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Eurojust ed il contrasto al terrorismo

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Academic year: 2021

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INDICE

INTRODUZIONE I 4

1. I fondamenti giuridici di Eurojust: criminalità

transnazionale e importanza della cooperazione penale 4

2. Le prime forme di cooperazione fra Stati in materia

penale 15

3. La cooperazione penale nell’Unione europea 23

4. Evoluzione della cooperazione giudiziaria e di

polizia in materia penale nell’Unione europea 35

5. Le novità dopo il Consiglio di Tampere 42

CAPITOLO II

DALL’ARCHITETTURA DI EUROJUST AD

OGGI 58

1. I primordi di Eurojust 58

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3. Eurojust e il rapporto con altri organismi, europei

ed extraeuropei 72

4. L’ordinamento italiano recepisce la decisione

2002/187/GAI del Consiglio: luci e ombre sulla natura

di Eurojust 79

5. Quale futuro per Eurojust? 87

6. Eurojust e l’imminente istituzione di EPPO 94

CAPITOLO III

EUROJUST E IL CONTRASTO AL

TERRORISMO 104

1. L’emergenza terroristica in Europa 104

2. La nozione di terrorismo 108

3. Il rapporto tra Eurojust e la Direzione Nazionale

Antimafia e Antiterrorismo 113

4. La de-radicalizzazione al terrorismo in Europa 123

5. Il contributo di Eurojust nel contrasto al terrorismo 126

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7. Prossimi passi dell’Unione nella strategia

antiterrorismo: cenni sulla direttiva (UE) 2017 n. 541 del Parlamento europeo e del Consiglio 142

CONCLUSIONI 152

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I. INTRODUZIONE

Preambolo: 1. I fondamenti giuridici di Eurojust: criminalità transnazionale e importanza della cooperazione penale; 2. Le prime forme di cooperazione fra Stati in materia penale; 3. La cooperazione penale nell’Unione europea 4. Evoluzione della cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale nell’Unione europea; 5. Le novità dopo il Consiglio di Tampere.

1. I fondamenti giuridici di Eurojust: criminalità transnazionale e importanza della cooperazione penale

Negli ultimi anni la crescita di fenomeni criminosi aventi rilevanza transnazionale1 tra cui il terrorismo, la tratta di esseri umani o il traffico di stupefacenti hanno richiamato l’attenzione dell’Unione sull’importanza della cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale. Un clima in cui il perpetrarsi di questi crimini è stato agevolato dalla rivoluzione tecnologica e la conseguente diffusione di

1 Esistono varie definizioni di crimine transfrontaliero. Ai fini della trattazione si accoglie quella espressa dall’art 3.2 della Convenzione delle Nazioni Unite sul crimine organizzato, nel dicembre del 2000, in base al quale un reato è di natura transnazionale qualora sia commesso alternativamente: a) in più di uno Stato; b) in uno Stato, ma una parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo avviene in un altro Stato; c) in uno Stato, ma in esso sia implicato un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato; d) in uno Stato , ma ha effetti sostanziali in un altro Stato

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notizie nel web, che ha permesso il raggiungimento di più gruppi criminosi, dislocati in diversi territori2. Nasce in questo modo il fenomeno del “cyber terrorism”, ossia la presenza nel web di messaggi diretti all’indottrinamento e al reclutamento di nuovi seguaci3.Dopo gli avvenimenti dell’11 settembre 2001 l’esigenza di garantire la sicurezza dei cittadini è diventata un assillo ricorrente per l’Unione, che ha dovuto rispondere a livelli di allerta massimi.

Nel corso del tempo il reato di terrorismo è mutato, specie per ciò che interessa la sua organizzazione. Attualmente, la rete internet costituisce sia l'obiettivo che l'arma delle organizzazioni terroristiche, per danneggiare o compromettere i sistemi informatici di un dato Paese, ma anche di supporto per la sua gestione e la sua sopravvivenza. É attraverso il web che viene attuata la propaganda, la raccolta di fondi, la comunicazione, l'organizzazione degli attentati ed il reclutamento. La propaganda terroristica diviene più veloce, più economica, anonima e soprattutto globale. Anche il processo di radicalizzazione diventa più veloce e il materiale per l’indottrinamento viene veicolato più agevolmente tramite il web, verso un pubblico globale4 e con scarsi rischi di essere scoperti, ma soprattutto con scarsa preparazione degli Stati nel fronteggiare la “criminalità da tastiera”5.

2 Cfr. M. Molinari, Il califfato del terrore, Rizzoli, 2015, pp. 120-128; 3 L. Napoleoni, ISIS. Lo Stato del terrore, Feltrinelli, 2014, pp. 100 e ss.

4 Cfr. XXXI Congresso Nazionale Società Italiana di Criminologia, Terrorismo e

paura del crimine, Siena, 26-28 Ottobre 2017, pp. 10 e ss.

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Oggi in Europa ci troviamo a fronteggiare la presenza di due cellule terroristiche: Al-Qà-ida e ISIS. Quest’ultime secondo gli studiosi del fenomeno presentano caratteristiche peculiari e distintive: il primo rappresenta un fenomeno di natura internazionale e le decisioni vengono prese dall’alto per poi delegare o proporre la fase operativa a cellule insediate a livello locale, aventi un parziale o totale grado di autonomia. Inoltre, esso si avvale di azioni che devono essere “spettacolari”, come nell’attacco alle Torri gemelle.

Per quanto riguarda l’Isis, invece, possiamo dire che esso si caratterizza per la presenza di piani di attacco assunti con decisioni che non vengono prese solo dal vertice dello Stato islamico, bensì da cellule autonome e indipendenti. Si parla in proposito di “franchising del terrore” 6 per descrivere le sue modalità di organizzazione, che riflettono la presenza di soggetti sparsi in più territori. Perciò, mentre le attività di Al-Qaida sono accentrate in seno allo Stato dell’Afghanistan, che decide dove e quando compiere l’attentato, nel caso dell’Isis assistiamo ad una frammentazione del fenomeno. Infatti quest’ultimo si caratterizza per accordi presi a livello centrale dallo Stato islamico poi, in aggiunta a questi, ci sono decisioni prese da singole cellule che stabiliscono dove e quando compiere

Castoldi s.r.l., Milano, 2015, pag 120 e ss.; Stern, Jessica and Berger, J.M. ISIS, the state of terror 2015, p.150; Harper Collins Publishers, New York, 2015, pp. 85 e ss.; Il Corano. Newton Compton editori s.r.l. ,2015, pag 98; Rheingold, Howard. Smart Mobs: The Next Social Revolution 2002, Cambridge, MA: Basic Books 2002. 6 Cfr. Osservatorio di politica internazionale, Osservatorio mediterraneo Medioriente

n. 19, Centro Studi internazionali, Luglio - Settembre 2014; Osservatorio di politica

internazionale, Osservatorio mediterraneo Medioriente n. 20, Centro Studi internazionali, Ottobre - Dicembre 2014;

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l’attentato. Peraltro, tale attacco “individuale” può essere successivamente condiviso dallo Stato islamico, assumendo così le vesti istituzionali dell’attentato terroristico, altrimenti rimate un atto criminoso attribuito al singolo soggetto. Inoltre, un altro strumento che ha permesso la diffusione del terrorismo nel web è il c.d. “video del terrore”, ossia un filmato inviato allo Stato che riproduce la scena di un potenziale attacco terroristico minacciato. Si tratta, pertanto, di un modo diretto a destabilizzare l’ordine pubblico dei Paesi europei, ad esempio quello rivolto alla Francia che ha minacciato la distruzione della Torre Eiffel, o inviato all’Italia riguardante Roma.

Il terrorismo in più di un’occasione ha dimostrato di ricorrere all’utilizzo della tecnologia per raggiungere i suoi scopi. Si pensi agli attentati avvenuti a Madrid nel 2004 e conosciuti come 11-M o M-11, dove le "chiamate senza risposta” hanno rappresentato lo strumento idoneo per compiere la strage. È bastato uno squillo telefonico per innescare l’ordigno esplosivo fissato sopra le strutture dei quattro treni regionali. Sul piano investigativo la materia del cyber spazio non deve essere sottovalutata per far fronte a esigente di tutela della privacy. Infatti, le indagini che vertono sui dati di traffico telefonico o telematico, così come sulle chiamate senza risposta, non necessariamente portano ad approfondimenti di tipo contenutistico o anagrafico. Quella sul cyber crime è un’indagine essenzialmente di natura tecnica, asettica, focalizzata sulle mere tracce

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informatiche e telematiche che la condotta delittuosa dissemina sulla Rete7.

