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CAPITOLO 2. LA CORPORATE REPUTATION

2.4 Walking CSR e Talking CSR

Oggigiorno le aziende si trovano di fronte ad una doppia sfida: essere viste nel fare la cosa giusta e, al contempo, essere notate nel fare qualcosa di diverso, e soprattutto migliore, rispetto

14 Baraibar-Diez, E., & Sotorrío, L. L. (2018). “The mediating effect of transparency in the relationship between

corporate social responsibility and corporate reputation”. Revista Brasileira de Gestão de Negócios, 20(1), p.5-

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agli altri competitor. È chiaro ormai che le aziende si sono trasformate, sotto la spinta degli stakeholder, per sembrare attori responsabili; sono sempre più obbligate, anche dalla legge e dall’opinione pubblica, ad assumersi responsabilità ampie, che riguardino la tutela dell’ambiente, la responsabilità sociale, la beneficenza, i diritti dei lavoratori, il benessere lavorativo, il coinvolgimento nella comunità sociale e la salute dei consumatori. In altre parole, dunque, ci sono significative pressioni sulle aziende ad andare incontro alle aspettative del pubblico esterno e agli standard di legittimazione per quanto concerne il suo impegno in CSR. Questa dinamica porta gli stakeholder ad attribuire un’identità particolare alle organizzazioni e a definire una certa reputazione dell’organizzazione stessa allo stesso modo in cui gli esseri umani si creano impressioni di altri esseri umani.

Da questo processo di “personificazione” dell’azienda e della sua reputazione emergono due specifiche implicazioni. Innanzitutto, gli stakeholder vanno a ricollegare le varie impressioni di una certa organizzazione in una singola immagine, e quindi in una singola reputazione, come se i vari messaggi e le varie azioni comunicati a livello aziendale dai vari membri che vi lavorano provenissero da una singola persona. In altre parole, integrano fra loro le diverse percezioni riconducendole ad un solo attore che opera in un determinato contesto ambientale nel quale cerca di differenziarsi dalle aziende rivali per guadagnarsi una certa fama e legittimità. In secondo luogo, le aziende vengono ritenute capaci di compiere azioni deliberate e dirette ad un obiettivo, agendo come essere umani con una certa intenzionalità e capacità di agire. Per questo motivo, nella società moderna, le organizzazioni vengono trattate come se fossero individui, sia dalla legge che dai consumatori e dall’opinione pubblica, e viene concesso loro un certo potere di agire insieme all’assunzione di diritti e responsabilità.

Queste importanti implicazioni permettono di studiare la relazione tra CSR e reputazione facendo anche una distinzione tra atteggiamenti diversi delle aziende in relazione alle loro pratiche sostenibili, ovvero tra quando si impegnano in “talking CSR” o in “walking CSR”. La prima strategia include i vari modi in cui un’azienda comunica con il suo pubblico esterno, come i consumatori; questo concetto riflette una sorta di pubblicità con l’obiettivo di promuovere una certa immagine e reputazione aziendale, allo stesso modo di come si fa per vendere i prodotti e servizi offerti. “Walking CSR”, invece, prevede azioni e comportamenti sostanziali diretti ad obiettivi sostenibili da parte dell’azienda, come l’adeguamento dei sistemi di produzione per diminuire l’impatto ambientale o il miglioramento delle condizioni di lavoro lungo tutta la supply chain; in questo caso le aziende investono risorse in un business più responsabile e implementano la CSR in tutti i processi al cuore dell’impresa per raggiungere risultati misurabili. Questi due profili non sono mutualmente esclusivi ma, se osservati

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distintamente, possono definire i diversi gradi di coinvolgimento in CSR da parte delle organizzazioni. L’ideale, per un’azienda, sarebbe quello di “walking the talk”: impegnarsi seriamente con i propri stakeholder mettendo in pratica attività di CSR e comunicare i risultati in maniera trasparente e collaborativa.

2.4.1 Walking CSR: un’opportunità per migliorare la propria reputazione

Le aziende che vogliono attuare una strategia di “walking CSR” cercano di sviluppare seriamente pratiche di business che siano attente all’ambiente e socialmente ed eticamente responsabili, a partire dalle loro core operations. Questo impegno può dare l’opportunità di migliorare la propria reputazione. Alcuni studi (Yoon et al.) affermano che gli effetti reputazionali positivi della CSR sono tanto più forti se le motivazioni alla base di queste scelte aziendali sono percepite come sincere: in questo caso, quindi, l’azienda non può permettersi di impegnarsi in maniera “simbolica”.

I consumatori tendono anche a garantire una reputazione migliore se percepiscono una minor rilevanza degli eventuali benefici utili all’azienda che potrebbero derivarle dalle attività di CSR; questo significa che è opportuno che l’azienda non faccia trasparire una motivazione strumentale alla base delle sue scelte in ambito di CSR, bensì che faccia percepire essenzialmente il suo impegno come motivato da una certa attenzione alle tematiche sociali e ambientali come cosa giusta da fare, a prescindere dalle opportunità di profitto.

