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I sistemi elettorali e la loro influenza sull'assetto parlamentare e partitico.

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

I sistemi elettorali e la loro influenza

sull'assetto parlamentare e partitico

Candidato: Relatore:

Filippo Vergassola Prof. Andrea Pertici

a.a. 2017-2018

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INDICE

PREMESSA 1

CAPITOLO 1: LE FAMIGLIE DI SISTEMI ELETTORALI 12

1.1. IL SISTEMA MAGGIORITARIO 12 1.1.1 IL SISTEMA PLURALITY 13 1.1.2 IL SISTEMA MAJORITY 15 1.1.3. IL SISTEMA UNINOMINALE 18 1.1.4. IL SISTEMA PLURINOMINALE 19 1.2. IL SISTEMA PROPORZIONALE 20

CAPITOLO 2: L'ITALIA NEL SISTEMA PROPORZIONALE (1948-1992) 26

2.1. L'ASSEMBLEA COSTITUENTE 26

2.2. LE ELEZIONI DEL 1948 28

2.3. LA LEGGE ELETTORALE DEL 1953 E I SUOI EFFETTI SULL'ASSETTO DEI PARTITI 30 2.4. DAGLI ANNI '60 ALLA SOLIDARIETA' NAZIONALE : IL RAPPORTO TRIPOLARE TRA SISTEMA

ELETTORALE, PARLAMENTARE E PARTITICO 36

2.5. VERSO IL PENTAPARTITO: EFFETTI DEL PROPORZIONALE SULL'ASSETTO PARLAMENTARE E

SULLE COALIZIONI DI GOVERNO 44

2.6. I REFERENDUM DI SEGNI E LE ELEZIONI DEL 1992 49

CAPITOLO 3: DOPO IL PROPORZIONALE, DAL MAGGIORITARIO AL PREMIO DI MAGGIORANZA 54 3.1. L'INTRODUZIONE DEL MAGGIORITARIO: IL MATTARELLUM 54 3.1.1. LE ELEZIONI DEL 1994 : EFFETTI DEL SISTEMA MAGGIORITARIO 61

3.1.2. IL 1996 E IL CONSOLIDAMENTO DEL BIPOLARISMO 65

3.1.3. LE ELEZIONI 2001: L'ULTIMA VOLTA DEL MATTARELLUM 68 3.2. LA LEGGE 270/2005: UN APPARENTE RITORNO AL PROPORZIONALE 75 3.2.1. LE ELEZIONI DEL 2006 : UN SOSTANZIALE PAREGGIO 79 3.2.2. IL RISULTATO DEL 2008 : NUOVO CONSOLIDAMENTO DEL BIPOLARISMO 82

3.2.3. IL 2013 E LA SVOLTA TRIPOLARE 84

3.3. LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE 1/2014: L'ILLEGITTIMITA' DELLA LEGGE

270/2005 91

CAPITOLO 4: DOPO L’INCOSTITUZIONALITA’ DELLA LEGGE N.270/2005, DAL TENTATIVO DELL’ITALICUM

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4.1. L'ITALICUM E LA PRONUNCIA DELLA CORTE 96 4.2. LA LEGGE N.165/2017 E LE ELEZIONI DEL 2018:IL TRIPOLARISMO CONFERMATO 103

CONSIDERAZIONI FINALI 113

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1

PREMESSA

I sistemi elettorali sono generalmente suddivisi, secondo una consueta classificazione, tra maggioritari e proporzionali; la legislazione elettorale italiana , di cui in questo lavoro si tratta , ha avuto la vigenza di entrambi i sistemi , sperimentando negli ultimi due decenni varie forme di ibridazione e combinazione tra le due famiglie tradizionali.

Preliminarmente, è interessante inquadrare il concetto di sistema elettorale, per poi poterne comprendere meglio le tipologie e le dinamiche che lo regolano, insieme all'incidenza che esse possono avere sull'assetto parlamentare e sul sistema dei partiti.

Per sistema elettorale, utilizzando la definizione del politologo Gianfranco Pasquino, intendiamo "un complesso di regole e una combinazione di varie procedure che mirano a consentire l'efficace traduzione dei voti espressi in seggi e in cariche"; o ancora, in modo più esteso, quell'insieme di norme che disciplinano la partecipazione dei cittadini alla scelta dei loro rappresentanti e quindi il loro diritto elettorale.1

Il sistema elettorale così definito deve essere distinto dalla formula elettorale, intesa come mero meccanismo di traduzione di voti in seggi (maggioritario semplice o secco, maggioritario doppio turno, le diverse varianti del proporzionalismo), comprendendo anche, secondo qualcuno, la c.d. legislazione elettorale di contorno (definizione delle circoscrizioni elettorali, esistenza o meno di preferenze) : il sistema elettorale, come insieme di quelle “procedure istituzionalizzate per la scelta dei rappresentanti di un'organizzazione”2, è dunque lo strumento necessario a realizzare

la democrazia rappresentativa3.

Una definizione esauriente di sistema elettorale è, ancora, quella proposta da Lanchester che distingue tra sistemi elettorali in senso lato e quelli in senso stretto: egli definisce il sistema elettorale in senso lato come quell’insieme di norme che disciplinano la partecipazione dei cittadini alla scelta dei loro rappresentanti politici,

1 Cfr. G.PASQUINO, I sistemi elettorali, Bologna, Il Mulino, 2006.

2 Cfr. S.ROKKAN, Cittadini, elezioni, partiti,Bologna, Il Mulino, 1982, p.231. 3 Cfr. F.CORTESE, Sistemi elettorali, in www.fulviocortese.it.

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2

quindi il diritto elettorale.

Per sistema elettorale in senso stretto lo studioso fa riferimento alla tecnica elettorale, includendo la formula elettorale o matematica, vale a dire il meccanismo di trasformazione dei voti in seggi, e le altre variabili che interagiscono con la prima, in particolar luogo la circoscrizione e infine la struttura della votazione.4

Abbiamo anticipato che, oltre all'incidenza sull'assetto politico-parlamentare, la materia dei sistemi elettorali esercita un'influenza parallela (ed interconnessa alla prima) sul sistema partitico.

I sistemi elettorali, infatti, si collegano direttamente all'organizzazione del sistema in cui si articolano le formazioni politiche e, partendo da questo assunto, possiamo distinguere in :

-elective party system (sistema partitico elettorale) misurato in voti popolari;

-parliamentary party system (sistema partitico parlamentare) misurato in seggi.

Esiste questa distinzione sulla base della teoria elaborata da Douglas Rae il quale afferma che il sistema elettorale incide sul sistema partitico in quanto dopo l’espressione dei voti, facendo una fotografia dei risultati conseguiti, si ha il sistema partitico elettorale. Dopo aver trasformato, invece, i voti in seggi si ottiene il sistema partitico parlamentare5.

Rae è stato inoltre il primo studioso a definire il sistema elettorale in senso operativo come l’insieme delle procedure che regolano la trasformazione delle preferenze in voti (1° stadio del processo elettorale) e dei voti in seggi (2° stadio). La struttura del voto attiene al 1° stadio mentre la dimensione dei collegi e la formula si riferiscono alla trasformazione dei voti in seggi6.

Sempre in relazione al riflesso dei sistemi elettorali sui partiti (e sulla forma di governo), il politologo francese Maurice Duverger, tramite le sue note “leggi”, ha sostenuto che :

4 Cfr. F.LANCHESTER, Sistemi elettorali e forma di governo, Bologna, Il Mulino, 1981. 5 Cfr. D.RAE, The Political Consequences of Electoral Laws, New Haven-London, Yale

University Press, 1967.

6 Cfr. D.RAE, The political consequences of Electoral Laws, New Haven-London, Yale

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3

-la rappresentanza proporzionale tende ad instaurare un sistema pluripartitico composta da partiti multipli, rigidi e indipendenti che se si frazionano troppo devono poi allearsi su un programma comune (coalizione) per poter governare; tutto ciò può rendere il Paese ingovernabile se viene a mancare una coesa coalizione tra i partiti che rappresentano la maggioranza

-lo scrutinio maggioritario a un solo turno porta al bipartitismo, cioè ad un rigido dualismo annullando, così, la presenza e la rappresentatività degli altri partiti di minoranza in parlamento

La trattazione sui sistemi elettorali si è sempre svolta alla luce della suddivisione tra le due grandi famiglie di sistemi elettorali : il proporzionale ed il maggioritario.