Sul versante internazionale è l’Organizzazione delle Nazioni Unite che ha rivolto il suo interesse al fenomeno del terrorismo in internet. Pertanto, sotto la sezione “Drugs and Crime” è stato emesso un rapporto il 12 e 16 marzo 2018, che evidenzia come il reato in questione continui a rappresentare una grave minaccia per la pace e la sicurezza internazionale, poiché mina i valori fondamentali delle Nazioni Unite. Oltre al devastante costo umano, in termini di vite perse o permanentemente modificate, gli atti terroristici mirano a destabilizzare i governi e gli sviluppi economici- sociali. Affrontare questa minaccia è un’impresa non semplice per gli Stati, data la natura complessa e in continua evoluzione dell'attività terroristica presente in Europa. Le sue motivazioni, il finanziamento, i metodi di attacco e la scelta dell'obiettivo cambiano costantemente. Gli atti terroristici spesso sfidano i confini nazionali: un atto di terrorismo, come dimostrato dai recenti attentati di Parigi e Berlino8, può coinvolgere più attività e più soggetti dislocati sul territorio di diversi Paesi. Pertanto data la difficoltà per il singolo Stato di porre in essere attività investigative estese in due o più Stati, il coordinamento e la cooperazione tra paesi membri viene facilitata da organizzazioni sovranazionali

7 V. D. Vulpiani, La nuova criminalità informatica. Evoluzione del fenomeno e

strategie di contrasto, Rivista di Criminologia, vittimologia e sicurezza, 2007, pp.

46-54. 8 V. Cap. III.

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quali Eurojust 9 o Europol, che hanno dimostrato di collaborare nel tempo per raggiungere risultati positivi nel contrasto al terrorismo10. In questo senso anche la citata sezione “Drugs and crime”si è interessata al tema del coordinamento tra autorità polizia e giudiziaria nel contrasto alla criminalità terroristica. È in un commento del direttore esecutivo, Yury Fedotov, che viene messa in risalto l’importanza di una strategia di contrasto basata su una collaborazione maggiore fra le varie nazioni e gli organi di polizia. Negli ultimi anni il contrasto alla criminalità transnazionale è diventato un assillo ricorrente nelle politiche dell’Unione. Gli Stati membri che hanno maggiormente richiesto assistenza all’Europa sono: l'Italia, la Spagna, la Germania e la Francia. Pertanto, tale necessità potrebbe essere considerata come l’espressione della volontà degli Stati di raggiungere un approccio comune e coordinato tra le autorità giudiziarie presenti in diversi territori11.

Perciò, nonostante le iniziative prese dall’Unione, come gestire la diffusione del fenomeno terroristico, resta un problema complesso, rispetto al quale l’elaborazione di politiche condivise rappresenta uno strumento utile ai fini della lotta alla criminalità transnazionale. Infatti, è l’inadeguatezza di una reazione isolata a spingere l’Unione verso uno sviluppo più marcato delle tecniche di

9 V. Cap III.

10 Cfr. M. Maggiorini e P. Magri Twitter e jihad. La comunicazione dell'Isis, Corriere della Sera inchieste. Che cos’è l’ISIS, Il Califfo, i suoi eserciti, la sua ideologia, 2015, RCS MediaGroup S.p.A ,2015, pp. 78 e ss.

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coordinamento investigativo, che rappresenterebbero dunque, uno strumento di contrasto efficace. Cio nonostante è utile ai fini di una cooperazione efficiente che lo scambio d’informazioni tra autorità giudiziarie nazionali si realizzi su due livelli: uno verticale e uno orizzontale. Il primo avviene tra organi giudiziari e autorità di polizia presenti sul territorio dello Stato membro (Rete giudiziaria europea, squadre investigative comuni e magistrati di collegamento). Il secondo, invece, consente lo scambio d’informazioni tra organi competenti sul territorio dello Stato e organi di coordinamento sovranazionale, come Eurojust 12 per la cooperazione giudiziaria penale ed Europol 13 per la cooperazione di polizia. Entrambi considerati organi di cooperazione penale sovranazionale impegnati nella lotta alla criminalità transnazionale, che presto saranno affiancati dalla Procura europea14.

In Italia il fenomeno del “terrorismo” è stato affrontato con il decreto antiterrorismo n.18 del 2015, convertito con legge n. 43 nello stesso anno, con cui sono state estese sia le competenze della DNA15 sia le competenze della polizia postale ai reati terroristici. In particolare, per quest’ultima si

12 V. 2002/187/GAI.

13 Europol è stato istituito con decisione 2009/371/GAI del Consiglio come entità dell'Unione, finanziata dal bilancio generale dell'Unione, diretta a sostenere e potenziare l'azione delle autorità competenti degli Stati membri e la loro cooperazione reciproca per prevenire e combattere la criminalità organizzata, il terrorismo e altre forme gravi di criminalità che interessano due o più Stati membri. La decisione 2009/371/GAI ha sostituito la convenzione basata sull'articolo K.3 del trattato sull'Unione europea, istitutiva dell'Ufficio europeo di polizia (convenzione Europol) .

14 V. 2013/534/GAI. 15 V. Cap III.

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prevede che possa inibire l’accesso ai siti web e rimuovere contenuti che fanno da propaganda a gruppi terroristici, anche mediante l’aiuto di traduttori e mediatori culturali. In questo modo, laddove in rete siano diffusi contenuti di matrice terroristica, l’autorità di polizia apre un fascicolo nella procura del territorio in cui si è attivata l’indagine. Un ruolo importante, perché consente di cristallizzare, o meglio “congelare” i dati personali dell’utente inseriti al momento della registrazione al network, poiché esse hanno una durata temporanea in rete. Infatti, le politiche interne del web (in particolare i social-media) dopo pochi mesi ne prevedono la cancellazione impedendone il recupero per ragioni investigative in un successivo momento. Inoltre il provvedimento prevede che, nel caso in cui il soggetto indagato provenga da un altro Paese, la polizia postale del luogo in cui l’indagato si trova possa fare richiesta di collaborazione con lo Stato di provenienza. Emerge ancora una volta come la cooperazione fra Stati assume rilievo per il contrasto alla criminalità transnazionale anche multimediale16. Pertanto, le strategie di sicurezza per il contrasto di propagande terroristiche diffuse in internet, sono state incoraggiate, nel febbraio del 2018, dal comparto intelligence. In particolare nella “relazione sulla politica e informazione” diretta al Consiglio dei Ministri italiano, assume rilevanza la necessità per gli Stati di predisporre risorse finanziarie per creare computer e software con le sole

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risorse nazionali.17 Secondo le forze d’intelligence, solo con strumenti elettronici gestiti da ciascuna nazione è possibile verificare in maniera più circoscritta l’accesso ai sistemi multimediali da parte degli utenti. Resta da affrontare per gli Stati il problema concernente l’ingente costo per l’adozione di tali misure, che nella pratica si pone come limite allo sviluppo delle strategie di contrasto al cybercrime.

Tuttavia, sono vari i crimini aventi carattere transnazionale presenti in Europa, tra questi ricordiamo anche quello legato alla tratta di esseri umani, in particolare il traffico di clandestini, la falsificazione dei documenti e lo sfruttamento sessuale di donne18. È dalle stime elaborate da Europol che registriamo un numero di immigrati irregolari del 90%, circolati in Europa tra il 2015 e il 201719 , per un giro di affari che si aggira tra i 3 e i 6 milioni di euro. Inoltre, secondo i dati riportati dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) vi sono segnali che inducono a pensare che i trafficanti continuino a sfruttare i migranti illegali anche dopo il loro arrivo, con minacce e richieste di pagamento supplementari.

Da questo panorama emerge la realtà criminale complessa che caratterizza l’Europa e difficile da perseguire con indagini svolte rimanendo confinati sul singolo territorio

17 Cfr. Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza, Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica, 2017.

