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Il Paesaggio e le sue trasformazioni tra IV e VIII sec d.C. tra costa ed entroterra. Il caso della Toscana centro meridionale

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Università degli Studi di Pisa

Dottorato di Ricerca in

Scienza dell’ antichità e archeologia

XXX Ciclo

Il paesaggio e le sue trasformazioni tra IV e VIII secolo d.C. fra costa ed

entroterra. Il caso della Toscana centro-meridionale

Tutor Candidata

Prof.ssa Giovanna Bianchi Elisabetta Ponta

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Il paesaggio e le sue trasformazioni tra la tarda Antichità e il primo alto

Medioevo fra costa ed entroterra. Il caso della Toscana centro-meridionale

INTRODUZIONE……….

1. Le forme del paesaggio naturale p. 5

1.1 Caratteri geografici e geomorfologici p. 5

1.2 Inquadramento geologico p. 7

2. Lo stato della questione p. 10

3. La metodologia impiegata p. 29

3.1 La selezione del campione di studio p. 29

3.2 Lo studio dei reperti ceramici p. 32

3.3 Le fonti e gli strumenti impiegati p. 36

4. Il popolamento dalla tarda Antichità al primo alto Medioevo p. 44 4.1 La struttura del paesaggio della Val di Cornia p. 45 4.2 La struttura del paesaggio della Val di Pecora p. 61

4.3 La struttura del paesaggio dell’entroterra p. 87

Conclusioni p. 163

Tavole delle ceramica p. 174

Figure di localizzazione delle Unità Topografiche (UT) relative ai siti principali individuti nel

territorio di Monterotondo Marittimo (GR) p. 182

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Introduzione

Le ricerche condotte dagli anni anni ’80 nella Maremma centromeridionale (Fig. 1) hanno portato alla acquisizione di un’ingente banca dati relativa alle dinamiche insediative del territorio1, grazie

alla quale è stato possibile realizzare sintesi storiche di fondamentale importanza soprattutto per quanto riguarda la nascita del paesaggio castrense e il suo sviluppo nel Medioevo.

Le linee di ricerca perseguite negli ultimi anni, primo fra tutti l’avvio del progetto ERC nEU-Med2,

hanno tuttavia evidenziato come alcuni aspetti relativi alla formazione del paesaggio altomedievale maremmano necessitino di una revisione che tenga conto di una più precisa scansione cronologica, a partire dalla tarda Antichità.

A questo proposito lo studio da me effettuato nel territorio di Monterotondo Marittimo in occasione del lavoro di tesi specialistica, che era volto alla comprensione delle dinamiche insediative avvenute tra la tarda Antichtà e l’alto Medioevo, ha costituito un’esperienza utile da cui muovere per cogliere le trasformazioni intercorse nel medesimo periodo all’interno del più vasto campione territoriale che ho analizzato.

I dati emersi per Monterotondo lo rendono, nostro avviso, un caso studio particolarmente interessante; per molti aspetti infatti le dinamiche di questo entroterra si avvicinino fortemente a quelle individuate di recente sulla costa follonichese e populoniese. Questo aspetto ha suggerito la possibilità che l’intero comprensorio che si estende dalla costa alle prime colline dell’entroterra, possa essere stato, fino all’Età Longobarda, parte di un unico contesto economico-istituzionale, forse di natura pubblica, fortemente strutturato e legato allo sfruttamento delle risorse presenti nel territorio maremmano.

É indiscutibile il fatto che per sostenere o confutare tale ipotesi, in merito alla quale ad oggi non esistono sintesi conclusive di raccordo tra i dati della costa e quelli dell’entroterra, fosse necessario ampliare il campione da indagare, sia in termini estensivi, sia di profondità storica (allargando, come già premesso, l’arco cronologico dell’analisi ai secoli della tarda Antichità). La disponibilità di un quantità rilevante di dati provenienti da indagini stratigrafiche e di superficie, solo in parte analizzati precedentemente per il focus cronologico proposto, consente di definire un campione significativo da utilizzare per ottenere, come fine ultimo, la definizione di una sintesi storica sulle principali trasformazioni del paesaggio della Maremma centromeridionale avvenute tra l’Età Gota e la tarda Età Longobarda.

1 Si fa riferimento ad un areale compreso negli attuali comuni di Massa Marittima, Monterotondo Marittimo, Piombino, Campiglia e Roccastrada. Le evidenze di carattere storico –archeologico emerse relative alla sola antica Diocesi di Massa e Populonia, all’interno della quale rientra il territorio in oggetto, ammontano a più di 3000.

2 Il progetto nEU-Med rientra nel programma Horizon2020 nella categoria dei progetti ERC Advanceded e vede l’Università di Siena come host instituition. Il suo avvio risale all’ottobre del 2015 e si concluderà nell’ottobre del 2020. L’obiettivo è quello di cogliere i cambiamenti socio- economici intercorsi tra VII e XII secolo che sono alla base della progressiva crescita economica che porterà l’Europa del Sud a raggiungere la stabilità necessaria per interagire a livello di scambi culturali e commerciali con l’Europa del nord. Per una prima sintesi dei dati ottenuti dal progetto si veda Bianchi-Hodges (a cura di) 2018; per un dettaglio delle attività in corso e del team impegnato nella ricerca si rimanda a: www.neu-med.unisi.it

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Fig. 1. Localizzazione dell’area indagata.

Gli obiettivi che hanno guidato questa ricerca possono essere così riassunti:

- com

prendere l’estensione territoriale all’interno della quale si manifestino le stesse dinamiche insediative evidenziate recentemente nel territorio di Monterotondo Marittimo, utilizzato come campione di partenza sia interpretativo che metodologico

- defi

nire se il modello economico proposto per Monterotondo, basato sullo sfruttamento e sulla gestione integrata di una serie di risorse, possa essere esteso ai territori limitrofi, in un quadro istituzionale unitario ma pluriarticolato, basato su diversi centri produttivi-gestionali e commerciali

- indi

viduare i limiti spaziali e il terminus oltre il quale emergono sostanziali mutamenti del paesaggio, indice di trasformazioni sociali ed economiche proprie del paesaggio medievale

- deli

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1.Le forme del paesaggio naturale 1.1 Caratteri geografici e geomorfologici

Il territorio al centro di questa ricerca copre una vasta area della Maremma centro settentrionale, compresa nelle province di Livorno e Grosseto, ed ulteriormente articolata nei comuni di Massa Marittima, Scarlino, Gavorrano, Follonica, Roccastrada, Campiglia Marittima, Suvereto, Montieri e Monterotondo Marittimo.

La morfologia di questo territorio, si caratterizza per un alternarsi di vaste pianure costiere e fluviali a cui si susseguono, nel primo entroterra, rilievi boscosi e piccole radure propri delle cosiddette Colline Metallifere (quote comprese fra i 300-600 m s.l.m. e i più di 1000 m del Poggio di Montieri). Il comprensorio è contraddistinto dalla presenza di importanti testimonianze minerarie, dalle quali trae origini il nome, e dalla attività geotermiche che si localizzano sul margine settentrionale.

I fenomeni esogeni che caratterizzano l’idrografia del territorio sono visibili per mezzo delle rocce affioranti, soggette ad erosione, e dei sollevamenti tettonici più recenti, ai quali è imputabile la configurazione morfologica odierna della regione3. L’areale delle Colline Metallifere è

contraddistinto dalla presenza di aree di Montagna silicoclastica (Dorsale di Montieri), coperta da boschi di latifoglie, Montagna sulle Unità da argillitiche a calcareo-marnose e Montagna calcarea. Le cime oltre i 1000 m s.l.m. unite alla disposizione dei rilievi rispetto al mare generano un clima molto umido e fresco4.

Il sistema collinare, che domina il paesaggio, si suddivide in Colline a versanti ripidi, Collina calcarea e Collina su terreni silicei del basamento, che sono coperte da leccete a macchia e interrotte da delle depressioni; Collina sui terreni deformati del Neogene che presenta un paesaggio variegato con prevalenza di boschi; Collina a versanti dolci, sulle Unità liguri (Monterotondo M.mo) e sulle Unità Toscane (Campiglia M.ma, Gavorrano) dove si attesta la presenza di colture specializzate o promiscue; Collina su depositi neo-quaternari (Roccastrada)5. I rilievi collinari,

come quelli montani, sono tendenzialmente separati da gradini morfologici, posti più in basso e con morfologia dolce, che si congiungono con le ampie pianure alluvionali solcate dai fiumi che scorrono al loro interno6.

Lo sviluppo delle pianure e dei fondovalle è legato ai fenomeni di subsidenza della costa Toscana7,

correlati alle oscillazioni del livello marino nel Pliocene e nel Pleistocene8. Conoidi recenti o attive

e affioramenti di travertini attivi costituiscono le zone di Alta Pianura. Il considerevole apporto di detriti generato dal corso dei fiumi, nel caso del golfo di Follonica in particolare da Cornia e Pecora, è all’origine dell’accumulo progressivo di sedimenti alluvionali e lagunari-palustri che caratterizzano la geologia superficiale della pianura di Piombino e la sequenza stratigrafica più profonda (i sondaggi effettuati hanno individuato fino a 50-100 m di sedimenti detritici fini ed alternanze ripetute di conglomerati); tuttavia mancano al momento indicazioni cronologiche esatte 3 Lazzarotto 1993, p. 11.