-lo scrutinio maggioritario a doppio turno tende al bipolarismo (cioè all’aggregazione, senza fusione, dei partiti con ideologie più o meno affini che può riproporre problemi di ingovernabilità se i partiti dello stesso polo presentano divergenze)7.

La relazione fra sistemi elettorali e sistema dei partiti per Duverger consiste nella formulazione della sua legge : il sistema maggioritario a turno unico porta al bipartitismo e quello proporzionale porta al sistema multipartitico. Nell'ottica delle leggi di Duverger è sempre il sistema elettorale che determina l'assetto dei partiti (e le loro strategie politico-elettorali).

Altri studi invece, approfondendo la suddetta relazione, hanno cercato di comprendere se le leggi del Duverger sono sempre valide e se questo rapporto tra i due sistemi è in qualche modo immutabile. Ci si è cioè chiesti se l'assetto dei partiti ed il numero degli stessi possano dipendere non dal sistema elettorale ma da altri fattori8 e

globalmente sulla scientificità di quel rapporto causa-effetto tra sistemi elettorali e sistemi partitici.9 10.

Un caso interessante è quello che presenta un sistema multipartitico con il quale si va alle elezioni adottando un sistema elettorale maggioritario a turno unico. I partiti probabilmente si coalizzeranno

7 Cfr. M.DUVERGER, L'Influence des Systemes Electoraux sur la Vie Politique, Paris,

Colin,1950.

8 Cfr. V. BOGDANOR, Conclusion,in V.BOGDANOR,D.H.BUTLER(a cura di ). Democracy

and Elections :Electoral Systems and Their Political Consequences, Cambridge University

Press, Cambridge, 1983, p. 261.

9 Cfr. G. SARTORI, Ingegneria costituzionale comparata, Bologna, Il Mulino, 1995, p.42. 10 Cfr. D. FISICHELLA, Elezioni e democrazia. Un'analisi comparata. Bologna, Il Mulino,

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producendo così un bipolarismo e non un bipartitismo come affermava Duverger.

Secondo Sartori però c’è anche un’altra ipotesi da considerare: quella della presenza di un partito forte in alcune regioni per il quale anche il sistema maggioritario a turno unico non porterà al bipartitismo. Infatti questo partito, in base alla sua presenza nelle regioni in cui riceverà un forte consenso elettorale, avrà modo di essere rappresentato a livello nazionale determinando così un tripartitismo. Nel caso ci fossero altri partiti forti in determinate zone, avremo un sistema anche con più di tre partiti. In buona sostanza, secondo Sartori, non è sufficiente esaminare il sistema elettorale per arrivare a delle conclusioni ma bisogna considerare anche il livello di strutturazione dei partiti e soprattutto il loro radicamento nel territorio : sono quindi due elementi che attengono ai partiti, e non alla materia elettorale, a determinare quest'ultima.

Sartori propone quindi alcuni correttivi alle suddette leggi : il primo afferma che il sistema maggioritario non produce bipartitismo ma casomai concorre a mantenerlo : in particolare, in questo scenario, l'influenza che esercita il sistema maggioritario è (definita) frenante e ad essa consegue un effetto (definito) congelante.

Il secondo correttivo si ricollega ad una situazione in cui, in un sistema pluripartitico, se ci sono almeno due partiti strutturati e ben radicati in certe zone (anche nel caso in cui non siano sempre i due medesimi partiti), questi possono essere sicuri di poter presentarsi in tutti i collegi ed avere quindi una elevata possibilità di essere eletti nelle rispettive circoscrizioni elettorali : le condizioni a cui questo scenario è soggetto sono la strutturazione del sistema partitico e il livello di dispersione dell'elettorato nei collegi.

La possibilità di avere un sistema bipartitico dipende dal tasso di concentrazione in determinati collegi (o aree geografiche) di minoranze (linguistiche o etniche) radicate, che producono un effetto

riduttivo del maggioritario; vi sono quindi una serie di contingenze

contestuali da considerare.

Possiamo ipotizzare il caso di un maggioritario a turno unico,in presenza di minoranze che rifiutano di riconoscersi nei due partiti maggiori e sono concentrate in una determinata circoscrizione elettorale : quasi certamente in quella circoscrizione la competizione elettorale sarà vinta dalle minoranze. In tal modo il bipartitismo non si realizzerà, almeno in quella zona.

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Anche analizzando questa ipotesi (che Duverger rapporta ad un automatico multipartitismo) si può determinare un effetto riduttivo, in particolare quando si è in presenza di piccoli collegi: partiti minori subiscono così una dispersione dell'elettorato11.

In questo ragionamento quindi il multipartitismo non costituisce una conseguenza fissa del sistema proporzionale (non corretto da soglia di sbarramento) ma dipende da un'ulteriore variabile: la dimensione del collegio.

Ritengo che, ai fini della trattazione, sia interessante soffermarsi brevemente sul concetto di collegio (o circoscrizione) elettorale, termine con il quale si indica la porzione di territorio a cui corrisponde un predeterminato numero di rappresentanti da eleggere, ma ciò ha una ricaduta pratica che va ad incidere sull'assetto dei partiti12.

Infatti l'estensione e la determinazione dei confini del collegio possono agevolare o al contrario disincentivare il rafforzamento di una formazione politica: supponendo il caso di un partito molto radicato in un'area geografica, la grandezza del collegio costituirà infatti alternativamente una concentrazione oppure una dispersione del voto dell'elettorato, con evidenti ripercussioni sulla consistenza della rappresentanza che quella formazione otterrà13.

L'importanza del collegio non è da leggere solo in chiave funzionale al momento dell'atto elettorale, perchè può potenzialmente riverberare i suoi effetti sul rapporto tra elettore ed eletto e, più in generale, sul dettato costituzionale nella sua disciplina del voto, soprattutto in riferimento alla caratteristica della sua uguaglianza. Per occuparsi di sistemi elettorali , ed in particolare delle caratteristiche delle due famiglie che storicamente ne costituiscono la classificazione , considero infatti interessante soffermarsi sull'articolo 48 del testo costituzionale : se il principio sancito è quello dell'uguaglianza del voto , l'interpretazione del termine “voto eguale” e la distinzione tra uguaglianza in entrata e in uscita non solo non costituiscono elementi secondari , ma rilevano come strumenti funzionali alla comprensione dell'influenza che le leggi elettorali hanno avuto sugli assetti politici.

Prima di operare la suddetta distinzione , ritengo vada premesso che la ratio della previsione costituzionale contenuta nell'articolo 48 – e specificatamente per ciò che attiene l'uguaglianza del voto - vada

11 Cfr. G.SARTORI, Ingegneria costituzionale comparata, Bologna, Il Mulino, 1995, p.53. 12 Cfr. R.MANFRELLOTTI, Rappresentanza e forma di governo: sistemi elettorali, sistema

partitico e assetto istituzionale, Napoli, De Frede, 2018, p. 34.

13 Cfr. F.LANCHESTER, Sistemi elettorali e forma di governo, Bologna, Il Mulino, 1981, pp. 89

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ricercata nella volontà di escludere la legittimità del voto plurimo e di quello multiplo, i quali avrebbero indiscutibilmente annullato gli effetti democratici dell’universalità del suffragio; dunque questa previsione “presuppone l’uguaglianza degli elettori, cosicché nessuno di essi, per nessuna ragione, può pretendere di contare di più nell’elezione” ; a ciò accompagna l'inevitabile conseguenza per cui “la scelta di ciascun elettore vale quanto quella di qualunque altro quanto quella di qualunque altro” e da ciò si può ricavare un fatto ulteriore, vale a dire la contraddittorietà della teoria secondo cui “l’uguaglianza si applica alla manifestazione del voto e non anche al voto espresso. La previsione che alcuni elettori speciali possono esprimere più voti (due o tre) non è diversa da quella secondo cui il loro voto vale di più (conta non uno, ma due o tre), anzi il risultato è identico; e se è vietata l’una lo è anche l’altra”.