18 Cfr. Gaetano de Amicis, cooperazione giudiziaria e corruzione internazionale ,Giuffrè, Milano, 2007, pp.284-290.

19 Cfr. Europol ed Eurojust: l’Unione europea e la lotta al terrorismo, dossier europei, giugno 2017, fasc.n72.

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nazionale. Infatti, sembra evidente come la transnazionalità dei reati coinvolga un numero di Stati sempre maggiore20. Tuttavia ci chiediamo:” in che modo l’operato di Eurojust ha contribuito negli ultimi anni a fronteggiare gli attacchi terroristici? Il suo intervento giudiziario nella lotta al fenomeno, può essere considerato un valore aggiunto alle attività di contrasto svolte sul piano nazionale? ed inoltre, quale sarà il futuro di Eurojust dopo l’istituzione della Procura europea? ”.

Per rispondere a queste domande è necessario ripercorrere le tappe storiche che hanno portato all’attuale assetto sovranazionale, fino a giungere ai giorni nostri.

Innanzitutto, dobbiamo analizzare il motivo che ha spinto l’Unione europea a creare uno Spazio comune europeo e dedicato all’ambito della cooperazione in materia penale fra Stati 21 . Peraltro, un primo richiamo al tema del coordinamento investigativo lo possiamo trovare in Italia nei primi anni ’90, quando i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino iniziano ad occuparsi del contrasto alla criminalità organizzata, quale fenomeno delocalizzata in più Paesi22. È in quegli anni che nasce un primo e timido approccio criminologico alla materia della cooperazione tra autorità giudiziarie e di polizia, poiché ci si rende conto che la perpetrazione di questi crimini non rimaneva confinata sul

20 Cfr. A. Weyembergh, La cooperazione giudiziaria e di polizia, in E. Kostoris,

Manuale di procedura penale europea, Giuffrè, 2017, pp. 198 ss.

21 Cfr. E. Aprile, “ Diritto processuale penale europeo e internazionale”, Cedam, 2007, pp. 119 ss.

22 Cfr. V. Fronzoni, Obbligatorietà dell’azione penale e cooperazione giudiziaria internazionale, Edizioni scientifiche italiane, 2010, pp. 49 ss.

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territorio statale, ma andava oltre, coinvolgendo un campo d’azione esteso. Perciò, le tecniche sviluppate per contrastare la criminalità organizzata potrebbero aver stimolato lo sviluppo delle strategie di contrasto per reati aventi natura transnazionale, data la loro portata estensiva su due o più Stati.

È in onore di questi magistrati che si è tenuta la cerimonia commemorativa del 14 novembre 2017 presso Eurojust in occasione del venticinquesimo anniversario dalla strage di Capaci. Un evento cui hanno partecipato alti rappresentanti delle istituzioni italiane quali il segretario del Ministero della Giustizia Cosimo Ferri, il presidente della Fondazione Falcone Maria Falcone, il Procuratore Nazionale anti-mafia e Anti-terrorismo Franco Roberti, l’Ambasciatore italiano nei Paesi Bassi Andrea Perugini, il giudice della corte penale internazionale Cuno Tarfusser ed il giudice del Tribunale Speciale per il Libano Nicola Lettieri.

Nell’occasione è intervenuto in video conferenza il presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella con un messaggio di sostegno all’iniziativa di Eurojust dichiarando: ” Falcone e Borsellino furono tra i primi a comprendere la necessità di attività investigative transnazionali per sconfiggere fenomeni criminali in rapida espansione. La cooperazione nelle indagini rappresenta oggi un indispensabile strumento per l’efficacia della lotta alle mafie, che deve essere condotta superando particolarismi locali ed investendo nella costruzione di un reale sistema di

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coordinamento investigativo”. Un discorso a cui segue l’intervento di Filippo Spiezia, Membro Nazionale per l’Italia a Eurojust, in cui mette in evidenza l’impegno dell’agenzia nel riaffermare la sua determinazione a continuare a sostenere le procure nazionali, a partire dalla D.N.A23, nella lotta contro il crimine organizzato e il terrorismo.

2. Le prime forme di cooperazione fra Stati in materia penale

Il tema della cooperazione penale ha un’evoluzione tutt’altro che omogenea: mentre alcune aree del Benelux hanno avviato forme di cooperazione già dai primi anni ’70 con l’istituzione di gruppi privi di coordinamento fra loro e impegnati nella lotta ai crimini gravi transnazionali, come nel caso del gruppo Trevi24. Gli altri Stati sviluppano le prime forme di cooperazione con natura prevalentemente interstatuale solo dai primi anni ’90 e dopo la creazione dell’Unione25.

In questo senso le prime forme embrionali di cooperazione si sviluppano solo tra forze di polizia, escludendo la collaborazione tra autorità giudiziarie. Notevole “slancio” in

23 V.Cap III.

24 Il cd. “Gruppo Trevi” è stato istituito durante la riunione del Consiglio europeo a Roma, il 1 e il 2 dicembre 1974 e venuto meno con il Trattato di Maastricht nel 1992 con il quale tali competenze vengono assorbite nell’ambito del Terzo pilastro, dedicato allo Spazio di libertà sicurezza e giustizia.

25 Forte stimolo per la cooperazione penale fra Stati arriva dall’emergenza terroristica a Tel Aviv, il 4 e 5 marzo 1975 da parte dei membri dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina sferrato contro l’Hotel Savoy.

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questo senso è avvenuto con l’avvio “dell’attività europea dell’emergenza” avviata dopo i fatti terroristici della XX° Olimpiade di Monaco di Baviera nel 1972. È in quest’occasione che gli Stati hanno percepito l’insufficiente potenzialità repressiva dell’azione isolata, incapace di contrastare fenomeni criminali transnazionali di “serious crime” e, in particolare, quelli di terrorismo26.

Quanto alle prime forme di cooperazione, esse presentano problemi legati alla lenta circolazione d’informazioni che ostacolano le attività giudiziarie, specie se le indagini sono svolte su due o più Stati. Cio nonostante, i primi modelli di cooperazione penale nascono con valenza internazionale, tra questi vi è l’estradizione, ossia uno strumento connesso al principio di territorialità ed espressione di rapporti impostati su cortesie diplomatiche fra Stati. Tuttavia, l’estradizione consente di dare esecuzione nei confronti dell’indagato-imputato ad “una sentenza di condanna o ad un altro provvedimento restrittivo della libertà personale” in base agli artt. 697 e 720 del c.p.p.27. Le sue origini derivano da accordi con cui due sovrani s’impegnavano ciascuno a consegnare i traditori che si erano rifugiati nello Stato

26 È interessante osservare come, prima di passare in secondo piano dinnanzi agli eventi bellici e post bellici, il fenomeno terroristico si era posto all’attenzione della comunità internazionale già alla fine degli anni Trenta, quando-seppur mai ratificata- venne sottoscritta la Convenzione di Ginevra del 16 novembre 1937 sulla scia dell’attentato del 9 ottobre 1934 costato la vita al Re Alessandro di Jugoslavia e al ministro degli Esteri francese Louis Barthou. Per quanto riguarda la ricostruzione storica della cooperazione europea finalizzata alla repressione del terrorismo v. M. R. Marchetti, Istituzioni europee e lotta al terrorismo, Padova, 1986, pag. 75; M. Pisani,

Criminalità organizzata e cooperazione internazionale, in Riv. It. Dir. Proc. pen.,

1998, pag. 703.

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dell’altro28. Il più antico Trattato risale al 1174 fra il re d’Inghilterra e il re di Scozia, ma in realtà solo nel 1376 con Carlo V, re di Francia e Amedeo, conte di Savoia, si ricorre per la prima volta allo strumento dell’estradizione così come inteso nel senso moderno. Tale strumento dunque, rappresenta la forma di collaborazione tra Stati in materia penale, che si esercita mediante la consegna di una persona da uno Stato nel cui territorio si trova a un altro che ne abbia fatto richiesta, affinché la persona possa essere sottoposta a giudizio o all’esecuzione a suo carico di una sentenza di condanna o ad altro provvedimento restrittivo della libertà personale.

