3. La metodologia impiegata
3.2. Lo studio dei reperti ceramic
L’analisi delle produzioni ceramiche costituisce ormai da tempo, nella metodologia applicata all’Archeologia del Paesaggio, uno strumento pluricollaudato e di riconosciuta utilità per la comprensione della natura e della vocazione dei siti individuati, oltre che per la definizione della cronologia di occupazione degli stessi; in molti casi, essi rappresentano il discrimine nelle definizione e comprensione di tematiche complesse170.
In una seconda fase, consultando di volta in volta la documentazione archeologica pregressa (carte topografiche, schede dei siti e dei materiali ceramici), e analizzando un territorio alla volta, si è proceduto ad individuare le produzioni ceramiche comunemente considerate markers per la tarda Antichità e l’alto Medioevo; in particolare si è posta la massima attenzione alla sigillata grigia di area provenzale-narbonese, le produzioni in D di terra sigillata africana, le loro imitazioni locali, le anfore africane, orientali e le produzioni regionali, quali la cosiddetta anfora di Empoli, oltre a particolari forme di ceramica acroma quali i vasi a listello, e le ceramiche ingobbiate di rosso. Da questa prima analisi è emerso, tuttavia, come basarsi unicamente sulla presenza o assenza di questi markers potesse non essere sufficiente per cogliere ulteriori e possibili evidenze relative al periodo interessato, rischiando quindi di escludere un numero significativo di siti che si mostravano di sicuro interesse per la definizione del quadro insediativo.
Un problema intrinseco alla natura stessa del materiale proveniente da superficie, ben noto a chi si occupa di ricostruzione del paesaggio, è costituito dal compromesso stato di conservazione dei reperti, a cui si sommano il quantitativo spesso ridotto 171, un alto indice di frammentarietà e
dimensioni il più delle volte minime; questi aspetti, nel loro insieme, rappresentano sovente un limite rilevante nel risalire non soltanto alla tipologia originaria dei singoli frammenti, ma anche alla loro produzione, dal momento che in molti casi si rivela assai complicato riconoscere come tali eventuali tracce di un rivestimento o decorazione quasi del tutto svaniti dalle superfici. Per queste ragioni non sempre è stato possibile utilizzare contemporaneamente i tre macro-criteri normalmente impiegati per l’analisi dei reperti (forma, presenza/assenza di rivestimento e/o decorazione e tipologia di impasto), ma si è dovuto di volta in volta adattare la scelta in base alla parte analizzata e al relativo stato di conservazione. Nel complesso, infatti, la percentuale delle parti diagnostiche, ovvero orli e fondi, è risultata essere significativamente più esigua rispetto a quello delle pareti; escludere quindi queste ultime dall’analisi avrebbe, a nostro avviso, eccessivamente limitato il campione.
L’elevato quantitativo di pareti, riconducibili perlopiù alla classe delle acrome, ci ha indotto, dunque, a considerare con molta attenzione il criterio “impasto” effettuando un’analisi la più accurata possibile, anche se di natura autoptica: questo al fine di poter isolare le matrici riferibili alle produzioni tardoantiche ed altomedievali del territorio in questione172.
170 Cambi-Terrenato 1994, pp.174-179.
171 Per una disamina relativa alla tematica dell’analisi quantitativa dei reperti provenienti da ricognizione, e relativa affidabilità del dato archeologico da superficie, si veda Aprosio 2008, pp. 21-23, con bibliografia di riferimento.
172Siamo pienamente consapevoli che la tipologia dell’impasto sia un elemento che, se isolato, risulta debole ai fini di stabilire una cronologia assoluta, ma può altresì costituire un criterio valido per un inquadramento cronologico di massima, e assumere indiscussa validità se associato a tipologie ceramiche riconosciute.
