contratto sociale (Deegan, 2002).2

La “legitimacy theory” è una delle teorie più discusse per spiegare il fenomeno della divulgazione, per mezzo della comunicazione d’impresa o di marketing delle pratiche adottate volontariamente dall’impresa stessa in ambito sociale e ambientale. Coerentemente con questa nozione, quindi, questo comportamento permette alle imprese di guadagnare, mantenere o sanare la loro legittimazione agli occhi degli stakeholder e di tutta la società in cui sono inserite. Le pratiche di CSR consentono, quindi, di ridurre le pressioni esterne e, se comunicate in modo tale da convincere gli interessati della loro “bontà, attirano l’attenzione dei media generando ammirazione e legittimazione sociale.3

1.5 La comunicazione della CSR

L’evoluzione del contesto comunicativo e la diffusione di nuovi strumenti accresce la possibilità di un’azienda di essere trasparente nei confronti dei propri stakeholder, ma richiede una strutturazione specifica della comunicazione della responsabilità sociale da parte delle imprese. Comunicare il proprio impegno di sostenibilità ai propri dipendenti, agli stakeholder e ad un pubblico ampio in modo efficace può avere un impatto importante sulla reputazione dell’azienda, contribuisce a diffondere una cultura interna della CSR e aiuta a coinvolgere i dipendenti sui temi della sostenibilità, oltre ad accrescere la trasparenza e l’accountability di un’azienda verso il pubblico interessato, incidendo sulla costruzione del capitale relazionale. La comunicazione della CSR consiste nell’informare gli stakeholder esterni ed interni dell’impegno profuso, da parte dell’impresa, nel contribuire allo sviluppo sociale, ambientale ed economico della società. Questa attività di comunicazione deve basarsi su una cultura

2 Arru, B., & Ruggieri, M. (2016). “I benefici della Corporate Social Responsibility nella creazione di valore

sostenibile: il ruolo delle risorse di competenza e del capitale reputazionale.” Economia Aziendale Online, 7(1),

p.17-41

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orientata al dialogo con il pubblico di attori interessati, non solo per costruire una relazione di fiducia con essi ma anche per garantire il soddisfacimento dei reciproci bisogni. Per questo, l’azienda deve dotarsi di strumenti e processi di “stakeholder engagement” adeguati, che consentano di conoscere i bisogni e le aspettative degli stakeholder e di rispondere coerentemente ad essi. In questo senso, difficilmente la comunicazione può rimanere “one-way” quando si parla di sostenibilità e l’azienda deve mettere in conto un graduale processo di apertura al dialogo, oltre che, naturalmente, prepararsi a gestirlo. I social media hanno generato molte possibilità per portare avanti questo tipo di dialogo e spesso sono i consumatori stessi che originano conversazioni riguardanti le attività di CSR di un’azienda senza che si renda necessaria la partecipazione dell’azienda stessa alla conversazione.

In ogni caso, i manager devono porre molta attenzione a come agiscono: infatti, se un’impresa sembra voler divulgare troppo o troppo poco riguardo le proprie pratiche sostenibili, oppure se pare evitare di informare riguardo alcuni aspetti più critici della CSR, questo può riflettersi negativamente su uno degli asset più vulnerabili e “irreparabili” dell’azienda, ovvero il rispetto e la fiducia agli occhi degli stakeholder.

Ci si aspetta che la comunicazione della CSR rispecchi cosa i manager e i dipendenti considerano giusto o sbagliato riguardo il comportamento dell’azienda e, di conseguenza, come pensano di poter migliorare l’azienda stessa e l’ambiente che la circonda. Johan Friedman afferma che “le organizzazioni stanno riconoscendo che i consumatori non sono interessati a comprare prodotti sostenibili da aziende che non vengono riconosciute come sostenibili” (Friedman, 2015). Quindi la comunicazione della CSR deve porre molta attenzione all’identità stessa dell’organizzazione e a come coloro che vi lavorano intendono e vivono davvero la responsabilità sociale d’impresa. In quest’ottica non va sottovalutato che la comunicazione della CSR è vista come un modo per definire una sorta di “morale aziendale”, una misura di quanto l’azienda sia realmente interessata alle sorti della società; per questo è necessario dimostrare impegno concreto in alcune direzioni specifiche: l’orientamento al benessere della società; la sincerità nel dimostrarsi autentici nelle pratiche sociali; la trasparenza riguardo le responsabilità sociali assunte, intesa come il non voler provare a nascondere niente.