La nozione di cooperazione internazionale è andata evolvendo: dalla seconda metà del secolo scorso, si è giunti a forme più moderne di cooperazione, tendenti a realizzare la partecipazione degli Stati interessati ai procedimenti investigativi e giurisdizionali. Sotto questo profilo, alla cooperazione interstatuale ovvero intergovernativa, si è sostituita quale forma intermedia di tale linea evolutiva, un rapporto di diretta cooperazione tra autorità giudiziarie di Paesi diversi. Il mandato di arresto europeo, operativo dal 1° gennaio 2004, rappresenta la possibilità per le autorità giudiziarie presenti in Europa di ricorrere a procedure

28 V. L. Scotti, La cooperazione giudiziaria dal trattato di Roma agli Accordi di

Maastricht, in Doc. giustizia, 1992-I, pag. 1406 e ss. ; A, Fortescue, La cooperation

dans les domaines de la justice et des affaires intérieures dans le Traité de Maastricht; in B. Nascimbene, con la collaborazione di M. Pastore, Da Schengen a Maastricht.

Aperture delle frontiere, cooperazione giudiziaria e di polizia, Giuffrè, Milano,

1995, pp. 28 ss. ; A. Tizzano, Il trattato di Amsterdam, Cedam, Padova, 1992, pp. 73 e ss.

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semplificate nella consegna del reo, per l’esercizio dell’azione penale o dell’esecuzione di una pena o una misura di sicurezza privativa della libertà. Tale strumento, che sostituisce l’estradizione, si basa sull’effettiva applicazione del principio di reciproco riconoscimento delle decisioni assunte dalle autorità giudiziarie dei singoli Stati membri.. Pertanto, sul punto, parte della dottrina ha acutamente sottolineato che: «è proprio nel passaggio da un regime di estradizione a quello di semplice “consegna” allo Stato di condanna che si può percepire chiaramente la differenza tra un sistema di cooperazione e quello di uno spazio di giustizia comune che può dirsi veramente esistente in quanto il provvedimento giudiziario di uno Stato venga trattato come quello corrispondente emesso nel proprio ordinamento»29.

Inoltre, dietro la scelta degli Stati membri di adottare forme diverse di cooperazione penale vi erano altri motivi, che si aggiungevano alla necessità di “giurisdizionalizzazione” delle tecniche di cooperazione in materia penale. Infatti, in Europa si sentiva l’esigenza di semplificare le dinamiche burocratiche delle richieste di assistenza giudiziaria penale fra Stati. Un esempio è l’eliminazione dell’obbligo di un allegato di traduzione. Aspetto che oggi è venuto meno proprio per semplificare le procedure e velocizzare i tempi

29 Cfr. L. Salazar, “L’unità di cooperazione giudiziaria “Eurojust” in seno al

Trattato di Nizza”, in A. Tizzano, “il Trattato di Nizza”, Giuffrè, Milano, 2003, pag.

311; cfr. G. Lattanzi, “La nuova dimensione della cooperazione giudiziaria”, in Doc. Giustizia, 2000, pag. 1041.

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amministrativi della giustizia. In realtà, le procedure di estradizione soffrono ancora di limiti di applicabilità derivanti dal ruolo attribuito al Ministro della giustizia30,poiché ai sensi dell’articolo 696 sexies egli «garantisce l’osservanza delle condizioni eventualmente poste in casi particolari dall’autorità giudiziaria dello Stato membro per dare esecuzione alle decisioni giudiziarie di cui è stato chiesto il riconoscimento». Un compito quest’ultimo, che viene ulteriormente rafforzato al secondo comma dello stesso articolo, dove si precisa che il Ministro «verifica» il rispetto delle condizioni poste dall’autorità giudiziaria italiana per l’esecuzione delle decisioni e dei provvedimenti nel territorio di un altro Stato membro. Inoltre, è previsto per legge che la procedura di estradizione, per essere completata, deve essere caratterizzata dal doppio consenso, politico del Ministro e giurisdizionale della Corte di appello31. Nel primo caso, il consenso dovrà arrivare dal Ministro della giustizia, ma questo non sempre avviene. Infatti, all’art 697 comma 1° bis c.p.p si stabilisce che «il Ministro della Giustizia non dà corso alla domanda di estradizione quando questa può compromettere la sovranità, la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato». Tale norma si pone in un’ottica garantista, poiché evita che la consegna alle autorità straniere possa avvenire con altri espedienti rispetto alle procedure di estradizione, che non

30 V. art. 696 sexies c.p.p 31 V. art. 701 primo comma c.p.p

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sono altrettanto tutelate. Inoltre, un’altra ipotesi di rifiuto all’estradizione da parte del Ministro di Giustizia è prevista nell’art. 696 c.p.p., 4° comma, nell’ipotesi in cui «lo Stato richiedente non dia idonee garanzie di reciprocità».

In Europa, l’interesse per la giustizia penale si ha con il Trattato di Maastricht, che getta le basi per la creazione di uno “Spazio giudiziario europeo”32. Tale progetto era stato presentato, anche se con scarso successo, già nel lontano 1977 al Consiglio europeo, da parte del francese Giscard d’Estaing, primo personaggio storico a parlare di “espace judiciaire unique”33.

Quest’ultimo poggiava sulla presenza di cinque tappe: l’elaborazione di una convenzione di estradizione semplificata; il miglioramento e la semplificazione della procedura di assistenza giudiziaria penale internazionale fra Stati; il riconoscimento delle sentenze penali e l’uniformizzazione della procedura di trasferimento dei detenuti tra gli Stati34. A seguito del suo fallimento, l’idea di realizzare uno Spazio giudiziario penale condiviso tra gli Stati dell’Unione viene congelata, almeno fino agli anni Ottanta, quando iniziano a prender forma attività di cooperazione in materia penale fra Stati, seppur nell’ottica di una cooperazione tra governi e quindi di natura interstatuale.

32 Cfr. A. Tizzano, Codice dell’Unione europea, Cedam, Padova, 1995, pag. XIII e ss 33 Cfr. E. Kostoris , Manuale di procedura penale europea, Giuffrè, Milano 2017, pp. 198-200.

34 Cfr. D. M. Curtin , La coopération dans le domaine de la justice et des affaires intérieures au sein de l’Union européenne : une nostalgie d’avant Maastricht ?, in Revue du Marché Unique eur, 1995, pag. 13 e ss.

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Tuttavia l’evoluzione della cooperazione penale europea ha sofferto di altre limitazioni: la diversità delle priorità politiche, ossia degli obiettivi che ogni Stato si poneva di raggiungere e che non necessariamente coincidevano con gli obiettivi degli altri Stati, soprattutto dal punto di vista della legislazione penale. Aspetto quest’ultimo connotato da profonde differenze tra gli ordinamenti presenti nell’Unione, poiché ciascun Stato è caratterizzato dalla propria normazione interna che, il più delle volte rappresenta il frutto del suo passato storico-politico-culturale.

Salto in avanti, per favorire l’armonizzazione legislativa nell’Unione tra Stati membri è avvenuto con alcune sentenze della Corte di giustizia, che ha esteso all’ambito della cooperazione giudiziaria in materia penale l’applicazione di alcuni principi del diritto comunitario, come la leale collaborazione (art. 4 T.U.E.)35, l’obbligo d’interpretazione conforme 36 e il principio di non discriminazione 37 .

35 E’ un principio fondamentale del diritto dell’Unione europea sancito dall’art. 4 del trattato sull’Unione europea, che pone un obbligo di collaborazione tra Stati membri per garantire l’uniforme e coerente applicazione delle politiche europee negli ordinamenti interni dei paesi dell’Unione. Pertanto ogni Stato membro deve adottare tutti gli atti giuridici che siano necessari al conseguimento degli obiettivi comunitari. 36 L’obbligo d’interpretazione conforme consiste nell’obbligo gravante sul giudice nazionale (e su ciascun interprete del diritto nazionale) di prendere in considerazione tutte le norme del diritto interno ed utilizzare tutti i metodi d’interpretazione ad esso riconosciuti per giungere ad un risultato conforme a quello voluto dall’ordinamento comunitario. Esso, in estrema sintesi, consiste nell’interpretare il diritto interno nazionale conformemente a quello comunitario, in modo da assicurare il continuo adeguamento del primo al contenuto e agli obiettivi dell’ordinamento comunitario. In particolare nella sent. della Corte di giustizia dell’Unione europea, del 16 giugno 2005, relativa al procedimento C- 105/03 sulla posizione della vittima nel processo penale, l’obbligo d’interpretazione conforme sussiste anche per le decisioni quadro nell’ambito del terzo pilastro dell’U.E (giustizia e affari interni). Il giudice è dispensato da tale obbligo solo se non ha alcun margine di discrezionalità nell’interpretare la norma nazionale, in caso contrario deve preferire quella più vicina a quella comunitaria. Se l’atto è una direttiva l’obbligo scatta solo dopo l’entrata in vigore della medesima.

