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Il processo di sviluppo delle Banche Retail: il caso Banca di Pisa e Fornacette Credito Cooperativo

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione

Capitolo 1 Il business retail delle banche

1.1 Confini e natura del retail banking

1.2 La dinamica competitiva dei mercati retail

1.3 Il ruolo delle banche locali indipendenti

1.4 Struttura dei mercati retail

1.4.1 Nozione di struttura dei mercati bancari

1.4.2 L’evoluzione della struttura del mercato retai

1.5 Il concetto di segmentazione

1.5.1 Logiche di segmentazione della domanda

1.5.2 Variabili di segmentazione

1.5.3 Metodi di segmentazione

Capitolo 2 L’evoluzione del marketing del Retail

2.1 Evoluzione della domanda

2.2 Il concetto di marketing relazionale

2.3 Dal mass marketing al target marketing

2.4 Nuove esigenze della clientela retail

2.5 Il modello ABI di Customer Satisfaction

2.6 Dal concetto di reputazione al rischio reputazionale

2.6.1 La collocazione del rischio reputazionale nel “sistema dei rischi”

2.6.2 Valutazione e quantificazione del rischio reputazionale

2.6.3 La gestione del rischio reputazionale nelle banche

Capitolo 3 Customer Relationship Management e Marketing esperienziale,quali

strumenti evoluti per la fidelizzazione del cliente

3.1 Cos’è il CRM ?

3.1.1 I processi operativi del CRM

3.2 L’approdo al marketing esperienziale

3.2.1 I concetto di marketing esperienziale

3.2.2 Il contributo del cliente nel marketing esperienziale

3.2.3Il marketing esperienziale ed il mercato

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Capitolo 4 Lo sviluppo della multicanalità

4.1 Alcune linee di tendenza

4.2 Distribuzione e canali nell’offerta bancaria

4.3 L’innovazione del modello di servizio alla clientela

4.4 Come cambia l’agenzia bancaria

4.5 Multicanalità e varietà dei ruoli

4.6 Nuovi orizzonti:l’accesso ai social network

4.7 Mappare l’intercanalità

4.8 La rivoluzione dei contact center bancari

4.9 Come affrontare la trasformazione

Capitolo 5 Il caso Banca di Pisa e Fornacette Credito Cooperativo

Bibliografia

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Introduzione

I profondi cambiamenti che, nel corso dell’ultimo decennio, hanno complessivamente interessato le moderne economie, unitamente agli effetti prodotti dalla perdurante crisi finanziaria nazionale ed internazionale, hanno progressivamente indotto le aziende di credito, nello specifico quelle italiane, a modificare molti degli aspetti peculiari del modo di “fare banca”. In particolare elementi quali il progresso tecnologico, i cam-biamenti a livello normativo ed istituzionale e l’evoluzione del comportamento della domanda hanno imposto condotte e modelli bancari profondamente differenti da quelli posti in essere in passato, spingendo il mondo dell’intermediazione creditizia ad uscire dai vecchi schemi per misurarsi con una nuova realtà.

Se il nostro sistema bancario, grazie alle radicate relazioni di clientela ereditate dal passato ed in gran parte legate alla spiccata vocazione al presidio del territorio, ha sa-puto meglio di altri superare i contraccolpi della prima fase della crisi, ha poi dovuto interrogarsi, stante il permanere di un contesto altamente volatile e rischioso, sulle possibilità di sviluppo di modelli di business finalizzati a garantire la sostenibilità dei margini di profitto oltre il breve termine, attraverso il rafforzamento delle relazioni di clientela.

La ripresa di attenzione ai bisogni degli investitori retail da parte degli operatori del settore,

anche al centro del dibattito che ha accompagnato e sta accompagnando gli sviluppi del quadro regolamentare europeo, comporta per gli intermediari un profondo ripen-samento dell’approccio tradizionale alla prestazione dei servizi di investimento. Cre-scente impegno si richiede infatti nella messa a punto di metodologie che aiutino non solo nella ottimizzazione di portafogli diversificati e nel controllo dinamico della ri-schiosità, ma anche nella corretta comprensione dei bisogni della clientela retail. Eloquente la rappresentazione fornita, per tali nuovi orientamenti, da uno speciale rap-porto comparso su “The Economist” lo scorso maggio 2012, recante il titolo Retail

Renaissance.

Tra le novità ivi indicate spicca l’enfatizzazione della necessità di ripensare radical-mente ruolo e struttura delle filiali come punti preposti alla erogazione dei servizi, in

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un mondo in cui nuovi canali e strumenti di comunicazione hanno trasformato e tra-sformeranno radicalmente non solo i rapporti tra i singoli, ma anche la gestione dei lo-ro affari.

Se da un lato il ridisegno delle modalità di interlocuzione tra clienti e banche retail è in parte imposto dall’evoluzione dei sistemi di comunicazione (ci riferiamo in particolare a canali quali l’Internet Banking, il Mobile Banking, oltre ai Social Network), dall’altro si sottolinea come l’apertura alle nuove tecnologie possa generare rilevanti vantaggi competitivi e conseguenti opportunità reddituali, attraverso un uso più efficace del pa-trimonio informativo disponibile sulla clientela, nelle fasi di progettazione e prestazio-ne di nuovi prodotti/servizi.

Elemento imprescindibile di crescita diviene dunque la costruzione di solide relazioni di clientela, utili a garantire risultati sostenibili oltre il breve termine, mediante raffor-zamento della reputazione di cui l’intermediario retail gode sul mercato. L’importanza della tematica risulta trovare preciso riscontro anche negli orientamenti espressi dalla produzione normativa comunitaria di questi ultimi anni, ove la tutela degli investitori retail figura tra gli obiettivi da perseguire con determinazione. Adeguata tutela che do-vrà essere realizzata attraverso una rigorosa identificazione dei bisogni dei clienti ed attraverso un’altrettanto approfondita valutazione della loro tolleranza al rischio. Enfatizzazione della centralità del cliente, alle cui esigenze devono adattarsi l'operati-vità bancaria ed i servizi forniti, scelta di canali alternativi a quelli tradizionali, politi-che focalizzate su specifici segmenti di mercato, nonché strategie di fidelizzazione del-la clientedel-la acquisita e potenziale, sono solo alcuni esempi dei mutamenti intervenuti in seno alle banche retail.

All’interno di questo lavoro verranno analizzati i suddetti aspetti, tra loro strettamente correlati ed indispensabili per la stessa sopravvivenza dell’azienda-banca.

Più precisamente, dopo un breve accenno ai mutamenti avvenuti in seno alla struttura dei mercati retail (con particolare attenzione rivolta al ruolo rivestito dalle banche lo-cali) ed all’evoluzione della dinamica competitiva interna ad ogni segmento, l’attenzione sarà focalizzata sulle strategie adottabili dalla banca retail (vedremo in-centrate essenzialmente sullo sviluppo di servizi ad elevato valore aggiunto) al fine di un recupero in termini di redditività ed efficienza.

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Verificando come all’espansione del comparto dei servizi abbiano contribuito gli svi-luppi di Internet e delle nuove tecnologie, responsabili della rivoluzione per ciò che concerne le modalità di accesso del cliente ai servizi stessi (adozione di canali distribu-tivi alternadistribu-tivi al più tradizionale sportello),indagheremo poi sui caratteri che, nel tempo, hanno segnato la profonda evoluzione del rapporto banca /cliente. Snodo cen-trale è il passaggio da un rapporto distaccato ed incentrato sull’offerta di prodot-ti/servizi standard ad un approccio che consideri il cliente come “attore” centrale con il quale interagire, alla continua ricerca di un dialogo privilegiato. Una gestione market

oriented vedremo essere mirata alla conciliazione di due obiettivi principe : da un

la-to la necessità di fornire servizi con caratteristiche quali-quantitative tali da soddisfare i bisogni e le preferenze del pubblico (più in generale, le tendenze evolutive della si-tuazione di mercato), dall’altro la necessità di massimizzare i propri obiettivi di ge-stione.