La ricerca di Yoon mostra anche come i consumatori considerino più credibili le pratiche di CSR se ne ricevono informazioni da fonti indipendenti e neutrali, e non esclusivamente dall’azienda stessa: per questo motivo, l’attività di CSR messa in pratica dall’azienda viene giudicata più sincera se accompagnata da certificazioni come il marchio Fairtrade.

Un aspetto ancora controverso è quello che riguarda lo strumento della beneficenza da parte delle imprese per migliorare la propria reputazione; mentre alcune ricerche affermano che c’è una correlazione positiva tra le donazioni aziendali, per esempio a organizzazioni caritatevoli, e la reputazione aziendale, altre esprimono molto più scetticismo al riguardo, mettendo in dubbio il fatto che attività di questo tipo possano migliorare la reputazione delle aziende e affermando, invece, che è necessario implementare la CSR a partire dalle decisioni strategiche e dalle operazioni principali dell’azienda per raggiungere un risultato in questo senso. In generale, gli stakeholder fanno più attenzione a quanto sono sostenibili le attività che creano veramente valore per l’azienda (“how the money is made”) quando valutano la CSR e sono meno focalizzati sulle attività di beneficenza alle quali l’azienda dedica parte dei suoi profitti (“how the money is spent”).

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In ultima analisi è necessario sottolineare che una strategia di “walking CSR” può aiutare a proteggere la reputazione aziendale da eventuali danni dovuti a crisi o scandali: molti studiosi concordano sul fatto che, in situazioni di crisi reputazionali, l’impegno “sincero” in CSR offre protezione contro la pubblicità negativa diffusa dai media; le aziende più credibili sotto il profilo della responsabilità sociale sono quindi esposte in misura minore a questo tipo di rischio rispetto a quelle che non vengono percepite come genuine e realmente coinvolte.

2.4.2 Talking CSR: il rischio di un danno reputazionale

Diversamente dalla strategia precedentemente spiegata, quella di “talking CSR” prevede che le aziende non si impegnino particolarmente in CSR ma, piuttosto, si dedichino a comunicare alcune attività, senza che queste siano inglobate nella strategia dell’azienda. Questo approccio, chiamato anche di “greenwashing”, a lungo andare può recare danni reputazionali anche ingenti alle organizzazioni che lo adottano: sono numerosi i casi in cui i consumatori hanno iniziato a boicottare un’azienda nel momento in cui è stata scoperta a divulgare un profilo di responsabilità etica e sociale quando non era tale nella realtà dei fatti; spesso, anche le organizzazioni no profit lanciano campagne contro questo tipo di aziende.

Mentre la strategia di vera implementazione della CSR nelle attività aziendali, come abbiamo visto, è considerata la scelta migliore per la costruzione di una buona reputazione nel lungo periodo, allo stesso tempo è anche una strategia molto costosa per l’azienda e complessa da misurare in termini di risultati, quindi difficilmente valutabile nel breve periodo. Se le aziende scelgono di dedicarsi al comunicare la CSR, senza però un particolare impegno complessivo corrispondente, può essere per loro molto meno costoso e più vantaggioso nel breve periodo, almeno fintanto che gli stakeholder non dovessero rivelare la “finzione”. Per questo motivo, spesso non è semplice per le imprese venire a capo della soluzione migliore a questo “dilemma”.

2.4.3 Quando “essere troppo buoni” si può ritorcere contro

Molti manager e ricercatori sono concordi nell’affermare che avere una buona reputazione costituisce un beneficio importante per le aziende, attraendo consumatori, investitori e lavoratori. Tuttavia, alcuni studiosi hanno analizzato la questione da un punto di vista diverso, chiedendosi se possano esistere dei rischi o delle conseguenze negative anche nel “fare cose buone”.

Secondo alcuni, il focus sempre maggiore sull’aspetto della costruzione della reputazione aziendale rende le imprese più vulnerabili agli attacchi dei gruppi di attivisti, come quelli che fanno parte di organizzazioni non governative come Greenpace. Una buona reputazione può

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rivelarsi una grande responsabilità da gestire per le aziende, il prezzo da pagare per avere una buona fama. Una volta che un’azienda si è costruita una certa reputazione è obbligata a mantenerla tale e, di conseguenza, crea intorno a sé grandi aspettative che non può disattendere. Dal punto di vista degli attivisti, c’è molto da guadagnare nel costringere le imprese a difendere la propria reputazione: infatti, quando eventi negativi coinvolgono soprattutto le grandi aziende più famose e ben affermate, i media sono particolarmente attratti e generalmente guadagnano l’attenzione di molti stakeholder, elemento dal quale dipende la “sopravvivenza” e la forza degli attivisti stessi se vogliono influenzare l’opinione pubblica.