4 Per una disamina sul clima della Toscana Meridionale si veda Barazzuoli et alii 1993, pp. 141-171. 5 Le informazioni sui rilievi montani e collinari sono state ricavate dal Piano di Indirizzo Territoriale della Regione Toscana, Ambito 16 Colline Metallifere del 2015.

6 Lazzarotto A 1993, p. 17.

7 Cappuccini 2015, p. 573 con bibliografia.

8 Dall’analisi dei dati sino ad oggi disponibili si stima che le acque interne dovessero raggiungere la loro massima espansione nel corso dell’Olocene ed in particolare attorno a 5000 anni a.C., in corrispondenza dell’optimum climatico e di un livello marino stimato inferiore all’attuale di 1-2 m (Censini et alii 1991, p. 60 con relativa cartografia).

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relative a questa sequenza9.

I sedimenti del tipo “beach rock” riconosciuti a Nord e Sud del promontorio ed oggi localizzati al di sotto del livello del mare, a distanze variabili fra 50 e 100 m dall’attuale costa, segnano il limite dell’antica riva10.

Per le pianure costiere, come quella di Piombino e quella di Follonica, si è assistito all’accrescimento storico dei cordoni dunali, sostanzialmente paralleli all’attuale linea di costa, attestato per l’epoca precedente alle bonifiche11, che determinò la creazione di Depressioni

retrodunali, che sono ancora oggi percepibili sulla base delle quote rilevabili al suolo. Queste sensibili differenze altimetriche (fra il tracciato stradale dell’attuale Geodetica e la linea di costa si oscilla fra 3,9 e 0,7 m s.l.m.) permettono di immaginare un paesaggio dove le aree allagate si alternavano alle aree asciutte12, come è particolarmente evidente nel caso dello stagno di Piombino

e quello di Scarlino.

9 Censini et alii 1991, p. 52. 10 Cappuccini 2015, pp. 570-571.

11 In merito alla storia delle bonifiche in quest’area si veda Rombai 1997; Rombai-Signorini 1993. 12 Dallai 2016.

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1.2 Inquadramento geologico

L’evoluzione geologica della Toscana Meridionale, legata ai processi di formazione dell’Appennino, e il suo studio, ha consentito l’elaborazione di numerose teorie riguardanti il corrugamento e il sollevamento della catena appenninica e della tettonica distensiva13.

In questo quadro geologico rientra l’area delle Colline Metallifere, caratterizzato, come scritto in precedenza, da diffuse ed importanti mineralizzazioni e attività geotermiche14.

La genesi di questo territorio è collocabile tra il Paleozoico e il Quaternario, ma ad oggi quasi tutte le Unità formazionali riscontrabili si presentano sovrapposte, a causa delle fasi tettoniche compressive e distensive, e ognuna di queste ha avuto origine da aree distinte e con connotati paleoambientali differenti15.

Gli studi effettuati in merito alla sedimentologia e giacitura, attestano, plausibilmente, che i complessi presenti derivino da tre Domini paleografici: quello Ligure, quello Austroalpino, quello Toscano, che si ripartirebbero in successione da ovest ad est16.

Gli effetti della tettonica distensiva hanno sconvolto la configurazione stratigrafica a falde dalla quale erano costituite, nel Miocene inferiore, le Colline Metallifere. Tuttavia attraverso il riconoscimento delle unità tettoniche tra loro accavallate è stato possibile ricostruire approssimativamente la stratigrafia originaria17.

Una forte attività magmatica ha dato inizio ad un’intensa circolazione idrotermale alla quale seguì nel tardo Miocene la formazione di depositi minerari, mentre alcuni bacini post-nappe venivano riempiti da sedimenti clastici18. Questi sono tutt’ora riscontrabili nella Val di Pecora e in generale in gran parte delle

zone di bassa quota della Toscana Meridionale.

I sedimenti neogenici della Toscana Meridionale sono composti perlopiù da depositi, lacustri e marino-lagunari del Miocene superiore e marini del Pliocene; essi prendono il nome di Complesso Neoautoctono la cui genesi è imputabile al finire dei movimenti di traslazione dei complessi ligure, australpino e toscano sul fianco tirrenico settentrionale. All’interno di tale sedimentazione neogenico-quaternaria19 sono riconoscibili depositi di argilla che si accumularono durante il regime estensionale, il

quale portò allo sviluppo del Mar Tirreno20.

L’arrivo di magma a diverse profondità, che riguardò una vasta area tra il Tirreno settentrionale e la Toscana meridionale sin dagli inizi del Miocene21, si manifestò in quattro fasi principali22. Tra il tardo

Pliocene e l’Olocene nell’area di Larderello-Castel di Pietra è stata coinvolta da intrusioni acide superficiali23 che hanno dato origine a risorse naturali come l’energia geotermica24 e i giacimenti di

13 Lazzarotto 1993, pp. 19. 14 Ibidem.

15 Lazzarotto 1993, p. 24.

16 Decandia et alii 1981; Costantini et alii 2002, pp. 20-21. 17 Costantini et alii 2002, p. 21.

18 Costagliola et alii 2008, pp. 1245.

19 La successione neogenico-quaternaria della Toscana Meridionale è stata suddivisa in otto Unità stratigrafico-deposizionali nel range temporale che va dal Tortoniano superiore al Pleistocene inferiore. In merito si veda Bossio et alii 1998; Costantini et alii 2002, pp. 21.

20 Trevisan 1952; Bossio et alii 1998; Gliozzo et alii 2014, p. 105.

21 Questi fenomeni generarono quella che viene definita come Provincia Magmatica Toscana, la cui attività magmatica va dal Miocene Medio al Quaternario. Il complesso è costituito da rocce acide e mafiche che presentano diversa genesi e composizione variabile. In merito cfr. Peccerillo 2005; Innocenti et alii 1992. 22 Serri et alii 1993.

23 Franceschini et alii 2000.

24 Lo sfruttamento industriale dei soffioni boraciferi e dell’energia geotermica in generale si deve alla scoperta da parte di Uberto Hoefer, nel 1777, dell’acido borico in uno dei lagoni di Monterotondo Marittimo. Sulla storia, i processi di formazione e lo sfruttamento dell’energia cfr. Prisco 1987, pp. 14-17; Burgassi 2005, pp. 195-224; Preite 2014, pp. 145-191.

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solfuri misti25. Le condizioni termiche prodotte del magma bollente, che si inseriva tra le rocce fredde

preesistenti, hanno reso possibile il prodursi dei filoni ferriferi di Niccioleta, delle masse quarzoso-cuprifere di Boccheggiano, Fenice Capanne, Serrabottini e dell’affioramenti granitici di Campiglia Marittima e Gavorrano26. Alla tettonica distensiva che ha in seguito modellato la morfologia della

pianura di Scarlino è imputabile la risalita del corpo intrusivo di Gavorrano cha ha permesso la formazione dei giacimenti di pirite, la cui mineralizzazione si associa a modeste quantità di ematite, magnetite, solfuri e solfosali27.

Un’attività magmatica di portata inferiore si rileva a sud-est di Roccatederighi e Torniella con la presenza di colate laviche, e sempre a Roccatederighi, Sassofortino e Roccastrada si attestano camini vulcanici. Nell’area compresa tra Roccastrada e Torniella sono presenti affioramenti di vulcaniti riolitiche, rocce ignee legate al magmatismo che interessò la Toscana meridionale tra il Neogene e il Quaternario28. In questa area, legato alla presenza della riolite, è stato rinvenuto del materiale

caolinitico29.

La pianura costiera del fiume Cornia è caratterizzata da sedimenti lagunari e paludosi-lagunari, composti principalmente da ghiaia, sabbia, limo e argilla30, riferibili all’Olocene, la cui sistemazione è

stata condizionata dall’azione del Cornia stesso. Riferibili al pre-Quaternario sono le formazioni carbonatiche silicee del Mesozoico del dominio toscano, che si estendono soprattutto a nord-ovest di Campiglia e nella zona di Bagnerello, includendo un importante sistema idrotermale di estensione regionale. Tale sistema aiuta, in parte, la ricarica delle falde acquifere quaternarie locali, alimentando le sorgenti e i pozzetti termominerali della zona e provocando anomalie geotermiche e geochimiche nell’area di Venturina e Forni31.

