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Ritengo che alla luce della fotografia che ricaviamo da un'analisi globale delle elezioni politiche dei 70 anni di Italia Repubblicana, possiamo ottenere un quadro degli effetti dispiegati dai sistemi e dalle leggi elettorali che le hanno disciplinate.

Un elemento su cui preliminarmente vale la pena soffermarsi è un'asimmetria cronologica tra i sistemi in vigore : il sistema proporzionale ha disciplinato la legislazione elettorale per 45 anni , dal 1948 al 1993 (con la sola eccezione della c.d legge truffa del 1953) , e questo dato ci consente di cogliere la pienezza dei suoi effetti su un arco di tempo estremamente lungo , se parametrato a ciò che è accaduto dopo.

Se il Mattarellum, dunque un sistema prevalentemente maggioritario, è rimasto vigente per 12 anni, la Legge Calderoli ha avuto sostanzialmente la stessa durata.

Ma la prima considerazione risiede nel livello di purezza delle varie leggi, in quanto appare evidente che solo il sistema proporzionale ha disciplinato le elezioni senza la presenza di alcun correttivo, di nessun genere.

Questa caratteristica ci consente di analizzare il trend elettorale delle formazioni politiche svolgendo un'analisi che si focalizza su due elementi preponderanti : l'evoluzione del sistema partitico e la scelta della collocazione elettorale.

La prima è evidentemente condizionata dalla seconda, ma quest'ultima a sua volta è influenzata molto più da strategia politica che da tattica elettorale.

Credo che su questa considerazione si radichi il significato della più profonda consuetudine del sistema partitico nel periodo di vigenza del proporzionale : quello dell'aggregazione post-elettorale.

In questo senso, ritengo vada sottolineato come l'assetto parlamentare esistente fino agli inizi degli anni '90 sia stato costellato da una pratica che è poi mutata strutturalmente : mi riferisco alla logica compromissoria e al concetto della mediazione politica.

Infatti, ad eccezione di rari casi, il tema della rappresentanza politico-istituzionale non ha mai necessitato di irrompere nell'agenda politica , mancando dal punto di vista elettorale ogni strumento di alterazione del voto popolare.

Questo fattore ha prodotto una crescita esponenziale di identità partitiche forti, di profili politici che hanno esaltato la funzione del partito come corpo intermedio, come veicolo di interessi popolari

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trasferiti nelle stanze istituzionali, senza la necessità di frapporre alcun filtro tra il momento della campagna elettorale e quello immediatamente successivo allo scrutinio.

In quest'ottica, l'emergere di personalità politiche forti ed autorevoli è stata paradossalmente la cifra dominante di un'epoca storica che dal punto di vista della legislazione elettorale non presentava alcuno strumento per esaltare quel personale politico : mi riferisco all'assenza dell'istituto dei collegi uninominali , anzitutto.

Il declino del ruolo dei partiti, iniziato nei primi anni '90, è stato naturalmente in stretta connessione con un mutato ruolo del Parlamento, che perdendo la funzione conosciuta nella Prima Repubblica, ha determinato una variazione progressiva del sistema politico.

Forse non è un caso che la svolta maggioritaria sia iniziata più o meno contemporaneamente alla prima crisi del sistema partitico, ed è qui che io ritengo sia del tutto visibile quella stretta interconnessione che sussiste tra sistema elettorale, assetto parlamentare e sistema partitico.

Non furono altrettanto nette e drastiche le variazioni successive alla legge elettorale, pur con differenze evidenti tra loro, ma è da notare che il venir meno del primo e unico sistema puro della legislazione elettorale abbia segnato un punto di non ritorno.

Osservo un costante mutamento del sistema partitico dal Mattarellum in poi non solo dal punto di vista delle sue dinamiche interne, ma anche nei confronti dell'elettorato : se compariamo i dati sull'affluenza alle urne , vedremo che la diminuzione è costante e questo racconta di un cambiamento nella percezione popolare verso i partiti e parimenti verso il ruolo del Parlamento.

Quest'ultimo, considerato sempre meno come epicentro degli interessi dei rappresentati e sempre più come baluardo di gestione e cristallizzazione delle prerogative dei rappresentanti, non è stato immune dalla dinamica che ha riguardato i sistemi elettorali.

