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Questo meccanismo, che favoriva i partiti minori, applicato nelle elezioni del 1958 portò ad un aumento del numero di formazioni politiche (di piccole dimensioni) che ottennero

seggi, senza però raggiungere il quorum di dieci deputati necessario per formare un gruppo.

Furono infatti dieci, sia alla Camera sia al Senato, le formazioni rappresentate.

Le elezioni suddette, svoltesi il 25 maggio 1958, non modificarono sostanzialmente il quadro politico. La DC guadagnava, rispetto al 1953, il 2,2% alla Camera e l'1,3% al Senato, incrementando di dieci unità il numero dei parlamentari. Consistente fu la tenuta del PCI, che incrementò percentualmente i suoi voti sia alla Camera (+ 0,1%) che al Senato (+ 1,6%).

Un dato interessante riguarda ancora una volta gli effetti del sistema proporzionale puro sul multipartitismo: rispetto alle elezioni del 1953, in virtù della modifica ai regolamenti parlamentari ci fu una maggiore distribuzione di consensi (escludendo dalla comparazione le formazioni regionaliste e i tre partiti principali : Dc, Pci e Psi) che determinò un aumento delle formazioni che riuscirono ad ottenere l'accesso in Parlamento, e questo fenomeno riguardò entrambe le Camere.

Fu proprio l'elemento del multipartitismo infatti che caratterizzò la prima parte della legislatura, che vide l'appoggio esterno di Msi e monarchici ai governi Segni II e Tambroni e che segnò la coalizione di governo formatasi anche dopo le elezioni successive.

L' Msi, che aveva subito un arretramento rispetto al 1953, poteva contare su una rappresentanza di 24 seggi alla Camera (4,76%) e di 8 al Senato (4,4%).

La situazione dei monarchici in quel momento storico era particolare, in quanto pochi anni prima, dopo aver ottenuto alle elezioni del 1953

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40 seggi alla Camera (6,85%) e 14 al Senato (6,51%), si era diviso tra il Partito Nazionale Monarchico di Alfredo Covelli e il Partito Monarchico Popolare di Achille Lauro.

Questa “scissione” è importante perchè produsse una frammentazione nella tornata elettorale in oggetto : 11 seggi alla Camera (2,23%) e 2 al Senato (2,16%) per il partito nazionale monarchico, mentre i monarchici popolari di Lauro raggiunsero il 2,63% alla Camera (14 seggi) e ottennero anche 5 senatori grazie al 2,96% al Senato.

Nel 1959 questa suddivisione terminerà con la nascita del Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica (PDIUM)65.

L’ideologia monarchica dunque seguì un percorso di scomposizione e ricomposizione dentro forme politiche organizzate , e questo iter si svolse anche a livello elettorale : in altre parole , la proiezione istituzionale , cioè l’orizzonte della rappresentanza , riguardò i monarchici non meno degli altri soggetti politici. Tutto questo è meritevole di attenzione se utilizziamo il parametro costituzionale , in riferimento all’articolo 139 , che esclude la forma repubblicana dal procedimento di revisione costituzionale.

Osservo che la partecipazione alle elezioni dei partiti monarchici che in età repubblicana si sono succeduti costituisce un dato politico rilevante, che illustra come una (almeno apparentemente) evidente questione di incompatibilità con l’assetto costituzionale italiano non fu mai sostanzialmente presa in considerazione nel dibattito politico che pure , soprattutto nel periodo della Prima Repubblica , non fu certo arido sul piano della dialettica politica.

Dall’esperienza del Blocco Nazionale delle Libertà alle vicende legate al Pdium, non ci sono tracce concrete di presa di coscienza di un’ambiguità di fondo che aleggiava sulla partecipazione elettorale da parte di queste formazioni.

Ragionando a livello meramente ipotetico , non è inoltre secondario interrogarsi sullo sviluppo dello scenario politico nel caso ( del tutto improbabile , certo , ma non per questo non meritevole di attenzione) si fosse verificato un exploit elettorale , o addirittura una vittoria , di queste formazioni ; sempre utilizzando il parametro della carta costituzionale , considero che la mancanza di un dibattito che si muovesse in quest’ottica non rappresenta un caso isolato.