Per ciò che attiene invece al ruolo dell’innovazione tecnologica , se essa contribuisce sensibilmente al miglioramento del servizio (possibilità di collegarsi con la propria banca in qualunque momento e da qualsivoglia luogo) andando ad incrementare le possibilità di coinvolgimento del cliente, grande attenzione deve essere prestata a quel-lo che è stato riconosciuto come un rischio di spersonalizzazione della relazione. Da qui la necessità di recuperare un processo di ascolto e di studio del cliente consapevo-le, mirato e non passivo, destinando tale compito a risorse umane qualificate e specifi-ci canali, in grado di alimentare una comunicazione con il cliente di tipo interattivo . Assistiamo dunque ad una progressiva perdita del tradizionale carattere di unidirezio-nalità del rapporto: non sarà più solo il cliente a rivolgersi alla propria banca ma anche quest'ultima potrà, e dovrà, proporre un'offerta su misura per ogni cliente.

Nella nuova realtà di mercato la banca retail deve assumere come target non il cliente generico (mass marketing) bensì il cliente specifico (target marketing) di cui si impe-gnerà a conoscere approfonditamente abitudini, modo di pensare, motivazioni e fabbi-sogni: scaturisce da qui l’ingresso del marketing, quale filosofia di gestione aziendale, in ambito bancario. In un contesto fortemente competitivo come quello attuale l’evoluzione spinge verso un approccio relazionale: la misurazione della customer sa-tisfaction diviene per la banca retail passaggio obbligato di una producente relazione,

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fungendo dunque da raccordo tra le aspettative del cliente e gli obiettivi strategici di redditività nel tempo della banca.

Il banchiere che intenda adottare un approccio relazionale dovrà necessariamente con-frontarsi con il tema della segmentazione della domanda, intesa questa come suddivi-sione del mercato in classi (segmenti) omogenee, secondo opportune variabili (geogra-fiche, psico-socio-economiche, psicogra(geogra-fiche, comportamentali) che costituiscono la cosiddetta base della segmentazione stessa. Il passo successivo si configura come stu-dio delle specifiche esigenze ed aspettative dei componenti del segmento identificato, con conseguente ricerca dei prodotti/servizi per esso più coerenti; sarà la soddisfazione del cliente a generarne la fidelizzazione, incidendo direttamente sulla redditività a-ziendale.

Il Customer Relationship Management , inteso in senso ampio come insieme di strate-gia, processi, cultura e tecnolostrate-gia, diviene strumento fondamentale per la gestione del-la redel-lazione con il mercato secondo l’ottica sopra descritta; del-la sua implementazione dovrà abbracciare l’intera catena del valore della relazione di clientela, dalla fase di acquisizione, alla retention , alla conclusiva fase di de-marketing, conducendo alla co-struzione di una serie di processi operativi fondamentali: gestione del patrimonio in-formativo, segmentazione, definizione di adeguati pacchetti di offerta, gestione dei processi di vendita, gestione e selezione dei canali distributivi. Per ciò che concerne questi ultimi, impossibile non tener conto della digitalizzazione della relazione ban-ca/cliente, cui si è assistito nell’ultimo decennio. Le maggiori opportunità offerte dalla tecnologia e la conseguente evoluzione delle modalità con cui la clientela retail si rap-porta con l’intermediario bancario , hanno spinto quest’ultimo a ripensare ed innovare il proprio modello di business: in particolare lo sviluppo di nuovi canali distributivi dovrà da un lato puntare al miglioramento della loro integrazione (multicanalità

inte-grata) per favorire una relazione efficace e, dall’altro, all’attivazione di più moderne

modalità di accesso (social network) alla banca ed ai suoi servizi.

Obiettivo irrinunciabile della trasformazione, in risposta alla crisi ed alla volubilità del cliente, si conferma dunque l’ottimizzazione della customer experience; elemento chiave il coinvolgimento del cliente (stimolare un atteggiamento empatico nei

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ti della propria banca) in ogni fase della relazione, realizzabile mediante i nuovi ap-procci forniti dal marketing esperienziale.

Infine, per meglio comprendere come nella realtà bancaria retail del nostro territorio si affrontino concretamente i temi che costituiscono l’oggetto di questo lavoro, verrà ana-lizzato il caso della Banca di Pisa e Fornacette Credito Cooperativo; si vedrà come i concetti di centralità del cliente, utilizzo della tecnologia, multicanalità, segmentazio-ne, soddisfazione e fidelizzazione della clientela, hanno trovato e trovano applicazione all’interno di un’azienda di credito locale.

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Capitolo 1 Il business retail delle banche

1.1 Confini e natura del retail banking

Il concetto di retail banking non ha una matrice tipicamente aziendale ma è il frutto di una distinzione operata dalla letteratura economica, di origine anglosassone, afferma-tasi negli anni 60, che contrappone due modelli di gestione bancaria ( e di tipi di ope-razioni ): da un lato, il modello basato su flussi finanziari connessi a grandi operatori -

attività all'ingrosso -e, dall'altro lato, il modello basato sui flussi finanziari connessi a

piccoli operatori - attività al dettaglio. I due modelli si richiamano alle definizioni tipi-che dell'attività commerciale distributiva ( wholesale e retail ).

In una definizione del 1987 Lewis e Davis osservavano:

“Retail banking refers to the provision of services to individuals and small business where the financial istitutions are dealing in large volumes of low-value transactions. This is in contrast to wholesales banking where the customers are large, often multi-national companies, governments or governmentals enterprises, and the istitutions deal in large-valued transactions, usually in small volumes”.

La considerazione della provenienza (analogica) del termine “retail” è importante in quanto il riconoscerne la natura di tipo istituzionale rispetto a una connotazione di provenienza strategico-aziendale, pone in discussione non solo la coerenza della defi-nizione rispetto all'esistenza di un vero e proprio business, ma anche la significatività della stessa sul piano della lettura del mercato. Si deve infatti rilevare come le banche abbiano spesso adottato, e adottino attualmente, il termine “retail” nei processi di seg-mentazione della clientela e di divisionalizzazione organizzativa facendo sorgere, in seconda istanza, la domanda “ che cos'è il retail ? ” , evidenziandone così un utilizzo in termini più di “ macrosegmentazione” che di segmentazione operativa. Che il retail sia un macro business segmentato ( e segmentabile ) è evidente quando ci si riferisca alla stessa definizione di retail banking, la quale sul piano dei prodotti richiama un da-to omogeneo, rappresentada-to dalle transazioni di piccolo ammontare ma, sul piano dei clienti, identifica due grandi categorie: quella dei privati (personal) e quella delle im-prese (business). Le distinzioni all'interno del retail possono essere, comunque, molto

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più articolate secondo un processo di sotto segmentazione che meglio qualifica la do-manda.

Da questo punto di vista, l'enfasi si sposta dal valore economico delle transazioni (di piccolo ammontare) al valore economico della clientela (di piccole dimensioni) il qua-le, a sua volta, ne richiama il profilo del reddito/patrimonio come proxy dei relativi bi-sogni finanziari e, quindi, della potenzialità di offerta da parte della banca. Si possono individuare, quindi, dal lato dei privati, il segmento dei mass market e quello degli

af-fluent (benestanti), i quali si distinguono dal segmento dei private che qualifica gli

in-dividui ad alto reddito/patrimonio. Dal lato delle imprese a basso fatturato, invece, si possono distinguere le micro-imprese (piccoli operatori economici – POE) dalle pic-cole imprese (small business). Entrambe le categorie di clienti, di fatto, rappresentano le famiglie consumatrici e produttrici di un dato paese. Si tratta quindi di un mercato nell'ambito del quale ciascun cliente, preso singolarmente, rappresenta una piccola fra-zione del volume di affari necessario a raggiungere una redditività soddisfacente per la banca.

Per un certo periodo la letteratura riferita alle scelte strategiche in campo bancario e fi-nanziario, come pure il mercato degli operatori, ha rivolto maggiore attenzione all'evo-luzione della dinamica competitiva di altre aree di attività supposte maggiormente ric-che e nobili, quali il corporate banking (dedicato alle medie grandi imprese) e il priva-te banking (altrimenti rivolto ai privati ad alto reddito/patrimonio),progressivamenpriva-te costruendo attorno al retail banking aree di affari diverse ottenute per “estrazio-ne”(clientela private,clientela corporate e così via).