Nella legge approvata nel 1993, il mantenimento di un impianto proporzionale per l'assegnazione del 25% dei seggi era sintomatico di un tentativo di non accelerare eccessivamente i tempi di una svolta del sistema politico che inevitabilmente vedeva una connessione con la materia elettorale, proprio per il sopracitato mutamento della stessa idea di rappresentanza. Dopo la buia stagione dei partiti nei primi anni '90, la necessità di filtrare un personale politico che risultasse all'elettorato nuovo ed svecchiato appariva impellente, e nell'assetto parlamentare e partitico si è assistito ad una sostanziale tenuta di alcuni cardini del sistema precedente.

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Abbiamo infatti osservato come quel processo che ha portato al cambiamento di denominazione di molte (o per meglio dire quasi tutte) formazioni politiche non ha prodotto uno stravolgimento quantitativo evidente in tutto il periodo di vigenza del Mattarellum. L'introduzione delle coalizioni pre elettorali, che ha comunque trovato declinazioni interessanti nelle sue architetture (si pensi ai casi del patto di desistenza del Prc nei confronti della coalizione di centro-sinistra o dell'accordo territoriale che Forza Italia fece con la Lega Nord nei collegi del settentrione), non ha esercitato una profonda influenza sul pluripartitismo.

Se la contestazione principale che veniva mossa al sistema proporzionale era afferente alla produzione di un'instabilità politica a cui conseguiva una scarsa possibilità di governabilità, il fattore scatenante era inquadrato nella presenza (e nel comportamento politicamente ricattatorio) delle formazioni minori.

Ebbene, lo spostamento cronologico della costruzione delle coalizioni non ridimensionò né la presenza né la funzione storica dei partiti più piccoli, che spostarono il momento delle loro rivendicazioni dalla trattativa post elettorale al programma politico con cui l'aggregazione si presentava al voto.

Il maggioritario, che pure come abbiamo visto non era affatto sinonimo della creazione di un impianto bipartitico nel medio periodo e tramite il sistema dei collegi spesso favoriva le terze forze, non ha dispiegato in questa fase quell'effetto riduttivo dal punto di vista del sistema partitico, ma certamente ha prodotto un mutamento nella prassi parlamentare.

Quell'instabilità politica che ha scandito la vita degli esecutivi nel periodo di vigenza del Mattarellum forse trova solo una trascurabile parte delle motivazioni in quell'incapacità della legge del 1993 di imprimere velocemente quella svolta dalla cui esigenza nasceva, ma rimane un dato storico che il mutamento di sistema elettorale non abbia trasmesso la percezione di una improvvisa governabilità.

Dopo le elezioni del 2001, curiosamente le uniche che garantiscono una tenuta quinquennale dell'esecutivo, è proprio la coalizione vincente che indica nel ritorno ad un sistema maggiormente proporzionale un'ineludibile necessità : è una legge probabilmente consigliata più dai sondaggi che da un'analisi del sistema partitico e parlamentare la n.270/2005, ma ritengo che sia meritevole di qualche ulteriore osservazione in riferimento al suo impianto.

Va ravvisato anzitutto che lo strascico delle elezioni del 2001 rispetto all'annosa questione dei seggi vacanti avevano costituito la ragione per iniziare un dibattito sulla riforma elettorale, che presto aveva cambiato direzione : la sostituzione dell'iniziale volontà politica di

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apportare qualche modifica al Mattarellum con l'impellente necessità di un cambiamento di legge elettorale e , infine , con quella di mutare - almeno apparentemente – anche il sistema elettorale è un doppio passaggio molto influente, perchè costituisce l'esplicazione di una prassi che si andava consolidando : la declinazione dello strumento che garantiva le regole della competizione sulle esigenze contingenti di una parte del sistema partitico.

Ritengo che l'ascrizione della legge 270/2005 al sistema proporzionale sia un esercizio quasi esclusivamente formale.

Non tanto il premio previsto, ma la sua irragionevole abnormità, costituivano correttivi talmente distorsivi della rappresentatività da gettare ombra anche sulla restante parte delle alterazioni contenute nel testo : l'impianto delle soglie forse eccessivamente penalizzante per le liste non coalizzate e uno sbarramento dell'8% al Senato si sommano al tema delle liste bloccate.