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Nel 1972 , la nascita di Alleanza Monarchica fu causata dalla decisione del Pdium di confluire nel Movimento Sociale Italiano. Una riflessione analoga può essere svolta proprio per la formazione in quel momento guidata da Almirante , che nasceva però quasi quattro decenni prima per opera dei reduci della Repubblica di Salò , con il dichiarato intento di far rivivere l’ideologia e i principi del fascismo nell’Italia Repubblicana.

Ritengo che l’elemento qui da sottolineare risieda in una riflessione non liquidabile a mero formalismo : il divieto di riorganizzazione del partito fascista , di cui non solo i missini non condannavano la storia ma verso il quale si ponevano l’obiettivo di farne rivivere l’eredità , è contenuto nella dodicesima (XII) disposizione transitoria e finale della Costituzione.

L’accento che qui si vuole porre è sul carattere di definitività verso cui dovrebbe tendere l’interpretazione della suddetta aggettivazione, ed in questo senso riscontro analogie tra le due esperienze.

Se però il caso del Msi fu indubbiamente oggetto di una maggiore attenzione che anche dopo la Prima Repubblica costituì oggetto di pagine di dibattito politico (aperto , seppur inevitabilmente in diverse modalità , ancora ai giorni nostri) , quello concernente le formazioni monarchiche rimase sullo sfondo , e queste ultime – soprattutto nel periodo storico di cui qui si sta trattando – furono a tutti gli effetti attori politici dello scenario che si stava sviluppando.

Credo che ai fini della trattazione sia ora da analizzare il voto del 1963, non solo per il percorso di avvicinamento a questa tornata, evidentemente influenzato dall'esito del congresso della Dc nel 1962 che aveva segnato una svolta verso sinistra del principale partito italiano66, ma soprattutto poichè l'assetto parlamentare che si andò a

produrre segnò una svolta : infatti nella coalizione di governo guidata dalla Democrazia Cristiana, oltre ai repubblicani e ai socialdemocratici, ci sarà per la prima volta il Psi.

Il percorso politico dei socialisti , costellato da importanti tappe intermedie che in quegli anni si erano succedute , ebbe una svolta. A partire dalla comune contestazione con il Pci nel 1960 verso il governo Tambroni , appoggiato anche dall’ Msi , con l’avvento del primo esecutivo guidato da Moro il Psi completò un iter che era

66 Cfr. VIII Congresso Nazionale della Dc. Relazione introduttiva di Aldo Moro. Napoli, 27-31

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iniziato con un progressivo avvicinamento all’area di governo , dimostrato con le astensioni nei confronti dei due precedenti esecutivi guidati da Fanfani ed in quello di Leone.

Se è certamente possibile valutare questa decisione del Psi alternativamente come una scelta strategica ponderata oppure come una necessità incentivata da contingenze storico-politiche , osservo che non sia da escludere una terza opzione , intermedia tra le due. Con un trend elettorale che nelle tornate precedenti aveva registrato una lieve crescita , i socialisti assistevano ad un ruolo dominante da parte della Dc sullo scenario politico globale ; l’area di governo ruotava interamente intorno a quest’ultima e il ruolo del Psi rischiava di rimanere quello di un partito medio-grande con una scarsa possibilità di poter esprimere quella vocazione certamente più governista del Pci , di cui infatti sentiva maggiormente l’esigenza. La mossa di entrare nell’orbita di governo , se da un lato puntava ad una convergenza politica di medio-lungo periodo sfruttando uno spostamento a sinistra della Dc , dall’altro rappresentava il tentativo di un salto politico qualitativo che voleva in una qualche misura riposizionare il partito , provando a renderlo qualcosa in più di una “terza forza”.

Partendo dall'assetto parlamentare, la distribuzione dei seggi tra le quattro forze portò ad un totale di 386 seggi alla Camera e di 191 al Senato.