1.5.1 Strategie per comunicare la CSR

Dal momento che la CSR generalmente viene stimata molto perché valutata come un comportamento socialmente apprezzabile, potrebbe risultare semplice per i manager pensare che migliorare la comunicazione della CSR possa derivare da una maggior comunicazione. Invero, in un contesto costellato da scandali aziendali e stakeholder sempre più “esperti”, un

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semplice aumento delle attività di comunicazione verrebbe probabilmente penalizzata. Molte aziende hanno sperimentato reazioni negative e critiche in risposta a un incremento dell’impegno nell’attività comunicativa delle loro pratiche di CSR, diversamente da quanto ci si potrebbe immaginare. Questo accade perché CEO e manager sono tra gli attori sociali ritenuti meno affidabili secondo l’Edelman Trust Barometer (2018) ed è in aumento uno scetticismo diffuso riguardo il fatto che la comunicazione della CSR da parte delle aziende rifletta una vera intenzione di servire la società.4

La comunicazione della CSR non si esaurisce in una campagna di CSR ben costruita ed eseguita, ma include anche ciò che consegue ad incontri meno “pianificati” tra i manager e i loro stakeholder, come ad esempio ciò che appare nella stampa, ciò che viene detto nelle interviste e nelle conferenze o scritto su Internet. In queste situazioni i manager si espongono al pubblico in contesti in cui devono spiegare, o anche difendere, i comportamenti messi in atto dalla propria azienda. Alcuni studi hanno dimostrato che la buona volontà manifestata dai manager nel porsi in dialogo ed aprirsi al confronto, ad esempio dopo aver ricevuto alcune critiche sul loro operato, non costituisce garanzia di veder ridotto il peso negativo delle attenzioni ricevute (Coombs, 2007).

Nonostante comunicare la CSR sia un’attività allettevole e spesso obbligata, non è semplice da gestire e non prevede una direzione sicura da seguire per non sbagliare. È molto importante che i manager capiscano che comunicare la CSR implica e amplifica la raccomandazione standard di mostrare il proprio meglio nella comunicazione aziendale, includendo anche una certa propensione all’autocritica se necessario.

Morsing e Schultz hanno definito le tre strategie principali di comunicazione della CSR al pubblico interno ed esterno all’azienda, basate sull’informazione, la risposta ed il coinvolgimento. Nella strategia di informazione degli stakeholder, la comunicazione è vista principalmente come “il parlare, non l’ascoltare”. Questa prima strategia, di tipo unidirezionale (“one-way”), consiste nella diffusione di informazioni con lo scopo di tenere al corrente delle attività aziendali di CSR gli stakeholder esterni; quindi, il compito della comunicazione è quello di creare messaggi realistici ed interessanti riguardo il contributo dell’azienda allo sviluppo sociale. Secondo questa teoria, i manager dimostrano in maniera convincente il fatto che l’azienda si stia comportando in maniera giusta e ritengono che, così facendo, sia sufficiente, per l’azienda, informare efficientemente il pubblico di tutto questo, per realizzare e mantenere

4 Solo il 38,5% della popolazione mondiale dichiara di aver fiducia nell’operato delle grandi aziende (2018 Global

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un supporto positivo da parte degli stakeholder (Morsing e Schultz, 2006). Di conseguenza, non dovrebbe esserci alcun bisogno di coinvolgere gli stakeholder dal momento che la fonte di fiducia della comunicazione riguardo la CSR è costituita direttamente dall’attività aziendale. Questa strategia comunicativa è tipica delle campagne pubblicitarie di aziende e brand.