Orientamento questo che ha lasciato il retail in una condizione tradizionale, rispetto alla quale la generalità delle banche ha tardato non poco a sviluppare veri e propri mo-delli di business distintivi.

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1.2 La nuova dinamica competitiva dei mercati retail

La perdurante crisi dell’economia europea ed internazionale,i cui effetti si sono palesa-ti sin dai primi anni del terzo Millennio, ha poi sensibilmente contribuito al cambia-mento della prospettiva dell'attrattività relativa del retail banking , stanti le migliori performance comunque garantite da tale area di attività sotto il profilo del rendimento-rischio.

Ne è derivata pertanto una ripresa di attenzione da parte dei grandi istituti nazionali, che hanno mostrato di voler investire e crescere nell'area del retail banking, ampliando la propria operatività nei mercati locali.

Preso ben presto atto dell'esistenza di limiti nel realizzare uno sviluppo capillare dell'articolazione territoriale, alla luce del vantaggio competitivo della banca locale fortemente radicata nel territorio di riferimento, le banche nazionali hanno in molti ca-si operato mediante procesca-si di acquica-sizione che hanno visto le banche locali entrare nell'orbita dei grandi gruppi bancari (c.d. concentrazione). Il riflesso generatosi sul pi-ano organizzativo afferisce all'introduzione di logiche di divisionalizzazione (divisioni mercato a livello di macro struttura) con la definizione di posizioni di responsabilità nella gestione del retail sia nelle holding, sia nelle banche controllate, al fine di meglio focalizzare l'azione strategica ed operativa su tale business.

Le banche locali indipendenti hanno visto così accrescersi nei propri mercati il grado di competitività, peraltro già incrementato dal processo di deregulation che ha permes-so l'ingrespermes-so anche di intermediari non bancari.

Osserviamo la Tavola 1 nella quale sono riportate le principali categorie di attori dell'offerta nei mercati del retail, con riferimento alla situazione italiana. Nella stessa tavola compaiono anche i competitors esteri sia come operatori già presenti in Italia nei mercati del retail, sia come concorrenti potenziali. Il riferimento alla possibile con-correnza estera pone il problema del grado di contendibilità di tali mercati. L'attrattivi-tà sul piano del rendimento-rischio è evidentemente un incentivo all'entrata da parte degli operatori esteri più efficienti.

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Tavola 1. Competitors dei mercati del retail

Fonte: Baravelli ,Omarini-Le strategie competitive nel Retail Banking, Bancaria Editrice,2005

La Tavola 2 intende poi richiamare l'attenzione sul fatto che sono le logiche competi-tive degli attori suddetti che determinano la struttura dei mercati delle retail. La struttu-ra del mercato che ne deriva non è un dato, ma la risultante degli approcci e dei model-li competitivi. L'orientamento alla segmentazione della cmodel-lientela e l'adozione di strate-gie competitive per sottosegmento portano alla configurazione non di un mercato ma di diversi mercati del retail.

Punti di partenza per lo studio dell'evoluzione della struttura del mercato, tema questo che sarà oggetto di trattazione del successivo capitolo del presente lavoro, sono dun-que l'analisi e la comprensione delle strategie competitive dei vari attori e delle loro re-lazioni reciproche, in termini di mosse e contromosse.

Banche locali indipendenti

Banche locali controllate da grandi poli/gruppi

Mercati del retail

Reti di filiali di divisioni retail di grandi poli/gruppi

Altri intermediari e completitors nel retail (Poste)

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Struttura pro-tempore dei mercati del retail Condotta dei

Competitors Pensiero Strategico Sottosegmentazioni Politiche Competitive

Risposta da parte della domanda Reazioni e contromosse

della concorrenza

Tavola 2. Segmentazione e struttura dei mercati del retail

Fonte :Baravelli ,Omarini-Le strategie competitive nel Retail Banking ,Bancaria Editrice,2005

1.3 Il ruolo delle banche locali indipendenti

La rilevanza del tema trae giustificazione dalla considerazione che il retail banking re-sta comunque storicamente riconducibile a tali banche.

Operando su un territorio circoscritto, anche per vincoli normativi, esse si sono specia-lizzate con la clientela locale prevalentemente costituita da piccoli operatori economici (microimprese) e dalle famiglie.

È chiaro, quindi, come tra banche locali e mercati locali esistano strette connessioni, in virtù non solo della bassa modalità spaziale (e anche economica) della clientela locale, ma anche di fattori di coesione socio-economica.

Non bisogna infatti dimenticare che, storicamente (ma anche al presente), il sorgere di banche locali (come nel caso dei crediti cooperativi) trova un punto qualificante nella "strategia sociale" (qui intesa come acquisizione del consenso sociale) diretta a fare della banca un punto di riferimento dello sviluppo economico del territorio attraverso la mobilitazione delle risparmio locale a favore delle attività economiche locali. La co-esione sociale attorno alla banca locale si consolida, in quanto l'istituzione finanziaria viene interpretata (e funziona in pratica) come rappresentante degli interessi della co-munità locale. Coco-munità locale e banca locale coevolvono sul piano economico, in

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funzione della propria capacità di crescita e di creazione di valore nell'ambito del terri-torio di appartenenza.

La differenza tra banche locali e banche nazionali risiede nella diversa articolazione e collocazione territoriale. Le banche locali si sviluppano in modo "concentrato" (capil-lare) su una area territoriale delimitata (non necessariamente di dimensione circoscrit-ta) favorendo quindi un'attività bancaria di tipo localistica. Se per lungo tempo (alme-no si(alme-no agli anni Settanta/Ottanta) le banche locali si so(alme-no trovate, nel (alme-nostro paese, al riparo dalla concorrenza delle banche nazionali (mostratesi non interessate ai piccoli operatori, e per lo più portatrici di espressioni esterne al localismo), l'accresciuto inte-resse dimostrato da queste ultime in seno all'attività di raccolta nei confronti delle fa-miglie ha non poco contribuito ad aumentare la competizione nell'area del retail.

Osserviamo come,in risposta a ciò, talune banche locali abbiano intrapreso azioni di estensione dell'operatività al di fuori delle tradizionali aree gravitazionali, sia con l'a-pertura di sportelli in nuove zone operative, sia con reti di promotori finanziari, cedendo dunque nel senso di una crescita dimensionale. Non trascurabili, nella pro-spettiva di comprendere l'impatto dell'attività bancaria sul localismo economico, ap-paiono eventuali effetti di "spersonalizzazione" delle condotte, maturati nel passaggio da dimensione "locale" a dimensione "globale".

Abbiamo già avuto occasione di rilevare che il retail banking, dal lato degli impieghi, si traduce nel sostegno finanziario dei piccoli operatori economici e delle small busi-ness, mentre, dal lato della raccolta, costituisce un importante canale di raccolta del ri-sparmio familiare a livello locale. La questione principale, che si intende evidenziare, è se l'effetto di globalizzazione, che in buona parte passa attraverso il processo di con-centrazione con la riduzione del numero di banche locali indipendenti, non determini un indebolimento dell'attenzione verso il "localismo". Questo pericolo deriva non solo dalla tendenza alla standardizzazione, che induce a trascurare le differenze (e le diffe-renze contano nel localismo), ma anche e soprattutto dalla logica efficientistica della globalizzazione, che implica la riduzione dell'attenzione a quei segmenti di mercato meno attrattivi sul piano del rendimento.

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A ciò si aggiungano gli effetti prodotti dal forte sviluppo di Internet nel retail banking, tesi alla realizzazione della globalizzazione di tale attività : limitiamoci ora ad osserva-re come il ricorso a canali distributivi telematici causi il venir meno dei confini terri-toriali ( business virtuale), rimandando all’ampia analisi condotta sul tema nel quarto capitolo del presente lavoro.

Possiamo dunque riflettere sulla misura in cui tale prospettiva possa indebolire la pre-senza fisica ed il radicamento territoriale della banca locale, tenendo altresì conto del contrasto culturale che può sorgere fra la “filosofia” gestionale delle grandi banche o-peranti a livello locale e le caratteristiche comportamentali di piccoli operatori locali. Se infatti grandi istituti bancari, sottoposti a processo di razionalizzazione secondo lo-giche manageriali, perseguono l'obiettivo della standardizzazione, piuttosto che della differenziazione sulla base delle specificità territoriali, sono esse soggette al rischio della burocratizzazione delle relazioni di clientela con la piccola impresa, con conse-guente indebolimento dell’ efficienza territoriale (intesa come contributo allo sviluppo delle aree in cui opera)1.