La pianura alluvionale del Frassine (Monterotondo Marittimo, GR), che per Lazzarotto32 si sarebbe

generata successivamente al riempimento di una conca carsica, si colloca nell’immediato entroterra a sinistra del corso del fiume Cornia. La formazione geologica più profonda, qui ravvisabile, è il Complesso a Serie Toscana, costituito dal “Calcare Cavernoso” brecciato e da calcari neri mal stratificati. Il “Calcare Cavernoso” affiora su entrambi i lati della conca, ma quello posto a sud-est pare essere più interessato dai processi di mineralizzazione a caolinite e alunite33, circondati da zone soggette

a silicizzazione34. Anche qui l’idrotermalismo, da rapportare probabilmente all’area geotermica di

Larderello (Pomarance, PI), ha legato a se tali processi, dato che la distanza fra le due zone è all’incirca di 16 km in linea d’aria35. Affioramenti di argille azzurre riferibili al Complesso del Neoautoctono si

trovano nelle parti più alte e marginali del versante est della Conca36.

25 Benvenuti et alii 2009, p. 63.

26 Il complesso granitico di Gavorrano è delimitato dalla faglia di Caldana-Monticello e da quella di Gavorrano. All’interno del corpo granitico sono state rilevate due facies intrusive: quella monzogranitica dominante e quella leucogranitica. MONSUMECI et alii 2005, pp. 4-6.

27 Ricceri-Stea 1992; Luca Rossato, L’arsenico in Toscana Meridionale: la Piana di Scarlino, tesi di dottorato in Scienze della Terra, Università degli Studi di Firenze, XXIII ciclo, 2010.

28 Lazzarotto 1993, pp. 66-69.

29 Secondo Mazzuoli (Mazzuoli 1967) il caolino è una frazione alterata della riolite e la sua origine è da collegare ai fluidi idrotermali che hanno causato la trasformazione dei feldspati e del vetro microcristallino e vulcanico in caolinite ± alunite (Sulce et alii 2009, p. 325)

30 Barazzuoli et alii 1999, p. 124. 31 ivi, p. 126.

32 Lazzarotto 1967.

33 In merito allo sfruttamento e al ciclo produttivo dell’allume alunitico nell’area del monterotondino si veda Dallai 2014, pp. 245-257.

34 Leoni-Sartori 1988, p. 37. 35 ivi, p. 45.

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Legata al processo che ha portato alla nascita dell’Appennino è anche la Val di Pecora che si è andata costituendo fra l’Oligocene e il Pliocene mediante la tettonica compressiva, che ha portato alla accavallamento delle Unità Liguri su quelle Toscane37 e quella distensiva che ha prodotto un territorio

costituito da aree sollevate rispetto alla contigua valle e alla Piana di Scarlino. Proprio questa sarebbe una depressione costituita da un substrato pre-Neogenico riferibile a litofacies liguridi in massima parte e riempita successivamente da depositi neogenico-quaternari38. Questi sarebbero riferibili a strati

limoso-argillosi di origine alluvionale e colluviale intervallati a sottili livelli a prevalenza sabbioso-ghiaiosa. Un deposito di origine marina di modeste dimensioni si trova nell’estremità nord-est della pianura, vicino alla stazione ferroviaria di Gavorrano. I sedimenti costieri sono composti da strati limoso-argillosi di origine lacustre e lagunare.

37 Bossio et alii 1993; Costantini et alii 1993. 38 Rossato et alii 2009.

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2. Lo stato della questione

Il territorio in oggetto copre una vasta area della Maremma centrosettentrionale, compresa nelle province di Livorno e Grosseto, ed ulteriormente articolata nei comuni di Massa Marittima, Scarlino, Gavorrano, Follonica, Roccastrada, Campiglia Marittima, Suvereto, Montieri e Monterotondo Marittimo.

In questo contesto, a partire dal XX secolo del Novecento, presero avvio numerosi progetti di ricerca di carattere storico-archeologico, che avevano come fine ultimo la ricostruzione delle linee del paesaggio antico, basandosi sull’approfondimento di svariate tematiche riassumibili nei seguenti punti:

- rico

struzione delle dinamiche socio-insediative con individuazione dei principali centri demici di carattere laico ed ecclesiastico

- indi

viduazione delle principali risorse del territorio e del loro rapporto con la maglia insediativa

- stud

io delle risorse minerarie e dei cicli produttivi ad esse legati, con un focus relativo al condizionamento che esse hanno esercitato sulla formazione della maglia insediativa

- dete

rminazione diacronica dei confini territoriali riferibili alle civitates e alle diocesi

- il

potere ecclesiastico e i luoghi ad esso legati

- pro

duzione e circolazione delle ceramiche

- indi

viduazione delle infrastrutture terrestri e marittime

- più

di recente, lo studio delle tematiche legate all’ individuazione e presenza del “publicum”e ai luoghi ad esso connessi.

All’interno di questo articolato quadro alcune di queste tematiche sono state sviluppate in maniera diacronica e hanno fornito un quantitativo di dati che, a partire dall’epoca etrusca fino a tutto il Medioevo, risulta essere particolarmente significativo. Gli stessi dati sono confluiti in numerose ed importanti pubblicazioni che nel loro insieme, per questioni di vastità, non sarebbe possibile trattare in questa sede; ai fini della nostra ricerca si è scelto quindi di operare una selezione basandosi principalmente su lavori che trattassero le cronologie interessate, comprese quindi tra la tarda Antichità e l’alto Medioevo, allargando il range nel momento stesso in cui risultasse necessario cogliere in maniera più complessiva la questione trattata39.

39 Nonostante il numero di pubblicazioni sia, come appena detto, rilevante, è importante sottolineare che solo a partire dagli ultimi vent’anni il periodo trattato in questa ricerca è stato oggetto di un progressivo interesse da parte degli studiosi che, precedentemente, si erano concentrati sull’epoca etrusco-romana e sulla piena età medievale. Anche per questa ragione, in diversi casi, si è ritenuto opportuno ricorrere ai lavori che avessero come focus i periodi precedenti o di poco successivi, al fine di ottenere un quadro maggiormente delineato.

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- Le dinamiche socio-insediative

La morfologia del territorio analizzato si caratterizza per un alternarsi di pianure costiere e fluviali a cui si susseguono, nel primo entroterra, rilievi boscosi, radure e colline; quest’ultime sono caratterizzate dalla presenza di importanti risorse naturali tra le quali numerosi giacimenti di argilla, boschi, sorgenti idrotermali e soprattutto, mineralizzazioni a solfuri misti, sfruttate sin dall’Eneolitico, le quali conobbero una fase di intensa coltivazione nel Medioevo40.

In questo contesto, a partire dagli anni ’80, presero avvio le indagini stratigrafiche condotte da Riccardo Francovich su importanti siti d’altura, quali Scarlino e Montarrenti; attraverso queste indagini si sono gettate le basi interpretative del modello di incastellamento che si è negli anni esteso, fino a comprendere una ampia casistica rappresentativa della Toscana centromeridionale41.

Uno degli aspetti maggiormente significativi di queste ricerche è quello che ha messo a fuoco lo stretto legame esistente tra i siti fortificati e le risorse del sottosuolo di cui Rocca San Silvestro rappresenta un caso esemplificativo; un legame di carattere spaziale, che riflette modi di gestione e gerarchie sociali che si vanno precisando in questi ultimi anni, grazie alle ricerche tutt’ora in corso su alcuni siti dell’area42.

Sino dall’avvio delle prime ricerche stratigrafiche, allo scavo furono affiancate sistematiche attività di survey archeologico che interessarono tanto le aree costiere che l’entroterra 43, permettendo così

di elaborare ricostruzioni diacroniche del paesaggio e relativi modelli insediativi. Fondamentali, a distanza di decenni, rimangono i lavori condotti da Costanza Cucini nella fascia di territorio compreso tra Scarlino e Follonica44, da Luisa Dallai per il comprensorio di Massa Marittima45, da

Alessandra Casini per quello di Campiglia Marittima, che costituisce il limite nord del campione indagato, e le ricerche effettuate da Silvia Guideri nel comprensorio di Roccastrada, che delimita ad est l’area46. Le ricognizioni archeologiche hanno consentito una costante verifica su di un ampio 40 Per una sintesi sulle risorse naturali disponibili nel territorio costiero e di entroterra, e sul loro

sfruttamento nell’epoca medievale si veda: Dallai-Francovich 2005, pp. 126-142; Bianchi 2012, pp.495-513, con bibliografia aggiornata di riferimento.

41 Francovich 1985; Idem 1991; Francovich- Ginatempo 2000, Francovich-Hodges 2003. Specificatamente sul progetto Colline Metallifere si veda Bianchi, Bruttini, Dallai 2011, pp. 978-988; Bianchi 2012, con bibliografia di riferimento. Per una più ampia panoramica si veda Valenti 2004.

42 Si fa riferimento ai siti di Cugnano e Montieri come esempi significativi posti nel comprensorio territoriale oggetto di questo progetto (Bruttini-Fichera-Grassi 2010; Bianchi –Bruttini- Quiros Castillo-Ceres -Lorenzini 2012, pp. 644-649; per l’area costiera si consideri il sito di Vetricella (Scarlino Scalo, GR), e Carlappiano (Piombino, LI) entrambi inseriti tra i siti indagati nell’ambito del progetto nEU-Med

(www.neu-med.unisi.it). Per una sintesi sui dati di scavo si veda rispettivamente Marasco et alii 2018, e Dallai et alii 2018.