Nella strategia di risposta degli stakeholder la comunicazione diventa di tipo bidirezionale (“two-way”), rimanendo comunque “asimmetrica”: infatti, l’azienda stabilisce un dialogo con i suoi stakeholder, chiedendo loro delle reazioni per capire i loro interessi e le loro aspettative. Sulla base di queste informazioni i manager creano gli output comunicativi di CSR che quindi saranno approvati, con tutta probabilità, dal pubblico; questa strategia, più che apportare cambiamenti nel comportamento aziendale, permette all’azienda stessa di tentare di cambiare gli atteggiamenti e i comportamenti degli stakeholder (Morsing e Schultz, 2006). Infatti, nonostante una situazione di apparente reciproca influenza e scambio di informazioni, gli stakeholder non hanno potere effettivo sulle attività di CSR, che vengono comunque decise e pianificate dall’azienda. La chiave comunicativa diventa l’identificazione degli stakeholder di riferimento nella società, che l’azienda cerca così di persuadere circa la bontà e l’impegno delle proprie azioni. Questa strategia comunicativa è tipicamente utilizzata nei bilanci sociali in risposta ad indagini e sondaggi di mercato o ranking riguardo la CSR, strumenti utilizzati dalle aziende per rispondere a valutazioni pubbliche e critiche.

La strategia di coinvolgimento degli stakeholder si basa su una comunicazione bidirezionale simmetrica, dove l’interazione e lo scambio di opinioni ed interessi avviene in un dialogo continuo tra l’azienda e il suo pubblico. In teoria, secondo questa strategia, i manager non dovrebbero solamente cercare di influenzare gli altri, ma dovrebbero sentirsi influenzati loro stessi dalle preoccupazioni degli stakeholder riguardo sia l’ambiente locale che quello globale; di conseguenza, dovrebbero essere disposti a cambiare il proprio comportamento e le proprie pratiche per assumerne di nuovi, ritenuti più appropriati. Questo particolare coinvolgimento degli stakeholder si verifica, per esempio, quando le aziende si impegnano in iniziative che coinvolgono vari stakeholder e che vedono anche la partecipazione di organizzazioni no-profit o autorità pubbliche, oppure, ancor più, quando le aziende si impegnano a livello locale con il loro pubblico di riferimento.

Queste tre strategie di comunicazione della CSR si differenziano, principalmente, dal punto di vista di quanto le aziende coinvolgono gli stakeholder, sebbene sia opinione generale che la comunicazione della CSR ha origine dalla volontà dell’azienda e dalle sue azioni. Molti stakeholder ritengono che le imprese non promuovano un vero dialogo aperto che consenta la collaborazione e comporti decisioni condivise; piuttosto si pensa che siano le sole aziende ad

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impostare la cornice del dibattito sulla CSR in base alla propria “agenda”. In ogni caso, molto rimane ancora da capire e da studiare riguardo a come i nuovi media abbiano fornito alle imprese nuove opportunità per lasciarsi coinvolgere in un confronto aperto al pubblico, e se questi mezzi innovativi abbiano effettivamente incrementato la franchezza del dialogo sulla CSR da parte delle imprese. Alcuni studi hanno effettivamente intuito che molte aziende creano spazi online per permettere agli stakeholder (come i consumatori) di essere coinvolti nel dibattito sulle pratiche di CSR ma, nonostante ciò, questi spazi rimangono spesso vuoti ed inutilizzati, principalmente perché le aziende stesse propongono tematiche caratterizzate da un basso grado di partecipazione da parte del pubblico.5

1.5.2 I vantaggi e i rischi della comunicazione della CSR

La comunicazione rappresenta una fase fondamentale del processo di costruzione e legittimazione della responsabilità sociale, soprattutto agli occhi del pubblico interno ed esterno all’impresa; comunicare ciò che si fa permette di ottenere i vantaggi sottolineati precedentemente, di tipo economico-finanziario e in materia di reputazione e approvazione. La comunicazione della CSR permette all’azienda di sviluppare e mantenere rapporti duraturi di lungo periodo con gli stakeholder, di massimizzare i benefici derivanti dall’adozione di strategie e comportamenti socialmente responsabili, di distinguersi dalla concorrenza, sviluppando un buon vantaggio competitivo, di rafforzare i valori e l’identità dell’impresa, sia nei confronti del suo pubblico interno che di quello esterno.