Si è assistito, in taluni casi di formazione di concentrazioni bancarie (fusioni tra più banche locali) o di assorbimento di una storica banca locale da parte di una banca na-zionale, ad un diffuso disorientamento della clientela locale; caratterizzata infatti per una forte sensibilità alla relazione ed abituata ad avere stabili interlocutori, ha scelto di mettersi alla ricerca di una possibile alternativa, che offrisse elementi di stabilità e di garanzia culturale nella difesa degli interessi localistici.

In un contesto economico sociale in cui il consumatore vede progressivamente diminu-ire il senso di sicurezza rispetto al futuro, forte si riscopre il bisogno di diffusione del

localismo (come meccanismo di autodifesa del consumatore) in contrapposizione alla

globalizzazione.

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Si veda in proposito l’intervento del governatore della Banca d'Italia I. Visco del 20/11/12 “ Borghi, distretti e banche locali”

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Da qui la necessità, per le banche retail, di rinnovare la propria attenzione nei confronti di specifiche aree, da presidiare e coordinare per cogliere i segnali dell'opportunità lo-calistica. Come schematizzato nella Tavola 3 tali aree sono:

Bisogni specifici: è necessario individuare la peculiarità della domanda a livello geografico, allo scopo di fornire un’offerta personalizzata(il cliente dovrà essere in grado di rintracciarvi qualità ed utilità del servizio reso).

Appartenenza: in contrapposizione all'offerta decontestualizzata dei grossi

pla-yer è necessario creare un senso di appartenenza ad un progetto comune con

ra-dici locali.

Rapporto diretto: l'unico modo per non creare scostamento tra il portafoglio dei prodotti/servizi bancari e le esigenze delle persone è l'utilizzo dei dati derivanti dal contatto diretto tra banca e mercato (anagrafica clienti incrociata con stati-stiche derivanti dal marketing diretto, dati di customer satisfaction e

perfor-mance di vendita dei prodotti).

Feed-back rapido: utilizzo dei nuovi canali di comunicazione per avere una par- tecipazione attiva dal mercato nella costruzione di un brand bancario del porta foglio servizi.

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Tavola 3. I driver del nuovo localismo e gli interventi da attuare

Fonte: Banche e Banchieri 1/2012

È evidente che la tendenza sopra descritta comporti un cambiamento di prospettiva del marketing bancario nei confronti della propria clientela della clientela potenziale. La banca può e deve cogliere i segnali del territorio per ottimizzare la sovrapposizione tra ciò che le persone si aspettano da essa per migliorare la propria qualità di vita, e ciò che viene loro offerto.

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1.4 Struttura dei mercati retail

1.4.1 Nozione di struttura dei mercati bancari

In termini generali è ancora possibile pensare a una definizione di mercato bancario che identifica lo stesso in termini di insieme di relazioni fra "gruppi strettamente corre-lati di venditori e compratori la cui attività ha per oggetto la negoziazione di prestiti monetari di servizi a essi connessi e che, dal lato dell'offerta, vede la produzione di servizi e prodotti caratterizzati da stretta sostituibilità, che si rivolgono allo stesso in-sieme di utilizzatori mentre, dal lato della domanda, gli elementi rilevanti sono rap-presentati dalla natura della composizione della classe dei compratori e dalla localiz-zazione geografica".2

Nel caso del retail, la visione da cui trae origine tale nozione di struttura del mercato è quella di concepire lo stesso come somma di vari mercati locali , influenzati dal pro-prio ambiente di riferimento. In tale prospettiva i mercati bancari "locali" sono consi-derati come aree di business governate dalla natura della domanda, composto da fami-glie piccole imprese, caratterizzata da un basso grado di mobilità e orientata a stabilire una stringente relazione con l'offerta. Si tratta di condizioni che, se da un lato, hanno realmente influenzato le dinamiche della domanda e dell'offerta, con evidenti conse-guenze sulle dimensioni e sulle strategie delle singole banche, dall’altro hanno tradi-zionalmente assicurato una certa stabilità del sistema bancario. Preso atto delle diverse dinamiche evolutive, sociali e geografiche della clientela, si evidenzia l'orientamento ormai diffuso a suddividere l'attività bancaria in varie macro-aree (retail, corporate, private), qualificate dalla messa in atto di specifiche strategie e condotte concorren-ziali.

Nel caso dell'area del retail, la struttura del mercato registra un aumento di complessi-tà, anche per quanto riguarda l'offerta di prodotti/servizi semplici, a motivo di alcuni fattori:

aumento dimensionale, attraverso processi di concentrazione, delle banche loca-li che, in alcuni casi, hanno finito per assumere una operatività nazionale;

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ingresso delle banche nazionali nei mercati locali con una forte attenzione all'at-tività al dettaglio;

innovazione tecnologica, che ha permesso l'utilizzo di nuovi canali e il supera-mento delle barriere geografiche (on line banking);

l'ingresso nei mercati locali di intermediari finanziari non bancari.

La configurazione, dunque, che tende ad assumere il mercato del retail passa attraver-so un percorattraver-so evolutivo rappresentato schematicamente nella Tavola 4 :

Tavola 4. Percorso evolutivo del retail banking

Fonte: S.Alioto,Struttura dei mercati e competitività,2005

I cambiamenti di struttura sono influenzati soprattutto dalle politiche distributive non più ancorate alla tradizionale rete degli sportelli e dall'introduzione delle politiche di segmentazione e differenziazione.

In una "prima situazione" di mercati segmentati geograficamente le logiche competi-tive risultano maggiormente focalizzate sul prodotto e sul prezzo; il mercato è pertanto

Rilevanza dei mercati locali Segmentazione e differenziazione dell’offerta

Evoluzione dei canali distributivi Divisionalizzazione

in aree di affari Ricerca di una maggiore efficacia nella soddisfazione della clientela

Estensione geografica del mercato

Criticità del fattore prezzo

Aumento della concorrenza

Indebolimento della rilevanza dello sportello come canale

di-stributivo

Diminuzione della rilevanza del prezzo, come conseguenza della differenziazione

Aumento della profondità del mercato. Micronizzazione del mercato

Ottimizzazione della gestione delle informazioni

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definito su base geografica "locale" per effetto della limitata mobilità non solo dell'of-ferta, ma soprattutto della domanda (famiglie e piccoli operatori economici). Con l'aumento della mobilità dell'offerta tramite nuovi canali distributivi, soprattutto tele-matici, e l'aumento del numero dei concorrenti, i mercati diventano più ampi geografi-camente e più affollati di produttori con un parallelo aumento della competitività sul prezzo. L'obiettivo dell'aumento della quota di mercato e del conseguimento di eco-nomie di scala rafforza le logiche di price competition.

La "seconda situazione" , che costituisce l'evoluzione della prima, si basa invece sulla segmentazione della clientela e sulla ricerca di profili di personalizzazione del prodot-to e soprattutprodot-to del servizio, su logiche dunque di non price competition. Si delineano in tal modo nuovi spazi di competizione non necessariamente vincolati all’ espansione ed alle economie di scala. Anticipiamo come, tale tipo di orientamento, ben rispecchi l’operatività di un istituto a vocazione locale quale la Banca di Pisa e Fornacette Cre-dito Cooperativo , il cui percorso evolutivo tratteremo nel capitolo conclusivo.

Le due impostazioni possono in realtà coesistere nel senso che a una maggiore mobili-tà soprattutto dell'offerta (basata sull'innovazione distributiva), può aggiungersi l'orien-tamento alla segmentazione e alla personalizzazione.

Nel caso del retail è opportuno fare riferimento non tanto a "un mercato", quanto a "più mercati", nel momento in cui si evidenzi una pluralità di prodotti tra loro diversi per funzioni d'uso e soprattutto qualora il mercato sia segmentato sulla base della clientela per effetto delle strategie competitive. La concorrenza dipende in questo caso dal numero e dalla mobilità delle banche che si rivolgono allo stesso segmento. La ta-vola 4 evidenzia come la dimensione territoriale del mercato tende a subire l'effetto di estensione attraverso la "mobilità spaziale" delle banche (e degli altri intermediari) che utilizzano canali distributivi diversi dagli sportelli. Il ricorso a Internet può contribuire a favorire, come noto, la globalizzazione nel mercato.