E' interessante notare come il personale politico presentato agli elettori, che nel corso del decennio precedente era stato demandato ai collegi, dal Porcellum in poi, rientri invece in una logica chiusa e potenzialmente percepita come autoreferenziale, come se nel frattempo fosse intervenuto un evidente innalzamento del gradimento del sistema partitico che potesse giustificare una scelta che appare piuttosto immotivatamente conservativa.

Potrebbe sembrare un tentativo di rinnovato rafforzamento di un'identità perduta, ma risulta esclusivamente il modo più semplice , per il personale politico , di scegliersi , di selezionarsi.

Questo impianto solo formalmente proporzionale, come abbiamo visto, ha prodotto tre esiti assai differenti nelle tre tornate che ha disciplinato : il sostanziale (e sorprendente) pareggio del 2006, una netta vittoria del centro-destra (e l'ultimo affermarsi del bipolarismo classico) del 2008, l'avvento del tripolarismo del 2013.

Nel raffronto che in precedenza abbiamo svolto tra le ultime due elezioni regolate dalla legge Calderoli abbiamo osservato come il venir meno della classica dicotomia coalizionale e il prorompente ingresso nel sistema politico del Movimento 5 Stelle siano stati i due grandi eventi dell'ultima parte della storia dello scenario politico- parlamentare, ma soprattutto alla luce delle caratteristiche sopracitate del Porcellum ritengo si possa affermare che ciò è accaduto non a causa della, bensì nonostante la legge elettorale in vigore.

Perchè se è vero che nel 2013 il premio è scattato a favore del centro-sinistra (ma con un Senato ingovernabile dove servivano 158 seggi che nessuna forza politica aveva), e se a partire dal 2008 abbiamo assistito ad un effetto riduttivo sul sistema partitico, è pur

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vero che né le liste bloccate né un processo di personalizzazione del sistema partitico hanno impedito di stravolgere un assetto che mai aveva subìto un tale mutamento, né nei numeri né nelle conseguenze prodotte.

In quest'ottica, i dati che abbiamo analizzato sulla volatilità elettorale fotografano un mutato rapporto con l'elettorato che con la distribuzione dei consensi espressi ha dimostrato di essere sempre più distaccato da quell'insieme di prassi, di liturgie, di rapporti fidelizzati con l'assetto partitico.

Questo ragionamento va inevitabilmente declinato anche in rapporto alle pronunce di incostituzionalità che hanno colpito prima la legge Calderoli e, successivamente, l'Italicum.

Abbiamo osservato come le argomentazioni comuni della Corte nelle due sentenze si incrociano nell'illegittimità dei premi previsti e nell'inammissibilità di liste bloccate o semi bloccate.

Ma se esiste indubbiamente un'esigenza di riconnessione tra elettori ed eletti che transita dalla auspicata possibilità dei primi di scegliere i secondi, è anche indubitabile che questo dato va parametrato con una disaffezione al momento elettorale (e alla vita politica) che costituisce una sostanziale costante a cui ormai siamo abituati ad assistere.

Quest'ultimo dato ritengo non solo non abbia risentito dei mutamenti della legislazione elettorale, ma ne sia stato globalmente insensibile. L'impressione cioè è che la crisi della rappresentanza, e delle forme con cui viene espressa, cammini di pari passo con quella della rappresentatività, e il successo straordinario di forze populiste o, per meglio dire, anti-establishment, non casualmente corrisponde in maniera quasi sovrapponibile alla crisi politico-elettorale delle forze politiche, e delle coalizioni, tradizionali.

C'è in questo senso una prevedibile continuità tra i dati del 2013 e quelli del 2018 : due tornate a mio avviso molto simili anzitutto per la conferma di un tripolarismo ormai divenuto paradigmatico dello scenario politico.

Non sfugge però che questo raffronto, che presenta svariati punti di contatto, debba fare i conti con l'ultimo mutamento della legge elettorale.

Tra la pronuncia di incostituzionalità della legge Calderoli e l'introduzione del Rosatellum, però, si è aperta e presto chiusa la parentesi della legge 52/2015 : l'Italicum è stato colpito da una sentenza della Corte ancor prima di poter disciplinare una tornata elettorale , ma la sua esistenza è stata l'oggetto principale di non pochi mesi di dibattito parlamentare.