Comunicare la CSR, oltre che un vantaggio, costituisce sempre più un dovere per l’impresa, poiché senza la comunicazione non sarebbe possibile far conoscere il proprio impegno sociale ed etico; la divulgazione di queste pratiche innesca un circolo virtuoso di sensibilizzazione dei soggetti sui temi comunicati, contribuendo all’adozione di comportamenti sostenibili da parte di individui sempre più numerosi e informati.

Un altro motivo per cui le imprese si dedicano in misura sempre maggiore alla comunicazione della CSR è legato all’ambiente istituzionale: la responsabilità sociale è sempre più una questione politica, legata a norme nazionali o sovranazionali ed incentivi economici. Nella Comunicazione della Commissione Europea del 2011, l’UE ha invitato “tutte le organizzazioni, comprese le organizzazioni della società civile e le autorità pubbliche, ad adottare misure per

5 Illia, L., Romenti, S., Rodríguez-Cánovas, B., Murtarelli, G., & Carroll, C. E. (2017). “Exploring corporations’

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migliorare la diffusione delle informazioni sulle proprie prestazioni sociali e ambientali” (2011).

La questione non è però pacifica come potrebbe sembrare: infatti, se da un lato la comunicazione della CSR è un’attività imprescindibile e proficua, va considerato che è anche un’attività piuttosto rischiosa. Nel primo bilancio sociale dell’azienda The Body Shop, la CEO Anita Roddick dichiarò “damned if we do, damned if we don’t”, rivolgendosi alla decisione di comunicare le proprie pratiche di CSR, esprimendo, così, il “grande dilemma” della comunicazione della CSR (Roddick, 1995). Il problema, infatti, sorge nel momento in cui l’azienda, impegnandosi in questo ambito, si espone a critiche e accuse di “greenwashing”; con questo termine si indica la pratica associata a quelle aziende che si servono della comunicazione per attribuire valenze di carattere ambientale alle proprie attività, nonostante nella realtà esse siano guidate solo in parte, o non lo siano affatto, da logiche di marketing sostenibile. Si tratta, per lo più, di operazioni di facciata, come campagne pubblicitarie dal contenuto ingannevole che cercano di far passare le normali attività dell’impresa come più sostenibili di quanto siano nella realtà.6 Dal momento che l’accesso alle informazioni è sempre più semplice ed immediato, i consumatori, gli investitori e gli altri stakeholder sono più coinvolti e spesso si comportano da lettori critici riguardo la diffusione delle “buone azioni” dell’impresa. Le critiche, come emerge da numerosi studi, sono basate spesso su di uno scetticismo generale riguardo il potere delle aziende, per cui se un’organizzazione si focalizza in maniera particolarmente intensa sulla comunicazione di pratiche sostenibili e socialmente apprezzate potrebbe apparire come se volesse nascondere qualcosa. Inoltre, le imprese che spendono più energie nel comunicare il loro impegno in attività di responsabilità sociale sono anche quelle che per prime vengono messe “sotto la lente di ingrandimento” da parte di media e organizzazioni non governative per svelarne eventuali errori o “passi falsi”.

Appurato, dunque, che esiste un equilibrio molto delicato tra i vantaggi che derivano dalla divulgazione delle pratiche sostenibili e la possibilità di essere sottoposti ad accuse di ipocrisia e falsità, è necessario che i manager pianifichino attentamente questo aspetto della comunicazione di marketing che, altrimenti, potrebbe trasformarsi in un pericoloso boomerang per la reputazione aziendale.

Uno studio condotto negli USA nel 2015 ha affrontato il tema dello scetticismo originato nei consumatori dalla comunicazione della CSR da parte delle aziende (il cosiddetto effetto

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“window-dressing”) spiegando, innanzitutto, come questo sentimento di scetticismo diffuso sia da considerarsi globale, non collegato esclusivamente a determinati comportamenti in capo ad alcune aziende. Tale ricerca va quindi a dimostrare che gli effetti negativi generati dallo scetticismo diffuso tra i consumatori nei confronti delle pratiche sostenibili messe in atto dalle aziende può ridursi comunicando le attività di CSR in maniera più concreta e realistica: informazioni di questo tipo, infatti, vengono percepite come più credibili e generano risposte positive da parte degli stakeholder. Lo studio in questione accerta la veridicità delle seguenti ipotesi, mettendo in luce spunti importanti per capire come gestire al meglio la comunicazione della CSR:

o HP1. Presentare in maniera concreta le informazioni riguardo le pratiche di CSR produrrà risposte più favorevoli da parte dei consumatori e una maggior predisposizione ad essere ricordate.