Per un confronto con il confinante territorio senese si veda il castello di Miranduolo come caso esemplificativo (Valenti 2008; Idem 2013).

43 Dallai-Francovich 2005, pp. 126-142, con ampia bibliografia di riferimento; Bianchi 2012, pp. 495-513. 44 Cucini 1985, pp.147-320.

45 Dallai 2005, pp. 111-136.

46 L’area campigliese, indagata da Alessandra Casini, costituisce il limite settentrionale di quello che in età etrusca e romana corrispondeva all’ager populoniensis, mentre Roccastrada e il suo territorio, indagato da Silvia Guideri, rientrava nei confini della città di Vetulonia prima e Roselle poi; come si vedrà meglio in seguito lo stesso assetto verrà mantenuto durante la tarda Antichità e l’alto Medioevo, come dimostra l’appartenenza alla rispettive diocesi (Fiumi 1943; Cardarelli 1932; Farinelli 2007). Per una sintesi sui risultati di queste ricerche si veda rispettivamente Casini 2003, pp. 141-160; Guideri 2000.

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campione territoriale delle linee interpretative modellate su quanto emerso dagli scavi; i risultati di queste indagini costituiscono il punto di partenza per il progetto di ricerca presentato in questa sede.

Nel corso dell’ultimo decennio alle linee di ricerca sin qui brevemente richiamate se ne sono affiancate altre, che riguardano più strettamente la nascita del paesaggio altomedievale nei suoi aspetti economici ed istituzionali 47, tenendo il focus sul rapporto tra insediamenti e possibilità di

sfruttamento delle risorse disponibili.

Si inseriscono in questo quadro le indagini condotte nel territorio comunale di Monterotondo M.mo (GR) che rappresenta a nostro avviso un caso studio esemplificativo per l’estensione del campione analizzato e la multiformità delle domande storico-archeologico poste. A partire dalla fine degli anni ’90 del XX secolo, presero avvio sotto la direzione scientifica di Riccardo Francovich, le indagini stratigrafiche di tre siti castrensi ovvero Rocchette Pannocchieschi 48, Cugnano49 e Rocca

Alberti corrispondente alla parte sommitale dell’odierno centro di Monterotondo M.mo50.

Per quanto riguarda i primi due insediamenti gli scavi hanno evidenziato come i ricchi giacimenti metalliferi di Poggio Trifonte siano stati elementi di forte attrazione del popolamento per lungo periodo51. Le tracce di occupazione stabile riferibile all’età repubblicana (IV-III secolo a.C.) e

all’alto Medioevo (VIII-X secolo), evidenziate chiaramente per il sito di Cugnano e obliterate dalle strutture castrensi, hanno inoltre fatto emergere come il carattere produttivo e di controllo di questi siti, atti allo sfruttamento dei solfuri misti estratti nelle immediate vicinanze, risalga ad un periodo precedente la fase pienamente medievale attestata dalle fonti storiche.

Le indagini condotte sul sito fortificato di Rocca Alberti hanno invece evidenziato alcuni interessanti aspetti relativi alle trasformazioni socioeconomiche che si attuarono nel corso dell’alto Medioevo sulle piccole o più grandi comunità rurali sotto la spinta delle élites locali; tali trasformazioni modificarono le caratteristiche insediative del paesaggio e, come hanno messo in luce le indagini stratigrafiche, si possono individuare dai cambiamenti avvenuti nel IX secolo anche nelle modalità di gestione delle risorse agricole52.

Anche in questo caso alle campagne di scavo si affiancarono, a partire dal 2004, ricognizione di superficie mirate ad una definizione il più possibile diacronica del paesaggio, con un focus specifico sulla formazione di quello medievale53, mediante la copertura sistematica di un campione

rappresentativo del territorio. All’interno di questo progetto è stato svolto da chi scrive il proprio

47 Bianchi 2012, pp. 495-513; Valenti 2004, Idem 2005, pp.193-219; Cantini - Citter 2010, pp. 401-427; Vaccaro 2011; Cantini 2011, pp. 159-194.

48 Il sito dal punto di vista amministrativo rientra nel territorio comunale di Massa Marittima, al confine con quello monterotondino, ma la stretta vicinanza topografica e l’analogie delle vicende insediative suggerisce una lettura comune con gli insediamenti vicini (Belli-De Luca-Grassi 2003, pp. 286-291). 49 Belli-Grassi-Castillo 2005; Bruttini-Fichera-Grassi 2010; Bianchi-Bruttini- Quirós Castillo-Ceres-Lorenzini 2012, pp. 644-649.

50 Bruttini- Grassi 2009 pp. 313-318; Bruttini-Grassi 2010a; Bianchi-Grassi-Aniceti-Pescini-Russo 2012, pp. 308-313.

51 Dallai 2003, pp. 17-26.

52 Bianchi-Grassi-Aniceti-Pescini-Russo 2012 pp. 308-313; Bianchi-Grassi 2013, pp. 77-102.

53 Per un inquadramento generale delle linee del progetto di ricerca condotto nel territorio di Monterotondo M.mo (direzione scientifica Prof. R. Francovich, direzione sul campo dott.ssa Luisa Dallai), e una sintesi dei primi risultati ottenuti si veda Dallai 2009 pp. 29-32 e 41-45; Ponta 2009, pp. 35-40; per un inquadramento più specifico delle tematiche trattate in questa sede si veda Ponta 2014, pp. 17-26; Ponta 2015, pp. 499-504.

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lavoro di tesi finalizzato alla lettura delle dinamiche socio-insediative succedutesi tra la tarda Antichità e i primi secoli dell’alto Medioevo54, da cui è emersa in modo netto la tenuta delle forme

insediative e di gestione delle risorse. La struttura del paesaggio delineata attraverso l’analisi convergente di diversi fattori (dati ceramici, dimensione degli insediamenti, analisi della rete viaria e dei bacini di approvvigionamento delle risorse) sembra infatti non subire le drastiche contrazioni conseguenti alla crisi del III secolo d.C., che segna profondamente i territori della Toscana interna, bensì rimanere pressochè invariata rispetto alle forme assunte durante l’età imperiale55. Le ricerche

condotte in quest’area hanno permesso inoltre di evidenziare come lo stretto legame tra insediamenti e risorse minerarie, più volte indicate come propulsori dell’economia locale, fosse estendibile ad altre preziose materie prime ampiamente disponibili nel monterotondino. Come più volte ricordato in altre sedi56, la lunga occupazione di un territorio interno, non particolarmente

adatto ad un intenso sfruttamento agricolo, registrata per la fase notoriamente ritenuta di crisi, sarebbe da mettere in relazione alla presenza di preziose risorse quali ferro, argilla, acque termali, legname e, non ultimo per importanza, allume. In quest’ottica, dati molto interessanti riguardano anche le produzioni ceramiche attestate, tra cui si riconoscono merci di importazione africana, in particolare le ultime forme in terra sigillata D e anfore dello stesso periodo, affiancate a prodotti acromi di ambito regionale (anfora di Empoli) e locali.

Un aspetto rilevante, a nostro avviso, risiede nel fatto che tali caratteri siano maggiormente comparabili con il trend osservato per l’area costiera, di cui questo primo entroterra deve essere considerato a buona ragione un’area quasi organica dal punto di vista economico e commerciale. A sostegno di tale quadro vanno anche gli ultimi studi effettuati sulle produzioni ceramiche rinvenute nelle stratigrafie premedievali del Monastero di San Quirico di Populonia57, che hanno

evidenziato una sostanziale analogia tipologica con le produzioni attestate sui principali siti monterotondini per le fasi relative alla tarda Antichità e al primo alto Medioevo.

Una frequentazione riferibile ai primi secoli dell’alto Medioevo è ipotizzabile anche per il sito costiero della Vetricella 58, posto nell’area sottostante il castello di Scarlino, poco distante

dall’insediamento del Puntone. Il sito era originariamente posto ai margini dell’ampia laguna che solo tra XIX e XX secolo venne bonificata, ed era circondato da un sistema di fossi e canali in parte collegati al Pecora, il principale fiume che solcava quest’area pianeggiante prima di sfociare nella medesima laguna e poi nel mare.

54 Dinamiche di formazione e trasformazione del paesaggio tra Tarda Antichità e Alto Medioevo. Il caso di Monterotondo Marittimo (GR), tesi di Laurea Specialistica in Archeologia, relatore Prof. Giovanna Bianchi, a.a. 2011/2012.