La Dc, subendo una flessione piuttosto consistente rispetto all'ultima tornata, ottenne alla camera il 38,28% che le valse 260 seggi, mentre i socialisti con poco meno del 14% ne conquistarono 87, ma nell'ottica politica della coalizione bisogna aggiungere i 33 seggi ottenuti dai socialdemocratici (grazie al 6,1%) e (qui sussiste un altro caso sintomatico degli effetti sul sistema partitico prodotti dal proporzionale puro) anche l' 1,37% dei repubblicani che così conquistarono l'accesso alla rappresentanza con 6 deputati.

Questi erano i soli rappresentanti eletti in una lista “pura” del Pri, che non riuscì al Senato a raggiungere neppure l'1%, fermandosi allo 0,81% e non ottenendo in quella lista alcun rappresentante.

I seggi che la futura coalizione di governo conquistò al Senato erano la somma dei 129 della Dc (36,47%), i 44 dei socialisti (14,01%) e i 14 dei socialdemocratici (6,35%).

Occorre segnalare come l’ingresso del Psi coincise con una contrazione elettorale della Dc , ma al contempo i socialisti stessi diminuirono lievemente i consensi.

Appare evidente come nel rapporto tripolare tra sistema elettorale, assetto politico-parlamentare determinabile e sistema partitico esistente, sia da sottolineare la profonda incidenza delle scelte strategiche delle formazioni politiche, e ritengo che di ciò costituisca

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un esempio sintomatico la vicenda del Pli : dopo che nel gennaio 1962 Moro pone le premesse per la costituzione di un governo di centro-sinistra, il 21 febbraio 1962 Fanfani viene chiamato a guidare un governo tripartito (DC-PSDI-PRI) con l'appoggio esterno del PSI : si sta ponendo fine all'era del centrismo per iniziare la stagione di ciò che diverrà il c.d centrosinistra organico.

Il PLI diventa allora un punto di riferimento dell'opposizione moderata, in quanto politicamente incompatibile per ogni opzione di accordo coi socialisti ma neppure assimilabile all'opposizione dei partiti che costituivano le ali estreme del sistema parlamentare (Pci e Msi).

Ebbene, alle elezioni politiche del 1963 i liberali ottengono il 6,97% alla Camera (39 deputati) e il 7,44% al Senato (18 seggi) : oltre a costituire il miglior risultato elettorale della storia di questa formazione, è interessante fare un confronto con le tornate precedenti.

Dieci anni prima il Pli, che apparteneva alla coalizione di governo con Dc, Pri e Psdi, aveva ottenuto il 3,01% alla Camera (13 seggi) e il 2,86% al Senato (3 rappresentanti) ; dopo aver sostenuto i sei governi che si avvicendarono nel quinquennio successivo, nel 1958 la situazione a livello elettorale appare sostanzialmente inalterata : 17 seggi alla Camera (3,54%) e 4 seggi al Senato (3,87%).

Come si può evincere dal suddetto confronto, c'è una considerevole differenza di consensi prima e dopo la scelta del Pli di passare all'opposizione e di diventarne punto di riferimento per una certa porzione di elettorato, che come abbiamo visto nelle elezioni in oggetto consentirà al partito in quel momento guidato da Malagodi67

di raddoppiare i suoi voti in entrambe le Camere, grazie anche a un vero e proprio exploit in alcune zone del Paese, come il Nord-Ovest, la Sicilia e la città di Roma, come si può evincere da un'analisi territoriale del voto.

A questo proposito, è da sottolineare l'elemento della disomogeneità geografica generalizzata dei consensi espressi, che fotografa fedelmente le aree di insediamento e radicamento anzitutto dei due principali partiti : il Pci si affermò fortemente in tre regioni come Toscana, Umbria ed Emilia Romagna mentre la Dc prevalse nettamente al Sud e nelle regioni del Nord-Est del Paese.

Credo quindi sia da porre in risalto questo dato che fa emergere la vicenda del Partito Liberale nel rapporto tra le strategie partitiche e gli assetti parlamentari, soprattutto in un contesto, quello del 1963, dove il sistema proporzionale puro dispiega in maniera forte l'effetto del multipartitismo, in particolare al Senato : sfruttando il sistema dei

67 Cfr. E. PALUMBO, Le tre vite di Giovanni Malagodi : banchiere, politico, europeista. Scuola

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collegi, anche formazioni politiche molto esigue conquistano seggi. La lista Indipendente Cattolico, con meno di 23000 voti (0,08%) e il Partito Autonomo Cristiano Sociale (0,16%) ottengono un seggio a testa, ma è interessante notare come il sistema elettorale del Senato influenzi le decisioni di tutte le formazioni politiche, a prescindere dalla consistenza elettorale.