o HP2. Nel caso di scetticismo nei confronti della CSR l’utilizzo di messaggi più concreti contribuirà ad incrementare risposte favorevoli da parte dei consumatori; nel caso di non-scetticismo la concretezza della comunicazione non produrrà alcun effetto sulla predisposizione ad una risposta favorevole da parte dei consumatori.

o HP3. L’effetto dato dalla concretezza della comunicazione della CSR sui consumatori sarà mediato in base alla credibilità percepita.

o HP4. L’effetto della concretezza della comunicazione della CSR sui consumatori sarà mediato in base all’elaborazione più o meno positiva del messaggio comunicato. È importante, quindi, che le imprese sviluppino iniziative di CSR, le rendano efficaci e vantaggiose comunicandole in maniera realistica e tangibile al target di riferimento e integrino al meglio questi programmi nelle operazioni economiche complessive dell’azienda (Scott Connors, Stephen Anderson-MacDonald e Matthew Thomson, 2015).7

7 Connors, S., Anderson-MacDonald, S., & Thomson, M. (2017). “Overcoming the ‘Window Dressing’effect:

Mitigating the negative effects of inherent skepticism towards corporate social responsibility”. Journal of

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CAPITOLO 2. LA CORPORATE REPUTATION

2.1 Definizione e vantaggi

Un elemento fondamentale caratteristico dell’evoluzione dello scenario comunicativo globale delle imprese è la corporate reputation, ovvero la reputazione di cui godono un’azienda o un brand rispetto agli stakeholder e alla società in generale. Negli anni ’90, manager e ricercatori discutevano ancora sul fatto che il concetto di reputazione potesse avere o meno un certo valore per l’economia e le imprese; nei decenni successivi si è accelerato il percorso di studi relativo a questo ambito e un crescente numero di studiosi ha dimostrato, e ancora oggi continua ad esaminare, la moltitudine di benefici collegati alla reputazione, inclusi il miglioramento del morale dei dipendenti e un aumento dell’interesse dei consumatori nei prodotti e servizi offerti. Quello della reputazione aziendale è un asset riconosciuto come sempre più influente nel grado di sostegno all’azienda da parte degli stakeholder e del loro coinvolgimento nei confronti della stessa. In un contesto di mercato sempre più globalizzato, deregolamentato, caratterizzato da un’innovazione costante, lo scenario che si pone davanti alle imprese implica margini di profitto minori, incertezza e competizione intensa; per questo, si ritiene che gli attributi intangibili delle aziende, come la stessa corporate reputation, siano più durevoli e resistenti alle spinte concorrenziali rispetto agli attributi fisici di prodotti e servizi. Alcuni studiosi affermano che, tra i vari asset intangibili di un’azienda, la reputazione viene ritenuta dai manager la più rilevante: crearsi una buona reputazione, o saper “riparare” ad una situazione di reputazione compromessa, è essenziale per avere successo nei confronti degli stakeholder. Una delle caratteristiche più interessanti tra quelle che delineano la reputazione come un vantaggio competitivo per l’azienda è la sua intangibilità, che la rende praticamente impossibile da copiare o imitare per i competitor; Castelo e Lima (2006) spiegano come “gli asset reputazionali, sebbene non protetti legalmente da diritti di proprietà, siano considerati “path-dependent” (“dipendenti dal percorso”, capaci di portare conseguenze positive anche nel futuro) e caratterizzati da elevati livelli di specificità e complessità sociale, rivelandosi quindi come una forte barriera all’entrata.”8

Una parte della letteratura suggerisce una distinzione dei giudizi in termini reputazionali degli stakeholder tra quelli basati sulla visione generale della reputazione e quelli basati su alcune dimensioni specifiche. Lange e altri studiosi, nel 2011, hanno scritto un articolo di letteratura

