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3. La metodologia impiegata

3.3. Le fonti e gli strumenti impiegat

Se come detto, lo studio dell’edito e l’analisi dei reperti ceramici hanno costituito le basi su cui impostare la ricostruzione dell’assetto insediativo e, di conseguenza, delineare le dinamiche socio- economiche intercorse tra la tarda Antichità e l’alto Medioevo, la ricerca non ha comunque potuto prescindere da altri step peculiari dell’Archeologia del Paesaggio, così riassumibili:

-analisi delle fonti storico-letterarie edite di età tardoantica/altomedievale, per delineare il contesto storico a cui riferire i dati archeologici

- real

izzazione di una piattaforma GIS come strumento di gestione ed elaborazione dei dati, utile in fase di archiviazione, di elaborazione e post processazione

- anal

isi delle anomalie rilevabili da foto aeree e da satellite impiegate come supporto allo studio delle trasformazioni più significative del territorio

-studio della cartografia storica e contemporanea integrata con l’analisi della toponomastica - Le fonti letterarie

Per quanto riguarda il primo punto, ci siamo avvalsi della lettura di prima mano di alcune opere che per cronologia e argomento potessero fornire indicazioni, o anche suggestioni, utili al completamento del quadro storico ed ambientale.

Fra questi il primo, in ordine di tempo, è il testo di Ammiano Marcellino (Res Gestae) ed in particolare il libro XIV, dove si parla della figura Costanzo Gallo; il dato per noi importante è costituito dal riferimento alla nascita dell’imperatore in Massa Veternensis scritto in poche righe (11-27)187 che tuttavia hanno offerto alcune interessanti suggestioni sulla possibile identificazione di

questo luogo con la località di Massa Vecchia, presso Massa Marittima188. Come si vedrà nella

scheda specifica del sito (4.2.11), non ci sono prove archeologiche che confermino tale ipotesi; tuttavia, le evidenze riscontrate sul sito nel corso degli anni e, in particolare, la presenza di un contesto ceramico perfettamente inquadrabile nel IV secolo, la corrispondenza del toponimo stesso, e la presenza di beni fiscali nello stesso territorio , suggeriscono cautela nell’escludere a priori tale identificazione. Dalla stessa fonte, nostro malgrado, non possiamo ricavare ulteriori informazioni puntuali, utili alla nostra ricerca.

Molti studi che già in passato si sono occupati del paesaggio tardoantico del territorio populoniese, hanno sottolineato l’apporto rilevante dato dal testo di Rutilio Namatiano. Non si è potuto dunque prescindere dalla rilettura del De reditu suo, nella versione tradotta e analizzata da Alessandro Fo189,

riservando particolare attenzione alle parti dove l’autore descrive lo sbarco a Falesia, e la sosta avvenuta presso una villa situata in un paesaggio armonioso fatto di stagni, un boschetto e vasche per i pesci (371-380), ed il giorno a seguire, l’arrivo via mare a Populonia con la visita alle rovine della città antica (399-414). Come è noto, la sosta avvenne durante il viaggio intrapreso da Rutilio via mare, da Roma verso la Gallia, nel novembre del 417 (o 415 secondo altri studiosi). L’importanza di questi pochi versi, seppure pervasi di retorica letteraria, risiede in una serie di

187 “Costanzo Gallo, nauti apud Tuscos in Massa Veternensis patre Costantio, Costantini fratre imperatori, matreque Galla”, Amm. Mar., Res Gestae, XIV, 11-27.

188 A questo proposito si veda Cucini 1985, sito n. 232, pp. 257-260.

189 Fo 2000, Fo 2003, pp. 257-270. A questo riguardo si veda anche Gelichi 1996, pp. 37-51, e il recente contributo Gelichi 2018, pp. 337-371, in particolare pp. 337-340.

riferimenti “topografici” quali la presenza di un porto (o comunque un attracco) posto nei pressi di Populonia, identificabile con Falesia, agibile anche durante i marosi tipici della stagione autunnale; una struttura di servizio, definita villa dove poter pernottare, la sopravvivenza della cinta muraria dell’acropoli di Populonia, e la presenza di un “castellum”190, visibile in cima alla rupe che sovrasta

il Golfo.