Abbiamo visto il caso dei repubblicani, la cui lista al Senato non riesce a ottenere rappresentanza, ma la presentazione di una lista Dc-Pri, che presenta entrambi i simboli, ottiene quasi 200000 voti e 4 senatori.

Medesimo è il caso del Msi, che oltre a presentare la propria lista (5,31%, 14 seggi), presenta al Senato il proprio simbolo anche in una lista con i monarchici, che come abbiamo visto nel 1959 avevano posto fine alla loro precedente scissione riunificandosi nel Pdium : questa lista Msi-Pdium riesce, con lo 0,77%, ad ottenere un senatore, che va a rinforzare le fila di quella porzione di opposizione insieme ai 14 eletti del Msi e ai 2 eletti nella lista del Pdium , che al Senato raccoglie l' 1,56%.

I due partiti in esame alla Camera ottengono circa gli stessi consensi : 5,11% e 27 deputati il Msi e 1,75% (con 8 deputati) il Pdium.

Mi pare meritevole di un breve accenno anche la vicenda del partito monarchico in questo periodo : mentre nel 1963, dopo la riunificazione, non arriva al 2% in nessuna delle due camere, alle elezioni precedenti come abbiamo visto si era presentato diviso. Erano stati, cinque anni prima, 19 i rappresentanti eletti dal Partito Monarchico Popolare (14 deputati con il2,63% e 5 senatori con il 2,96%) e 13 quelli eletti dal Partito Nazionale Monarchico (11 deputati con il 2,23% e 2 senatori con il 2,16%) : si può affermare che, da un punto di vista meramente elettorale, la riunificazione dei monarchici non produsse un effetto positivo sui consensi.

Ma il sistema elettorale in vigore nella Prima Repubblica, oltre a permetterci di analizzare l'influenza delle formazioni più piccole sugli assetti politico-parlamentari, ci permette di constatare ancora l'incidenza delle strategie dei partiti sui suddetti assetti e in questo senso le elezioni politiche del 1968 e del 1972 ne sono un tassello esemplificativo : presentano un analogo paradigma che non verrà stravolto fino al 1976.

Sugli equilibri che si andranno a determinare in queste due tornate elettorali infatti peseranno due fattori che riguardano il mondo della sinistra politica : in primo luogo, il dissenso interno al Psi che porta l'ala sinistra del partito a formare il Partito socialista di unità proletaria e ad unirsi al Pci, secondariamente la decisione del Psi di

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presentarsi con i socialdemocratici68 .

Alla Camera, dove la Dc si confermò primo partito con il 39,12%, l'esperimento di unificazione dei socialisti (che si presentarono con la lista Psu) portò all'elezione di soli 91 deputati (14,48%), mentre il neonato Psiup elesse 23 rappresentanti con il 4,45% ; considerando anche i 177 deputati eletti con il Pci, si andava rafforzando il fronte dell'opposizione della sinistra meno moderata.

Da notare inoltre che la corrente interna al Psdi contraria all'unificazione col Psi fondò il progetto Socialdemocrazia, che non ottenne neppure 100000 voti alla Camera e si fermò a meno di 40000 al Senato, non eleggendo dunque alcun rappresentante. Intanto, mentre il Pri riusciva a conquistare 9 seggi, a destra i monarchici non superarono l'1,3% (fu l'ultima elezione a cui parteciparono) , il Msi si fermò al 4,45% e il Pli a 5,82% : 61 deputati complessivi, con una concentrazione di tutti i voti (validi) su 8 formazioni politiche di carattere nazionale e un partito regionalista (il PPST, che ottenne 3 seggi).