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Quest’ultimi, nel loro insieme, hanno permesso all’Unione di garantire l’uniforme e coerente applicazione delle politiche europee negli ordinamenti interni dei paesi dell’Unione.

Inoltre se da tale interpretazione può scaturire un aggravamento della responsabilità penale dell’individuo l’obbligo d’interpretazione conforme viene meno, in quanto esso comporterebbe la violazione del principio del favor rei.

37 Il principio di non discriminazione è volto a garantire la parità di trattamento tra persone, quali che siano la nazionalità, il sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età e le tendenze sessuali. A tal fine il Consiglio dei ministri, deliberando con voto all’unanimità, su proposta della Commissione europea e dopo aver consultato il Parlamento europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere tali disparità. Il suddetto principio ha trovato nel Trattato di Maastricht espresso e generale riconoscimento in tre fattispecie: come generale divieto di discriminazione in base alla nazionalità (art. 12 TCE); come esclusione di qualsiasi discriminazione tra produttori e consumatori, in tema di organizzazione comune dei mercati agricoli (art. 34, par. 2 TCE) e come principio che sancisce la parità di retribuzione tra lavoratori dei due sessi (art. 141 TCE). Una lunga marcia quella dedicata all’eliminazione delle forme di discriminazione che si è evoluta nel tempo: nel diritto comunitario di è passati dalla previsione di un generale divieto di discriminazione in base alla nazionalità, sino ad arrivare alla proibizione di ogni discriminazione che fondandosi su diversi criteri distintivi, giungesse a tale finalità. Un esempio è l’introduzione di art. 13 a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, con cui l’Unione europea si è impegnata a rispettare lo status previsto nelle legislazioni nazionali per le chiese, le associazioni religiose, le organizzazioni filosofiche e non confessionali. Altro sviluppo in tal senso è avvenuto con l’entrata in vigore del trattato di Nizza che ha aggiunto un secondo paragrafo al sopra citato articolo 13. In quest’ultimo si richiama la procedura di approvazione ex art. 251 TCE quando il Consiglio adotta misure di incentivazione comunitaria destinate ad appoggiare le azioni degli Stati membri volte a realizzare gli obiettivi generali di lotta alla discriminazione di cui al par. 1.

Pertanto come evidenziato dalla stessa Corte di giustizia dell’Unione europea «il

principio generale d’uguaglianza, di cui il divieto di discriminazione a motivo della cittadinanza è solo un espressione specifica, è uno dei principi fondamentali del diritto comunitario. Questo impone di non trattare in modo diverso situazioni analoghe, salvo che la differenza di trattamento sia obiettivamente giustificata». V.

sent. Uberschar, 8 ottobre 1980, causa 810/79, ivi, pp. 2747 e ss.

In particolare secondo un consolidato indirizzo della Corte di giustizia, si ha una discriminazione “sostanziale” «sia nel trattamento diverso di situazioni simili, sia nello stesso trattamento di situazioni diverse», mentre la disparità di trattamento di situazioni non comparabili si risolve, per contro, in una discriminazione “formale” che non contrasta con il dettato comunitario. V. sent. del 17 luglio 1963, causa 13/63, governo italiano contro commissione CEE, ivi, 1963, pp. 33 e ss.

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3. La cooperazione penale nell’Unione europea

L’integrazione della cooperazione penale nell’Unione europea ha avuto inizio con il già citato Trattato di Maastricht e la struttura a pilastri, che fino al 200938 ha caratterizzato l’Unione. In particolare il terzo pilastro, comprendeva materie definite di “interesse comune” dall’art. K1 TUE dal quale si evince che l’obiettivo principale era quello di garantire la libera circolazione dei cittadini sul territorio degli Stati membri39.

Tuttavia Maastricht non “comunitarizza” l’ambito della cooperazione penale, ma si limita a “istituzionalizzarla” rimanendo la stessa confinata nel campo del diritto internazionale generale e la sua gestione affidata non più direttamente agli Stati, bensì alle istituzioni comunitarie40. Decisiva, per la sua evoluzione è stata l’esigenza di affrontare in modo unitario a livello europeo il fenomeno del terrorismo internazionale e il processo di abbattimento delle frontiere. Questo perché, a seguito dell’entrata in vigore del trattato di Schengen, che ha permesso la libera circolazione sui territori europei di persone, merci e servizi, si è posta la necessità di cercare forme compensative per rispondere alle esigenze di sicurezza sorte con la diminuzione dei controlli

38 L’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, nel 2009, ha eliminato la struttura a pilastri.

39 Cfr. R. Adam, La cooperazione nel campo della giustizia e affari interni: da

Schengen a Maastricht, in Dir. Un. Eur., 1994, p. 225 ss. ; V. anche L. Salazar, La costruzione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia dopo il Consiglio europeo di Tampere, in Cass. Pen., fasc. 4, 2000, pag. 1124; Tizzano, Brevi note sul “terzo pilastro” del trattato di Maastricht, in Dir. Un Eur. , 1996, p.391.

40 V. L.S. Rossi, Le Convenzioni fra gli Stati membri dell’Unione, Giuffré, 2000, pag. 183 e ss.; A. Tizzano, Il Trattato di Amsterdam, Cedam, Padova, 1998, pp. 64 e ss.

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alle frontiere. Tuttavia l’abbattimento dei confini è stato necessario per sviluppare l’ambito della cooperazione giudiziaria, si pensi al profilo della semplificazione dei processi legati alla circolazione delle informazioni investigative.

Da un certo punto di vista quella del Terzo Pilastro è stata un’esperienza caratterizzata da un’evoluzione limitata da vari fattori: primo fra tutti i riflessi intergovernativi presenti negli atti adottati dal Consiglio e nel rapporto tra le istituzioni comunitarie. Si pensi alla regola del voto all’unanimità, che rifletteva la prudenza degli Stati a impegnarsi nelle questioni comunitarie attinenti alle materie del Terzo Pilastro41. Infatti, gli Stati membri non accettavano forme d’intromissione esterne nel diritto penale nazionale42. Altro limite lo possiamo riscontrare dal ruolo marginale rivestito dalla Commissione nei procedimenti legislativi. Essa, infatti, godeva di un potere d’iniziativa legislativa condiviso con gli Stati membri, dal quale però era esclusa la materia doganale e di cooperazione penale che, in base ad art. 4 k del TUE, spettava esclusivamente agli Stati membri. Quanto al coinvolgimento del Parlamento europeo nel procedimento legislativo, ai sensi dell’art 6k TUE esso era

41 Cfr. M. Den Boer, “Steamy windowa: transparency and openness in Justice and Home Affairs”, in V. Deckmyn, Thomson, I., (edited by), Openness and Transparency in the European Union, European Institute of Public Administration, 1998, pp. 103 e ss.

42 Cfr. R. Adam, La cooperazione in materia di giustizia e affari interni tra

comunitarizzazione e metodo intergovernativo, in Dir. UE, 1998, pp. 495 e ss.;V.

anche B.,Van Simaeys, Le nouvel espece e liberté, de sécurité et de justice, in Le Traité d’Amsterdam. Espoirs et déceptions, Bruylant, 1998, pp. 236 e ss. ;Cfr. H. Bribosia, “Liberté, sécurité et justice : l’imbroglio d’un nouvel espace, in Revue du Marché de l’Union européenne”, 19998, pag.41.

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limitato ad un ruolo consultivo e condiviso con il Consiglio. Peraltro il rapporto, tra Parlamento europeo e Consiglio, non era basato sulla fiducia e perciò evidenziava il deficit democratico di cui, in generale, soffriva tutta la struttura istituzionale dell’Unione in quell’epoca43.