Un’altra fonte consultata direttamente è La guerra greco gotica di Procopio di Cesarea191, libri V,

VI, VII, scritti nel 541, dove viene narrata la situazione dell’Italia prima dell’inizio delle guerra tra Bizantini e Goti e successivamente, vengono descritti gli eventi legati alla guerra stessa. Dal nostro punto di vista, non ci sono riferimenti precisi al nostro territorio che possano contribuire direttamente alla definizione del quadro storico, dal momento che della Tuscia troviamo pochi e sfumati riferimenti; tuttavia ci è sembrato utile approcciarsi ad una fonte che narra di un evento coevo, che ebbe un impatto molto forte sull’assetto politico ed economico della Penisola, al fine di ottenere una visione d’insieme più ampia e completa.

Per quanta riguarda un altro importante autore, testimone della occupazione longobarda della Tuscia, ovvero papa Gregorio Magno (540 circa-604), ci siamo affidati ai lavori già editi relativi ai dialoghi da lui composti192; di particolare interesse, sempre nella nostra ottica, i passi dove il

pontefice descrive le vicende legate al vescovo Cerbone (libro III. cap.11), fuggito sull’Isola d’Elba, baluardo bizantino, quando le truppe longobarde perpetravano scorribande lungo la costa tirrenica. Un’altra testimonianza importante riguarda la fuga sull’Isola d’Elba dell’allora vescovo di Populonia, Cerbone, all’arrivo del dux crudelissimus Grimarit di Lucca, che segna per alcuni studiosi l’inizio dell’occupazione stabile dei longobardi lucchesi in questa parte della Maritima, negli anni settanta del VI secolo193. Un altro dato rilevante che si ricava da Gregorio Magno

riguarda la condizione poco soddisfacente in cui versava la diocesi di Populonia nel 591, anno a cui risale la lettera del pontefice con richiesta d’aiuto al presule della confinante diocesi di Roselle, per poter ottemperare, con l’invio del personale richiesto, alle esigenze liturgiche dei fedeli populoniesi. Riguardo infine ad un altro importante autore del periodo longobardo, ovvero Paolo Diacono, la lettura ha riguardato alcuni passi dell’Historia Longobardorum194 che trattano direttamente

dell’occupazione longobarda della Tuscia; in particolare il riferimento all’intervento militare condotto da re Alboino tra il 569 e il 572, che portò, come ben esplicitato nel testo, all’occupazione della Tuscia (libro II, capitolo 26). Come già osservato ragionevolmente da Kurze195, in relazione a

due citazioni del Liber Pontificalis di Agnello Ravennate connesse a quanto scritto da Paolo Diacono, questo passo può in realtà indicare che negli anni successivi all’arrivo in Italia dei Longobardi vennero perpetrate incursioni verso sud e quindi anche in Toscana196, con l’obbiettivo di 190 Sull’uso del termine “castello” nella letteratura tardoantica si veda quanto scritto da Alessandro Fo, che ricorda l’origine militare, una sorta di fortino difensivo, della parola stessa (Fo 2003, p. 266, in particolare nota 10).

191 La fonte è stata letta nella traduzione di Domenico Comparetti (Garzanti 2010).

192 Una attenta disamina sui passi che riguardano gli eventi ora menzionati e che rivestono quindi maggior importanza nell’ottica di questa ricerca, si veda Rossetti 1973; Kurze 1995, pp. 159-169 con bibliografia precedente.

193 Kurze 1995, pp. 163.

194 L’opera è stata letta nella traduzione italiana di Lidia Capo (Mondadori 2000). 195 Kurze1995, pp. 159-160.

certo di occuparla, ma senza plausibilmente riuscirci in maniera definitiva prima degli anni settanta dello stesso secolo.

Elementi di interesse per la nostra ricerca sono emersi anche da due opere di carattere biografico relative a S. Cerbone e S. Regolo, illustri personaggi che ebbero un impatto significativo nell’assetto politico-religioso dell’ager populoniensis tardoantico; si tratta della Passio e Transaltio

sancti Reguli, per la cui lettura, come nel già citato caso delle lettere di papa Gregorio Magno, ci

siamo affidati a lavori già editi197. Nonostante il carattere agiografico di queste opere preveda aspetti

che si discostano fortemente dal focus della ricerca, si è ritenuto utile includerle tra le fonti da consultare, al fine di ottenere ulteriori dati da incrociare con quelli di carattere storico-archeologico. Per quanto riguarda il primo testo, la Passio, si tratta di un opera tradita da manoscritti di XI secolo, la cui redazione viene fatta risalire al alla seconda metà del VII secolo198; in essa vengono narrate le