55 Ponta 2015, pp. 499-504.

56 Dallai 2009; Ponta 2015, pp. 499-504.

57 Lo studio è stato effettuato nell’ambito della pubblicazione dello scavo (Bianchi-Gelichi, 2016), e ha visto effettuare la revisione dei materiali ceramici rinvenuti da un gruppo di diversi studiosi le cui

competenze specifiche hanno consentito una precisa scansione cronologica; l’analisi relativa alle produzioni tardoantiche sono state effettuate da chi scrive in associazione a Laura Pagliantini per le produzioni relative alla fase repubblicano-imperiale (Pagliantini-Ponta 2016, pp. 249-258).

58 Il sito è stato parzialmente indagato tra il 2005 ed il 2007, e sottoposto a partire dal 2016 a campagne di scavo estensive condotte nell’ambito del progetto di ricerca ERC nEU-Med; per una prima sintesi dei dati ottenuti dalle recenti indagini stratigrafiche si veda Marasco et alii 2018, pp.57-80; Marasco 2009, pp. 326-331, Idem 2013, pp. 57-68. Per una descrizione più ampia nel contesto territoriale in cui la Vetricella si colloca si rimanda al capitolo 4.2.6.

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Se i contesti ceramici consentono di inquadrare la principale fase di occupazione del sito tra IX e XI secolo, la presenza di forme riconducibili all’VII-VIII secolo, che il proseguo delle ricerche sta mettendo in evidenza, induce a considerare l’ipotesi di una possibile frequentazione dell’area nel periodo precedente.

Lo scavo e la comprensione di quest’ultimo sito è attualmente al centro degli interessi di ricerca perseguiti dal dipartimento di Scienze Storiche e dei Beni Culturali dell’Ateneo senese che attraverso il progetto ERC nEU-Med dal 2015 si concentra sulla ricostruzione del paesaggio storico di un’ampia fascia della Maremma toscana nord-occidentale 59. In quest’ottica la definizione del

rapporto di interazione tra costa ed entroterra, a livello di dinamiche insediative e gestione delle risorse intercorso durante l’alto Medioevo, gioca un ruolo rilevante; allo stato attuale delle ricerche, i dati fin qui raccolti sembrano supportare l’ipotesi che in questa area si trovasse un’unica proprietà, di antico carattere pubblico, attiva nello sfruttamento delle materie prime dislocate lungo la fascia costiera e nell’entroterra60, e nel controllo accentrato dell’economia locale.

- Le risorse

A questo riguardo, la fascia interna del campione territoriale analizzato dal progetto nEU-Med, che include in buona percentuale il comprensorio delle Colline Metallifere grossetane e marginalmente il campigliese, è caratterizzata dagli importanti giacimenti a solfuri misti precedentemente menzionati, che fin dall’Eneolitico vennero sfruttati per ottenere piombo, argento, rame e ferro61; a

questi si può aggiungere l’allume, preziosissima e rara risorsa mineraria, i cui giacimenti si trovano nei pressi di Frassine (Monterotondo Marittimo) e di Montioni, e che solo di recente è divenuta oggetto di un’intensa attività di studio62. Inoltre, oltre alle risorse di natura di mineraria appena

citate, l’entroterra mette a disposizione il legname, ricavabile in abbondanza dalla fitta copertura boschiva che contraddistingue i rilievi, sorgenti termali e argilla.

Per quanto riguarda la fascia costiera, le aree lagunari peculiari della pianura del Cornia e del Pecora vennero intensamente sfruttate oltre che per l’itticultura, per la produzione del sale, come testimoniano le evidenze pertinenti all’Età del Bronzo, e le più significative tracce archeologiche e documentarie, riconducibili all’età romana e medievale63.

59 Il progetto nEU-Med rientra nel programma Horizon2020 nella categoria dei progetti ERC Advanceded e vede l’Università di Siena come host instituition. Il suo avvio risale all’ottobre del 2015 e si concluderà nell’ottobre del 2020. L’obiettivo è quello di cogliere i cambiamenti socio- economici intercorsi tra VII e XII secolo che sono alla base della progressiva crescita economica che porterà l’Europa del Sud a raggiungere la stabilità necessaria per interagire a livello di scambi culturali e commerciali con l’Europa del nord. Per una prima sintesi dei dati ottenuti dal progetto si veda Bianchi-Hodges (a cura di) 2018; per un dettaglio delle attività in corso e del team impegnato nella ricerca si rimanda a: www.neu-med.unisi.it.

60 Bianchi-Collavini 2018, pp. 147-159.

61 In particolare i dati emersi negli anni hanno tuttavia aperto nuove ipotesi interpretative su un possibile sfruttamento delle risorse ferrifere dell’interno relative all’epoca imperiale e tardoantica, taciuto dalle fonti letterarie ma che legherebbero strettamente l’area populoniese con l’entroterra monterotondino, costituendo un elemento di rottura con quanto storicamente viene sostenuto circa la cessazione delle attività estrattive e siderurgiche sulla penisola italiana a partire dal I secolo a.C.

62 Sulla localizzazione della cava di allume di Buca dei Falchi (Monterotondo Marittimo), sullo

sfruttamento di questa risorsa e riguardo alle indagini stratigrafiche condotte nell’impianto della Allumiera di Monteleo si veda da ultimo Dallai 2014, con ampia bibliografa di riferimento.

63 Per un aggiornamento sullo sfruttamento del sale avvenuto in epoca storica lungo fascia costiera

follonichese e piombinese, si veda Dallai 2018, con bibliografia di riferimento; per l’Isola d’Elba Pagliantini 2015 ; per la Valle del Pecora: Ceccarelli Lemut 1996, p. 36 dove si pone particolare attenzione alle fonti

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In quest’ottica quindi le tendenze, prima citate, che ho contribuito ad individuare nel monterotondino per la tarda Antichità e che presentano una forte analogia con il trend tipico delle aree costiere, mi hanno indotto a formulare alcune ipotesi interpretative riguardo alla presenza di un’unica proprietà, controllata direttamente dal potere centrale, che si svilupperebbe dalla costa verso l’entroterra lungo una sorta di “corridoio territoriale”; da questo assetto, attraverso i cambiamenti socio-economici intercorsi durante i secoli di transizione, trarrebbe origine la struttura del paesaggio altomedievale che le ricerche ad ora in corso stanno definendo con un alto grado di dettaglio64.

A corredo delle sintesi sul popolamento antico ora menzionate, la ricerca negli ultimi anni si è concentrata anche sugli aspetti paleo-ambientali, geomorfologici ed archeobotanici che stanno portando alla ricostruzione del paesaggio antico di parte della Val di Pecora e della bassa Val di Cornia65.

- La definizione del publicum e dei luoghi ad esso legati

Riguardo a questo territorio, una delle tematiche più interessanti emerse negli ultimi anni è quella dei beni pubblici e come esso si strutturi in relazione al paesaggio. Un aspetto rilevante emerso risiederebbe nel persistere a lungo di un sistema di gestione delle risorse locali, legato appunto al potere centrale e originato già durante l’Impero; secondo una tendenza ben nota per altre parti della Penisola, molte delle proprietà costiere e dell’immediato entroterra, ritenute particolarmente vantaggiose sul piano economico e un tempo appartenute alla famiglie senatorie66, a partire dall’età

traianea sarebbero state incamerate nel patrimonio imperiale e lì custodite fino alla tarda Antichità

67. Tali praedia, durante la fase gota e longobarda, sarebbero poi passati al re, o ad esponenti legati

alla sua cerchia più stretta68, attraverso una politica di confische. La presenza di beni regi in questa

parte della Tuscia, è attestata ancora nel 937, come testimonia il dotario di Ugo di Provenza che cedette alla moglie Berta e alla figlia Adelaide beni posti nell’Italia settentrionale e nella Tuscia69;

tra questi era compresa una parte del territorio analizzato in questa sede che, come si vedrà più avanti (in particolare ai paragrafi 4.3.4 3 4.3.5), può essere identificata nel Cornino70.

Per il periodo tardoantico, nonostante la mancanza di documentazione scritta non consenta il riconoscimento certo di un interesse pubblico nel territorio, le fonti archeologiche offrono

storiche di epoca medievale.

64 In ultimo si veda Bianchi-Hodges (a cura di) 2018.

65 Nell’ambito del progetto di ricerca nEU-Med che, come più volte ricordato, ha come ambito territoriale di riferimento la val di Cornia e la Val di Pecora , con i rispettivi entroterra, molta attenzione viene riservata proprio agli aspetti paleoambientali, considerati fondamentali al fine di ottenere una ricostruzione del paesaggio antico maggiormente definita. A questo proposito si rimanda ai recenti contributi di Luisa Dallai, Pierluigi Pieruccini e Mauro Paolo Buonincontri, con ampia bibliografia di riferimento, per gli atti del I Workshop del progetto nEU-Med (Bianchi-Hodges 2018).

66 Sappiamo che nel corso della seconda metà del II secolo il patrimonio imperiale subì un significativo incremento con l’acquisizione di beni appartenuti alle famiglie senatorie mediante l’attuazione di una politica di eredità prima, e confisca poi (Maiuro, p. 185).