Ne desumiamo che se i voti devono avere lo stesso peso, ne ricaviamo che un’elezione può essere giustificata soltanto dal numero (maggiore: principio maggioritario) dei voti ottenuti, e ogni diversa soluzione pone capo ad un’elezione (costituzionalmente) ingiustificata14.

Se bisogna osservare come il precetto costituzionale dell’uguaglianza del voto, per come ricostruita, nulla dica in ordine al tipo del sistema elettorale da adottarsi, in quanto sia quello c.d. proporzionale, sia quello c.d. maggioritario possono entrambi, almeno in teoria, determinare l’elezione di chi abbia ottenuto più voti15 , va anche ricordato che “un ordine del giorno approvato

dall’Assemblea costituente auspicò l’adozione della rappresentanza proporzionale e il testo della Costituzione in talune sue parti chiaramentela presuppone”16.

Va precisato che l’ordine del giorno in oggetto riguardava esclusivamente la Camera, e questo aspetto non era certamente casuale : era lì , alla Camera , che si considerava si dovesse esplicare la più alta idea di rappresentanza , naturalmente delegata ai partiti.

Gli interessi degli elettori, rappresentati dai gruppi dirigenti delle formazioni politiche, trovavano in quel luogo la consacrazione massima delle loro istanze, e l’ordine del giorno aveva l’obiettivo di garantire in quella sede il massimo dispiegarsi dell’idea di

14 Cfr. P.PINNA, Il premio di maggioranza inutile e incostituzionale, in Quaderni Costituzionali

2/2013, cit. p.473.

15 Cfr. A.RIVIEZZO, Uguaglianza del voto e sistema politico: alcune coordinate per una

legislazione elettorale secundum constitutionem , 2017 , in www.forumcostituzionale.it , cit.

p.8.

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rappresentanza, simboleggiata anzitutto dai capi dei partiti, che dovevano essere eletti in quel ramo del Parlamento.

Questa prassi ha avuto un’interruzione non prima di un decennio fa , quando alcuni leader di partito hanno invertito questa consuetudine candidandosi e facendosi eleggere al Senato : come vedremo , questo aspetto costituisce uno dei fattori che plasticamente esprimono un differente rapporto tra eletti ed elettori , in un contesto nel quale la centralizzazione della leadership e il contestuale mutamento della funzione dei partiti rende questi ultimi sempre meno inquadrabili corpi intermedi capaci di veicolare nelle istituzioni istanze collettive.

Non è forse un caso che, analizzando le elezioni svolte nel lungo periodo di vigenza del sistema proporzionale, si può notare come al Senato globalmente venga presentato un numero di liste minori rispetto alla Camera, talvolta ad esempio utilizzando i raggruppamenti tra simboli, presentati insieme sotto un’unica lista. Vi è dunque una vera e propria differente considerazione della funzione stessa dei due rami del Parlamento, con la Camera che storicamente presenta un profilo che potremmo definire maggiormente ideologico, cioè più squisitamente politico : è qui che si vuole fare emergere la forza dell’identità partitica , con il Senato trattato in una chiave di maggiore particolarismo , destinato cioè a rappresentare l’elettorato in un’ottica più territoriale.

Con riguardo alla distinzione operata rispetto all'uguaglianza del voto, con “uguaglianza in entrata” si è identificata l’eguaglianza tra gli elettori nel momento in cui essi esprimono il voto. Da questo punto di vista l’eguaglianza del voto implicherebbe che a ogni cittadino con capacità elettorale attiva debba essere affidato un solo voto, o comunque un numero di voti eguali tra tutti i cittadini, e che ognuno di questi voti non possa assumere un valore diverso sulla base delle qualità soggettive dell’elettore.

Diversamente, l’eguaglianza del voto “in uscita” sarebbe caratterizzata dalla circostanza che i voti non si limiterebbero a un eguale «valore numerico», ma dovrebbero essere caratterizzati dal medesimo «valore efficiente»17.Riguardo alla portata prescrittiva

dell’art. 48 della Costituzione, la maggior parte

della dottrina sembra essere concorde nel ritenere che essa riguardi

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in via esclusiva il voto “in entrata”18.

Al contrario la dottrina minoritaria, che muove dal presupposto che in uno Stato democratico la prescrizione costituzionale debba estendersi anche alla concreta manifestazione del risultato elettorale, ha sostenuto che nell’ordinamento sarebbe prescritta una costituzionalizzazione del sistema elettorale proporzionale. Questo sarebbe l’unico in grado di rappresentare egualmente tutti gli elettori19.

Infatti, l’eguale valenza del voto starebbe ad indicare l’impossibilità di ricorrere a sistemi elettorali nei quali i voti degli elettori abbiano una potenzialità (valenza) del voto diversa, nonostante la identica procedura20.

Anche la Corte costituzionale si è mossa in questa direzione e ha differenziato il valore dell’eguaglianza del voto.

Sino alla sentenza n. 1 del 2014, infatti, la Corte costituzionale aveva escluso che il contenuto del principio ex art. 48 Cost. potesse essere esteso «al risultato concreto della manifestazione di volontà dell’elettore»21.

Diversamente, con la sentenza che ha pronunciato

l'incostituzionalità della Legge Calderoli, ha introdotto una nuova interpretazione del principio in oggetto.

La Corte, nel dichiarare illegittime le disposizioni della legge n. 270 del 2005 che disciplinavano il premio di maggioranza, ha ritenuto che un premio senza soglia di voti per l’attribuzione incide anche sull’eguaglianza del voto, in violazione degli artt. 1, secondo comma, 3, 48, secondo comma, e 67 Cost.

Per la Corte, “qualora il legislatore adotti il sistema proporzionale, anche solo in modo parziale, esso genera nell’elettore la legittima aspettativa che non si determini uno squilibrio sugli effetti del voto e cioè una diseguale valutazione del “peso” del voto in uscita”22.

Successivamente, nella sentenza n. 35 del 2017, con la quale sono state dichiarate illegittime le disposizioni della legge n. 52 del 2015 nella parte in cui prevedevano un ballottaggio nazionale tra liste concorrenti, il Giudice Costituzionale si è espresso riconoscendo l’illegittimità del ballottaggio poiché esso avrebbe prodotto, di nuovo, una “valutazione del peso del voto in uscita fortemente diseguale [...] in lesione dell’art. 48, secondo comma, Cost”23.

18 Cfr. B. CARAVITA,M.LUCIANI, Oltre la “democrazia bloccata”: ipotesi sui meccanismi

elettorali, in Democrazia e diritto, n. 6/1982, pp.96ss.

19 Cfr. C. LAVAGNA, Il sistema elettorale nella Costituzione italiana, in Rivista trimestrale di

diritto pubblico, 1952, pp. 856 ss.

20 Cfr. C. LAVAGNA, Istituzioni di diritto pubblico, UTET, Torino, 1985, p. 515 e L.

PRETI. Diritto elettorale politico, Giuffrè, Milano, 1957, p. 11.

21 Cfr. Corte cost., sent. n. 43/1961, punto 2 del Cons. in dir. 22 Cfr. Corte cost., sent. 1 del 2014, punto 3.1 del Cons. in dir. 23 Cfr. Corte cost., sent. n. 35 del 2017, punto 9.2 del Cons. in dir.

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Il sistema elettorale non ha dunque solo la funzione di regolare e disciplinare il momento elettorale, ma deve essere in grado di creare un legame tra rappresentante e rappresentato

Ritengo che in questa considerazione affondi le radici il tema dell’eguaglianza del voto: è cioè solo attraverso sistemi elettorali che permettono ai cittadini di concorrere e di incidere in modo eguale alla determinazione dei propri rappresentanti, che può dirsi realizzata una democrazia rappresentativa nella quale il processo politico sia in grado di «assicurare a ogni cittadino un certo

peso politico»24.

Se il sistema elettorale è dunque lo strumento di creazione della rappresentanza politica, è essenziale allora porre l’attenzione non solo sulle modalità con cui essa si persegue ma anche sul luogo dove viene concretamente esercitata, ovverosia laddove si incontrano gli interessi dei due attori principali : ciò non attiene certamente solo al momento elettorale, ma più in generale alla democrazia.