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attenzione della politica (e degli addetti ai lavori) per la materia a cui però non corrisponde un'adeguata risposta da parte dell'elettorato , che se mantiene – nonostante i citati dati in discesa sull'affluenza – una discreta soglia di attenzione ai momenti elettorali , risulta molto più estraneo alle vicende che afferiscono alle regole elettorali : in questo senso riscontro una certa sterilità nel dibattito politico avente ad oggetto le regole del gioco, che facendo spesso dell'autoreferenzialità la cifra distintiva, non permette all'elettorato di comprendere come la determinazione della legislazione elettorale sia assolutamente centrale nello scenario politico della vita di un Paese.

Tornando al punto precedente, è da osservare con interesse come il mutamento di legge elettorale intercorso tra l'ultima e la penultima tornata elettorale non abbia esercitato influenze immediate né sull'assetto parlamentare né sul sistema partitico.

Nell'analisi che abbiamo svolto sulle prestazioni elettorali dei partiti e sulla volatilità elettorale, abbiamo visto come il crollo dei partiti tradizionali (in particolare il Partito Democratico) e il contestuale trend positivo delle formazioni anti-establishment abbia riconfigurato una nuova dinamica del sistema partitico, che risulta ancora più sorprendente se parametrata alle elezioni europee del 2014.

In quest'ottica, il successo di Lega e Movimento 5 Stelle alle ultime elezioni è sintomatico.

Molto interessante è la situazione anche sul fronte dell'assetto parlamentare, perchè anche qui c'è un'evidente dato di continuità : lo stallo post-elettorale come immediata conseguenza di un fortissimo tripolarismo.

Possiamo quindi notare come la tripla connessione sistema elettorale-parlamentare-partitico ci consente di valutare come decisivi alcuni fattori esogeni che hanno caratterizzato la fase : in altre parole, il punto di partenza rimane la crescita di una terza forza, che non solo ha raggiunto a livello elettorale i due poli politici storici , ma li ha ampiamente sopravanzati in termini di consenso , pur non arrivando certamente a numeri che garantiscono una maggioranza assoluta.

In un contesto simile, dunque, è il sistema partitico che determina l'assetto parlamentare, con un sistema elettorale che nella contingenza dell'ultimo decennio fa prevalentemente da contesto. Per quanto riguarda invece le formazioni minori, è da prendere in considerazione il dato del cambiamento dell'idea stessa di rappresentatività alla luce dell'elemento delle soglie di sbarramento. Più alte nella Legge Calderoli rispetto al Rosatellum, hanno creato un effetto maggiormente riduttivo quando si sono abbassate. Questo

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aspetto è da tenere in considerazione nell'intervenuta diminuzione di un aspetto che ha sempre caratterizzato una parte dell'elettorato : la fidelizzazione.

Questo dato, che ritengo riguardi prevalentemente l'area politica posta alla sinistra del Partito Democratico, è indubbiamente condizionato dalla scelta di collocazione del 2008, quando la sinistra radicale perse per la prima volta la rappresentanza istituzionale, per riacquisirla in maniera estremamente ridimensionata e molto parziale nelle due tornate successive, con una precisazione che è d'obbligo svolgere.

La scelta di collocazione politica nel momento elettorale abbiamo visto essere spesso determinante per orientare le scelte di un elettorato fidelizzato, ed è in questo senso interessante ripercorrere brevemente l'iter di quest'area politica.

Persa la rappresentanza nel 2008 a causa del non raggiungimento da parte della lista Sinistra Arcobaleno della soglia del 4% fissata dal Porcellum, nel 2013 quest'area politica si divide.

Sinistra e Libertà riesce ad ottenere una modesta pattuglia parlamentare grazie all'accordo col Partito Democratico (in quanto coalizzata, la lista non necessita di raggiungere il 4% ed entra in Parlamento con il 3,2%) mentre non è affatto felice la scelta di Rivoluzione Civile : la corsa in solitaria frutta il 2,2% alla Camera e l'1,8% al Senato.

Nel 2018 la lista Liberi e Uguali riesce ad ottenere la rappresentanza superando il 3%, nuova soglia di sbarramento introdotta col Rosatellum : quel numero di consensi, 5 anni prima, non sarebbero stati sufficienti per accedere alla ripartizione dei seggi.

Ritengo che il percorso elettorale dell'area politica in oggetto sia interessante per comprendere l'influenza dei correttivi maggioritari su sistemi (più o meno formalmente) proporzionali.

Abbiamo dunque analizzato come, globalmente, dal 2008 siano stati talmente invasivi gli stravolgimenti subentrati nello scenario (e primo tra tutti il passaggio da bipolarismo classico a tripolarismo volatile), che il sistema elettorale in vigore non sia riuscito a razionalizzare questi mutamenti.