67 Maiuro, pp. 188-189.

68 Ponta 2015, pp. 499-504, con bibliografia precedente. 69 Vignodelli 2012, pp. 247-294.

70 Bianchi 2015, p. 321. Per una dettagliata sintesi sulla presenza, in Val di Cornia e Val di Pecora, di beni regi durante i secoli altomedievali si vedano Bianchi- Hodges 2018, pp. 7-10; Bianchi-Collavini 2018, pp. 147-159.

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interessanti strumenti per lo sviluppo di tale tematica71 che può essere letta utilizzando anche i dati

relativi ai periodi precedenti72 .

Alcuni dati archeologici utili all’argomento provengono da ricerche svolte non di recente che hanno interessato alcuni siti dell’area interessata, quali Podere Sontrone, Massa Vecchia e l’area di Gualdo del Re.

Nel caso del Sontrone, come si vedrà meglio in seguito, si tratta di una fattoria di epoca romana, strettamente legata alla famiglia senatoria dei Cotta, posta nell’ immediato entroterra follonichese. I materiali raccolti durante le indagini di superficie condotte negli anni ’90 del XX secolo e più di recente nel 2005 73, hanno permesso di riconoscere la continuità d’uso di questo sito fino alla tarda

Antichità. Presso il podere Aione, sulla sommità di un piccolo rilievo posto immediatamente a sud del Poggio del Sontrone, Costanza Cucini individuò un altro importante sito caratterizzato dalla presenza di ceramica altomedievale74; come già osservato dalla studiosa, la stretta vicinanza tra i

due siti deriverebbe da una originaria comune appartenenza alla stessa proprietà, che il toponimo Sontrone, ovvero terreno riservato, padronale75, in qualche modo richiamerebbe. Infine, la

Pievaccia, rifacimento di età romanica di una chiesa più antica, localizzata sulle altura soprastanti il poggio dell’Aione e parzialmente conservata, sempre secondo Cucini potrebbe essere identificata con il Pastorale citato dalla documentazione scritta medievale; questo aspetto confermerebbe ancora una volta l’occupazione stabile e duratura di questo luogo.

Riguardo a Massa Vecchia76, toponimo corrispondente ad un’area posta ai piedi del poggio su cui

sorge la città di Massa Marittima (GR), la ricerca archeologica si è limitata ad alcuni sopralluoghi che hanno portato alla definizione dell’area interessata dal deposito, alla raccolta dei reperti e al rilievo delle strutture murarie ancora visibili77. Dal punto di vista storico l’importanza di questo

luogo, sarebbe da ricondurre alla possibile ma altrettanto incerta identificazione di questo luogo con la Massa Veterniensis apud Tuscos, riportata da Ammiano Marcellino78 come luogo di nascita

dell’imperatore Gallo Cesare Treboniano, oltre che essere la sede possibile della prima cattedrale della diocesi di Massa e del primo nucleo abitativo ad essa legato.

71 A titolo esemplificativo si pensi agli indizi suggeriti dai toponimi parlanti dei luoghi studiati, quali Bagno del Re, Gualdo del Re, Palazzo del Re, Cisterna del Re (Repetti 1843), localizzati nella zona del Frassine (Monterotondo Marittimo, Gr), Monte del Re, a Massa Marittima (Gr), o Teupascio, letteralmente “l’acqua del Re” antico nome del fiume Pecora, che attraversa la piana di Scarlino e sfocia in mare all’altezza dei Follonica, attestato dalla documentazione scritta per la prima volta nel 746 (Pieri 1969, p. 162; Farinelli 2007, pp. 67-68).

72 Per il periodo romano-repubblicano rimane di grande attualità ed utilità quanto scritto da Daniele Manacorda sulla presenza di importanti famiglie senatorie nel territorio populoniense, gli Scaurii, di cui la toponomastica conserva importanti indizi, e del ruolo giocato da alcuni di questi nelle attività complementari allo sfruttamento delle risorse minerarie elbane, oltre che nella creazione delle infrastrutture viarie

(Manacorda 2006, pp. 305-321). Analogalmente, Jane Shepherd, ha messo in evidenza per alcuni esponenti degli Scaurii e dei Valerii, lo stretto legame con la famiglia imperiale e con i possedimenti localizzati sia sulla prospiciente Isola d’Elba, che lungo la fascia tirrenica (Shepherd 2006, pp. 186-187).

73 Per una descrizione dei siti rinvenuti presso Podere Sontrone e Podere Aione si rimanda al capitolo 4.2.7. 74 Cucini 1989.

75 Pieri 1969, p. 405.

76 Si veda il paragrafo 4.2.11.

77 Cucini 1985, scheda n. 232, pp. 257-260. 78 Amm. Marc., Res Gestae, XIV, 11-27.

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Riguardo al comprensorio di Gualdo del Re, attualmente posto nel comprensorio di Monterotondo Marittimo, uno studio incrociato tra le fonti storiche, in particolare il ricco corpus documentario lucchese79, ed i dati archeologici emersi dal survey ivi condotto, ha permesso di definire l’assetto

insediativo di uno dei luoghi cardine per le tematica in questione; come si vedrà più nel dettaglio nel capitolo specifico80molte sono le attestazioni riportate nella ricca documentazione altomedievale

relativa a Gualdo ed ad altri luoghi posti al suo interno, quali San Regolo, Bagno del Re, Castiglion Bernardi81. Il toponimo Gualdo, letteralmente “bosco del re” attestato a partire dalla prima età

longobarda82, si riferisce senza alcun dubbio ad una antica proprietà pubblica, ereditata, come già

proposto, dal fisco imperiale. Alla luce dei dati archeologici emersi di recente, l’attenzione degli storici è stata posta in particolare su Bagno del Re, sede di actor regis nel 74983, e Castiglion

Bernardi84 che a tutti gli effetti si definiscono come i principali poli di riferimento di questo

comprensorio pubblico; a riprova dell’importanza di quest’ultimo, è stato più volte riportato il fatto che Castiglion Bernardi sarà uno degli ultimi beni posti nel comprensorio del Gualdo ad essere dato in concessione dall’episcopato lucchese, che all’epoca ne deteneva il controllo, in seguito al processo di smembramento del complesso fondiario da esso gestito avvenuto tra la fine del IX e il X secolo85.

Tornando alla zona costiera, le ricerche condotte da più di un decennio sulla città di Populonia e sul territorio di sua antica pertinenza86, hanno portato alla definizione di un ricco patrimonio di

informazioni. Più precisamente, le indagini di superficie condotte nella bassa Val di Cornia e nei confini meridionali populoniesi, hanno permesso di delineare con un grado elevato di precisione le principali dinamiche del popolamento antico, con particolare attenzione alle fasi della romanizzazione e dell’Impero, grazie alle quali è possibile leggere le fasi di crisi e trasformazione che portarono alla fine del paesaggio tipico della prima età romana, e alla nascita del popolamento tardoantico 87.

79 Collavini 2009; Collavini 2018, p. 225. 80 Cfr. 4.3.4.

81 Si vedano rispettivamente i paragrafi 4.3.4, 4.3.5, 4.3.6. 82 Pieri 1969, p. 215; Francovich Onesti 1987-1988. 83 Farinelli 2007, p. 67.

84 Farinelli 2007, p. 76-83. 85 Collavini 2018, pp. 223-227.

86 All’inizio degli anni 2000 prese avvio un’intensa stagione di ricognizioni archeologiche condotte nel territorio populoniese e coordinate da Franco Cambi. Le indagini interessarono in un primo momento la sommità di Poggio del Telegrafo, il promontorio ed il golfo di Baratti (Dallai 2002, pp. 29-38; Botarelli-Dallai, 2003, pp. 233-250), ed erano finalizzate, in particolare, a cogliere l’organizzazione degli spazi e l’estensione della città (Cambi 2009, p. 221 con bibliografia precedente). Successivamente (2003-2006) le ricognizioni vennero estese alle aree di pianura, ovvero la bassa e media Val di Cornia, spingendosi ai limiti meridionali dell’ager populoniensis, ai confini con il territorio vetuloniese/rosellano. Queste ricerche erano mirate alla definizione degli assetti insediativi (Botarelli-Cambi 2004/2005, pp. 159-169; in ultimo Borarelli 2006, pp. 481-507) e delle principali infrastrutture (Dallai 2003, pp. 239-249; Ponta 2006, pp. 453-468), oltre alla ricostruzione del paesaggio naturale, con un focus particolare sui limiti dell’antica laguna di Piombino (Isola 2006, pp. 469-480), e la definizione dei confini della città etrusco-romana (Bacci 2006, pp. 445-454). 87 Al progressivo abbandono della acropoli della città, avviato alla fine del I secolo a.C., si contrappone la vivacità economica ed insediativa della zona portuale sottostante e della pianura circostante, caratterizzata dallo sviluppo di insediamenti anche di grandi dimensioni, interpretate come ville, che in alcune casi sopravvivono alla crisi del III secolo e perdurano per tutto il Tardoantico. Per una sintesi dettagliata si veda Gelichi 1996, pp. 38-43; Campi-Botarelli 2004/2005, pp.159-169; Cambi 2009, pp. 221-230.