Suddetta funzione viene svolta dai collegi elettorali perché il rapporto politico rappresentante-rappresentato non può che instaurarsi all’interno di un determinato spazio territoriale, un'area geograficamente circoscritta in cui materialmente i voti espressi si trasformano in seggi attribuiti.

Il collegio elettorale è il luogo in cui si incontrano gli interessi tra gli elettori e gli eletti nel collegio. Il luogo essenziale della rappresentanza è, quindi, quello in cui da una parte l’elettore esprime fisicamente il proprio voto, dall'altra i candidati si presentano agli elettori.

È dal collegio che gli interessi frazionati di una società plurale verranno poi condotti, anche grazie «all’appartenenza di un deputato ad un partito»25 e al ruolo della mediazione dei (e all'interno dei)

partiti, a livello nazionale, in Parlamento, sede della composizione «del conflitto degli interessi contrapposti che si manifestano entro la società pluralista»26.

Il fenomeno dell'eguaglianza del voto produce un'immediata conseguenza: il far dubitare della legittimità costituzionale di quei sistemi elettorali che non permettono agli elettori un “peso” eguale nella formazione dell’Assemblea rappresentativa a causa di un

24 Cfr. R. M. DWORKIN, Voce Eguaglianza, in Enciclopedia delle Scienze sociali, v. III,

Treccani, Roma, 1993, p. 489.

25 Cfr. P. ZAMPETTI, Dallo Stato liberale allo Stato dei partiti. La rappresentanza politica,

Milano, 1965, cit. p. 93.

26 Cfr. G. AZZARITI, Diritto e conflitti: Lezioni di diritto costituzionale, Laterza, Bari, 2010, cit.

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calcolo del voto che avviene a un livello territoriale superiore a quello del collegio elettorale27.

Non è solo questa però l’implicazione dell’eguaglianza del voto in relazione ai collegi elettorali. In generale, infatti, adottare sistemi di calcolo nazionale

(anche soglie di sbarramento nazionali) e al contempo suddividere il territorio in collegi elettorali, espone gli elettori del collegio al rischio di una debole rappresentatività in Parlamento.

Non può infatti dirsi rappresentato l’elettorato di un collegio elettorale nel quale una forza politica riesca ad ottenere un numero sufficiente di voti, che consentirebbero l’elezione di uno o più parlamentari, ma ciò viene impedito dalla soglia di sbarramento stabilita a livello nazionale.

Se si parte però dalla rappresentanza quale (presupposto del) rapporto

concreto che si instaura nel collegio elettorale, il punto d’osservazione per valutare l’eguaglianza del voto non può che essere quello del singolo elettore chiamato a votare nel proprio collegio.

Se la rappresentanza è (e si esplica in) un rapporto politico che nasce tra qualcuno che elegge, l’elettore, e dei soggetti che si presentano all’elezione, i potenziali rappresentanti, il principio di eguaglianza dovrebbe riguardare differenziazioni non irragionevoli tra soggetti posti sullo stesso piano, che, nel caso in esame, sono gli elettori collocati nello stesso collegio elettorale.

Parlare di voto eguale “in uscita” significa, quindi, ritenere che devono essere valutati egualmente i voti degli elettori che esprimono il proprio

voto all’interno della stessa specifica competizione elettorale, cosicché

nessuno di essi possa “contare” di più o di meno sulla base del soggetto politico optato. Il “peso” politico degli elettori deve essere valutato all’interno del collegio nel quale essi votano perché la rappresentanza politica può formarsi davvero democraticamente soltanto conferendo agli elettori il potere di incidere in modo eguale per l’elezione degli stessi candidati.

La ragione che conduce a ritenere che l’eguaglianza del voto vada riferita ai voti degli elettori all’interno di una determinata ripartizione territoriale, e non a quelli dell’intero corpo elettorale, è da collegarsi al principio d’eguaglianza formale ex art. 3, primo comma, della Costituzione.

L’eguaglianza formale è un principio che «si esplica non nel dovere

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di trattare tutti e

sempre in modo uguale rispetto a tutto, ma in quello di trattare in modo uguale le situazioni uguali e in modo diseguale le situazioni diseguali»28.

Nel caso del sistema elettorale, la situazione diversa è quella per la quale l’elettore è collocato in un collegio elettorale diverso da quello in cui sono posti altri elettori.

La conseguenza di ciò è che gli elettori sono chiamati a votare per candidati diversi e concorrono, quindi, all’elezione di soggetti diversi rispetto a quelli degli elettori degli altri collegi29.

Possiamo ora analizzare le caratteristiche delle due principali famiglie di sistemi elettorali.

28 Cfr. M. DOGLIANI, C. GIORGI, Art. 3, Carocci, Roma, 2018, p. 2.

29 Cfr. D.CASANOVA, Eguaglianza del voto e sistemi elettorali. Profili Costituzionali, 2018, in

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CAPITOLO 1: LE FAMIGLIE DI SISTEMI

ELETTORALI

1.1. IL SISTEMA MAGGIORITARIO

Il sistema maggioritario, organizzato generalmente per collegi uninominali o plurinominali mediante una serie di correttivi, non distribuisce i seggi in modo proporzionale ai voti espressi prefiggendosi l'obiettivo di garantire una maggiore stabilità politica. Il principio che sta alla base di questo sistema è che il seggio o i seggi posti in competizione nel collegio vanno al candidato o ai candidati che ottengono la maggioranza dei voti validamente espressi nell’ambito territoriale di riferimento.

In mancanza di correttivi e in presenza di collegi uninominali la volontà di una parte degli elettori finisce per trasformarsi nella volontà di tutta la circoscrizione elettorale.

Nella maggior parte dei casi il sistema maggioritario è basato su un collegio uninominale che viene assegnato a colui che vince l’elezione in quel contesto; raramente è utilizzato in collegi plurinominali.

Ci sono due tipi di sistema maggioritario: uno nel quale vince l’elezione chi ottiene la maggioranza relativa dei voti nel collegio, qualunque essa sia; un secondo in cui vince solo chi ottiene la maggioranza assoluta (50%+1) nel collegio, ricorrendosi in caso contrario a un ballottaggio, che è uno scrutinio supplementare cui si ricorre nel caso in cui durante la prima votazione nessuno dei candidati (solitamente due) abbia raggiunto la maggioranza richiesta all’elezione: l’accesso alla seconda tornata elettorale può avvenire o tramite il superamento di una soglia percentuale di voti al primo turno, oppure in base alla posizione in cui ci si piazza al primo turno (solitamente i candidati primi due classificati).

Possiamo dunque distinguere, fra sistemi elettorali maggioritari, due sottocategorie:

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-A un turno o plurality (sistema elettorale tipicamente britannico). -A doppio turno o majority (sistema elettorale tipicamente francese).

In entrambi i casi il vincitore prende tutto, ma visto che per essere tale è sufficiente arrivare primi, spesso il vincitore è espressione della “maggiore minoranza”30.

1.1.1 IL SISTEMA PLURALITY

Nel sistema plurality si procede alla divisione in circoscrizioni del territorio

quanti sono i seggi da attribuire nell’organo rappresentativo.

Chi ottiene un voto più degli altri, anche se abbondantemente al di sotto della maggioranza assoluta, ottiene il collegio.

I voti in eccedenza sono inutili e non vengono conteggiati.

I sistemi plurality (detti FPTP, First Past The Post) presuppongono la vittoria del candidato che abbia ottenuto la maggioranza relativa dei voti riguardanti il proprio collegio. Il numero delle candidature dipende dal numero dei partiti esistenti nel sistema politico e dal grado di strutturazione della compagine partitica: nel caso di un sistema partitico stabile e ben consolidato si avrà un effetto spontaneo di riduzione dei candidati secondo un fattore meccanico (una sistematica sotto-rappresentanza del terzo partito) o un fattore psicologico (una tendenza naturale degli elettori al voto strategico in caso di evidente incapacità o impossibilità di vittoria del candidato preferito, per il quale si sarebbe espresso un voto sincero).

È il sistema in vigore nel Regno Unito e nella stragrande maggioranza degli Stati Uniti.

Questo tipo di scrutinio tende a sovrarappresentare i partiti più grandi, a parziale detrimento di quelli medi ma soprattutto di quelli piccoli. Nel caso di un sistema partitico stabile e ben consolidato, questo metodo comporta inoltre una tendenza naturale degli elettori al voto strategico in caso di evidente incapacità o impossibilità di vittoria del candidato preferito.

