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LA LEGGE N.165/2017 E LE ELEZIONI DEL 2018:IL TRIPOLARISMO CONFERMATO

DELLA LEGGE N.270/2005, DAL TENTATIVO DELL’ITALICUM ALLA LEGGE N.165/

4.2. LA LEGGE N.165/2017 E LE ELEZIONI DEL 2018:IL TRIPOLARISMO CONFERMATO

La nuova disciplina, la Legge 165/2017, meglio nota come Legge Rosato, prevede un'elezione a turno unico : è un sistema misto, secondo cui, per ciascuna camera, un terzo dei seggi è distribuito con criterio maggioritario in collegi uninominali, mentre la restante parte dei seggi viene assegnata con criterio proporzionale in collegi plurinominali con lista corta “bloccata” . Nei collegi uninominali risulterà eletto il candidato che otterrà il maggior numero di voti validamente espressi nel suo collegio (first past the post) ; nei collegi plurinominali sono invece proclamati eletti i candidati della lista vincente - che ovviamente abbiano superato le soglie di sbarramento previste dalla legge - secondo l'ordine di presentazione, nel limite dei seggi cui la lista abbia diritto. Viene dismesso il premio di maggioranza, introdotto nella legge n. 270 del 2005, e vengono introdotte soglie di sbarramento per l'assegnazione dei seggi plurinominali: 3% per le liste singole e 10% per le coalizioni.

Le suddette soglie sono valevoli sia per la Camera sia per il Senato (ferma restando per quest'ultimo l'assegnazione a livello regionale dei seggi alle liste secondo il disposto dell'art. 57 Cost.170)171.

La legge dispone che i collegi siano compresi all’interno di 28 circoscrizioni alla Camera e di 20 circoscrizioni, coincidenti con le

169 Cfr. M.VOLPI, Italicum: un sistema anomalo e antidemocratico, Fascicolo 1/2015, in

www.costituzionalismo.it , pp.5ss.

170 Cfr. L'art.57 Cost. al primo comma regola il Senato come una camera eletta a base regionale. 171 Cfr. S.SCHETTINO, Rosatellum bis : continuità e discontinuità della disciplina elettorale tra

discrezionalità del legislatore e (problematica) coerenza istituzionale , Fascicolo 1/2018 , in www.dirittifondamentali.it.

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Regioni, al Senato. Il numero dei collegi uninominali, determinato direttamente dalla legge, è di 232 alla Camera e di 116 al Senato, da distribuirsi, fatte salve talune eccezioni, tra le circoscrizioni sulla base della popolazione residente. Per quel che attiene ai collegi plurinominali, nei quali si eleggeranno proporzionalmente i restanti componenti delle due Camere, invece, la legge non ne prevede un numero fisso ma si limita a disporre che debbano essere costituiti dall’aggregazione di collegi uninominali contigui in modo tale che, alla Camera dei deputati, a ciascuno collegio plurinominale “sia assegnato, di norma, un numero di seggi non inferiore a tre e non superiore a otto”172 e, al Senato, un numero variabile da due a otto

seggi5 . Sulla base di quest’ultima regola, il Governo ha statuito una suddivisione del territorio (in 63 collegi elettorali plurinominali alla Camera e 33 al Senato) e lo ha fatto tramite un decreto legislativo. La determinazione dei collegi, in ogni legge elettorale, ha un forte impatto anzitutto sul sistema partitico.

Fin dall'introduzione del Mattarellum questa materia ha orientato le scelte strategiche delle formazioni politiche, anzitutto per quanto riguarda le scelte coalizionali e quindi la scelta di collocazione, ma anche nella scelta delle candidature e più in generale della selezione del personale politico. La modalità con cui viene diviso il territorio nazionale può dunque generare forti ripercussioni, esercitando un'influenza sugli esiti elettorali. In questo senso, credo non sia secondario sottolineare che è stata valutata inconsueta la scelta di determinare un aspetto così importante della legislazione elettorale utilizzando uno strumento della decretazione d'urgenza.

Partendo dal presupposto che la materia elettorale è una di quelle per cui il dettato costituzionale prevede il procedimento legislativo “normale”, alla riserva d'Assemblea in esso contenuto non consegue un limite all’utilizzo di una delle fonti normative primarie in capo al Governo, ma solamente l’esclusione dei procedimenti legislativi abbreviatati (quello deliberante e quello redigente)173.