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1.4.2 L’evoluzione della struttura del mercato retail

Un' ulteriore spinta competitiva, cui si accompagna l'evoluzione della struttura del mercato, si realizza nel momento in cui le banche tendono alla segmentazione della clientela e alla differenziazione dell'offerta.

Questo orientamento spinge a ricercare una maggiore soddisfazione della domanda at-traverso politiche di non price competition. Il prezzo non risulta così determinante nell'azione competitiva, poiché le politiche commerciali sono concentrate sulla natura e sulle caratteristiche del servizio come, ad esempio, nel caso dello sviluppo di rela-zioni di clientela e dell'offerta di pacchetti di servizi. Si assiste dunque progressiva-mente al superamento della tradizionale offerta di un'ampia gamma di prodotti/servizi dalle caratteristiche relativamente simili, perlopiù caratterizzati da un basso livello di sofisticazione ed un alto grado di standardizzazione, (trattasi principalmente di deposi-ti in conto corrente a risparmio, credito al consumo, piccoli presdeposi-tideposi-ti alla produzione, carte di pagamento, mutui, fondi comuni, negoziazione titoli). Elemento qualificante del retail banking è la particolare combinazione tra segmenti di mercato e prodotti. Si evidenzia, da un lato, l'omogeneità della clientela molto frazionata e di "piccole di-mensioni" e, dall'altro lato, la semplicità e la standardizzazione dei prodotti/servizi. A ben vedere l'area del retail non è del tutto omogenea, presentando importanti aspetti di differenziazione.

Come indicato dalla Tavola 5, nell'ambito del retail possono essere identificati due grandi sottosegmenti: il retail mass market e il retail relazionale. Essi si differenziano sotto il profilo della logica competitiva: mentre il retail relazionale si qualifica per un maggiore grado di personalizzazione, reso economicamente possibile da una più arti-colata domanda di servizi che genera peraltro un maggior volume di ricavi, il retail mass market rappresenta la parte più standardizzata dove maggiormente critiche ap-paiono la competizione sul prezzo e le politiche di prodotto3. Composto quest’ultimo dal segmento dei clienti privati a basso reddito-patrimonio,oltre che da piccoli operato-ri economici, è infatti caratteoperato-rizzato da una domanda di prodotti/servizi bancaoperato-ri

3

(21)

21

zialmente elementari e da una bassa complessità delle proprie problematiche finanzia-rie; trattasi in estrema sintesi di un segmento le cui scelte d’acquisto risultano sensi-bilmente influenzate dalla variabile prezzo, con conseguente orientamento delle ban-che al contenimento dei costi distributivi, incentivando tale clientela all’utilizzo di si-stemi automatizzati e self-service.

Nel retail relazionale possono invece essere collocati i segmenti degli affluent e delle small business, la cui domanda di assistenza va al di là della richiesta di singoli prodot-ti crediprodot-tizi, sostanziandosi nella necessità di disporre di un interlocutore di fiducia con cui istituire una relazione e presso il quale poter accedere anche a servizi di assisten-za/consulenza complementari. Su questo segmento logiche di differenziazione e per-sonalizzazione dell’offerta possono risultare leve competitive decisive,volte al conse-guimento di adeguati ritorni in termini economici .

Affermiamo tuttavia il carattere di relatività delle sopradette definizioni.

Ciò che è rilevante analizzare è se di fatto la clientela, per le sue caratteristiche, possa essere gestita in modo impersonale o se, al contrario, essa necessiti di un approccio di tipo relazionale.

Tavola 5.Matrice "fattori critici di successo/segmenti"

fonte: Alioto S.” struttura dei mercati e competitività nel retail banking”

Fattori critici si successo

Tendenze della struttura del mercato e grado di competitività

Retail mass market

Pricing e distribuzione Specializzazione del prodotto

Stabilità/aumento della competitività

Retail Relazionale

Politiche di differenziazione Gestione delle relazioni

Ricerca di posizione di dominanza Verso la “concorrenza monopolistica”?

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Nel processo di elaborazione di efficaci politiche di differenziazione dei servizi banca-ri, occorre che siano rispettate alcune condizioni. Anzitutto si deve tenere conto della natura della relazione banca-cliente. Mentre nel caso dell'azienda di produzione il blema della differenziazione si concentra nelle modalità con cui è organizzato il pro-dotto, nella banca, il grado di efficacia della soluzione fornita alla clientela, e quindi il suo successo, dipendono dalle modalità organizzative dell'azienda. La banca è, infatti, essenzialmente un'impresa di servizi e, quindi, è caratterizzata da alcune specificità: l'intangibilità dei servizi; l'intervento del cliente nell'erogazione del servizio; la non re-stituibilità e la difficoltà di ripetizione.

Un'efficace politica di differenziazione dovrà dunque insistere sul grado di personaliz-zazione delle relazioni di clientela. Ci si vuol riferire, in altri termini, alle modalità or-ganizzative della distribuzione che, attraverso l'inserimento di ruoli di contatto (re-sponsabili di clienti), incidono sulla qualità del servizio. Nel retail banking l'orienta-mento alla differenziazione consente alle banche di aumentare le leve competitive al fine di evitare che i prodotti/servizi vengano considerati dalla clientela come delle commodities. Se i prodotti sono ritenuti sostanzialmente sostituibili, la concorrenza tenderà a concentrarsi unicamente sul prezzo.

Si afferma dunque la necessità di porre l'attenzione non tanto sul prodotto (cioè sullo strumento finanziario), quanto sul servizio (sistema di erogazione) la cui componente organizzativa si esalta appunto nel contatto tra banca e cliente.

Le suddette considerazioni suggeriscono una modalità di segmentazione della clientela retail basata sull'intersezione fra potenziale economico della stessa e grado di persona-lizzazione della relazione.

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23

Tavola.6 Matrice potenziale economico/grado di personalizzazione della gestione della relazione

Come sopra anticipato esistono sottosegmenti del retail, come nel caso degli affluent (clientela privata abbiente) e delle small business, che possono richiedere una maggior attenzione sul piano relazionale in quanto si tratta di segmenti "evoluti" nei confronti dei quali il cross selling (vendita incrociata: strategie di vendita di un prodotto o servi-zio in più rispetto a quanto richiesto dal cliente) può risultare redditiservi-zio; per essi sarà opportuno ricercare un aumento del grado di personalizzazione sia dei prodotti/servizi sia dei canali distributivi imperniati sulla figura di gestore delle relazioni.

Nei confronti invece dei mass market e dei piccoli operatori economici (PoE) il grado di personalizzazione potrà essere più contenuto e quindi, in tali circostanze saranno maggiormente utilizzati i canali telematici ed i supporti di tipo self-service.

Affluent Small Business Mass market POE Potenziale economico Alto Alto Basso Basso

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24

Riportiamo di seguito (Tavola 7) uno tra i più ricorrenti modelli di segmentazione del retail, dove sono indicati i quattro segmenti di cui si è appena detto:

Tavola 7 Divisionalizzazione e sottosegmentazione della clientela retail

Tale modello di segmentazione, basato sulla classificazione della clientela del retail in grandi categorie, può essere sottosegmentato in base a diversi criteri, come il reddito, l'età, la professione, la natura giuridica nel caso delle imprese, nonché il rapporto fra potenziale economico della clientela ed esigenze di personalizzazione della relazione. L'attività di sottosegmentazione può tuttavia risultare una mera opera nominalistica, e quindi priva di efficacia, qualora non venga affiancata da una reale differenziazione del servizio soprattutto attraverso l'individuazione di sistemi di erogazione/canali di-stributivi dedicati per sottosegmento.