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Voti % Risultato Candidato A 49 000 41,5 % ELETTO Candidato B 38 000 32,2 % Non eletto

Candidato C 22 000 18,6 % Non eletto

Candidato D 9 000 7,6 % Non eletto

TOTALE 118 000 100 %

Il plurality è un sistema utilizzato con la ratio di permettere al partito uscito vincitore di poter governare più facilmente, senza dover stringere accordi con altre forze politiche per raggiungere la maggioranza parlamentare.

Se guardiamo al concetto di rappresentanza, il plurality ne offre ben poca. Questo è dovuto al fatto che questo sistema genera una grande distorsione dei risultati elettorali, sia rispetto al majority sia rispetto ai sistemi proporzionali. E’ facilmente intuibile, che se un partito vince in un collegio con il 36% dei voti, il restante 64% sarà rappresentato da voti “persi”, da elettori che non avranno alcuna rappresentanza. Queste distorsioni al contempo costituiscono l'argine ad ogni possibile frammentazione del sistema partitico e sono l'elemento ritenuto indispensabile per garantire la stabilità politica che si traduce nella governabilità.

Il caso britannico , come esempio paradigmatico di un sistema maggioritario , ci consente di porre l’accento sul rapporto tra questa tipologia di sistema ed il bipolarismo.

Detto infatti che il primo effetto distorsivo del maggioritario è proprio quello di diminuire al più alto grado la possibilità che si verifichi una situazione partiticamente frammentata , l’immediata conseguenza di ciò sarebbe la produzione di uno schema costantemente bipartitico , ma dall’esperienza britannica cogliamo una deroga.

Il rapporto causa-effetto tra questo tipo di sistema e la presenza dei soli due maggiori partiti soffre l’eccezione di quei partiti territorialmente forti che , inevitabilmente favoriti dal sistenma dei collegi così strutturati , porta ad un potenziale allargamento della platea partitica nella ripartizione dei seggi parlamentari.

In quest’ottica , è emblematico il caso del Scottish National Party che , oltre a costituire da oltre un decennio il partito di maggioranza in Scozia , ha avuto un trend elettorale positivo nelle ultime tornate elettorali per il rinnovo del Parlamento del Regno Unito , arrivando nel 2015 ad un vero e proprio exploit : giungendo ad ottenere quasi il

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triplo dei seggi rispetto alla tornata precedente, arrivò così ad ottenerne la quasi totalità (56/59) di quelli assegnati alla quota scozzese.

Restando nel campo delle formazioni dotate di un profilo politico molto connotato territorialmente , un caso analogo è quello del Democratic Unionist Party (formazione conservatrice dell’Irlanda del Nord) che a differenza della formazione scozzese di cui sopra ha mantenuto un costante trend , portando costantemente una decina di parlamentari nel parlamento britannico , che pur essendo dominato da un apparentemente incrollabile bipartitismo , non ha solo nelle forze territoriali delle variazioni al suo consueto schema. Se consideriamo le elezioni del 2010 notiamo come la terza forza è rappresentata dai liberaldemocratici , che conseguono il 23% dei consensi che si traduce in 57 seggi.

Prendendo come esempio il risultato del 2010 , qualche numero ci rende una fotografia molto eloquente sull’esplicazione concreta degli effetti di un maggioritario.

Il Partito Conservatore , guidato da Cameron , ottiene poco meno di 11 milioni di voti che equivalgono al 36,1% ma soprattutto a 306 seggi ; segue il Partito Laburista che con più di 8 milioni di consensi (29%) ne ottiene 258.

L’elemento interessante è costituito dal rapporto tra queste due prestazioni e quella dei suddetti liberaldemocratici , che ottengono quasi 7 milioni di consensi (23% , solo sei punti in meno rispetto ai laburisti) ma -come abbiamo visto – 200 seggi in meno.

La presenza di terze forze costituisce dunque la deroga allo schema bipartitico che in un sistema così fortemente maggioritario sarebbe altrimenti la regola , ma la struttura di questo sistema elettorale è totalmente sbilanciato a favore dei due partiti maggiori.

1.1.2 IL SISTEMA MAJORITY

Nei sistemi majority al primo turno vince il candidato che abbia raggiunto la maggioranza assoluta di voti nel collegio, pari, cioè, al

50% + 1.

Se nessun candidato riesce a raggiungere il quorum, si passa al secondo turno. È opportuno fare qui distinzione tra doppi turni chiusi, nei quali sono ammessi al ballottaggio solo i due candidati che

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abbiano ricevuto più voti, e doppi turni aperti, nei quali sono ammessi al ballottaggio tutti i candidati del primo turno o addirittura anche nuovi candidati. Nel doppio turno chiuso si ha una notevole riduzione della frammentazione partitica, con la necessità quasi imperativa di alleanze preventive e l’inevitabile emarginazione dei partiti ininfluenti e dei partiti antisistema, collocati, cioè, agli estremi dell'arco costituzionale. Nel doppio turno aperto, invece si può avere la desistenza strategica di candidati e partiti per favorire altri candidati di altri partiti, con più possibilità di vincere e meno sgraditi, e per favorire la formazione di potenziali alleanze di governo. Il sistema maggioritario a doppio turno incoraggia l’elettore a esprimere un voto sincero al primo turno, ma tale voto può restare sincero qualora il candidato preferito si possa ripresentare in sede di ballottaggio, mentre dovrà diventare voto strategico nel caso in cui l’elettore si trovi privo del candidato preferito al ballottaggio. Sistemi majority, come il c.d Voto Alternativo o il Doppio Turno, hanno lo scopo di assicurare che il candidato vincente ottenga comunque la maggioranza assoluta dei voti.

Il primo, essendo un sistema di voto “preferenziale” in collegi uninominali che chiede a ogni elettore di disporre tutti i candidati in ordine di preferenza, personalizza fortemente il voto e permette e incoraggia l'attraversamento delle linee partitiche, nel secondo otterrà la maggioranza assoluta uno dei due candidati ammessi31.

Nell’esempio successivo, vediamo come i candidati A e B ottengano l’ammissione al secondo turno, essendo i due candidati più votati.

Voti % Risultato

Candidato A 49 000 41,5 % Ammesso al

secondo turno

Candidato B 38 000 32,2 % Ammesso al

secondo turno

Candidato C 22 000 18,6 % Non ammesso al

secondo turno

Candidato D 9 000 7,6 % Non ammesso al

secondo turno TOTALE 118 000 100 %

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Voti % Risultato

Candidato A 49 500 49,5 % Non eletto

Candidato B 50 500 50,5 % ELETTO TOTALE 100 000 100 %

La regola del majority prevede che il partito vincente sconfigga l’intero campo degli oppositori. Nessuna combinazione tra i partiti usciti sconfitti può pareggiare numericamente la forza del partito arrivato primo.

L'effetto del sistema elettorale maggioritario – specialmente quello basato sulla maggioranza relativa – è quella di alterare la rappresentatività aumentando la vittoria in termini di seggi del primo partito o coalizione a danno relativo del secondo e a gravissimo danno del terzo partito. Per esempio, dati tre partiti A, B e C che si classifichino rispettivamente primo (45% dei voti) secondo (30%) e terzo (25%), è facile immaginare che – sempre per esempio – il primo otterrà il 55% dei seggi, il secondo 30% e il terzo 15%. Ovviamente, per i partiti, con questo sistema elettorale, è più importante vincere di misura in più collegi possibili che non vincere in pochi collegi con un ampio margine di scarto.

All’interno dei sistemi maggioritari poi, quelli a doppio turno tendono a premiare i partiti di centro, mentre quelli a turno unico favoriscono soprattutto formazioni ideologicamente più schierate. Il motivo di ciò è facilmente comprensibile: se si va al ballottaggio, qualora vi sia presente un partito di centro che parta anche da una posizione di svantaggio, esso ne uscirà tendenzialmente vincitore, perché avrà probabilmente una maggiore capacità di attrarre i voti dei partiti esclusi, quelli di sinistra se si troverà a confrontarsi con un avversario di destra, o viceversa nel caso contrario.