Il disconoscimento da parte della dottrina della possibilità di far derivare dalla suddetta riserva d’Assemblea l’illegittimità di un atto governativo in materia elettorale non è comunque stato assunto come motivo sufficiente per sostenere che il Governo possa intervenire sempre e comunque nella materia elettorale attraverso la

172 Cfr. Art. 1, comma 3, del d.P.R. n. 361 del 1957, come modificato dall’art. 1, comma 1, della

legge n. 165/2017.

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decretazione d’urgenza174.Per quel che riguarda invece la

decretazione delegata, si è inclusa la materia elettorale tra quelle delegabili sul presupposto dell’interpretazione riduttiva della riserva d’Assemblea ex art. 72, quarto comma e si è escluso che essa possa rientrare in quel gruppo di materie il cui oggetto richiede una necessaria alterità tra il Parlamento e il Governo, e quindi in quelle materie per le quali la delegazione legislativa sarebbe di per sé preclusa dal dettato costituzionale175.

Come detto, con il Rosatellum si è votato alle elezioni politiche del 2018.

Credo vada osservato in premessa che gli esiti hanno confermato quell'impianto tripolare che nelle elezioni del 2013 avevano impresso un'importante svolta al sistema politico, parlamentare e partitico. Ci sono però una serie di elementi che palesemente segnano un cambio di passo anzitutto nei rapporti di forza tra le formazioni politiche.

Il quadro politico che ci viene consegnato fotografa infatti una coalizione di centro-destra in cui la Lega (che omette per la prima volta il termine Nord) fa registrare un'importante crescita, non solo attestandosi sopra il 17% , ma divenendo soprattutto il primo partito dell'aggregazione, in virtù di un aumento di 13 punti percentuali rispetto a 5 anni prima.

Se Forza Italia si ferma al 14%, Fratelli d'Italia ottiene il 4,35% e la lista Noi con l'Italia-Udc ottiene l'1,3% dei consensi : la coalizione globalmente fa registrare un incremento di 8 punti percentuali176.

Il sorpasso della Lega , da ascrivere anche al mantenimento di un profondo radicamento in certi territori come confermato dai risultati del nord-Italia (in Veneto la coalizione sfiora il 50%) , va contestualizzato anche in un rinnovamento nell'identità e nel profilo politico : mai come nelle elezioni in oggetto questa formazione, storicamente votata da un elettorato altamente concentrato nel settentrione, riesce ad ottenere la fiducia dell'elettorato in maniera

174 Cfr. D.CASANOVA, La delega legislativa per la determinazione dei collegi elettorali: profili

critici di metodo e di merito, Fascicolo 1/2018 , in www.costituzionalismo.it.

175 Cfr. M. RUOTOLO, S. SPUNTARELLI, Art. 76, in R. BIFULCO, A. CELOTTO, M.

OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, v. II, Utet, Milano, 2006, p. 1488, e A. CELOTTO, E. FRONTONI, voce Legge di delega e decreto legislativo, cit., pp. 702 ss. e V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, 1976 , cit., p. 95, il quale ritiene che la delega legislativa sia «inammissibile nelle ipotesi in cui attraverso la forma della legge il Parlamento esplica poteri di controllo politico sul Governo».

176 Cfr. Archivio storico elezioni-Ministero dell'Interno/Elezioni politiche 2018 , in

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più o meno capillare su larga parte del territorio nazionale.

Analizzando il risultato invece nell'ottica del sistema parlamentare che si va a determinare, questo importante risultato ottenuto contribuisce ad un indebolimento della coalizione : il governo, dopo lunghe trattative, verrà formato dal partito di Salvini senza i suoi alleati naturali ma con la forza vincitrice della tornata elettorale, il Movimento 5 Stelle.

Se il risultato della formazione ideata da Grillo era stato assolutamente sorprendente nel 2013, in queste elezioni si registra un ulteriore notevole aumento : 7 punti percentuali e 2 milioni di voti in più.

Come si evince analizzando i flussi elettorali, la crescita deriva da una capacità di conquistare un altissimo livello di consensi in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale, ma è in particolare al Sud che si registra il fattore decisivo per la vittoria elettorale : sottraendo parecchi consensi alla coalizione di centro-destra, si ottiene un effetto compensativo della perdita di consensi avvenuta in alcune città del Centro e del Nord, soprattutto a favore della Lega177.