Infine, anche il ruolo della Corte di giustizia era limitato, poiché essa non aveva una giurisdizione su questioni riguardanti l’ambito della cooperazione giudiziaria, per le quali dovrà attendere l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Nella metà degli anni ’90 il Consiglio dell’Unione europea ha adottato alcune risoluzioni44, che gli hanno consentito di legiferare nell’ambito della giustizia ed affari interni45. Un esempio è il Piano di azine di Vienna del 1998, che rappresenta il primo documento volto ad evidenziare come la cooperazione giudiziaria in materia penale nell’Unione europea incontrasse « difficoltà a far fronte a fenomeni quali la criminalità organizzata, per mancanza di semplificazione delle procedure, e, ove necessario di armonizzazione delle normative». Inoltre, quest’ultimo è

43 V. E. Aprile, F. Spiezia, Cooperazione giudiziaria nell’Unione Europea prima e

dopo il Trattato di Lisbona, Ipsoa, 2009; V. E. Barbe, “L’espace judiciaire europèen”, La documentation française, Reflexe Europe, 2007

44 Convenzione relativa alla procedura semplificata di estradizione tra gli Stati membri dell’Unione europea adottata il 10 marzo 1995 e pubblicata in GCUE n. C 78 del 30 marzo 1995; Convenzione relativa all’estradizione tra gli Stati Membri dell’Unione europea, adottata il 27 settembre 1996 e pubblicata in GCUE n. C 313 del 23 ottobre 1996; Risoluzione sulla protezione dei testimoni nel quadro della lotta contro la criminalità organizzata internazionale del 23 novembre 1995, pubblicata in GCUE n. 329 del 4 novembre 1996; Risoluzione sui collaboratori di giustizia del 20 dicembre 1996, pubblicata in GCUE n. C. 10 dell’11 gennaio 1997; Risoluzione del 21 dicembre 1998, sulla prevenzione della criminalità organizzata pubblicata in GCUE n. C. 408 del 29 dicembre 1998.

45 Il più importante esempio in materia è costituito dal “Piano di azione contro la criminalità organizzata” adottato dal Consiglio il 28 aprile 1997.

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stato il primo atto ad osservare che «concretamente ciò significa innanzitutto adottare la stessa impostazione, in modo altrettanto efficiente, di fronte ai comportamenti criminali in tutta l’Unione». A tal fine, il suddetto Piano ha individuato specifiche azioni da realizzare entro termini precisi (da due a cinque anni), tra le quali la facilitazione dell’estradizione, la predisposizione di una convenzione di assistenza giudiziaria in materia penale ed il ravvicinamento delle legislazioni.

Tuttavia, gli sforzi fatti dall’Unione per rafforzare l’ambito del terzo pilastro, alla vigilia della Conferenza intergovernativa che avrebbe portato all’adozione del Trattato di Amsterdam, i risultati prodotti fino a quel momento vengono giudicati complessivamente deludenti sia dalle stesse istituzioni comunitarie che dagli Stati membri. Il motivo di questo fallimento viene attribuito al fatto che gli atti utilizzati dal Consiglio per legiferare nell’ambito del terzo pilastro, ossia risoluzioni e raccomandazioni, erano dotati di scarsa vincolatività giuridica. Così facendo il legislatore europeo non obbligava gli Stati membri a recepire il contenuto normativo.

Emerge, dunque, l’esigenza di adottare nell’Unione strumenti dotati di maggior capacità vincolante, poiché solo tramite atti capaci d’incidere negli ordinamenti interni sarebbe stato possibile armonizzare l’ambito del terzo pilastro e quindi la nuova disciplina della cooperazione giudiziaria. Su questa linea si pone anche il nuovo “Piano

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d’azione” presentato al Consiglio europeo di Vienna, nel 1998 e contenente le linee guida per “comunitarizzare” l’ambito della cooperazione penale46. Infatti, esso anticipava alcuni temi, tra cui: il coordinamento delle indagini, il riconoscimento reciproco delle decisioni penali, l’attività transfrontaliera delle autorità giudiziarie e altre questioni, che poi verranno riprese in occasione del Consiglio di Tampere47.

Ulteriori sviluppi nell’ambito del terzo pilastro li abbiamo con l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, nel 1999, che modifica il vecchio nominativo “GAI” (Giustizia e Affari Interni) in Spazio, Libertà, Sicurezza e Giustizia. Un processo quest’ultimo che ha comportato l’introduzione di alcune novità, come: l’elaborazione da parte dell’Unione di un nuovo obiettivo e la scissione delle vecchie materie GAI in due gruppi di distinti, ma sempre lasciando nel Terzo Pilastro quella dedicata alla cooperazione di polizia e giudiziaria in ambito penale.

Inoltre, il Trattato di Amsterdam per risolvere il problema della scarsa incisività degli strumenti di soft law (risoluzioni, raccomandazioni e pareri) utilizzati dal legislatore europeo per legiferare nel terzo pilastro, ha introdotto atti dotati di maggior grado di incisività giuridica ma comunque privi di effetti diretti. Ci si riferisce alle Decisioni Quadro, ossia

46 Il testo del piano d’azione, adottato dal Consiglio del 3 dicembre 1998, è pubblicato in GCUE n. C. 19 del 23 gennaio 1999.

47 Cfr. L. Salazar, La costruzione di uno spazio di libertà sicurezza e giustizia dopo il

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“direttive depotenziate” idonee a imporre obiettivi da raggiungere agli Stati, ma di fatto incapaci di avviare procedimenti d’infrazione nei confronti dello Stato inadempiente. Di conseguenza esse rimanevano prive di effetti vincolanti, poiché non obbligavano gli Stati al loro recepimento. Perciò, le nuove Decisioni quadro non rispondevano in maniera positiva ed efficace alla necessità di armonizzare la disciplina relativa alla materia della cooperazione penale.48

Per quanto riguarda la riformulazione della nozione di Spazio, che si riferiva alla libera circolazione dei cittadini sui territori degli Stati membri, dopo Amsterdam assume un rilievo specifico. Pertanto, esso viene ricondotto al concetto di cittadinanza dell’Unione europea, in aggiunta alla cittadinanza nazionale per sottolineare l’appartenenza della popolazione europea ad un’entità politica, dove gli Stati che compongono l’Unione figurano una realtà geografica comune49.

Da questa modifica in realtà nascono conseguenze di grande portata nel settore penale comunitario, tra cui: l’estensione del principio del mutuo riconoscimento all’ambito penale (che però trova effettività operativa solo con Lisbona) e l’istituzione di squadre investigative comuni.

Il primo trova fondamento nella fiducia reciproca tra Stati, che pur presentando tradizioni culturali e normative diverse

48 V. sent. “Pupino” della Corte di giustizia, 16/6/2005, C-105/03.

49 Cfr. E. Kostoris “Manuale di procedura penale europea”, Giuffrè, Milano, 2017, pp. 184-200.

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sono legati da vincoli di affinità dettati dall’appartenenza all’Unione. Da un punto di vista contenutistico il concetto di mutuo riconoscimento e quello di cooperazione presentano alcune differenze. Infatti, mentre quest’ultima si ha quando uno Stato richiede l’assistenza di un altro Stato in un procedimento penale, il principio del mutuo riconoscimento si riferisce ai casi in cui il provvedimento del primo Stato produce effetti sul secondo, che diviene esecutore dell’atto. Con il Trattato di Amsterdam (artt. 43-45 TUE) viene introdotto lo strumento delle cooperazioni, come strumento per promuovere la realizzazione degli obiettivi della Comunità e dell’Unione, la protezione degli interessi e il rafforzamento del processo d’integrazione. Peraltro, le cooperazioni rafforzate hanno rappresentato un rimedio per superare le “paralisi decisionali” in seno al Consiglio, quando non veniva raggiunto il consenso unanime degli Stati membri nel processo legislativo50. Nel concreto lo strumento della cooperazione rafforzata è diretto a dare attuazione alle azioni comuni o posizioni comuni su richiesta di almeno 9 Stati 51, informando la Commissione che a sua volta informa il Consiglio dell’Unione europea e autorizza la manovra esprimendosi a maggioranza qualificata52 . Per quanto riguarda le deliberazioni degli Stati, esse sono aperte a tutti i paesi membri dell’Unione, ma solo quelli che sono in