In definitiva, nel sistema maggioritario si dà spazio al concetto di governabilità. L'immediato effetto che l'adozione di questo sistema fa scaturire nell'ambito della strategia politica delle formazioni politiche è la ricerca dell'accordo per formare una coalizione con cui presentarsi all'elettorato. Nei sistemi elettorali maggioritari solitamente le coalizioni sono guidate da un leader presentato agli elettori che potranno, votando i suoi partiti, elevarlo direttamente alla presidenza del nuovo governo.

L'elemento sacrificato in questo sistema è evidentemente quello della rappresentatività, anzitutto quella che riguarda le minoranze.

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Nel sistema maggioritario il territorio nazionale viene suddiviso in collegi ed all’interno di ciascuno di essi i cittadini debbano scegliere un unico candidato che li rappresenti. Ogni collegio, infatti, esprime tendenzialmente un solo deputato, pertanto viene eletto chi in un singolo collegio prende più voti, escludendo a priori gli altri candidati, anche se votati da una parte consistente di popolazione.

Questo sistema non rappresenta tutti: potrebbe anche accadere, in caso di vittoria di un partito in più collegi, che la popolazione sia mal rappresentata; oppure potrebbe accadere che nella metà dei collegi vinca un partito e nell’altra metà un partito con una identità opposta venendosi cosi a creare una situazione di stallo.

Nelle forme moderne viene utilizzato generalmente il collegio uninominale, ma in passato e in alcuni casi sporadici odierni, viene utilizzato anche il collegio plurinominale.

1.1.3. IL SISTEMA UNINOMINALE

Con l’espressione sintetica “uninominale maggioritario” si indica un sistema elettorale nel quale in ciascun collegio tutti i candidati concorrono per un solo seggio e pertanto uno solo sarà il vincitore : quello che raggiunge la maggioranza richiesta (a seconda delle possibili varianti, può essere sufficiente una maggioranza relativa, o può essere necessaria quella assoluta).

Nei sistemi uninominali vi sono tanti collegi quanti sono i seggi da coprire, ed in ciascun collegio vi sarà un unico candidato per partito. In questi sistemi va comunque individuata una maggioranza in base alla quale assegnare il seggio il che avviene attraverso uno di questi criteri:

• nel sistema a turno unico (usato ad es. in Gran Bretagna, negli Stati Uniti e in Canada) viene eletto il candidato con la maggioranza relativa

• nel sistema a doppio turno (tipico della Francia) per vincere è necessaria la maggioranza assoluta, altrimenti si ricorre a una nuova votazione fra i candidati che hanno superato la soglia di sbarramento. Nella forma più classica tuttavia, passano il turno solo i due candidati più votati, e così il secondo turno assume il nome di ballottaggio.

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1.1.4. IL SISTEMA PLURINOMINALE

Il sistema plurinominale dà all’elettore tanti voti quanti sono i candidati da eleggere. Qualora il voto sia libero, si può operare un mix fra partiti diversi, mentre se si è obbligati a votare i candidati tutti di uno stesso partito si ha il c.d listino.

Per attenuare gli effetti distorsivi di questo sistema, sono state create alcune varianti, tra cui il voto cumulativo che permette agli elettori di minoranza di far eleggere un proprio rappresentante concentrando su di lui tutti i voti a loro disposizione, o il voto limitato che dava agli elettori meno voti di preferenza di quanti fossero i seggi in palio.

Il sistema maggioritario, che può essere ritenuto nel suo insieme maggiormente idoneo a dare risposta alla garanzia dell’alternanza fra forze politiche, cioè a quel processo di maggiore trasparenza dei (e nei) rapporti fra istituzioni rappresentative e di governo e con il corpo elettorale32, presenta un connotato interessante : se viene

comparato ad un sistema formalmente proporzionale corretto da un premio di maggioranza attribuito al partito o alla lista che abbia conseguito il miglior risultato elettorale, possono essere considerati l'uno alla stregua dell'altro?

In altre parole, credo sia interessante comprendere se la presenza di un forte correttivo come un consistente premio di maggioranza sia un elemento così determinante per stravolgere la struttura (e modificare radicalmente le conseguenze proiettate sull'assetto partitico parlamentare) di un sistema elettorale che nasce su un presupposto diverso, talvolta addirittura antitetico.

In questo senso, la consistenza del suddetto correttivo è un elemento dirimente : in un sistema dove ad esempio alla forza politica (che sia lista o coalizione) che ha conseguito il miglior risultato si attribuisca la maggioranza assoluta dei seggi, l'effetto distorsivo si ottiene mediante un processo di sovrarappresentazione della forza vincitrice : questo correttivo, se produce un'eccessiva rappresentatività alla lista che ne beneficia, rischia di causare un deficit democratico per il sistema politico33.

Questo effetto è il medesimo che viene a prodursi in un sistema maggioritario puro (sia esso majority o plurality), ma in questa ipotesi il metodo con cui si produce l'alterazione è opposto : si tratta infatti

32 Cfr. S.GAMBINO, Il ruolo dei partiti politici e la legge elettorale, fra storia costituzionale del

Paese e attualità, 2013,Rivista AIC, N.2/2013, cit. p.4.

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del processo di sottorappresentazione delle minoranze.

Come si evince, al netto di due metodi differenti, il risultato prodotto è il medesimo, e consiste in un bilanciamento tra maggioranza e minoranza che va sempre a vantaggio della prima34.

Non a caso, l'ipotesi di far coesistere i due sistemi - quello maggioritario e quello proporzionale – nasce con l'intento evidente di non rinunciare del tutto ai vantaggi dell'uno o dell'altro o comunque di attenuare gli effetti primari del sistema prevalente35.

1.2. IL SISTEMA PROPORZIONALE

Il sistema proporzionale,al contrario, fotografa molto più fedelmente i rapporti di forza, trasferendoli in Parlamento: il territorio nazionale viene diviso in circoscrizioni ed i seggi vengono assegnati in modo strettamente proporzionale in base a liste; potenzialmente, con questo sistema qualsiasi schieramento politico potrebbe entrare in parlamento ; ciò garantisce un’ampia rappresentatività ed una significativa tutela delle minoranze, ma comporta inevitabilmente anche un’ampia frammentazione del parlamento, con una conseguente difficoltà decisionale ed un rallentamento delle funzioni politiche.

La formazione di un governo, soprattutto, finisce per essere subordinata alla creazione di una coalizione di più partiti, con il rischio conseguente di una forte instabilità dovuta all'ampia frammentazione conseguente alla vasta ed eterogenea offerta politica.

Per arginare il suddetto problema, nel sistema proporzionale è ormai regolarmente (e secondo alcuni, insieme al premio di maggioranza,

necessariamente36) introdotto il correttivo della c.d. “soglia di sbarramento “: come dice la parola stessa, è una soglia minima di rappresentatività che permette l’entrata al Parlamento solamente a chi ha ricevuto almeno un numero di voti pari alla soglia prestabilita; in altri casi, sempre per ovviare a questo problema, si è limitata la

34 Cfr. C. LAVAGNA, Il sistema elettorale nella Costituzione italiana, in Riv. Trim. Dir. Pubbl.,

1952, cit. pp. 873 ss.

35 Cfr. A.D'ANDREA, Partiti politici ed evoluzione della forma di governo nell'ordinamento

italiano, Milano, 2005. Relazione al corso "Donne, politica e istituzioni. Percorsi formativi per

la promozione delle pari opportunità nei centri decisionali della politica".

36 Cfr. D.ARGONDIZZO, Proporzionale corretto e bipolarismo, Forum di Quaderni

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dimensione delle circoscrizioni elettorali: riducendo l’ampiezza delle circoscrizioni, infatti, si riduce il numero dei seggi assegnabili in ciascuna di esse e di conseguenza il tasso di proporzionalità del sistema, diminuendo le probabilità dei partiti minori di ottenere i pochi seggi disponibili in ciascuna delle suddette circoscrizioni.