Oltre il 32% dei voti ottenuti rendono il movimento 5 Stelle la prima forza del Paese : inevitabile tenerne conto , anche nella fase immediatamente successiva al voto , per ogni ipotesi di governo. Dall'altra parte, il crollo della coalizione di centro-sinistra è reso manifesto dalla prestazione della forza principale, il Partito Democratico, che non arrivando neppure al 19% diventa il terzo partito. La coalizione ottiene poco più del 20%, perdendo 7 punti percentuali rispetto al 2013 e consolidando un tripolarismo che ha subito, in 5 anni, qualche variazione nel suo assetto interno.

La frammentazione, elemento sintomatico di un multipartitismo che si poteva pensare realizzabile in assenza di alte soglie di sbarramento, non costituisce invece una minaccia : al di fuori dei tre sopracitati schieramenti, è da registrare solo il 3,39% di Liberi e Uguali , che con una ridotta pattuglia di parlamentari non sposta gli equilibri di un assetto sostanzialmente confermato dalla precedente tornata, benchè quasi esclusivamente dal punto di vista quantitativo. Ritengo che tramite un raffronto con le elezioni del 2013 si possano ottenere delle linee di tendenza che fungono da comune denominatore : i tre elementi più sintomatici di questa tornata costituiscono tre conferme rispetto alla precedente tornata elettorale.

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Abbiamo anzitutto osservato come il tripolarismo abbia costituito la cifra paradigmatica dell'assetto parlamentare : la conferma del sorprendente trend del movimento 5 stelle consolida questo schema. Il secondo dato sintomatico è il venir meno di un bipolarismo coalizionale che nella fase politico-elettorale successiva al Mattarellum non era stata scalfita per circa due decenni.

Il terzo elemento è il consolidarsi di una forte volatilità elettorale, che si mantiene sostanzialmente sui livelli del 2013.

Dal momento che queste elezioni hanno rappresentato il debutto della Legge Rosato, è interessante osservare la tipologia di influenza esercitata da questa disciplina, considerando come elementi di conferma, e non di novità, i tre assi portanti sopracitati che ritengo siano valide chiavi di lettura per la tornata elettorale in oggetto.

Omettendo in questo contesto la Legge 52/2015 che non ha disciplinato alcuna tornata, il raffronto va ovviamente svolto con la Legge 270/2005, che aveva fortemente variato i suoi effetti proprio nelle ultime elezioni in cui era in vigore.

Ritengo ci si debba interrogare sull'ipotesi che insieme al un cambio di legge elettorale sia avvenuta anche una variazione di sistema elettorale : in questo senso , appare evidente che la dismissione del premio di maggioranza e la presenza dei collegi uninominali costituiscano il fattore centrale. Due modifiche sostanziali così invasive hanno prodotto, dal punto di vista quantitativo, una situazione non troppo diversa, almeno dal punto di vista quantitativo. Abbiamo infatti osservato come sia a livello coalizionale sia a livello di frammentazione, l'assetto che si è venuto a determinare è stato piuttosto continuo, ma l'assenza di un correttivo e quindi di una massiccia alterazione dei numeri (e della rappresentanza) ha prodotto uno stallo assai maggiore, che ha esplicato i suoi effetti anche sulla tempistica della formazione dell'esecutivo.

Sul sistema parlamentare non solo il tripolarismo, ma anche il sostanziale superamento di quella dicotomia centrodestra- centrosinistra sono stati insensibili allo stravolgimento della disciplina elettorale che nel frattempo era intervenuta. E’ interessante osservare come anche nell'ottica del sistema partitico, gli esiti non siano stati dissimili dal punto di vista del formarsi di un multipartitismo che non si è formato ma che era ipotizzabile, alla luce di una vasta offerta, di soglie di sbarramento non elevatissime e di un'affluenza elettorale che poteva costituire un elemento determinante, anzitutto per quelle formazioni ideologicamente più

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marcate e quindi storicamente seguite da un elettorato più fidelizzato.

Il terzo dato di continuità tra il 2013 e il 2018 abbiamo visto essere quello della volatilità elettorale : la volubilità dell'elettorato si innesta in un processo che trova le sue cause spesso in fenomeni esterni (sociali , economici , culturali) e contingenti , ma ciò che qui interessa è il rapporto tra questo elemento e le strategie delle formazioni politiche.

Anzitutto va osservato che l’indice di volatilità elettorale del 2018 è pari al 28%, il terzo dato più alto della storia dell’Italia repubblicana dopo quelli del 2013 e 1994.