L'identificazione dei sottosegmenti presuppone non tanto e non solo la differenziazio-ne dei prodotti/servizi quanto la definiziodifferenziazio-ne di strategie competitive di segmento. Se i sottosegmenti sono considerati aree di business, la banca deve decidere le modalità competitive in ognuna di queste. Deve quindi analizzare le caratteristiche della do-manda, della dinamica competitiva e dei fattori critici di successo; non solo, ma deve anche decidere se operare con tutti segmenti del retail (strategie di diversificazione nel retail) o se specializzarsi in quelle ritenute più attrattive. Come osservava Munari già nel 1988, la differenziazione dell'offerta e la segmentazione della domanda sono due aspetti interrelati della stessa politica di mercato: la prima ha come termine di confron-to l'offerta dei concorrenti dell'impresa, la seconda si fonda sulle diversità insite nelle unità di domanda.

Divisione Retail

Mass market Affluent POE Small Business

Divisione Private Divisione

(25)

25

1.5 Il concetto di segmentazione

1.5.1 Logiche di segmentazione della domanda

L'origine dei processi di segmentazione della domanda si ritrova nell'esigenza di sud-dividere la clientela in classi omogenee caratterizzata da un equivalente grado di ela-sticità delle azioni di mercato ( omogeneità di comportamento rispetto al fenomeno in esame)4. Essa è quindi il risultato di un processo che si basa sul riconoscimento della eterogeneità del comportamento di scelta presente tra le unità di domanda e si concre-tizza nella individuazione dei criteri più adeguati per raggrupparle, in modo da miglio-rare l'efficacia delle politiche di mercato dell'azienda.

L’introduzione nelle banche dei primi modelli di segmentazione può esser fatta risalire agli anni Ottanta (la letteratura di quel periodo riporta in particolare schemi di segmen-tazione della clientela privata5), pur se ancora in presenza di una scarsa attenzione al tema stesso.

Sarà poi il progressivo aumento della complessità del mercato, in termini di frammen-tarietà e competitività, a rendere la segmentazione elemento cruciale per il management strategico; è affidato a quest'ultimo il delicato compito di individuare quali segmenti posseggano i requisiti oggettivi per diventare target o mercati-obiettivo sui quali sarà successivamente incentrato uno specifico marketing mix.

Si pone in evidenza come un segmento al fine di poter risultare utile in ottica di marke-ting, debba rispondere ad alcuni requisiti di base (classificazione secondo Philip Kot-ler):

1) Measurability: il segmento deve essere “misurabile” ovvero occorre che sia definito in modo univoco e chiaro, per poter così stabilire con certezza chi, sulla base dei pa-rametri scelti, è da considerarsi all'interno e chi invece all'esterno di esso.

Tale misurazione può avvenire:

4 Munari (1988) Segmentazione della domanda dei servizi bancari, Giuffré pag.152 5

(26)

26

- direttamente, quando i parametri, o variabili esplicative, sono evidenti e indivi-duabili agevolmente;

- indirettamente, sulla base di indicatori che riescono a caratterizzare le specifici-tà del segmento investigato.

Attraverso la quantificazione del segmento è possibile stabilirne tanto la dimensione, nei confronti di altri segmenti, determinando dunque il numero degli individui che ne fanno parte e il volume della relativa domanda, quanto il grado di importanza che quel dato segmento può assumere in una strategia aziendale: attraverso calcoli di conve-nienza economica sarà possibile valutare la conveconve-nienza a concentrare su di esso lo sforzo di marketing per la conquista di quel dato segmento di domanda6. La measura-bility rende necessaria l’individuazione di descrittori7 che consentano di effettuare la misurazione8.

2) Accessibility: la banca che ha condotto l'analisi deve poter raggiungere e servire il segmento o i segmenti individuati; in altre parole il segmento deve essere accessibile da parte degli uomini di marketing per poter indirizzare su di esso le specifiche politi-che del marketing mix9.

Alcuni autori aggiungono al termine accessibilità quello di economicità, per sottolinea-re il fatto che il target deve essesottolinea-re raggiungibile anche sotto il profilo di economicità, all'interno cioè di un calcolo costi/benefici favorevole.

6

Cfr. PASTACALDI A., VITALI L., La segmentazione del mercato bancario, op. cit., pag 29.

7 Variabili esplicative che, associate alle caratteristiche del segmento, ne consentano la visibilità.

8

Ad esempio per misurare il segmento di coloro che posseggono un’elevata cultura economicofinanziaria potremmo prendere come descrittore di questa caratteristica il possesso di un certo titolo di

studio oppure una particolare condizione professionale. 9

Risulterebbe del tutto inutile concentrare l'attenzione e gli sforzi su gruppi destinati a essere irraggiungibili.

(27)

27

3) Substantiality: ovvero il segmento deve possedere concretezza, importanza e consi-stenza tali da essere profittevole per l'operatività della banca. Per evitare che la politica di mercato adottata non consenta di raggiungere i livelli di redditività desiderati, il processo di segmentazione non deve portare alla formulazione di gruppi troppo picco-li di unità di domanda: in questi casi si corre il rischio di cercare l'omogeneità all'inter-no dei gruppi a tal punto da formare segmenti molto caratterizzati ma inconsistenti dal punto di vista della numerosità, tanto da sconsigliare in pratica qualunque iniziativa su di essi. Appare dunque più opportuno rinunciare ad una caratterizzazione spinta, riag-gregando i segmenti in gruppi di maggiori dimensioni quindi più profittevoli. In defi-nitiva non deve essere una microsegmentazione, affinché possa giustificarsi l'elabora-zione di specifiche azioni.

4) Synergy: ovvero la capacità del segmento di essere compatibile, tanto con il complesso delle strategie della banca quanto con la struttura organizzativa. In base a questo requisito sarà più utile concentrare lo sforzo di marketing su quei target che presentano sinergie10.

Alcuni autori parlano anche di aggredibilità, intesa come determinazione nell'utilizzo del modello di segmentazione che deve poter permettere alla banca, in base alle pro-prie competenze specifiche, di individuare gruppi di unità di domanda sui quali impo-stare una efficace politica di differenziazione rispetto ai concorrenti11.

Secondo altri autori vi sarebbe un ulteriore quinto requisito: l'adeguata stabilità nel

tempo del segmento. Tale proprietà, che può comunque essere ricompresa nella sub-stantiability, vuol significare che i parametri e i bisogni che hanno portato

all'identifi-cazione del target devono mantenere stabilità per un ragionevole lasso di tempo12.

10

Cfr. TUMOLO S., Conoscere il cliente. La segmentazione comportamentale della clientela privata, op cit. pag 4-6.

11

Cfr., MUNARI L., Differenziazione dell’offerta e segmentazione della domanda di servizi bancari, op. cit., pag. 159.

12

Cfr. KOTLER P., Marketing strategies for Banks, relazione tenuta al seminario Itax, Strategie & Marketing, Milano, settembre 1990.

(28)

28

Ovviamente, in presenza di tali requisiti, è possibile ottenere una offerta di servizi a maggior valore aggiunto che può portare a un aumento della redditività nella gestione dei prodotti e dei servizi destinati alla clientela13.

La segmentazione lega la sua importanza all'archivio clienti, in quanto l'integrazione reciproca che questi devono raggiungere è sempre più importante nella realizzazione delle azioni di marketing in chiave relazionale; il risultato della segmentazione diventa un attributo del cliente che va inserito in un sistema informativo di marketing che uti-lizzi, come il nucleo delle politiche di marketing, un database prodotto-cliente-segmento (data warehouse14) nella prospettiva dell'ottimizzazione dei processi di ven-dita.