Collegata al sistema proporzionale è la previsione, non obbligatoria, della possibilità per l’elettore di esprimere una o più preferenze per un candidato all’interno della lista votata. In questo caso, vengono eletti nell’ambito di ogni lista i candidati che hanno ottenuto il numero maggiore di preferenze. Se invece non è previsto il voto di preferenza, i candidati vengono scelti secondo l’ordine in cui compaiono in lista, delegando ai partiti l’individuazione degli eletti: si parla in questo caso di lista bloccata. Elemento caratterizzante del sistema proporzionale è l’assegnazione dei seggi in circoscrizioni elettorali plurinominali, suddividendo gli stessi fra le varie liste in proporzione ai voti ottenuti. Si presenta quindi come un sistema elettorale basato sulla democraticità e rappresentatività in quanto permette di fotografare la situazione reale del Paese.

Il sistema proporzionale, vigente per quasi mezzo secolo ad eccezione della parentesi del 1953 con la c.d legge truffa , producendo un'ampia articolazione di forze politiche, va ad incidere profondamente sull'assetto politico-parlamentare ma anche sul sistema partitico e non soltanto rispetto all'elemento quantitativo37.

E' un sistema elettorale che configura una dinamica di codeterminazione delle decisioni come cifra caratteristica dei rapporti tra maggioranza e opposizione38, incentivando un

inserimento delle forze di minoranza nel sistema democratico.

La formazione di maggioranze parlamentari più ampie della maggioranza di Governo era una prassi consolidata e aveva la finalità di inserire le forze politiche escluse dal Governo nel sistema democratico39.

Infatti il sistema proporzionale ha prodotto un sistema “basato sulla centralità del Parlamento inteso come il luogo in cui doveva realizzarsi la coincidenza della decisone con il compromesso dei partiti di maggioranza e partiti della minoranza”40.

L'evidente conseguenza di ciò è la possibilità di una rappresentanza parlamentare che rifletta in maniera meno distorta la reale situazione

37 Cfr. G.G.CARBONI, L'inatteso (e inopportuno) ritorno delle maggioranze variabili, Forum di

Quaderni Costituzionali,2007, p.7.

38 Cfr. G. FLORIDIA-S.SICARDI, Le relazioni Governo-maggioranza-opposizione nella prassi e

nell’evoluzione regolamentare e legislativa, in Quad. cost., 1991, p.230.

39 Cfr. C. CHIMENTI, Addio prima Repubblica : lineamenti della forma di governo italiana

nell'esperienza di undici legislature, Torino,Giappichelli,1997, cit. p.123 ss.

40 Cfr. G. PITRUZZELLA, Forme di governo e trasformazioni della politica, Roma-Bari,

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politica di un paese, con una significativa tutela delle minoranze. Qualora i partiti siano notevolmente frazionati, però, il proporzionale riflette questa frammentazione reale in Parlamento e la formazione di un governo richiede coalizioni che uniscano più partiti, con conseguente forte instabilità. Vedremo più avanti, come applicazione pratica, come per un lungo periodo della storia politica italiana infatti i governi caratterizzati da un profilo politico assai eterogeneo furono piuttosto frequenti: ritengo sia poi in questo senso importante da distinguere ulteriormente tra coalizioni preelettorali e coalizioni postelettorali. Questo profilo presenta un'ulteriore campo di incidenza che trova la sua derivazione nella tipologia di sistema elettorale : il sistema proporzionale infatti incentiva la formazione di coalizioni cronologicamente effettuata dopo il momento del voto, in base al tipo di assetto che si va a creare in Parlamento, in base alla tipologia di partiti presenti e soprattutto in base all'intensità con cui si verifica il fenomeno più tipicamente conseguente di questa tipologia di sistema elettorale : il multipartitismo. Questo elemento, inserito nel contesto del disegno costituzionale, è lo strumento che fa emergere il concetto di rappresentatività come fonte della legittimazione di quell'autorità statale che tramite l'apparato pubblico garantisce l'espressione dei diversi interessi espressi dalla società41.Di

converso, la presenza di un sistema maggioritario, che per sua natura non riproduce (e non trasforma) in maniera perfettamente fedele i voti ottenuti in seggi conquistati, tende inevitabilmente a costituire un incentivo per la formazione di coalizioni prima del momento del voto, che quindi andranno a presentarsi all'elettorato sulla base di una convergenza programmatica e di un assetto interno già concordato, presumibilmente sulla base dei rapporti di forza presenti all'interno dello schieramento.

Va osservato ulteriormente come queste due tipologie di coalizione presentano un risvolto politico che attiene al vincolo politico a cui si sentono legati i partiti appartenenti. Questo aspetto investe in primo luogo il comportamento strategico dei soggetti politici, ma anche l’ulteriore vincolo che essi hanno con l’elettorato di riferimento.

Nella coalizione preelettorale questo profilo si esplica prevalentemente nella convergenza programmatica sulla cui base si è stipulato l’accordo e a livello cronologico la dinamica dei rapporti di forza interni all’aggregazione si sviluppa principalmente nella fase delle trattative prima dell’inizio della campagna elettorale.

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Differente è lo sviluppo della situazione delle coalizioni postelettorali , composte da soggetti che si sono presentati autonomamente (o in altri raggruppamenti) al momento del voto e si trovano a dover convergere su basi comuni dopo il voto e questo elemento non attiene unicamente al piano cronologico , ma possiede un risvolto che ritengo decisivo : la trattativa sul piano programmatico si svolge con l’acquisita conoscenza dei risultati elettorali , ed è facile intuire che in virtù di ciò non solo si svolge dopo le votazioni , ma spesso e volentieri sulla base di ciò che le urne hanno detto.

Osserviamo dunque che la modalità con la quale i partiti articolano la propria presenza in un’aggregazione post voto presenta un vincolo di mandato molto forte nei confronti del proprio elettorato ma assai meno intenso sul piano dell’accordo con le altre forze.

Ancora, ritengo che la diversa intensità di questi due vincoli si accentui ulteriormente nel caso di formazioni che hanno un peso elettorale limitato ma non esiguo : sarà probabilmente un calcolo prettamente strategico quello di questi partiti , che faranno leva su un consenso non vasto ma fidelizzato per orientare le scelte politiche della coalizione inserendo propri punti programmatici e tendenzialmente propri membri in incarichi esecutivi , utilizzando come strumento la scarsità di alternative che spesso si trovano a dover fronteggiare le grandi forze , costrette a cercare accordi anche forzati per evitare lo stallo parlamentare.

Svolta questa ulteriore classificazione, è anzitutto interessante soffermarsi sulla dinamica che riguarda il concetto stesso di coalizione, la quale detiene, esattamente come un partito politico, il ruolo di tramite tra il corpo elettorale e i candidati di quel determinato schieramento42.

E questa identità concettuale tra partito e coalizione, suffragata anche dal testo di riforma del 2017 del Regolamento del Senato 43,

ci offre l'opportunità di fare una distinzione tra i due modelli di coalizione proprio in riferimento a quell'elemento cronologico di cui sopra : infatti, se la coalizione pre elettorale tipica di un sistema maggioritario è considerabile un modello “forte”, aggettivazione giustificabile con l'assorbimento degli apparati dei singoli partiti in

42 Cfr. R.MANFRELLOTTI, Rappresentanza e forma di governo : sistemi elettorali, sistema

partitico e assetto istituzionale, Napoli, De Frede, 2018, pp.25 ss.

43 Cfr. Art. 14 co. IV Regolamento del Senato dispone testualmente che i Gruppi Parlamentari

devono rappresentare “un partito o un movimento politico anche risultante dall'aggregazione di più partiti o movimenti politici”.

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una struttura organizzativa globale, tipico del sistema proporzionale è invece il modello di coalizione “debole” : in questo caso il momento dell'aggregazione tra forze politiche coincide con quello della formazione del Governo44.

Il rapporto tra la coalizione e il sistema elettorale non può però prescindere dal rapporto tra la coalizione e i partiti, all'interno dei quali vi è una dinamica che nasce e si sviluppa anche alla luce del rapporto con il corpo elettorale.

Non è in questo senso sufficiente la previsione del divieto di mandato imperativo (articolo 67 Costituzione) , che esclude qualsiasi responsabilità diretta dei parlamentari verso il corpo elettorale, perchè nei confronti degli assetti configurabili all'interno della coalizione è dirimente la vita interna al partito stesso. Rimanendo fermo per l'eletto quel potere di “sottrarsi in ogni momento a tale disciplina, affrontando le sanzioni interne inflitte dal partito”45 viene

cioè alla luce quel concetto di “disciplina di partito” che in base all'intensità che detiene – cioè rispetto a quanto è forte il mandato di fatto tra il partito ed il suo eletto - alimenta la capacità del partito di influenzare il comportamento concreto dei suoi eletti, e di riflesso il comportamento di questi ultimi dentro lo schieramento di coalizione : è da quel mandato interno che quindi dipende quantomeno una parte dell'esplicarsi dell'indirizzo politico della coalizione46.