8 Pérez, A. (2015). “Corporate reputation and CSR reporting to stakeholders: Gaps in the literature and future

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nel quale hanno identificato la reputazione in tre concetti principali: “essere conosciuti” (“being known”), “essere conosciuti per qualcosa” (“being known for something”) e una “generalizzata positività” (“generalized favorability”).9 Mentre il primo e il terzo concetto rappresentano una percezione ampia dell’organizzazione, “essere conosciuti per qualcosa” suggerisce una dimensione più circoscritta per la misurazione della reputazione. Secondo questa interpretazione, dunque, si è notato che la distinzione critica tra l’“essere conosciuti per qualcosa” e la “generalizzata positività” è che quest’ultima concezione riflette le reazioni di allontanamento/avvicinamento riguardo la percezione generale dell’azienda, mentre il primo concetto rispecchia le aspettative riguardo determinati aspetti o risultati organizzativi desiderati o meno. Anche per questo motivo si è ritenuto necessario individuare delle dimensioni attendibili per una misurazione più scientifica della reputazione aziendale e numerosi studi sono andati in questo senso.

Ma perché tanta attenzione e premura nei confronti di questo concetto? Una possibile risposta alla domanda risiede nella risposta a due ulteriori interrogativi: in che modo ci si guadagna o ci si costruisce una certa reputazione? Come, invece, si può arrivare a perdere una certa reputazione o anche solo a danneggiarla? Queste domande hanno generato numerose considerazioni e convogliato l’attenzione sul tema della corporate reputation, sia da parte di accademici che di professionisti. Studiare le dinamiche e i processi che determinano la reputazione aziendale è sicuramente significativo a livello teorico, dal momento che è un argomento che contribuisce alla comprensione dei cambiamenti sociali, che sono molto importanti per il mondo aziendale; è importante anche a livello pratico dal momento che una certa reputazione può apportare notevole valore all’azienda. Fra i benefici che una buona reputazione può determinare per l’azienda si sottolinea nuovamente la possibilità di guadagnare e mantenere con questa un vantaggio competitivo, diventando possibile ottenere un premium price sui prodotti offerti e attraendo talenti e nuovi investitori. In termini generali, dunque, la corporate reputation viene concepita come il prodotto di azioni, sostanziali e simboliche, intraprese col tempo dall’azienda, per cui le aziende stesse inviano informazioni ad osservatori esterni, che le utilizzano per concepire determinate percezioni dell’azienda in causa. Non tutti gli studiosi sono d’accordo su di un’unica definizione di reputazione aziendale, ma l’idea di base comunemente accettata è che, come asset intangibile ma fondamentale, “la reputazione fa riferimento alle valutazioni e ai giudizi collettivi relativi all’organizzazione da parte degli

9 Lange, D., Lee, P. M., & Dai, Y. (2011). “Organizational reputation: A review”. Journal of management, 37(1), p.153-184

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“osservatori”, considerazioni basate sulle stime di tipo finanziario, sociale e di impatto ambientale attribuite all’azienda nel tempo” (Barnett et al. 2006).10 La reputazione, quindi, riflette il fatto che “col tempo un’organizzazione può diventare ben conosciuta, può maturare una “comprensione generalizzata” nella mente degli osservatori per come viene conosciuta e può essere giudicata in maniera positiva o negativa dagli osservatori” (Lange et al. 2011). Aspetto centrale in tutte le definizioni del concetto di reputazione è che quest’ultimo implica una valutazione e un confronto fra organizzazioni per determinare la reputazione relativa dell’una e dell’altra; considerando, per esempio, due organizzazioni, queste avranno o la stessa reputazione, oppure, più probabilmente, quella di una sarà migliore di quella dell’altra: è per questo motivo che una buona reputazione è percepita come un vantaggio competitivo essenziale e distintivo per le aziende.

Considerare la reputazione come fonte di vantaggio competitivo fa sì che le aziende, a loro volta, debbano agire coerentemente con le loro performance passate e con le aspettative del pubblico. In questo senso la corporate reputation può essere concepita come una soluzione al problema dell’asimmetria informativa che solitamente hanno gli attori del mercato riguardo la qualità dei prodotti, il prezzo e, soprattutto, l’autenticità o la mera “simbolicità” dei messaggi di CSR diffusi dall’azienda. Infatti, quando si trovano di fronte ad una mancanza di informazioni riguardo un prodotto o determinate attività dell’azienda, gli stakeholder fanno riferimento alla reputazione della stessa per giudicare e valutare i suoi prodotti e le sue intenzioni. In questo modo, la reputazione funziona come segnale per gli osservatori esterni, segnale che permette loro di comprendere meglio le caratteristiche chiave dell’azienda osservata.