La segmentazione è definita come la suddivisione della clientela in gruppi caratterizza-ti da similarità di determinacaratterizza-ti elemencaratterizza-ti o comportamencaratterizza-ti rispetto al fenomeno/i in esa-me. Dal momento che esiste una pluralità di fenomeni, le segmentazioni realizzabili sono notevoli: ciascun soggetto può essere infatti attribuito a più segmenti ed ogni ap-partenenza è legata al particolare punto di vista evidenziato dall’analisi in atto. Vi sono

segmentazioni generali che considerano i soggetti secondo tutte le loro caratteristiche15

e segmentazioni specifiche dei vari settori che le realizzano; ad esempio, per il settore interbancario, potrebbero essere interessanti le segmentazioni basate sui comportamen-ti d’acquisto, quelle sulle attese di qualità del servizio, quelle sul possesso ed uso di ta-luni prodotti, quelle sulle modalità di gestione dei flussi di cassa e ancora quelle basate sulle motivazioni di accesso al credito, al consumo, ecc. Questo ultimo tipo di

13 Cfr. LORUSSO G., Note tecniche sui rapporti tra banca e clienti, art. cit. pag 154.

14

Il data warehouse è la naturale evoluzione del sistema informativo di marketing nel fornire un supporto all’attività decisionale e deve avere le seguenti caratteristiche: a) orientamento al soggetto; b)

integrazione, attraverso l'utilizzo di convenzioni a livello aziendale su nomi, unità di misura, codici; c) storicità dei dati, con un orizzonte temporale lungo; d) non volatilità, ovvero dati caricati mediante appositi programmi e non più modificabili; e) certificazione da parte di uno specifico responsabile all'interno dell'azienda. Nell'ambito bancario, partendo dal servizio offerto, si può ricostruire il panorama di esigenze del cliente che ne ha richiesto l'utilizzo, in modo da poter definire i suoi bisogni e gli eventuali prodotti che consentono di colmarli. Questo permette non solo di rispondere alle esigenze della clientela in maniera personalizzata, ma anche di svolgere un ruolo di consulenza proponendo servizi ad hoc ancora prima che essi vengano richiesti dal cliente. L'integrazione tra data warehouse ed Internet consente di massimizzare l'uso dei dati favorendo la conoscenza globale della clientela con la possibilità di diffusione automatica delle informazioni all'interno delle aziende di credito e tra esse ed il mondo esterno. Cfr. FEDERICI T., Le informazioni come leva di business: il data warehouse come strumento per avvicinarsi al cliente, in Dirigenza Bancaria n. 67, pag. 38-44.

15Questo tipo di segmentazione è particolarmente utile per l’analisi di marketing e per quel tipo di indagini volte a definire lo scenario delle trasformazioni sociali

(29)

29

tazione è anche detta settoriale perché riguarda una particolare area di analisi (ad e-sempio gli stili finanziari); è realizzabile autonomamente da ogni singola banca, con riferimento alla propria clientela o a tutte le persone che vivono e lavorano nell’area di gravitazione. Il principio fondamentale di costruzione di un segmento è la

massimizza-zione della similarità interna e della dissimilarità esterna al settore16.

1.5.2 Variabili di segmentazione

Gli elementi principali dai quali partire nella segmentazione di un determinato cam-pione sono detti variabili; queste possono essere raggruppate in categorie generali che si differenziano, al loro interno, a seconda della tipologia di clienti ai quali sono riferite17

Distinguendo la clientela fra privati (o famiglie) e imprese, è possibile identificare le diverse categorie di variabili (geografiche, psico-socio-economiche, psicografiche, comportamentali) riferendole a queste due classi (Tavola 8). Utilizzando le variabili elementari è possibile:

- collegare fra loro alcune variabili per crearne di nuove, elaborate ad hoc per il tipo di segmentazione da realizzare18,

- rapportare i dati di due periodi per ottenere gli indici di evoluzione;

- calcolare il numero di prodotti posseduti da ogni cliente per ottenere gli indici di cross-selling;

16

Cfr. BERTUCCI M., Il processo di segmentazione del mercato della banca, in Manuale di Marketing Bancario (a cura di) SCOTT W. G., UTET, Torino, 1995, pag. 374.

17

Philip Kotler classifica la clientela della banca in quattro segmenti (di cui il primo è sostanzialmente riconducibile ai privati e gli altri tre alle imprese): consumer banking: comprende i consumatori privati, suddividendosi in “benestanti” e “regolari”; commercial banking: comprende l’insieme delle imprese pubbliche, delle private e della Pubblica Amministrazione; si suddivide in “piccoli affari”, “medio mercato”, “grandi compagnie”, “Stato e Enti Locali” e “Sanità”; investment banking: comprende l’insieme delle imprese che cercano capitali di rischio da investire nelle attività produttive; international banking: comprende le imprese operanti a livello internazionale e che necessitano di adeguata assistenza da parte delle banche.

18

Un importante abbinamento è il cosiddetto “ciclo di vita” che consente la suddivisione dei clienti in diversi segmenti a seconda del loro stato civile, composizione del nucleo familiare e condizione professionale, delineando i tratti reali e psicologici rilevanti per i comportamenti finanziari. La segmentazione per scenari di vita proposta da Bertucci e Scarnò distingue fra: single, senza figli, figli piccoli, figli grandi, pensione e figli, coppia pensionati.

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30

- rapportare il controvalore delle azioni ed obbligazioni al totale delle disponibili-tà finanziarie, per valutare la propensione all’investimento in titoli;

- moltiplicare il peso, la frequenza e la risolvibilità dei problemi per ottenere un punteggio di “impatto”.

(31)

31

Tavola 8. Le variabili di segmentazione distinte per classe.

Privati (famiglie) Imprese

G

eografich

e

In ogni area sono presenti fattori socio am-bientali che possono causare sensibili diffe-renze (il grado di industrializzazione, lo sviluppo di particolari servizi e prodotti sia industriali sia finanziari, le mode, ecc.).

In ogni area sono presenti fattori socio am-bientali che possono causare sensibili diffe-renze (il grado di industrializzazione, lo sviluppo di particolari servizi e prodotti sia industriali sia finanziari, le mode, ecc.).

Demo so cio economich e

L’età, il sesso, l’istruzione, la professione, il reddito, la situazione familiare, l’anzianità e la tipologia del lavoro, ecc. possono condi-zionare le esigenze e i comportamenti finan-ziari.

La data di creazione, la forma giuridica, la dimensione (fatturato, dipendenti, unità lo-cali, import/export, investimenti, ecc.), i le-gami di gruppo con altre aziende o enti, il settore di

attività (maturo o in espansione), la tecnolo-gia produttiva, ecc.

P

sicografic

he

Cultura, valori, stili di vita, tratti della per-sonalità, la tendenza all’autonomia decisio-nale o alla delega, la propensione al rispar-mio o all’indebitamento, l’attenzione verso la redditività, la liquidità o la sicurezza degli investimenti, le attese di riconosci-mento, di relazione, di trasparenza, di assi-stenza e di equo rapporto costi/benefici.

Riguardano gli stessi tratti della personalità appena esposti, ma si riferiscono agli im-prenditori, agli amministratori delegati, ai direttori finanziari, cioè alle figure chiave del

rapporto fra impresa e banca.

C

omporta

mentali

I prodotti finanziari sottoscritti, i saldi con-tabili, i saldi medi, gli importi erogati, la ti-pologia di titoli, di fondi, di gestioni ed il loro controvalore, il numero e l’importo dei movimenti per causale, gli sconfinamenti, le sofferenze, le rate impagate, i tassi, le valu-te, le commissioni, le provvigioni, i benefici ricercati durante la scelta della banca (vici-nanza, comodità, cordialità e cortesia, gam-ma di servizi e autogam-mazione, convenienza, competenza affidabilità e consulenza, diffu-sione territoriale e tradizione), i problemi emersi (il fastidio generato da essi, la loro frequenza, la percezione di risolvibilità, il grado di risoluzione, ecc.), la fedeltà alla banca, i tassi di risposta alle azioni commer-ciali (proposte di prodotti finanziari), la let-tura della stampa, l’ascolto di radio e televi-sione e l’utilizzo del computer, la conoscen-za dei prodotti, ecc.

Tutti gli indizi che consentono di valutare il grado di rischio, cioè i dati provenienti dal bollettino protesti, dalla Centrale rischi, dal-la stampa specializzata, dagli indici di bidal-lan- bilan-cio,

(32)

32

Al di là delle variabili elementari e dei loro abbinamenti, il marketing maker è volto anche ad elaborare parametri di segmentazione innovativi, mediante l’individuazione delle esigenze non ancora soddisfatte; queste infatti sono traducibili in offerte origina-li, in implementazioni di prodotti esistenti mediante elementi standard o optional, in nuove forme di determinazione del prezzo, di distribuzione e di comunicazione, non-ché in arricchimenti, fornendo prodotti o servizi para o extrabancari (servizi dedicati, abbonamenti a riviste specializzate, incontri di segmento, ecc.)19.