Per poter comprendere quali siano le caratteristiche principali di tali ceramiche, non avendo a disposizione, in particolare per la tarda Antichità, molti studi puntuali nell’ambito del territorio interno o della vicina area costiera173, è stato molto utile rivolgersi a lavori svolti in anni recenti su
contesti regionali 174 e non, tenendo sempre presente che il componente primario, ovvero l’argilla,
varia sensibilmente a seconda delle aree di estrazione175. Di conseguenza, impasti di manufatti
rinvenuti in aree diverse, seppure vicine, possono assumere caratteristiche anche molto differenti che riguardano, in modo particolare, colore e natura degli inclusi, mentre la presenza di determinati elementi, la loro quantità così come la durezza dell’impasto, uniti ad alcuni fenomeni cromatici delle superfici, perlopiù imputabili ai processi di cottura, si sono rivelati essere punti in comune per i materiali coevi di diversa provenienza176. A titolo esemplificativo, si pensi al gruppo di ceramiche
acrome selezionate, provenienti dal territorio di Roccastrada, che si caratterizzano per una qualità realizzativa piuttosto buona, superfici di colore cuoio e spessa “anima” grigio- azzurro visibile in sezione, con inclusi micacei e quarzosi ben distribuiti e con diversi gradi di depurazione 177; come si
vedrà più nel dettaglio in seguito (paragrafo 4.3.17), tale impasto si trova in associazione a forme perlopiù aperte, che sulla base di confronti tipologici, sono state inquadrate da Silvia Guideri tra VI e VII secolo, datazione confermata anche dalla revisione effettuata da chi scrive. E’ interessante notare che tale impasto, indicato dalla stessa Guideri come possibile marker di una produzione locale, si ritrovi diffuso anche nel comprensorio di Monterotondo Marittimo, come ha dato occasione di osservare lo studio del materiale ceramico rinvenuto nei siti del territorio e datati al medesimo orizzonte cronologico. In quest’ottica, un ulteriore contributo è stato fornito dal confronto effettuato tra le ceramiche provenienti dal territorio monterotondino e quelle rinvenute nel castello di Cugnano178 , datate su base stratigrafica VIII-X, XI, XII e XIII secolo179. Tale 173 Questo si riscontra in misura maggiore per la tarda Antichità per la quale non esistono ad oggi studi di ceramologia editi per il territorio di Monterotondo; ad eccezione della pubblicazione dello scavo della villa di Poggio del Molino, e del monastero di S. Quirico di Populonia, che forniscono descrizioni puntuali delle produzioni ceramiche riferibili a tale periodo (DeTommaso 1998, Pagliantini-Ponta 2016, pp. 249-258), sono piuttosto esigui i dati pubblicati, a questo riguardo, su Populonia e il suo territorio (Fedeli 1983, Grassi 2006, pp.175-185). Una maggiore disponibilità di confronti è fornita, invece, per le produzioni altomedioevali provenienti da diversi contesti di scavo: per la Toscana meridionale, e in particolare per i siti del territorio monterotondino-massetano, si veda Grassi 2010; per il castello di Rocca Alberti (Monterotondo M.mo) Bianchi et alii 2012, per Cugnano, Bruttini-Fichera-Grassi 2010; per Rocchette Pannocchieschi, Grassi 2013; per Roccastrada, Guideri 2000. Per l’area costiera: Cucini 1985 (Scarlino), Cucini 1989 (Podere Aione), Russo 2018, pp. 103-107; Briano 2018, pp.115-119, Vaccaro 2018, pp. 81-99.
174 Preziosi strumenti di confronto sono costituiti dal lavoro condotto da E.Vaccaro nell’area costiera grossetana (Vaccaro 2011), dai dati provenienti dalla villa dei Cecina e dal territorio volaterrano (Donati 2012; Pasquinucci, Menchelli 2005), posti a nord della fascia da noi indagata, dalle ricerche svolte nell’area senese da M. Valenti (Valenti 1996b; Valenti 2008, nello specifico Mariottini 2008, pp. 164-174) e dallo studio eseguito da F. Cantini sulle produzioni ceramiche rinvenute nelle stratigrafie di Montarrenti (Cantini 2003), dell’ospedale Santa Maria della Scala di Siena (Cantini 2005) e dai contesti urbani di Firenze (Cantini 2007), oltre alla pubblicazione dei materiali rinvenuti negli scavi di Fiesole (Archeologia urbana a Fiesole, 1990). Quanto ai contesti extraregionali, in questa ricerca è stato ampiamente utilizzato lo studio di G. Olcese sulle ceramiche di Ventimiglia (Olcese 1993).