50 Cfr. F. Spiezia, Crimine transnazionale e procedure di cooperazione giudiziaria, Il sole 24 Ore, 2006, pag. 52 ss.

51 V. art 20 TUE par 2 52 V. Art. 11 Trattato CE

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cooperazione rafforzata hanno diritto di voto e le decisioni prese si attuano solo alla loro legislazione. Dal punto di vista pratico tale strumento, ha consentito di stringere accordi fra Stati su vari temi, si pensi all’accordo di Divorzio tra coniugi di nazionalità diversa a cui hanno partecipato attualmente Austria, Belgio, Bulgaria, Francia, Germania, Italia, Lettonia, Lussemburgo, Malta, Portogallo, Romania, Slovenia, Spagna e Ungheria. Degno di nota è anche l’accordo sul brevetto europeo, cui hanno partecipato tutti gli Stati ad eccezione della Spagna o all’accordo dello scorso 8 giugno 2017 in ambito penale per la creazione della procura europea, raggiunto fra venti Stati (Belgio, Bulgaria, Cipro, Repubblica ceca, Estonia, Germania, Grecia, Spagna, Finlandia, Francia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Portogallo, Romania, Slovenia, Slovacchia, Austria e Italia)53. Tuttavia, premesso che tale situazione non si è ancora verificata nel panorama istituzionale europeo, la possibilità per gli Stati di giungere ad accordi che prevedono l’applicazione della disciplina di riferimento alle sole legislazioni dei paesi coinvolti, potrebbe svuotare di senso il principio del mutuo riconoscimento. Questo perché, se uno stato firmatario riconosce determinate garanzie difensive ad un soggetto, potrebbero sorgere difficoltà nel rapportarsi con

53 La cooperazione rafforzata nel terzo pilastro, ossia nell’ambito della cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale, è ora disciplinata dagli art. da 40 a 40 B del TUE. Per quanto riguarda l’autorizzazione, la nuova procedura prevede la richiesta alla Commissione europea e la successiva proposta di quest’ultima al Consiglio (con possibilità per la Commissione di non presentare alcuna proposta, motivando tale decisione). A differenza del pilastro comunitario, gli Stati che intendono procedere alla cooperazione rafforzata possono comunque agire di propria iniziativa richiedendo direttamente l’autorizzazione al Consiglio.

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un altro Stato che invece tali garanzie non le riconosce, in quanto estraneo all’accordo. Questa è un’ipotesi, che però potrebbe mettere in risalto il “tallone d’Achille” del principio di mutuo riconoscimento. Per quanto riguarda, invece, le materie definite di “interesse comune” dal Trattato di Amsterdam, possiamo individuare due categorie: da un lato la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale e dall’altro la cooperazione giudiziaria in materia civile per la politica di asilo e di immigrazione, la cooperazione doganale54. Tuttavia, mentre il secondo gruppo di materie viene “comunitarizzato” , ossia viene trasferito con la “passerella comunitaria” al primo pilastro 55 ,le altre continuano a rientrare nell’ambito del Terzo Pilastro. Inoltre, dopo l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam nell’organizzazione istituzionale iniziano ad emergere alcuni elementi d’ispirazione comunitaria nel Terzo Pilastro, seppur prevalente la logica intergovernativa. Il Consiglio dell’Unione europea assumeva un ruolo predominante sia rispetto alle altre istituzioni sia rispetto al Parlamento56. Quest’ultimo, peraltro, continuava a rivestire il ruolo di semplice organo consultivo. Infatti, il processo di

54 Art. K1 Trattato di Maastricht.

55 Viene regolata dall’art 65 Titolo IV CE. La decisione con la quale il Consiglio all’unanimità trasferisce le materie della cooperazione giudiziaria in materia civile al Primo pilastro può considerarsi una “decisione impropria”, in quanto è posta come raccomandazione agli Stati membri che la sottoporranno alle procedure costituzionali interne di adattamento. Si propone dunque la natura convenzionale che caratterizza questo settore di cooperazione. Sono di questo parere, tra gli altri Porro, Cantoni, voce Comunità Europee- Trattato di Maastricht e Amsterdam, in Digesto delle discipline pubblicistiche, Appendice, Torino, 2000, p. 123.

56 Cfr. M. Den Boer, Steamy windowa: transparency and openness in Justice and Home Affairs”, in V. Deckmyn, Thomson, I. Openness and Transparency in the European Union, European Institute of Public Administration, 1998, pag. 103 e s

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comunitarizzazione si completerà solo nel 2009, con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona. Per quanto riguarda il ruolo della Commissione, con Amsterdam essa acquisisce il diritto di iniziativa legislativa in materia di cooperazione di polizia e giudiziaria penale. Anche il ruolo della Corte di giustizia subisce uno sviluppo in senso comunitario, poiché la sua competenza giurisdizionale viene estesa all’ambito del Terzo Pilastro, con la possibilità di pronunciare sentenze rivolte allo Spazio penale europeo, anche se continuava a soffrire di alcuni limiti. Infatti, la Corte per interpretare il diritto europeo o per pronunciarsi sulla sua validità in questioni pregiudiziali proposte dai giudici nazionali, era obbligata a fare previa richiesta di accettazione allo Stato membro interessato. In conclusione, anche se con Amsterdam sono stati fatti passi in avanti per comunitarizzare le istituzioni dell’Unione, i tempi per giungere ad un’omogenea disciplina del Terzo pilastro non erano ancora maturi.57 Tuttavia il lento sviluppo della materia di cooperazione penale non era dovuto solo a questo ma vi erano altri fattori: come la difficoltà di armonizzazione delle materie rientranti nel terzo pilastro. Si tratta di pratiche

57 L’art 3, lettera h del Trattato della Comunità Europea (TCE) (v. Trattati di Roma) indica tra le azioni che la Comunità europea (v. Comunità economica europea) può svolgere al fine di realizzare gli obiettivi previsti dal Trattato stesso «il ravvicinamento delle legislazioni nella misura necessaria al funzionamento del mercato». Si può , anzitutto, notare come nessun articolo del Trattato CE specifichi il significato della nozione di ravvicinamento, peraltro si può escludere che essa comporti l’introduzione di regole identiche per tutti gli Stati membri tramite la quale sostituire in toto le norme già esistenti all’interno di ciascuno di ess. Piuttosto, il ravvicinamento delle legislazioni nazionali implica un adeguamento progressivo degli ordinamenti giuridici nazionali in funzione di alcune finalità previamente definite dal Diritto comunitario.

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mediante cui l’Unione procede con intensità diversa alla realizzazione del processo d’integrazione. Si può sostenere che, tramite le tecniche di armonizzazione l’Unione europea interviene in via diretta, per accorciare le distanze esistenti tra i vari ordinamenti nazionali. Non si realizza un avvicinamento tra gli ordinamenti nazionali che mantengono normative distinte. Tuttavia, solo con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona il legislatore europeo adotta atti legislativi idonei ad armonizzare le legislazioni degli Stati. Sul punto, infatti, gli artt. 114 e il 115 TFUE riconoscono il potere dell’Unione di esercitare azioni di armonizzazione delle diverse discipline nazionali. In particolare, l’articolo 114 TFUE afferma che: ”Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale, adottano le misure relative al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri”. L’Art 115 TFUE, invece, chiarisce il ruolo del Consiglio che, deliberando all’unanimità con procedura legislativa speciale e previa consultazione del Parlamento, stabilisce direttive volte al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri58. Se ci chiediamo cosa s’intende con il concetto di “armonizzazione” e “ravvicinamento” delle

58 Cfr. Bernardi, L’europeizzazione del diritto e della scienza penale, Torino, 2004, p. 66 ss. ;Valten, Diritto penale europeo, in Criminali, annuario di scienze penalistiche, 2006, p.125 ss. ; Sotis, Il diritto senza codice. Uno studio sul sistema

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legislazioni nazionali presenti nell’Unione, notiamo che difficilmente nei manuali ricorre una loro definizione. In proposito può dirsi che, se l’uniformazione è la tecnica mediante cui il legislatore europeo detta, in un certo settore, una disciplina materiale uniforme per tutti gli Stati membri, i concetti di armonizzazione e ravvicinamento invece, presuppongono il mantenimento di una diversa disciplina tra ordinamenti statali. Questi consistono in tecniche che favoriscono legislazioni nazionali. Non si uniformano, dunque, le diverse normative nazionali, ma si eliminano gli ostacoli che rendono incomunicabili diversi ordinamenti. Ciò premesso, si può sostenere che l’armonizzazione è, in sostanza, un processo di progressivo ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri, mediante cui si eliminano gli ostacoli tecnici, amministrativi o normativi alla realizzazione degli obiettivi dell’Unione. Pertanto, sia con Maastricht sia con Amsterdam non sono stati raggiunti sufficienti progressi di armonizzazione delle legislazioni statali nell’ambito della cooperazione giudiziaria, a causa della scarsa vincolatività degli atti legislativi utilizzati dal legislatore europeo. Infatti, raccomandazioni, pareri e decisioni non possono essere considerati strumenti idonei a rimuovere gli ostacoli che impediscono all’Unione di rendere omogenea la disciplina per una determinata materia, poiché non vincolano gli Stati in ordine al loro recepimento.