vicende dell’Archiepiscopus Africae a partire dalla sua fuga dall’Africa alla volta della Tuscia. Dalla lettura del testo si ricavano elementi utili a delineare le figure storiche di Regolo e del vescovo Cerbone, fuggito insieme al lui dall’Africa, entrambi strettamente legati alla vicende storiche che interessarono Populonia nel corso del VI secolo. La lettura escatologica di questa opera permette di apprendere che Regolo, una volta giunto in Tuscia, elesse a luogo di suo eremitaggio il comitato populoniense e, nello specifico, l’area di S.Regolo in Gualdo. Quest’opera testimonia inoltre lo stretto legame che dovette esserci tra Regolo e il suo discepolo Cerbone; al momento della morte di Regolo, avvenuta nei pressi della spelonca in cui viveva per mano degli emissari di re Totila, Cerbone e Giusto, altro vescovo fuggito con Regolo, giunsero nel luogo del suo martirio per seppellirlo. La Passio tramanda come in questo luogo venisse edificata dagli abitanti una chiesa eretta in onore di Regolo, identificata da sempre con la ecclesia sancti Reguli menzionata più volte dalla documentazione lucchese199.

La Passio delinea un orizzonte cronologico piuttosto preciso all’interno del quale è possibile collocare l’operato dell’archiepiscopus Africae nel territorio populoniese. Qui egli dovette giungere orientativamente poco prima del 523, anno nel quale si placò il conflitto tra ariani e cattolici che infuocava l’Africa e che spinse Regolo e i suoi seguaci a fuggire. È ragionevole credere che il ruolo da lui svolto all’interno del comitato di Populonia, nel quale venne affiancato dallo stesso Cerbone, non dovette limitarsi all’eremitaggio ma più probabilmente fu legato al processo di cristianizzazione di questo territorio200.

Nel testo il sepolcro di Regolo viene genericamente indicato intra Populoniae fines, ma per avere un’indicazione più precisa a riguardo è necessario rivolgersi alla seconda opera agiografica sopra menzionata, ovvero la Translatio sancti Reguli201. La sua prima redazione va collocata entro la

prima metà del IX secolo, nel periodo immediatamente successivo all’evento narrato nell’opera stessa, ovvero il trasferimento delle reliquie di S. Regolo, fino ad allora conservate nella chiesa a lui dedicata sorta in Gualdo, in quella di S .Martino di Lucca, trasferimento avvenuto tra il 778 e 781.

196 E’ doveroso precisare che il termine Tuscia, più volte citato all’interno del testo, indica un territorio decisamente più vasto rispetto a limiti odierni.

197 In particolare si veda Simonetti 1981, pp. 107-130; Susi 2005, pp. 23-66, con ampia bibliografia tematica.

198 Simonetti 1981, p. 117.

199 In merito alla documentazione lucchese si veda oltre, all’interno della stesso capitolo. Per il sito di San Regolo si rimanda al capitolo 4.3.5.

200 Garzella 1991, Eadem 1996, pp. 7-16.

Le indicazioni di carattere storico riportate da questa opera sono numerose, ma riguardano in misura minore le tematiche trattate in questo studio, le quali sono invece legate maggiormente alle conseguenze negative che il furto sacro ebbe sulla società locale, delle quali ci danno ampia testimonianza le carte del dossier di S. Regolo in Gualdo202. Tuttavia, nonostante l’evidente finalità

celebrativa della figura del vescovo lucchese Giovanni, anche da questa opera emerge con chiarezza l’ingerenza che l’episcopato lucchese esercitò progressivamente sulla chiesa di S. Regolo. Una prova concreta di ciò fu la scelta del presule Giovanni che decise di traslare a Lucca le reliquie del santo dal luogo originario della sua sepoltura, con la giustificazione di dare loro una sede più degna, dando invece un segnale molto forte della totale assoggettazione di questo territorio nell’orbita lucchese.

Un apporto che in diversi casi si è rivelato essere alquanto significativo è stato offerto, infine, dai testi del viaggiatori di età moderna e contemporanea, che specialmente per il territorio interno, descrivono un assetto insediativo per certi aspetti fossilizzato, che è presumibile credere non si discostasse troppo da quello assunto nei periodi più antichi (almeno dal Medioevo).

Rientrano tra queste le opere di due Autori che, tra la seconda metà del XVIII e i primi decenni del XIX secolo ebbero modo di visitare il territorio populoniese.