175 Cuomo di Caprio 2007, pp.122-132.
176 Tali analogie si evincono confrontando, ad esempio, le descrizioni e le immagini relative gli impasti dei reperti
provenienti dallo scavo di Albintimilium (Olcese 1993) o dell’“Ospedale del Santa Maria della Scala” di Siena (Cantini 2005) con quelli dei materiali da noi esaminati e datati all’età tardoantica e altomedievale. 177 Guideri 2000, p. 12.
confronto, eseguito su base autoptica, ha permesso di identificare in alcuni aspetti tecnici180 (molto
simili a quelli richiamati poc’anzi per le ceramiche si Roccastrada), e tipologici le caratteristiche principali di un gruppo di ceramiche acrome rinvenute sia nelle stratigrafie di VIII e IX secolo di Cugnano, che nel territorio monterotondino181. Il fatto che alcune forme ceramiche, inquadrabili nel
VI-VII secolo, sulla base dei confronti effettuati con altri contesti di scavo regionali ed extraregionali, presentassero le medesime caratteristiche di impasto riconosciute nelle produzioni altomedievali appena menzionate, ha indotto a valutare la possibilità che tale aspetti caratterizzanti fossero attestati già da prima, retrodatando quindi il loro terminus post quem; tuttavia la parola definitiva riguardo a questa promettente ipotesi si potrà avere solo attraverso lo studio di un campione maggiormente significativo di reperti.
In quest’ottica, le ceramiche provenienti dalle ricerche stratigrafiche condotte di recente all’interno dell’areale interessato da questa ricerca182, hanno fornito ampia disponibilità di materiale utile alla
verifica di quanto appena ipotizzato, e all’implementazione del campione ceramico da confrontare con i materiali analizzati in questa sede.
Questi aspetti hanno dunque aperto una serie di domande tra loro correlate, basate su una questione di primaria importanza, ovvero se si possa parlare di una produzione riferibile ad un unico centro artigianale, che diffonde i proprio prodotti in un raggio di medio-lunga distanza, oppure se si tratti di una caratteristica tecnica che contraddistingue le manifatture tipiche di quel periodo, prodotte in ateliers dislocati in aree diverse ma ad una scala sub-locale e riferibili forse ad un unico ambito geogragico-amministrativo. Su un gruppo di ceramiche campionate da diversi siti del territorio che presentano tali caratteristiche attualmente sono in corso analisi comparative di carattere archeometrico, finalizzate proprio alla risoluzione di questo quesito183.
L’oggettiva difficoltà di approcciarsi a reperti estremamente frammentari, pertinenti a produzioni che solo ultimamente sono divenute, per l’area populoniese, più note rispetto agli anni precedenti, è stata arginata anche grazie alla possibilità di procedere per esclusione; le varie opportunità offertemi
178 Ringrazio sentitamente la dott.ssa Francesca Grassi, a cui si deve lo studio dei reperti ceramici provenienti dal sito di Cugnano, per la disponibilità dimostrata in questo lavoro effettuato da chi scrive in occasione della propria laurea specialistica.