1.5.3 Metodi di segmentazione

La segmentazione può venir fatta a priori, come scelta definita da parte del ricercatore delle variabili esplicative che identificano il segmento. In tal caso viene adottata per finalità specifiche; si procede con applicazione di un processo disaggregativo ove i segmenti non sono del tutto omogenei nel loro interno.

Nella segmentazione a posteriori invece i raggruppamenti avvengono secondo simila-rità evidenziate dalle analisi riguardanti tutta la base informativa disponibile: variabili socio-economiche, attitudini, caratteristiche psicologiche, eccetera. La segmentazione a “cascata”, ossia per raggruppamenti successivi, è quella più efficiente dove dal ma-cro-segmento si arriva ad uno specifico con proprie caratteristiche. Nei casi di segmen-tazione della clientela, devono essere considerati parametri geografici (regione, cit-tà...), demografici (sesso, età, reddito, attività economica...), psicologici (classe socia-le, stile di vita, personalità...) e comportamentali (operazioni di acquisto, vantaggi atte-si, situazione dell'utente, intensità dell'utilizzo, numero di transazioni, consistenze de-gli investimenti, abitudini di acquisto, fedeltà...).

Molto spesso il numero dei clienti è enorme (milioni) e perciò possono presentarsi molti attributi. L'abbinamento di due o più variabili di segmentazione riduce l'ampiez-za del target, ma aumenta la possibilità di successo.

In linea generale è possibile distinguere fra sei categorie di segmentazione (strettamen-te lega(strettamen-te alle variabili sopra illustra(strettamen-te), anche se il continuo emergere di nuove tipolo-gie, sia di prodotti che di utenti, con il conseguente sviluppo di nuove tendenze

19

(33)

33

portamentali (come i localismi, l’ambientalismo, il timore per il futuro, i desiderio di prodotti semplici, di rapidità e comodità), fanno emergere nuovi scenari,

costringendo le banche ad una continua elaborazione e perfezionamento delle tecniche di studio. Si possono individuare i seguenti approcci:

A) Segmentazione geografica: considerato il metodo più classico per l'analisi della domanda, prevede la suddivisione del mercato per aree geografiche, supponendo che ognuna di esse abbia propri interessi e preferenze. Utilizza variabili di tipo qualitativo e quantitativo legate alla localizzazione, alla dimensione, alla densità, al clima, alla cultura locale, al fine di una più efficace gestione delle opportunità e minacce di business legate al territorio.

B) Segmentazione demo-socio-economica: è questo l'approccio più tradizionale ba-sato sulla raccolta di informazioni relative alle caratteristiche personali, sociali ed economiche dei soggetti; partendo dal presupposto che le scelte sono guidate dalla razionalità economica e da elementi oggettivi aggreganti, questo criterio individua i segmenti utilizzando le variabili strettamente correlate ai comporta-menti bancari, come: la professione (per i privati), il settore, il fatturato o il lavo-ro estelavo-ro (per le imprese). In questo modo si ottengono delle segmentazioni semplici, di facile comprensione e ricche di dati descrittivi, in grado di agevolare l'analisi del contesto concorrenziale. Pur consapevoli della naturale disomoge-neità riscontrabile all'interno di ciascun gruppo, tale metodo può essere effica-cemente applicato a fini organizzativi: ad esempio creazione di sportelli dedicati alle clienti di sesso femminile, agli anziani, ai Vip, alle piccole imprese e così via, oppure strutture direzionali dedicate a macro segmenti (corporate, middle market, retail o simili).

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34

C) Segmentazione comportamentale: anche se i dati anagrafici sono molto impor-tanti, le informazioni più predittive dei comportamenti futuri sono propri i com-portamenti già registrati. Tale metodologia intende dunque determinare segmenti omogenei attraverso la rilevazione di comportamenti di acquisto, uniformità nell'uso e possesso dei prodotti e servizi offerti dalla banca. Scarsamente signifi-cativa in termini di valutazione dei clienti potenziali, può risultare utile quale supporto all'azione commerciale, contribuendo ad una forte specializzazione per segmento del gestore preposto. L'integrazione della segmentazione in esame con risultati di ricerche volte a definire aspettative, forme di comunicazione e distri-buzione preferite da ciascun segmento appare utile al completamento del profi-lo del segmento medesimo, potendo rispondere a problematiche tattiche e strate-giche quali:

- Cross selling, che mira ad aumentare il numero dei prodotti/servizi venduti al cliente, attraverso l'offerta di un prodotto/servizio complementare a quello per il quale il cliente ha manifestato l'intenzione di acquisto;

- Strumenti di ausilio alla vendita, per individuare un set di proposte di potenzia-le interesse per ciascun cliente dato il segmento di appartenenza, in modo da sfruttare tale informazione che verrà messa on-line per un utilizzo in occasione di contatti con clienti così individuati;

- Organizzazione, suddivisione del portafoglio clienti per segmenti comporta-mentali;

- Targeting, personalizzazione dei servizi e dei prodotti offerti che divengono più precisi e vicini al cliente.

La banca diviene così in grado di differenziare e modificare la propria offerta adeguando non solo le politiche di vendita ma anche la rete distributiva. Diventa possibile distinguere i segmenti in quelli più o meno interessanti, facilitando la scelta dei target, associando ad ogni individuo un profilo identificativo; obiettivo della banca è quello di "valorizzare" il cliente già acquisito, stimolandone la profittabilità attraverso una value proposition sempre più rispondente ai suoi specifici bisogni e alle sue crescenti aspettative.

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D) Segmentazione basata sugli stili di vita: rappresenta un metodo più complesso basato su aspetti di ordine psicologico rilevati attraverso una ricerca quali-quantitativa atta a collocare le persone secondo variabili psico-sociali, indipen-denti dalla dimensione demografica (pur ampiamente esaminata mediante l’ os-servazione delle varie fasi del ciclo di vita), ma confrontabili con essa per indi-viduarne atteggiamenti e comportamenti d'acquisto. Essenzialmente quattro sono gli ambiti di ricerca: psicologico (motivazione), antropologico (condivisione di valori), sociologico (struttura sociale) ed infine quello basato sull'individuo

con-sumatore.

Per il marketing diretto, questa metodologia di segmentazione, costituisce lo strumento attraverso il quale si individuano i criteri di valutazione utilizzati dai consumatori durante il processo decisionale. Sono segmentazioni di difficile rea-lizzazione e ciò è dovuto al fatto che si tratta di dati sulle percezioni, motivazio-ni, atteggiamenti dei consumatori di fronte agli attributi del prodotto.

Causa difficoltà anche la determinazione della dimensione dei gruppi costituiti in funzione dei suddetti benefici (procurati o desiderati), date le variazioni se-mantiche esistenti nella formulazione di questi ultimi20.

Tale tipo di segmentazione consente di comprendere le reali esigenze della clientela, di scoprire nuove nicchie di mercato, di spiegare nuovi ed inattesi suc-cessi o insucsuc-cessi; a questi fattori positivi fanno riscontro taluni elementi di co-sto e la necessità di replicare il procedimento per ogni nuovo prodotto introdotto. Necessaria risulta essere l’integrazione con notazioni demo-socio-economiche, comportamentali, psicografiche e mediagrafiche, al fine di definire correttamen-te il target ed il mix21.

20 Cfr. MOLINA M., P., La fedeltà del cliente: analisi concettuale ed elementi di gestione, op cit, pag. 30-31 21

(36)

36

Abbiamo sin qui esaminato le principali categorie di segmentazione a cui possono far riferimento gli istituti di credito. Abbiamo anche affermato che queste categorie non completano il quadro delle diverse tipologie di segmentazione che possono essere in-traprese: con il trascorrere del tempo le banche sono passate da segmentazioni sempli-cistiche a segmentazioni più complesse rese necessarie dall’emergere di nuove tipolo-gie di prodotti, di utenti, di comportamenti. Le applicazioni dei modelli suddetti a si-tuazioni reali hanno evidenziato come, per segmentare un mercato, non esista in senso assoluto un metodo migliore degli altri ; l’adeguatezza e l’efficienza dello stesso di-penderanno infatti dagli obiettivi che con la segmentazione si intende perseguire .

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