La novità, rispetto a questi due precedenti, risiede nel fatto che in questa tornata la volatilità non è stata generata dall’emersione di una nuova forza partitica (nel 1994 Forza Italia e La Rete; nel 2013 il Movimento 5 Stelle e Scelta Civica), ma solo ed esclusivamente dall’insieme degli spostamenti di voto tra i partiti già esistenti.

La fluidità dell’offerta elettorale degli ultimi dieci anni ha generato negli elettori una maggiore propensione al cambiamento di voto tra un’elezione e l’altra. Ciò si traduce in una ridotta fedeltà partitica e in un aumento della volatilità elettorale.

Il partito che indubbiamente ha costruito la nascita (e segnato lo sviluppo) di questo tripolarismo, il Movimento 5 Stelle, è primo caso da analizzare : ad esclusione di qualche città del Centro e del Nord , questa formazione non ha affatto risentito di un mutamento di opinione da parte dell'elettorato , se non a suo favore : il 16% al Pd e il 12% a Scelta Civica.

Anche l'altro partito, la Lega, che in questa tornata ha conseguito un vero e proprio exploit (di minor portata nei numeri, ma di maggior misura nella crescita riferita i 5 anni di intervallo tra le due tornate) ha ottenuto il 22% di consensi che 5 anni prima erano stati del Pdl. Questi due partiti hanno visto confermati i consensi ricevuti nel 2013 dall'80% dell'elettorato ; le due coalizioni ne hanno al contempo persi circa la metà.

Il dato di 5 stelle e Lega è sostanzialmente confermato anche in riferimento alla tornata elettorale delle elezioni europee del 2014. Rispetto a queste ultime il Partito Democratico ha perso il 50,5% dei suoi elettori178.

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Il raffronto tra 2013 e 2018 ci fotografa una tendenza che risulta ancora più evidente se osserviamo i dati dell'ultima tornata rispetto agli esiti del 2008, vale a dire le ultime elezioni in cui ha prevalso un impianto bipolare e una tenuta delle due coalizioni principali.

Se si prendono i considerazione le forze politiche mainstream, cioè quelle che a livello europeo si collocano nelle aree dei popolari, dei socialisti e dei liberal-democratici, i consensi persi in un decennio sono circa 18 milioni ; se nel 2008 valevano complessivamente circa 30 milioni di voti (l'83% dei consensi) oggi ne ottengono poco più di 12 milioni.

Una rapida analisi ci consente di comprendere come circa il 60% sia stato catalizzato dal movimento 5 Stelle, che ha di fatto creato il tripolarismo, il 20% si sia rivolto alla destra radicale (e questo costituisce il fattore forse determinante del sorpasso della Lega sulle formazioni di destra più moderata) ed il restante 20% ha optato per l'astensione, che infatti continua a registrare una crescita.

Possiamo ritenere che il dato che questa fotografia ci consegna non è solo un'esponenziale crescita della volatilità elettorale, ma un radicale cambiamento del sistema politico179.

Il dibattito politico che nacque dopo l'esito delle elezioni fu incentrato sullo stallo parlamentare che si produsse, cioè immediata conseguenza della situazione tripolare che si era determinata. L'analisi che però venne svolta alla luce dei risultati fu prevalentemente volta a sostenere la tesi secondo cui gran parte (per non dire tutta) la responsabilità per lo scenario di ingovernabilità fosse da ascrivere alla presenza di questa legge elettorale, che secondo i detrattori sarebbe stata fabbricata appositamente per creare una situazione di immobilismo.

Va premesso che durante l'anno precedente era naufragato un accordo tra le 4 maggiori forze politiche (PD, M5S, Forza Italia e Lega) su una nuova legge elettorale : l'impianto concordato, che voleva rifarsi alla legge elettorale tedesca, era di tipo proporzionale con una soglia di sbarramento fissata al 5%.

Probabilmente il venir meno di questo accordo ha alimentato la spirale di quel dibattito sopracitato, che sfociò nell'assunto secondo il quale in presenza di una legge elettorale diversa dal Rosatellum si sarebbe prodotta, alla luce dei medesimi risultati del marzo 2018,

www.youtrend.it.

179 Cfr. V.EMANUELE, L'apocalisse del voto 'moderato' : in 10 anni persi 18 milioni di voti ,

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una situazione parlamentare senza stallo e con molte più probabilità di governabilità.