Le tappe che hanno segnato lo sviluppo dell'assetto politico, analizzate con il parametro delle variazioni degli assetti parlamentare e partitico alla luce delle contestuali modifiche alla legislazione elettorale , hanno evidenziato un costante rapporto ineludibile : mi riferisco al necessario contemperamento delle due esigenze prioritarie che vanno assicurate in una democrazia , la rappresentanza e la governabilità.

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sacrificare, per propria intrinseca natura, l'una o l'altra, ma la scarsa stabilità del sistema politico ha costituito un elemento trasversale ad ogni variazione.

In questa cornice viene spontaneo interrogarsi non solo e non tanto sulla funzione di razionalizzazione degli assetti che ogni legge elettorale avrebbe il dovere di perseguire, ma occorre domandarsi se, tra le due sopracitate esigenze, ve ne sia una che al netto di ogni contingenza storico-politica dovrebbe prevalere.

Per risolvere questo dubbio non sarebbe sufficiente neppure la più esaustiva delle analisi, ma il dettato costituzionale ci può essere utile, fornendoci un riferimento da cui ricavare un punto di vista. Asserita l'inesistenza di una previsione costituzionale (quantomeno esplicita) che imponga un modello elettorale , né che indichi una preferenza di opzione da adottare per entrambe le camere , la trattazione svolta a proposito dell'uguaglianza del voto come principio sancito nell'articolo 48 della Costituzione ha allargato la riflessione alla necessità non solo del rispetto dell'ovvia uguaglianza

numerica di ogni voto , ma dell'esigenza di rispettare un'uguaglianza

del peso di ogni voto , in una dinamica che supera il momento dell'atto elettorale e va a ricercare una forma di equità nel valore che , anzitutto nella prospettiva della rappresentanza , ogni consenso espresso deve possedere.

Credo sia utile in questo senso comparare questa riflessione con il dato storico che evidenzia la difficoltà di raggiungere una stabilità dell'assetto politico, inteso come precondizione per una governabilità che praticamente in nessun caso è emersa come fattore strutturale. Se fino alla crisi della Prima Repubblica infatti tutti gli effetti dispiegati dalla proporzionalità della legislazione elettorale potevano assurgere a fattori determinanti per produrre una frammentazione che in primis investiva il sistema partitico (benchè abbiamo visto che questo rapporto causa-effetto è stato in realtà ben più complesso e costellato da articolazioni e disomogeneità) , gli ultimi due decenni abbondanti sono stati teatro di ampia sperimentazione di combinazioni di ingegneria elettorale che , anche se si volessero considerare come elementi fisiologicamente conseguenti all'emergere di sistemi sostanzialmente misti , hanno spesso finito per far prevalere i fattori correttivi declinati sul fenomeno dell'alterazione.

Trovo che sussista una netta linea di demarcazione tra la lunga stagione del sistema proporzionale e ciò che è avvenuto dopo il 1993. Negli ultimi 25 anni sono state introdotte quattro leggi elettorali, riducibili a tre se nel conteggio consideriamo quelle che hanno materialmente disciplinato almeno un'elezione, e abbiamo

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osservato le differenze tra i loro elementi costitutivi, ma il comune denominatore è la centralità acquisita dagli elementi correttivi che hanno prodotto una forma di stortura tra la distribuzione dei consensi e la ripartizione dei seggi.

Nel corso della trattazione abbiamo riscontrato gli effetti prodotti dai premi di maggioranza, dalle soglie di sbarramento e dalle liste bloccate : con distinte sfumature , questi tre elementi sono stati gli assi portanti della materia elettorale dal momento dell'abbandono del sistema proporzionale puro.

Individuo però un distinguo fondamentale, per nulla superfluo : le liste bloccate (o semi bloccate) , pur riconfigurando rapporti di forza interni alle coalizioni e rideterminando scelte strategiche di collocazione elettorale , hanno prevalentemente generato un effetto che mi pare sia esclusivamente afferente al rapporto tra gli elettori ed i partiti.

La decisione politica di delegare ai gruppi dirigenti dei partiti la scelta dei soggetti che ne incarnassero la propria proiezione istituzionale ha prodotto quel distaccamento tra rappresentanti e rappresentati