La prima delle due è libro III delle Relazioni di alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana per osservare le produzioni naturali e gli antichi monumenti di essa dal dottor Giovanni Targioni Tozzetti, pubblicato a Firenze nel 1770. Come si desume dallo stesso titolo, l’opera consente di ricavare diversi elementi utili soprattutto alla ricostruzione del paesaggio monterotondino e massetano del tardo Settecento, del quale l’autore descrive con dovizia di particolari gli aspetti naturalistici e antropici. Un esempio di questo si riscontra nelle pagine relative all’area del Frassine203, rispetto alla quale ricaviamo un quadro piuttosto preciso sulle manifestazioni termali

che, all’epoca del Targioni Tozzetti, caratterizzavano ancora intensamente questo luogo, e sulle strutture ad esse funzionali. Per questi edifici, così come per tante altre evidenze, l’autore propone cronologie e tramanda quanto riportato dalla tradizione orale. Quanto agli aspetti storici il Targioni tralascia spesso di riportare le fonti da cui attinge le proprie informazioni e pertanto il grado di affidabilità risulta per noi piuttosto limitato. Al contrario, le indicazioni naturalistiche e le distanze tra i luoghi riportate nel testo hanno trovato spesso riscontri con quanto osservato durante il survey. Un ultimo aspetto infine riguarda i tracciati stradali; dalle descrizioni dei tragitti seguiti durante gli spostamenti effettuati nel comprensorio populoniese e di quanto osservato lungo la strada, si possono delineare le direttrici viarie principali di collegamento tra l’entroterra massetano- monterotondino e l’area costiera.

Per quanto riguarda la seconda opera, si sono consultate alcune delle voci del Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana di Emanuele Repetti (1833-1835). Le informazioni in esso contenute corrispondono, nella maggioranze dei casi, a quanto riportato da Targioni Tozzetti, al quale lo stesso Repetti spesso fa rimando. Una caratteristica riscontrata nelle voci del Dizionario utilizzate è un maggior dettaglio storico, affiancato da precisazioni relative alle fonti utilizzate; nel caso soprattutto dei testi documentari, essi sono riportati per esteso nelle parti più esaustive, e per

202 Per una breve descrizione del dossier sopracitato si veda il paragrafo successivo 1.3. 2; per una lettura storica: Collavini 2007, p. 231-247.

molti argomenti viene fornita una ricca bibliografia di Autori coevi o precedenti. Il limite intrinseco di queste schede deriva dalla mancanza di indagini sistematiche effettuate sui siti interessati, da cui sarebbe stato estremamente utile poter attingere elementi di confronto con quanto riportato dalla tradizione storiografica.

Un esempio concreto per il quale l’Autore si è rivelato di indiscussa utilità riguarda la tematica dei confini del territorio populoniese, affrontata in maniera puntuale nella scheda della “Comunità di Massa Marittima” e in quella di alcuni siti fortificati quali, a titolo di esempio, “Castello di Fornoli", per Roccastrada, o“Castiglion Bernardi”per Monterotondo. Di quest’ultimo l’Autore fornisce una descrizione particolarmente dettagliata delle emergenze ancora visibili e della sua storia, sottolineando l’antica appartenenza del sito alla città di Populonia e le questioni confinali sorte, nel Medioevo, con il vescovo di Volterra. Come già osservato per l’opera del Targioni Tozzetti, le voci del Dizionario forniscono un quadro piuttosto preciso sul sistema stradale di questo territorio dei primi decenni del XIX secolo.

Le direttrici viarie e il paesaggio descritti da Repetti dovevano essere solo parzialmente trasformate dalla opere di ristrutturazione viaria avviate dal Granducato di Toscana a partire dagli ultimi decenni del XVIII secolo204; tali attività interessarono, infatti, da prima la fascia costiera

maremmana e solo successivamente le aree interne. Pertanto nelle descrizioni del Repetti è realmente possibile individuare le tracce di un paesaggio più antico, a quel tempo ancora ben conservato.

- Le fonti documentarie

Un apporto fondamentale alla ricostruzione dell’assetto socio-insedaitivo del territorio populoniese durante l’alto Medioevo, è fornito da un gruppo cospicuo di documenti, redatti tra la metà dell’VIII e il X secolo, provenienti dai fondi documentari della chiesa di Lucca205. L’approccio a questo

genere di fonti non è stato diretto, bensì mediato dalla lettura critica che degli stessi hanno fornito Roberto Farinelli206 e Simone Collavini207, i quali hanno vagliato attentamente la tale