Comprendiamo qui bene come, al concetto di sistema elettorale, si connette e rimane legato l'esplicarsi dell'egemonia dei partiti negli organi rappresentativi, con un'influenza a catena che inizia col rapporto tra partiti ed eletti, si sviluppa nel comportamento dell'eletto nell'organo, e va a ricadere sul funzionamento dell'organo steso, cioè sull'atteggiarsi nel concreto del comportamento politico della coalizione

Nel caso di una coalizione pre elettorale, se è vero che i partiti non perdono la propria soggettività ed autonomia politiche, ponendosi quindi come coautori di un indirizzo politico esplicato poi dalla coalizione nel suo insieme, è pur vero che l'esplicazione della coalizione implica che essa costituisca un ordinamento giuridico unitario, e ciò segna una profonda differenza con la dinamica espressa dalla coalizione post elettorale :in questo caso infatti è determinante l'egemonia che ogni partito riesce a far emergere all'interno dello schieramento.

Quindi la coalizione pre elettorale costituisce uno strumento direttamente usufruibile dai cittadini per esercitare l'attività di

44 Cfr. G.FERRARA, Il governo di coalizione, Milano, Giuffrè, 1973, pp. 78 ss.

45 Cfr. C.MORTATI, Art.67-Commentario della Costituzione.Vol. 2: artt. 64-69, Roma, Società

editrice del Foro italiano, cit. p.183.

46 Cfr. G. LEIBHOLZ, La rappresentazione nella democrazia, Milano,Giuffrè, 1989, cit. pp 171

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indirizzo politico, ex art.49 Cost., mentre nel prototipo della coalizione post elettorale tipica della prima repubblica essa assurgeva a una “formula associativa che collega non più i cittadini, ma gli strumenti che ai cittadini vengono offerti dall'ordinamento perchè il processo di determinazione della politica nazionale trovi il modo di essere utilizzato come fattore della dinamica dell'ordinamento”.47

Benchè il mutamento dei meccanismi di trasformazione dei voti in seggi non riesca , da solo, a trasformare un sistema politico48, sul

piano dell'incidenza delle due tipologie di sistemi elettorali sull'assetto parlamentare e sullo scenario politico, appare evidente come il sistema proporzionale riproducendo fedelmente la distribuzione dei consensi nella composizione partitica del Parlamento implichi il potenziale rischio di una scarsa stabilità politica e di una instabilità permanente negli equilibri tra forze politiche.

Al contrario il sistema maggioritario si mantiene saldamente connesso al concetto della governabilità, che per sua stessa natura persegue come obiettivo e sull'altare della quale tende a sacrificare la proporzionalità del voto : dunque anche i suoi due principali correttivi, cioè la soglia di sbarramento e il premio di maggioranza, vengono sviluppati a partire da questa esigenza.

47 Cfr. G.FERRARA, Il governo di coalizione, Milano, Giuffrè, 1973, cit. p.91. 48 Cfr. L.CARLASSARE, Principi costituzionali,sistema sociale,sistema politico in

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CAPITOLO

2:

L'ITALIA

NEL

SISTEMA

PROPORZIONALE (1948-1992)

2.1. L'ASSEMBLEA COSTITUENTE

L'analisi sulle leggi elettorali nella storia repubblicana del nostro Paese e l'incidenza che esse hanno avuto sull'assetto parlamentare e sul sistema dei partiti non può che partire dall'elezione dell'Assemblea Costituente.

In seno ad essa si discusse sull’opportunità di introdurre nella Costituzione indicazioni sui sistemi elettorali delle Camere, ma prevalse la volontà di escludere ogni riferimento a essi.

Ciò, non perché i Costituenti fossero indifferenti al tema. Infatti, con l’approvazione dell’ordine del giorno Giolitti, essi si pronunciarono a favore dell’adozione, per la Camera dei deputati, del sistema proporzionale, che meglio di altri si adattava alla

società politica del tempo: una società contrassegnata da divisioni molto profonde, in cui l’esigenza più sentita non era quella di assicurare maggioranze di governo stabili e coese, ma di costruire un efficace sistema di garanzie, limitando il potere del più forte49.

La legge elettorale proporzionale che si decise di adottare fu introdotta con il n. 74 del 10 marzo 1946, dopo essere stata approvata dalla Consulta Nazionale il 23 febbraio 1946 con 178 favorevoli e 84 contrari. I partiti presentavano in ogni circoscrizione una lista di candidati. L'assegnazione di seggi alle liste circoscrizionali avveniva con un sistema proporzionale; determinato il numero di seggi guadagnati da ciascuna lista, venivano proclamati eletti i candidati che, all'interno della stessa, avessero ottenuto il maggior numero di preferenze da parte degli elettori, i quali potevano esprimere il loro gradimento per un massimo di quattro candidati.

I seggi e i voti residuati a questa prima fase venivano raggruppati poi nel collegio unico nazionale. La legge elettorale prevedeva che i Costituenti da eleggere fossero 573, ma data l'impossibilità di svolgere le elezioni in alcuni comuni dell'Alto Adige e della Venezia Giulia (in quanto non sottoposti alla piena sovranità italiana), ne furono eletti 556.I risultati conferirono alla Democrazia Cristiana, grazie al 35% dei voti, la maggioranza relativa dei seggi (207),

49 Cfr. G.FERRI, I sistemi elettorali delle camere dopo le sentenze della corte costituzionale

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confermando la formazione centrista come il partito più importante, seguita da Psiup e Pci : questi tre partiti complessivamente ottennero circa il 75% dei seggi (424 su 556)50.Il sistema elettorale,

che si configurava come un proporzionale puro privo di soglie di sbarramento, produsse due effetti sul piano della rappresentatività in Assemblea Costituente. In primo luogo consentì alle liste di destra di ottenere una discreta rappresentanza nonostante un risultato complessivamente negativo : Unione Democratica Nazionale (di ispirazione liberale), Fronte dell'Uomo Qualunque (di matrice liberal-conservatrice) e Blocco Nazionale delle Libertà (lista di ispirazione monarchica) non raggiunsero totalmente il 15% dei consensi ma ottennero comunque 87 seggi complessivi.

Ritengo sia interessante in particolare sottolineare come il Blocco Nazionale delle Libertà, che raggiunse solo il 2,77%, ebbe una rappresentanza di 16 costituenti.

Il secondo effetto prodotto dall'assenza di correttivi nella legge elettorale fu la possibilità di accedere all'Assemblea Costituente anche per formazioni politiche che percentualmente non raggiunsero l'1% dei consensi.

Infatti, al netto delle formazioni politiche “regionaliste” e quindi con consensi concentrati geograficamente in alcune aree (Partito Sardo d'Azione, Movimento per l'Indipendenza della Sicilia), riuscirono ad ottenere un seggio anche i Contadini d'Italia (0,44%, comunque radicati prevalentemente in Piemonte), Movimento Unionista (0,31%), Partito Cristiano Sociale (0,22%), Partito Democratico del Lavoro (0,18%) e perfino il Fronte Democratico Progressista Repubblicano, che fu votato da meno di 22mila elettori (0,09%) su quasi 25 milioni che si recarono alle urne ma ottenne un seggio51.

Un esempio sintomatico degli effetti del proporzionale puro sull'assetto dell'Assemblea mi pare sia costituito in particolar modo dalla vicenda della formazione Concentrazione Democratica Repubblicana, che ottenne lo 0,42% dei voti e ben 2 rappresentanti in Assemblea.

Furono globalmente 16 le formazioni politiche che riuscirono ad ottenere rappresentanza in Assemblea.

50 Cfr. 2 giugno 1946 : La scelta degli italiani in www.quirinale.it.

51 Cfr. Archivio storico elezioni-Ministero dell'Interno/Elezioni Assemblea Costituente in

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