E' stato osservato invece qualcosa che dimostra esattamente il contrario, e ritengo ciò sia meritevole di un cenno : la natura dell'assetto parlamentare che si è venuto a creare non affonda affatto le sue radici nel profilo del sistema elettorale espresso nella legge 165/2017, ma la causa dello stallo che si è creato – e la conseguente difficoltà di creare una maggioranza eterogenea che garantisse una governabilità – va ricercata nel confermato tripolarismo : quest'ultimo non ha fatto altro che generare il naturale effetto che si produce a fronte della presenza di tre forze che catalizzano – più o meno in pari quota – la grande maggioranza dei consensi espressi.

In quest'ottica, ai fini di dimostrare la totale sterilità delle argomentazioni che hanno acceso il dibattito politico di cui sopra, ritengo importante sottolineare come immaginando lo stesso esito di questa tornata disciplinato da altre leggi elettorali, la produzione di conseguenze sotto il profilo della dinamica parlamentare sarebbe stata assolutamente la medesima.

Se l'accordo tra i quattro partiti maggiori, poi naufragato, era orientato a scegliere un sistema ad impianto proporzionale con correttivi di alterazione della rappresentanza in favore dei partiti maggiori, nella simulazione in oggetto ci si riferisce al sistema tedesco e a quello spagnolo, differenti tra loro ma sostanzialmente rispondenti a queste caratteristiche.

Nel primo caso (sistema tedesco) la soglia di sbarramento del 5% avrebbe escluso dalla ripartizione dei seggi tutti i partiti ad eccezione delle quattro formazioni maggiori (Movimento 5 Stelle, Lega, Forza Italia e Partito Democratico). Per formare una maggioranza ci sarebbe stato bisogno di un accordo tra il M5S e un altro partito, oppure tra tutti ad esclusione del M5S.

Nel secondo caso (sistema spagnolo), che assegna i seggi provincia per provincia, utilizzando per semplicità i collegi plurinominali previsti dal Rosatellum al posto delle province in cui viene diviso il territorio spagnolo, non c'è nessuna variazione dello schema : abbiamo l'impossibilità di produrre una maggioranza a meno di un accordo post elettorale.

Un'altra ipotesi di sistema proporzionale alterato da correttivi in senso maggioritario è quella che prevede un aumento dei seggi al partito più votato tramite una specie di premio di governabilità : nel

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sistema greco , che applica questo modello, il premio è pari al 16,7% dei seggi : simulando di attribuire questo premio al partito più votato in Italia alle elezioni del 2018 , cioè il Movimento 5 Stelle, si osserva come non sarebbe stato ugualmente sufficiente per garantire una governabilità senza accordo post voto.

Spostando invece la simulazione sui sistemi maggioritari, che nascono per loro natura con l'obiettivo di perseguire la stabilità del sistema politico tramite la governabilità, immaginiamo un sistema first past the post , attribuendo dunque tutti i seggi con i collegi uninominali : qui il centro-destra , che con i candidati nei collegi uninominali della sua coalizione ha conseguito il 37%, avrebbe sì avuto 160 seggi al Senato, ma 301 alla Camera, quindi 15 in meno della soglia necessaria per garantire la governabilità.

Immaginando invece l'applicazione di un maggioritario meno puro, dunque ad esempio il sistema introdotto con il Mattarellum (curiosamente abolito proprio sulla spinta del centro-destra, e che attribuisce alla quota maggioritaria il 75% di attribuzione dei seggi e non il 36% come il Rosatellum) la situazione non cambia : al centro- destra sarebbero in ogni modo mancati 8 seggi al Senato e 25 alla Camera.

Modificando la tipologia di maggioritario, e simulando gli esiti elettorali in oggetto, con il sistema del doppio turno di collegio (tipico del sistema francese), si determina una situazione differente, più articolata, ma che non varia la sostanza : in entrambe le Camere il M5S sarebbe arrivato al secondo turno nella maggioranza dei collegi, ma il raggiungimento della maggioranza non sarebbe stato scontato in quanto molte sfide al secondo turno sarebbero state “tripolari” (con un esponente del M5S, uno del PD e uno del centrodestra). Poiché al secondo turno è sufficiente la maggioranza semplice, una convergenza dei voti di centrodestra avrebbe verosimilmente tolto al M5S almeno la metà dei seggi, stanti le dinamiche interne contingenti del sistema partitico180.

L'esperimento di cui sopra, di cui si riportano le esperienze di legislazione elettorale estera, è utile per comprendere come il sistema di trasformazione dei voti in seggi non abbia una sua