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- I confini delle diocesi

Se le linee della ricerca storico-archeologica degli ultimi decenni ha interessato, come visto, la presenza di attori pubblici o con funzione pubblica attivi nel territorio, e le politiche economiche da essi operate, analogo interesse è stato posto nella definizione del potere ecclesiastico e dei luoghi ad esso legati.

A questo proposito il lavoro condotto da Romualdo Cardarelli88, finalizzato alla delimitazione delle

diocesi medievali di Roselle e Populonia, così come quanto scritto da Enrico Fiumi, offrono ancora oggi un’utile lettura riguardo alla nascita delle due istituzioni e al contesto insediativo circostante. Lo stesso filone venne ripreso da Gabriella Rossetti che, attraverso un’attenta analisi delle fonti documentarie, tracciò una sintesi dettagliata sulle vicende intercorse nella Tuscia, compresi quindi i

fines Maritimenses89 dell’ordinamento longobardo, in seguito alla presa di potere da parte dei

Carolingi. Le principali conseguenze riconosciute dalla studiosa riguardano la formazione della iudicalia de Populonio per volere del papa Adriano I90, che rivendicava in quel momento i fines populonienses basandosi non sull’organizzazione civile longobarda, bensì sul distretto diocesano

tardoantico incentrato su Populonia91; il mutamento istituzionale della iudiciaria longobarda in

comitato92, ed il trasferimento in Cornino della sua sede, che deve essere avvenuto, come per

l’episcopio, dopo l’80993. Quanto alla localizzazione di Cornino, la studiosa riporta che la prima

attestazione documentaria risale al 720 nei termini di “curte super Cornia”, mentre nel 754 viene riportato come bene concesso da Walfredo, fondatore del Monastero di Monteverdi, al monastero stesso94.

Nella ricostruzione delle dinamiche di trasformazione della diocesi populoniense intercorse durante l’alto Medioevo, un contributo altrettanto rilevante lo hanno fornito Maria Luisa Ceccarelli Lemut e Gabriella Garzella; più nello specifico, attraverso una nuova lettura delle fonti storiche, le due studiose hanno proposto la localizzazione di alcuni dei principali centri demici e di organizzazione civile e religiosa del comitato populoniese, tra questi il Cornino95. Inoltre hanno ripercorso le 88 Cardarelli 1932

89 Secondo la Rossetti questi rientrerebbero nella iudiciaria longobarda di Populonia che, insieme a quella di Roselle, Sovana e Toscanella, costituivano l’ordinamento civile della Tuscia meridionale; i fines

corrisponderebbero alla lunga fascia collinare dell’immediato entroterra maremmano compreso tra la val di Cornia e Corneto (Toscanella) (Garzella 1973, p. 252; Ceccarelli Lemut 1985, p. 21).

90 La iudicalia de Populonio è citata per le prima volta nell’826 in due carte redatte in Cornino per conto del rettore della chiesa di S. Regolo in Gualdo, dipendente dall’episcopato lucchese (Rossetti 1973, p. 249). 91 Ceccarelli Lemut 1985, p. 21.

92 Il termine comitatus applicato al distretto civile di Populonia viene attestato nei documenti per la prima volta nel 901 (Rossetti 1973, p. 253).

93 Rossetti 1973, pp. 252-253. 94 Rossetti 1973, pp. 247-249.

95 Come si vedrà a breve, nel corso del IX secolo Cornino diverrà il centro di riferimento territoriale di profilo amministrativo ed ecclesiastico per la bassa e media Val di Cornia, sostituendosi di fatto a Populonia. Secondo Gabriella Garzella, questo luogo andrebbe identificato con Suvereto, località dell’immediato entroterra piombinese, posto nella pianura solcata dal fiume Cornia, da cui deriverebbe il toponimo stesso Cornino; la locale chiesa di S. Giusto, sempre secondo l’autrice, andrebbe identificata proprio con la sede episcopale (Garzella 2005, pp.143-144). Maria Luisa Ceccarelli Lemut sostiene che con Cornino, tra VIII e XII, secolo si intendesse una zona piuttosto ampia compresa tra Suvereto ed il mare, come indicherebbe l’associazione al Cornino di luoghi quali Casalappi, Vignale, Valli, Monte S.Lorenzo, Suvereto riportata nei documenti (Ceccarelli Lemut 1985, pp. 22-23). Per una lettura più aggiornata si veda Collavini 2018, e quanto descritto nel capitolo 4.1.4.

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vicende legate alla diffusione, nel populoniese, del cristianesimo avvenuta per merito di personaggi eminenti come Regolo e Cerbone96, e la nascita della diocesi tardoantica97.

- Il potere ecclesiastico e i luoghi ad esso legati

Una linea di ricerca perseguita dagli studiosi delle fonti documentarie riguarda il progressivo assoggettamento da parte del vescovo di Lucca che tra VIII e X secolo interessò i territori apparenti alla iuduciaria populoniese longobarda98; in quest’ottica il prezioso corpus documentario lucchese 99

offre dati estremamente rilevanti. I testi sottolineano costantemente come una parte consistente dei beni oggetto delle livellazioni siano di proprietà lucchese, e come sia il vescovo stesso, o gli enti ecclesiastici a lui soggetti, a promuovere tali atti. Esemplificative di questo processo sono le donazioni di beni effettuate tra il 770 e 790 circa in favore della chiesa di S.Regolo da parte dei possessores locali, tramandate dal dossier di circa 40 carte esaminato in maniera dettagliata da Collavini100, da cui si evince come quest’ultimi contribuirono fortemente ad incrementare il

patrimonio, originariamente esiguo, di questa ecclesia e dello stesso vescovo lucchese.

Un esempio concreto di tale processo è rappresentato dalla scelta dei rettori della chiesa di S.Regolo101 che dall’inizio del IX secolo ricadrà sempre di più entro l’orbita lucchese, escludendo

ogni rapporto con gli esponenti delle aristocrazie locali. Allo stesso modo, l’ingerenza dell’episcopato lucchese su questo territorio, determinò nei confronti del vescovo di Populonia l’esclusione di una vasta area che dovette appartenere da sempre alla sua diocesi102.

Infine, l’analisi congiunta eseguita da Roberto Farinelli tra i dati documentari e le acquisizioni archeologiche emerse dalle più recenti ricerche, in parte già menzionate, ha contribuito sensibilmente a definire il quadro socio-insediativo di periodo altomedievale fornendo, allo stesso tempo, un utile confronto tra diversi contesti sub-regionali103.

Parallelamente alla definizione del potere religioso operante nel territorio populoniese, la ricerca si è concentrata, come già detto, sull’individuazione dei luoghi ad esso legati, quali monasteri, sedi episcopali e cattedrali.

Al centro del dibattito archeologico fu per alcuni decenni la localizzazione della prima sede vescovile populoniese, cercata assiduamente nella rada di Baratti, e più precisamente nei pressi

96 Garzella 2005, pp. 137-151; Eadem 1991, Cronotassi dei vescovi di Populonia 97 Ceccarelli Lemut 1985, pp. 20-24; Eadem 2017, pp. 24-25.

98 Si veda Rossetti 1973, pp. 209-337 che nella sua sintesi affrontò nel dettaglio tale fenomeno; per una disamina più aggiornata: Collavini 2007, Farinelli 2007.

99Si fa riferimento al corpus documentario conservato presso l’Archivio Diocesano di Lucca, uno dei bacini più ricchi al mondo per l’alto Medioevo. Le carte sono costituite da atti di vendita, cessione e donazione di appezzamenti terrieri localizzati nelle valli del Cornia e Pecora (Collavini 2007a, pp. 230-249).

100 Collavini 1998“Da società rurale periferica a parte dello spazio politico lucchese: S.Regolo in Gualdo tra VIII e IX secolo”, Pisa 2007, pp. 231-247.

101 Per una descrizione del sito e delle sue vicende storiche cfr. 4.3.5.

102 La nascita della diocesi di Populonia dovette avvenire, con ogni probabilità, agli scorci del V secolo; risale al 495 la prima menzione di Asellus episcopus, lo stesso che, con ogni probabilità, presenzio al

concilio di papa Gelasio I nel 501. Per una dettaglia disamina sull’argomento si rimanda a Rossetti 1973, pp. 215- 225; Gelichi 1996, pp. 43-49; Garzella G. 1996, pp. 7-16; Eadem 2005, pp. Sul labile rapporto tra il comprensorio del Cornino con l’antica città di riferimento, ovvero Populonia, nell'età carolingia: Francovich 2005, pp. 128-129.

103 Farinelli 2007, in particolare pp. 76-90, dove l’Autore presenta un’accurata disamina sui possedimenti lucchesi nella Tuscia, confrontando il territorio di Populonia con quello di Roselle tra VIII e IX secolo.