179 Per una sintesi aggiornata sugli scavi condotti sul sito si veda: Bruttini-Fichera-Grassi 2010. 180 Si pensi ad uno specifico tipo di impasto semidepurato caratterizzato da superfici di colore cuoio e sezione dura, di colore azzurro-viola, associato a contenitori chiusi da dispensa e, in misura minore, catini con orlo introflesso. Tali caratteristiche richiamano fortemente quelle osservate sul materiale di Roccastrada, datato tra VI e VII secolo, a cui si è fatto prima menzione. Le ceramiche che presentano tali aspetti sono inquadrabili in un arco cronologico compreso tra VI e IX secolo, e sono attestate con omogeneità tanto nei siti di entroterra delle Colline Metallifere che lungo la relativa fascia costiera. E’ su questo gruppo di impasti che attualmente si stanno svolgendo le analisi di tipo archeometrico già menzionate, volte a stabilire la provenienza delle argille impiegate (Cfr. “Le produzioni ceramiche” all’interno del capitolo 2).
181 Nello specifico, tali ceramiche sono attestate nei siti di medio-grande dimensione, quali Calzalunga, S. Regolo e Paterno (paragrafi 4.3.1.; 4.3.5; 4.3.10), per citarne alcuni, contraddistinti da una lunga occupazione antropica e stretta vicinanza alle risorse del territorio, e di cui si parlerà nel dettaglio nel capitolo 4.
182 In particolare si ricordi il contesto tardoantico del Monastero di S. Quirico di Populonia (Bianchi- Gelichi (a cura di) 2016), e quelli altomedievali, quali il castello di Donoratico (LI), e Vetricella di Scarlino, che rientra tra i siti chiave del progetto ERC nEU-Med (rispettivamente Bianchi 2004; Bianchi-Hodges (a cura di), 2018).
nel corso degli anni di studiare materiali provenienti da scavi e ricognizioni del comprensorio ha consentito infatti di ottenere una discreta conoscenza delle produzioni di epoca etrusco-romana, medievale, post medievale e rinascimentale, facilitando quindi il riconoscimento e l’attribuzione di alcune forme meno note.
Durante la fase di confronto tipologico si è scelto infine di utilizzare pubblicazioni che fossero, quando possibile, di ambito regionale e sub regionale per le ceramiche di uso comune, assicurandoci così una maggiore possibilità di riscontro nella tipologia di forma e impasti, senza prescindere, tuttavia, da lavori considerati dei punti fermi nella classificazione di singole produzioni184; questo vale ancora di più per le importazioni sia africane che narbonesi-provenzali,
per lo studio delle quali ci siamo avvalsi dei grandi lavori di sintesi effettuati nei decenni scorsi185.
Attraverso la revisione effettuata sul campione di siti, le datazioni precedentemente attribuite hanno trovato in alcuni casi una conferma, altri hanno subito una leggera finitura cronologica, ed infine, in percentuale minore, un aggiornamento più sostanziale186.
184 Si pensi agli studi di Dyson sulla ceramica comune di Cosa (Dyson 1976), o alla pubblicazione della ceramica comune dello scavo di Ostia (Pavolini 2000); le produzioni rinvenute a Luni.(Frova I973; Idem 1977); AA.VV. Atlante delle Forme Ceramiche.I.1981; Olcese 1993 per le ceramiche tardoromane e altomedievali di Albintimilium; Saguì 1998 (a cura di) per un quadro generale sulle produzioni ceramiche tardoantiche/altomedievali nel territorio italiano, e il più recente lavoro di sintesi sulle forme della crisi attestate su scala nazionale a cura Cirelli -Diosono- Patterson (a cura di) 2015.
185 In particolare, Frova (a cura di) I973; Frova (a cura di) 1977; AA.VV. Atlante delle Forme Ceramiche.I. 1985; Keay 1984 per lo studio delle produzioni anforiche africane; Bonifay 2004 per un aggiornamento sulle medesime produzioni ceramiche e anforiche africane.
186 É questo è il caso di alcuni siti, interpretati come ville, posti nella pianura di Populonia, datati in precedenza ad una generica età imperiale sulla base dei rinvenimenti di terra sigillata africana; la revisione dei frammenti pertinenti proprio a quest’ultima classe, associati ad alcune forme in acroma, ha consentito di definire con maggior precisione le datazioni, che in più di un caso si riferiscono proprio alla tarda Antichità.