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4. Evoluzione della cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale nell’Unione europea

Dopo l’esperienza di Maastricht e Amsterdam, il Consiglio di Tampere ha rappresentato un passo importante per il rafforzamento dello Spazio Libertà, sicurezza e giustizia, nell’ambito della cooperazione fra Stati membri in materia penale. Infatti, in quella sede il Consiglio europeo, tra le principali tematiche trattate, ha preso in considerazione l’esigenza di rafforzare lo Spazio di giustizia europea a partire dall’attuazione delle misure già previste dal trattato di Amsterdam. Proprio a garanzia del raggiungimento di tali obiettivi, il Consiglio prevede che, data la scarsa vincolatività degli strumenti legislativi utilizzati, lo stato di recepimento da parte degli Stati doveva essere oggetto di valutazione (dopo 2 anni), secondo un ottica di trasparenza dei risultati ottenuti nell’ambito del terzo pilastro. Si trattava di una sorta di supervisione diretta a verificare lo stato di andamento per lo Spazio penale comune europeo. Così, le Conclusioni di Tampere hanno stabilito, in parte riprendendo quelli già dettati dal Piano di Azione di Vienna, alcuni principi fondamentali come il mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie ed il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri. Secondo il Consiglio europeo, il mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie «doveva diventare il fondamento della cooperazione giudiziaria nell’Unione in

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materia penale»59. Il medesimo principio è posto alla base di tre importanti obiettivi, espressamente previsti dalle Conclusioni come: la soppressione del meccanismo formale dell’estradizione, poiché “il Consiglio europeo ritiene che la procedura formale di estradizione debba essere abolita tra gli Stati membri per quanto riguarda le persone che si sottraggono alla giustizia dopo essere state condannate definitivamente ed essere sostituita dal semplice trasferimento di tali persone, in conformità con l’articolo 6 del TUE. Occorre inoltre prendere in considerazione procedure di estradizione accelerate, fatto salvo il principio di un equo processo” (punto 35). Altro punto importante è sottolineato a Tampere è l’adozione di un sistema di riconoscimento reciproco dei provvedimenti di confisca e di sequestro probatorio. Infatti, viene stabilito che: “Il principio del reciproco riconoscimento dovrebbe altresì applicarsi ai ordinanze preliminari, in particolare dinnanzi ai tribunali deli altri Stati membri, tenuto conto delle norme ivi applicabili” (punto 36). Con riguardo alla circolazione della prova, invece, il Consiglio ha osservato che: “Le prove legalmente raccolte dalle autorità di uno Stato membro dovrebbero essere ammissibili dinnanzi ai tribunali degli altri Stati membri, tenuto conto delle norme ivi applicabili” (punto 36). Inoltre, sul tema del ravvicinamento delle legislazioni, il Consiglio europeo ha osservato che: “Per quanto riguarda le legislazioni penali nazionali, gli sforzi

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intesi a concordare definizioni, incriminazioni e sanzioni comuni dovrebbero incentrarsi in primo luogo su un numero limitato di settori di particolare importanza, come la criminalità finanziaria (riciclaggio di denaro, corruzione, falsificazione dell’euro), il traffico di droga, la tratta di esseri umani ed in particolare lo sfruttamento delle donne, lo sfruttamento sessuale dei minori, la criminalità ad alta tecnologia e la criminalità ambientale”69. Secondo quanto emerge dalle Conclusioni di Tampere, il principio del mutuo riconoscimento, supportato da una opera di ravvicinamento delle legislazioni, diventa, dunque, il fulcro del terzo pilastro e l’architrave della cooperazione

giudiziaria in materia penale.

I successivi tragici eventi terroristici occorsi a partire nel settembre del 2001 negli Stati Uniti e poi successivamente in Spagna e nel Regno Unito hanno, con ogni evidenza, accelerato la realizzazione dei diversi progetti che erano stati avviati per offrire concreta attuazione al principio del mutuo riconoscimento. Ad esempio, la decisione quadro relativa al mandato di arresto europeo (primo strumento a venire adottato e ad entrare in vigore in materia di mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie penali) e quella sull’incriminazione delle condotte di terrorismo (costituente uno dei più rilevanti risultanti conseguiti in materia di ravvicinamento delle legislazione penale). Nello stesso ambito si precisa che deve essere inserita l’entrata in funzione dell’Unità di cooperazione giudiziaria Eurojust, per

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facilitare e migliorare la cooperazione ed il coordinamento sovranazionale tra magistrati di tutti gli Stati membri. In seguito il Piano pluriennale, adottato in data 5 novembre 2004, sotto il nome di Programma dell’Aja, ha guidato l’azione della Commissione europea nel settore Giustizia, Libertà e Sicurezza per il quinquennio 2005-2010, confermando le linee guida già dettate dal Consiglio di Tampere e ribadendo la centralità del principio del mutuo riconoscimento, supportato dal ravvicinamento delle legislazioni60. In particolare, con il Programma si è stabilito di operare in sei direzioni. Prima di tutto, in tema di rafforzamento dei diritti fondamentali, è stata prevista l’elaborazione di politiche finalizzate a favorire il controllo e la promozione del rispetto di tali diritti, in collegamento con la tutela già garantita nell’ambito del sistema giudiziario della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la realizzazione di un programma-quadro sui “diritti fondamentali e giustizia”. In secondo luogo, con riferimento alla lotta contro il terrorismo è stata sollecitata la realizzazione di una migliore collaborazione con gli stati terzi per scambiare informazioni con gli Stati membri sul “reclutamento e finanziamento a fini di attività terroristiche, sulla prevenzione, l’analisi dei rischi, la protezione delle infrastrutture critiche e la gestione delle conseguenze”. Al riguardo si è sostenuta la necessità di dare attuazione al c.d.

60 V. COM (2005) 184, in Gazz. Uff. C 236 del 24 settembre 2005. Per un commento, v. B. Piattoli, Il programma dell’Aja per il futuro dell’Europa, in dir. e giust. 2005, n. 31, p. 122 ss.

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principio di disponibilità, in base al quale nei rapporti tra autorità giudiziarie e di polizia degli Stati non vi dovrebbe essere alcun ostacolo nello scambio del materiale informativo. Infine, attraverso la formazione dei giudici e la collaborazione tra le varie professioni legali, nonché mediante una valorizzazione dei compiti e delle funzioni di Eurojust e di Europol, il Consiglio ha ribadito la necessità di valorizzare gli strumenti della cooperazione giudiziaria, fondati sul reciproco riconoscimento dei provvedimenti emessi da ciascuna autorità giudiziaria nazionale e di rafforzare le forme e le modalità di protezione degli interessi finanziari dell’Unione europea.

A questo punto è opportuno precisare che l’evoluzione della cooperazione giudiziaria fra Stati, è un’esperienza che si differenzia da quella di polizia, per vari aspetti. Innanzitutto, la cooperazione di Polizia in ambito europeo nasce con l’istituzione di Europol nel 1998, con Atto del Consiglio del 26 luglio 1995, al termine di un percorso evolutivo che ha avuto inizio prima della creazione dell’Unione. Infatti, la cooperazione di polizia fu avviata nel 1976 attraverso meccanismi di accordo intergovernativi, tra i quali il già richiamato “gruppo Trevi”, composto da ministri della giustizia e degli affari interni. Dal punto di vista storico, il gruppo Trevi fu creato su proposta del ministro degli esteri britannico James Callaghan con lo scopo di realizzare una cooperazione di polizia. Inizialmente l’idea era di perseguire

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