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della cappella ancora oggi dedicata a San Cerbone; tale toponimo ragionevolmente indirizzò gli studiosi ad ipotizzare che ivi fosse sorta la più antica chiesa, dedicata appunto al secondo vescovo di Populonia che qui, una volta morto, secondo la sua volontà sarebbe stato sepolto dai suoi seguaci104.

Come osservato da Sauro Gelichi, nonostante l’architettura del piccolo edificio rimandi all’età moderna, l’utilizzo nelle murature di materiale litico di reimpiego, che per caratteristiche tecnico-stilistiche può essere datato all’VIII secolo105, e la presenza di altri elementi architettonici di più

incerta datazione riferibili comunque ad un orizzonte tardoantico, sembrerebbero suggerire una più antica preesistenza. Tuttavia le numerose campagne di scavo che vennero condotte proprio in quest’area non hanno restituito evidenze che possano essere messe in relazione con un edificio risalente all’età di Cerbone o di poco successiva; anche in corrispondenza dell’area cimiteriale, individuata nell’arenile prospiciente la cappella, e corrispondente a quella nota già nel 1920106,

attraverso un’attenta analisi stratigrafica e tafonomica delle inumazioni, sono state riconosciute più fasi di utilizzo che senza soluzione di continuità sono inquadrabili tra tardo XII e XIV secolo107.

L’individuazione della prima cattedrale rimane ad oggi un tema rilevante che tuttavia non ha avuto esito positivo; analogamente resta insoluta un’altra questione di rilievo, ovvero l’individuazione della sede diocesana del Cornino. Come già ricordato dalle fonti documentarie apprendiamo che nel corso del IX secolo la sede vescovile di Populonia venne trasferita nel comprensorio denominato appunto Cornino, a causa della crescente instabilità dell’area costiera in seguito all’incursione dei Greci Orobiti (809)108. E’ stato più volte osservato come il toponimo Cornino, riportato dai

documenti già dalla metà dell’VIII109, venga impiegato in relazione ad un inquadramento

territoriale, per indicare quindi uno specifico comprensorio; questo inizialmente sarebbe corrisposto ai terreni prossimi al fiume Cornia/Cornina, e progressivamente sarebbe stato esteso a quella fascia di entroterra populoniese, al confine con il volterrano, dipendente da Lucca110. Dall’VIII secolo,

prima quindi della trasferimento della diocesi, il nome Cornino compare in documenti pertinenti ad

104 Secondo la tradizione, Cerbone, originario dell’Africa, o di nascita italica e appartenente al clero di Populonia (Conte 1978, pp. 235-260), in seguito all’avanzata verso i territori della Marittima da parte delle truppe longobarde che provenivano da nord, lasciò la terraferma per trovare rifugio più sicuro sull’Isola d’Elba, controllata ancora in quel momento dall’esercito imperiale. Alla sua morte, avvenuta alla fine del VI secolo (di certo prima del 591), stando ai racconti di Gregorio Magno, il corpo sarebbe stato deposto nel luogo scelto dallo stesso Cerbone quando era ancora in vita (Redi 2011, pp. 222-224; Gelichi 2016, pp. 343-344). Una descrizione molto dettagliata della figura del Santo tra agiografia e contesto storico si ha in Susi 2005, pp. 23-33, con bibliografia di rifermento. (E. Susi, 2005, Africani, cefalopodi, e saraceni in Benvenuti, Da Populonia a Massa Marittima: i 1500 anni di una diocesi, pp. 23-65).

105 Si rimanda a Gelichi 1996, pp. 45-49 per una prima descrizione della cappella di S. Cerbone e dei bassorilievi citati; Redi 1996, pp. 56-57; Idem 2015, 229- 234 per una descrizione dettagliata ed interpretativa di questi manufatti.

106 Minto 1943, pp. 280-286; Gelichi 1996, p.39.

107 Si veda da ultimo Gelichi 2016, pp. 340-343 dove viene fornita una dettagliata sintesi delle linee di ricerca perseguite e delle ipotesi interpretative formulate a questo riguardo, oltre ad una descrizione delle evidenze archeologiche rinvenute durante gli scavi condotti nelle rada di Barattti; per una sintesi relativa allo scavo della necropoli della Cappella di San Crebone di Baratti si veda anche Forgione 2012, pp. 236-239. 108 Sul trasferimento della sede episcopale da Populonia la Cornino si vedano, da ultimo, Gelichi 2016, pp. 344-345 con bibliografia di riferimento; Collavini 2016, pp.55-56.

109 La prima menzione è del 720 in un documento lucchese relativo alla donazione da parte di un tale Pertualdo di alcuni beni, tra cui una casa in Cornino, al monastero di S. Michele Arcangelo da lui fondato nei pressi della mura di Lucca (Ceccarelli Lemut 1985, p. 22).

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atti di vendita di case e terre, ragione per cui è stato ipotizzato che al nome corrispondesse non un’unica località ma un areale più ampio111.

Sempre nelle fonti documentarie è stato osservato che il toponimo è associato ad importanti centri religiosi definiti da Farinelli “per certi versi alternativi alla chiesa episcopale”; tra questi la chiesa di Santa Maria (769), e in maniera particolare la chiesa di S. Vito. Presso quest’ultima tra IX e XI secolo sorgeva l’omonima curtis ritenuta dagli studiosi il complesso fondiario più rilevante, almeno per questa parte della regione112, posseduto dall’episcopio lucchese. La prima attestazione

documentaria che riguarda l’ecclesia, risale al 770 e, come osservato da Paolo Tomei, essa doveva costituire il polo principale dell’organizzazione territoriale del patrimonio vescovile. Il centro curtense viene invece menzionato per la prima volta nell’829 e verrà incluso tra i beni di pertinenza episcopale lucchese ancora alla fine dell’XI secolo113.

A livello documentario sappiamo che al nucleo curtense originario progressivamente si dovettero annettere altri beni di pertinenza di alcune curtes situate nel distretto territoriale del Cornino114. Tra

queste, al fine della nostra ricerca, assume particolare importanza S. Regolo in Gualdo115, la cui

ricca documentazione è stata oggetto di approfonditi studi116; posta nella piana del Frassine, in

prossimità del fiume Cornia, all’interno del più vasto comprensorio territoriale del già citato Gualdo del Re, essa viene menzionata per la prima volta nel 750117. Le sorti di questo centro tuttavia furono

piuttosto altalenanti: dopo una iniziale appartenenza al comprensorio pubblico del Gualdo, intorno alla metà dell’VIII secolo essa passò sotto il controllo del vescovo lucchese, che a sua volta, andò progressivamente a sfumare tanto che, tra IX e X secolo, la chiesa ed i suoi beni ad essa dovettero rientrare nuovamente sotto il controllo pubblico e furono dati in concessione alle aristocrazie ad esso legate118. L’importanza di questo complesso fondiario trova corrispondenza anche su scala

archeologica; le ricerche di superficie hanno confermato un’occupazione stabile e prolungata del luogo che arriva, senza soluzione di continuità, al pieno alto Medioevo119, trovando quindi

corrispondenza con la fonte documentaria.

111 Ceccarelli Lemut 1985, p. 22-23; sull’argomento si veda Gelichi 2016,

112 Secondo Ceccarelli Lemut, la corretta ubicazione della chiesa di S.Vito in Cornino sarebbe Vignale Vecchio (Ceccarelli 1985, p. 23, nota 26); Simone Collavini e Paolo Tomei reputano invece che S.Vito sia da collocare in corrispondenza dell’attuale toponimo La Pievaccia, presso Casavolpi, lungo l’antico tracciato della via Aurelia, ed in prossimità del corso del Corniaccia e fosso Botrangolo, entrambi idronimi citati nelle fonti documentarie in relazione al Cornino (informazione condivisa dagli studiosi, che qui ringrazio,

nell’ambito degli aggiornamenti forniti durante le attività seminariali del progetto ERC nEU-Med). 113 Ringrazio Paolo Tomei per questa osservazione.

114 Oltre a S .Regolo, si fa riferimento a Casale Longo (prima citazione 867), posto in prossimità della confluenza tra torrente Milia e fiume Cornia, non molto lontano dall’area del Gualdo, corrispondente all’attuale toponimo Calzalunga; la vicina Montioni, ceduta al duca lucchese dal vescovo nell’800; Casale Episcopi, odierna Casalappi (762), lungo il corso della Corniaccia, interpretato secondo alcuni autori come l’antico corso del fiume Cornia, sottoposta, a partire dalla metà d IX-X secolo, ad un controllo alterno tra vescovo lucchese e del publicum (Tomei 2014).

115 Per una descrizione dettagliata del dato archeologico si veda Dallai et alii 2009; Ponta 2015. Si rimanda inoltre al paragrafo specifico 4.3.5 all’interno di questo lavoro.

116 Collavini 2007a.

117 Si vedano le descrizioni riportate ai paragrafi 4.3.4 e 4.3.5.

118 A questo proposito si veda quanto scritto di recente da Simone Collavini (Collavini 2018, pp. 225-226). 119 Cfr. 4.3.4 e 4.3.5.

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