Il numero di formazioni rappresentate, rimasto inalterato alla Camera rispetto alla tornata del 1963, si ridusse invece al Senato dove furono differenti anche le scelte dei partiti principali : se andiamo infatti ad analizzare le liste che ottennero rappresentanza, ne contiamo solo 8. Su questo dato ritengo sia evidente l'incidenza della decisione di Pci e Psiup di presentarsi al Senato nella medesima lista , raggiungendo così il 30% e 101 senatori, mentre l'alleanza dei socialisti superò il 15% ottenendo 46 rappresentanti. Non considerando qui i 2 senatori repubblicani eletti grazie al 2,17% conquistato dal Pri, l'opposizione di destra della Dc, la quale si confermò sopra il 38% inserendo così in Senato 135 propri rappresentanti, poteva contare su meno di 40 senatori.

Oltre ai 16 liberali, missini e monarchici elessero 13 senatori (rispettivamente 11 e 2) nelle proprie liste ma stavolta nessun rappresentante riuscì ad ottenere l’accesso al Senato dalla lista congiunta dove le due formazioni di destra presentavano entrambi i simboli alleati69.

A fronte di questi risultati globalmente considerati, l'assetto che si andava a determinare fotografava perfettamente il sistema partitico del momento, soprattutto a sinistra, dove da un lato l'asse strategico tra Pci e Psiup aveva funzionato, dall'altro invece l'esperimento dell'unificazione dei socialisti non aveva raggiunto gli esiti previsti. Non è un caso che alle elezioni del 1972, le prime elezioni anticipate della storia della repubblica, questo progetto non venne replicato, e Psi e Psdi, presentandosi nuovamente in modo autonomo, ottennero

68 Cfr. Il Partito Comunista Italiano. Cronologia : dal Pci ai Ds, in www.storiaxxisecolo.it. 69 Cfr. Archivio storico elezioni-Ministero dell'Interno/Elezioni 1968, in www.interno.gov.it.

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circa il medesimo risultato di qualche anno prima, proprio come il Pci ma non come il Psiup, che con un sostanziale dimezzamento dei consensi pose un freno all'asse con il partito di Berlinguer.

In questa fase l’area politica della sinistra considerata nel suo insieme mette in atto dunque un tentativo di nuova sperimentazione elettorale , finalizzata a porre un argine ad una Dc indiscussa protagonista dello scenario politico.

Le strategie di scomposizione e ricomposizione del fronte della sinistra , qui inteso in riferimento al rapporto tra Psi e Pci , vengono però penalizzate da due fattori : anzitutto da una volatilità troppo imprevedibile degli assetti e delle relazioni politiche , dall’altro di culture politiche differenti che impediscono uno sviluppo di lungo respiro di una prospettiva politica coordinata.

Già nei primi decenni di vita dell’Italia repubblicana , osservo che sia piuttosto visibile una profonda difficoltà della sinistra (qui globalmente considerata) ; non mi riferisco alla capacità di catalizzare consenso , che anzi è piuttosto diffuso se considerato unitariamente , quanto alla mancanza di dotarsi di una prospettiva comune , di un disegno politico che sappia tenere insieme le varie anime di una cultura politica così eterogenea.

Non solo i tentativi sopra considerati di porre un’inversione di tendenza a questa dinamica , ma anche le vicende che si collocano nel periodo del pentapartito e poi del tramonto della Prima Repubblica evidenziano questo vulnus costante , le cui radici credo vadano ricercate nell’assenza di una medesima visione della società , nella carenza di un immaginario collettivo condiviso , nella mancanza di una progettualità politica che veda una convergenza su un programma comune che indichi una rotta di medio-lungo periodo. Il venir meno , o per meglio dire il non emergere di ciò , produce un impianto perennemente diviso e lacerato , che crea ed alimenta percorsi strategici differenti e spesso e volentieri non paralleli ; la forza sprigionata dalle forti identità e dai profili politici ben connotati vede in questo senso la produzione di un effetto benefico , dal punto di vista elettorale , soltanto per gli avversari politici , ed in particolar modo per la Democrazia Cristiana.

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2.5. VERSO IL PENTAPARTITO: EFFETTI DEL

PROPORZIONALE

SULL'ASSETTO

PARLAMENTARE E SULLE COALIZIONI