documentazione e fornito sintesi assai preziose sulle dinamiche del popolamento e del potere locale. Da questi lavori emergono diversi aspetti che riguardano nello specifico le tematiche affrontate da questo lavoro; in primis il ruolo centrale giocato dal comprensorio dell’Alta Val di Cornia, che attualmente corrisponde al territorio di Monterotondo Marittimo, dove è doveroso ricordare che già in età longobarda esisteva una grande proprietà fondiaria di carattere pubblico, che nel tempo venne in parte disgregata e concessa a favore di committenze diverse, prima fra tutte l’episcopato lucchese. Quest’ultimo fece di S.Regolo in Gualdo il centro gestionale intorno al quale vennero organizzate le diverse proprietà acquisite, polo di riferimento territoriale per questa parte della Maritima. A sostegno del ruolo esercitato da questo luogo, Kurze evidenziava come delle 81 pergamene relative al territorio populoniense (ante XI secolo), 46 trattassero questioni relative proprio a S. Regolo208. Le carte che costituiscono questo dossier, esaminato in maniera dettagliata 204 Azzari-Rombai 1985, pp. 131-133.

205 I fondi pergamenacei lucchesi conservano più di 1000 carte per l’VIII e IX secolo, quasi altrettante per il X secolo. I documenti relativi al territorio di Populonia ammontano a 81.

206 Si fa riferimento a Farinelli 2007.

207 Si vedano Collavini 2007a, pp. 231-247, Idem 2007b, pp. 319-340. 208 Kurze 1995, pp. 163-164.

da Collavini209, si riferiscono ad una serie di donazioni di beni effettuate tra il 770 e 790 circa in

favore della chiesa di S.Regolo da parte dei possessores locali, che contribuirono fortemente ad incrementare il patrimonio, originariamente esiguo, di questa ecclesia e dello stesso vescovo lucchese.

Un aspetto altrettanto significativo che emerge dall’analisi documentaria riguarda i rapporti intercorsi tra l’episcopato lucchese e le élites locali, nei confronti delle quali si assiste ad una progressiva perdita di ruoli di controllo, a favore di esponenti lucchesi della élite diocesana. Un esempio concreto di ciò è rappresentato dalla scelta dei rettori della chiesa di S.Regolo210 che

dall’inizio del IX secolo ricadrà sempre di più entro l’orbita lucchese, escludendo ogni rapporto con gli esponenti delle aristocrazie locali.

Oltre a questo, le fonti testimoniano i mutamenti di equilibrio politico che dovettero intercorrere tra IX e X secolo nella Val di Cornia. Una prova effettiva sarebbe rappresentata dal graduale smantellamento del patrimonio di S.Regolo, avviato già nel corso del IX e reso definitivo alla metà del X secolo, che comportò fra l’altro l’ascesa di altri siti quali Calzalunga211(prima attestazione

867), inserito anch’esso nell’orbita pubblica del Gualdo del Re, come nuovo centro di riferimento territoriale. Analogalmente, lo stesso processo di ridefinizione dei poteri politici avvenuto nel corso del X secolo, è stato individuato di recente, sempre attraverso la rilettura della documentazione lucchese, da Simone Collavini per la curtis pubblica di Franciano, ovvero il più antico complesso patrimoniale di Cornino212.

Quanto alla tipologia dei documenti, si tratta di testi di carattere privato, in cui vengono indicati i nomi degli autori e dei testimoni degli atti, il luogo e la data della stipula; a questi si affiancano le indicazioni relative ai beni oggetto dei contratti, costituite per lo più da case et res, cioè dall’insieme di terre ed edifici cui faceva capo un’azienda contadina retta da un nucleo familiare213.

Le localizzazioni di queste piccole aziende si desumono generalmente dal riferimento ai macro contesti topografici nei quali rientrano, ma sono tuttavia prive di indicazioni di tipo spaziale maggiormente dettagliate. Questo tipo di fonti, per la propria natura non chiarisce se le dimore contadine fossero isolate nelle campagne o, al contrario, raggruppate in una rete di centri demici a maglie più o meno larghe214. In questo caso i dati topografici raccolti sul campo, che esporremo più

avanti215, precisano la natura topografica dei siti citati.

Nella documentazione l’unità abitativa della casa viene affiancata da altri due termini che si riferiscono ad indicazioni di carattere insediativo, ovvero casale e curtis. Con essi, generalmente, ci si riferisce a centri agricoli amministrativi, ma, come noto, la difficoltà di lettura di queste indicazioni risiede proprio “nell’individuare la concreta valenza insediativa di tali vocaboli”, utilizzati con valore diverso e che, in taluni casi, assumono significati del tutto generici, come avviene ad esempio per il termine locus216.