Anche per i consumatori la reputazione di un’azienda è un parametro importante sul quale basarsi per le loro decisioni di acquisto: se, per esempio, un consumatore valuta la possibilità di acquistare un prodotto basandosi sui comportamenti positivi di un’azienda nel suo passato, una buona reputazione legata a quella stessa azienda potrà essere garanzia di comportamento altrettanto positivo anche nel futuro. Di conseguenza, avere una buona reputazione può diventare un grande vantaggio competitivo per l’azienda quando va a trattare con tutti i suoi vari stakeholder, dai consumatori agli investitori; tuttavia, spesso una certa reputazione va considerata specificatamente relativa a determinati ambiti o caratteristiche dell’azienda stessa, per cui si può avere una particolare reputazione in relazione alla redditività, diversamente però

10 Barnett, M. L., Jermier, J. M., & Lafferty, B. A. (2006). “Corporate reputation: The definitional landscape.” Corporate reputation review, 9(1), p.26-38

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da altri ambiti come il trattamento dei lavoratori, la responsabilità sociale ed ambientale, la governance o la qualità del prodotti. Esistono numerose aziende che hanno una reputazione molto alta tra gli stakeholder riguardo la loro capacità di fare profitti ed essere finanziariamente interessanti ma che, al contempo, godono di una pessima reputazione in ambito di CSR o di condizioni lavorative. Per questo motivo si afferma anche che la reputazione può differenziarsi in base al gruppo di stakeholder a cui si fa riferimento, dal momento che spesso i loro interessi nei confronti delle attività di un’azienda sono molto diversi, anche diametralmente opposti. Questo significa che, per esempio, la reputazione di un’organizzazione dal punto di vista dei suoi dipendenti si baserà principalmente sulle caratteristiche dell’ambiente di lavoro, come gli stipendi, le opportunità di carriera, i benefici e l’assistenza sanitaria; il punto di vista dei consumatori, invece, riguarderà principalmente aspetti come prodotti e servizi offerti, azioni di marketing, livello dei prezzi…

È chiaro, quindi, come la corporate reputation rimanga un asset molto difficile da definire in maniera precisa ed oggettiva, perché strettamente correlato agli ambiti di interesse dei diversi stakeholder e basato su molteplici variabili.

2.1.1 Identity, Image, Legitimacy: alcuni concetti relativi alla reputazione

Gli studi in questo ambito evidenziano alcuni concetti che spesso sono strettamente legati alla corporate reputation, e sono il concetto di “identity”, “image” e “legitimacy”. Il primo, l’identità, descrive la percezione che dipendenti e manager, ovvero coloro che lavorano all’interno dell’organizzazione, hanno rispetto alla natura della loro azienda e comprende il carattere centrale, sottostante, dell’azienda stessa; si riferisce, quindi, a quegli aspetti dell’azienda che dipendenti e manager ritengono fondamentali, duraturi e distintivi dell’azienda in cui operano. Il senso dell’identity è la risposta alla domanda “Chi o cosa pensiamo di essere come organizzazione?”: si può quindi rispondere che si percepisce la propria azienda come socialmente responsabile, sostenibile o etica.

Diversamente dall’identità, l’immagine (image) è la percezione che gli osservatori esterni, come gli investitori, i consumatori e il pubblico generale hanno di un’organizzazione. L’immagine descrive cosa viene in mente quando si sente parlare di un’azienda, o si riconosce il logo di un brand, quindi si riferisce all’impressione generale di una determinata organizzazione da parte degli stakeholder esterni. Per comprendere quale sia l’immagine di un’azienda si deve rispondere alla domanda “Chi o cosa vogliamo che gli altri pensino che siamo?”: un’azienda può volersi creare un’immagine di compagnia responsabile per l’ambiente o di azienda attraente per investitori e azionisti.

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