• Non ci sono risultati.

4. Il popolamento dalla tarda Antichità al primo alto Medioevo

4.1. La struttura del paesaggio della Val di Cornia

Il territorio costiero interessato da questa ricerca, un tempo appartenuto alla città di Populonia, in seguito alla crisi agraria del III secolo mostra chiari indizi di un processo di riorganizzazione insediativa che interessò, nella totalità dei casi, siti di antica fondazione. Si tratta di un comprensorio pianeggiante, solcato dal fiume Cornia, che in antico sfociava nella laguna interna ad oggi bonificata, e racchiuso dalle prime propaggini della Colline Metallifere.

I dati raccolti durante le indagini di superficie effettuate dai primi anni 2000223, mostrano una

marcata flessione nel numero degli insediamenti che sembra riguardare perlopiù i siti di medio- piccole dimensioni, interpretati come fattorie e relativi annessi, sorti tra la tarda età repubblicana e l’alto impero; i siti più grandi, sorti nel medesimo periodo ed interpretati come ville sulla base delle dimensioni e dei materiali associati, in un numero significativo di casi mostrano chiari segni di una stabile occupazione per tutta la tarda Antichità.

223 All’inizio degli anni 2000 prese avvio un’intensa stagione di ricognizioni archeologiche condotte nel territorio populoniese coordinate da Franco Cambi. Le indagini interessarono in un primo momento la sommità di Poggio del Telegrafo, il promontorio ed il golfo di Baratti (Dallai 2002, pp. 29-38; Botarelli- Dallai, 2003, pp. 233-250), ed erano finalizzate, in particolare, a cogliere l’organizzazione degli spazi e l’estensione della città (Cambi 2009, p. 221 con bibliografia precedente). Successivamente (2003-2006) le ricognizioni vennero estese alle aree di pianura, ovvero la bassa e media Val di Cornia, spingendosi ai limiti meridionali dell’ager populoniensis, ai confini con il territorio vetuloniese/rosellano. Queste ricerche erano mirate alla definizione degli assetti insediativi (Botarelli-Cambi 2004/2005, pp. 159-169; in ultimo Borarelli 2006, pp. 481-507) e delle principali infrastrutture (Dallai 2003, pp. 239-249; Ponta 2006, pp. 453-468), oltre alla ricostruzione del paesaggio naturale, con un focus particolare sui limiti dell’antica laguna di Piombino (Isola 2006, pp. 469-480), e la definizione dei confini della città etrusco-romana (Bacci 2006, pp. 445-454).

4.1.1. Vignale

Nello specifico, tra questi rientra il sito di Vignale, posto lungo l’attuale tracciato della SP Vecchia Aurelia, e noto dal 1831; in quell’anno, infatti, i lavori di costruzione della medesima strada intercettarono una parte delle strutture che vennero messe in relazione ad un grande complesso termale di epoca romana. Nel corso degli anni il sito venne interessato da diversi sopralluoghi, più o meno autorizzati, che avevano come fine la raccolta del materiale di superficie; tra questi le indagini condotte da Costanza Cucini per conto dell’Insegnamento di Archeologia Medievale dell’Università di Siena, nei primi anni ’80, alle quali seguirono un’analisi dettagliata della struttura topografica del sito ed una precisa scansione cronologica dei reperti rinvenuti224.

Dal 2003 il sito venne sottoposto a sistematiche campagne di scavo225 che permisero di individuare

oltre alle strutture emerse nel 1831, un deposito archeologico ingente e pluriarticolato, che si sviluppa tra l’età medio-repubblicana e l’alto Medioevo. Allo stato attuale della ricerca, che ha interessato una superficie di quasi tre ettari, le emergenze più antiche sono costituite da una fornace da ceramica e da una fattoria, mentre una lussuosa villa marittima di fine I secolo a.C., una mansio legata al tracciato della via Aurelia/Aemilia Scauri, un complesso produttivo di tegole, anfore e

224 Il survey venne condotto in corrispondenza e nei pressi dell’attuale area di scavo, e permise di delineare un complesso abitativo ampio ed articolato dotato di zone artigianali, e caratterizzato da una lunga continuità di occupazione, compresa tra l’età tardo repubblicana ed il VII secolo (Cucini 1985, sito n. 235, pp. 262- 267).

225 La ricerca inizialmente diretta da Anna Patera (MiBACT) ed Enrico Zanini, dal 2013 è stata affidata in concessione all’Università di Siena, sotto la direzione scientifica di Enrico Zanini e la co-direzione di Elisabetta Giorgi. Per una descrizione del sito e delle tematiche ad esso connesse prima dell’avvio delle ricerche stratigrafiche si veda Dallai et alii 2003, pp. 281-313.

ceramica comune, ed il complesso termale in parte già noto, si riferiscono all’età alto e medio imperiale226. Alla tarda antichità e primo alto Medioevo sarebbero invece da ricondurre una lussuosa

struttura abitativa tardoantica munita di terma, sorta dalla riorganizzazione dell’insediamento precedente, ed un sepolcreto attualmente in corso di datazione mediante analisi al C14 sui reperti osteologici227.

La presenza di una strada glareata, antecedente alla viabilità consolare, venuta alla luce durante gli scavi, avvalora l’ipotesi che questo sito abbia avuto, fin dalla suo origine, una stretto legame di dipendenza con il sistema viario. La costruzione della via Aurelia, avvenuta tra III e II secolo a.C., consolidò ulteriormente questo rapporto favorendo con ogni probabilità la trasformazione in mansio di questa struttura e la sua lunga occupazione228.

Tra le evidenze materiali più significative rinvenute per mezzo delle indagini stratigrafiche, un ruolo di fondamentale importanza è rivestito dal mosaico riferibile alla residenza tardoantica 229.

L’importanza di questo manufatto, che doveva rivestire parte della sale di rappresentanza dell’edifico, risiede in diversi aspetti; primo fra tutti il momento della sua realizzazione, avvenuta a partire dal IV secolo230, nel pieno quindi del fenomeno di riorganizzazione socio-isediativa

intercorsa dopo la crisi agraria del III secolo, a cui si è più volte fatto riferimento.

Altro punto interessante è l’origine delle maestranze impiegate, chiaramente africana, che ancora una volta sottolinea il link esistente tra questa parte della Tuscia ed il mondo delle Province mediterranee.

In ultimo, ma non meno significativo, il tema raffigurato, ovvero Aion, lo scorrere del tempo, raffigurato con una soluzione iconografica che ad ora rappresenta un unicum231. La figura discinta,

seduta su di un globo terrestre, si porrebbe infatti a cavallo tra la tradizione pagana tardo-romana e quella paleo-cristiana.

I rifacimenti che tra V e VI secolo interessarono l’intera superficie mosaicata attestano, inoltre, una buona tecnica realizzativa e la volontà di conservare un apparato decorativo che testimoni la conservazione del ruolo centrale di questo sito nelle dinamiche insediative del territorio.

226 Per una descrizione della sequenza stratigrafica del sito si veda Giorgi-Zanini 2014, pp. 23-42, Giorgi- Zanini c.s., Una residenza aristocratica nella Tuscia tardoantica, di prossima pubblicazione degli atti del Convegno CISEM tenutosi (si ringraziano gli altri per aver messo a disposizione di chi scrive il testo prima della sua pubblicazione), Giorgi 2018, pp. 83-102.

227 Le analisi su questi campioni sono attualmente in corso e vengono sostenuti dal progetto ERC nEU- Med, coordinato da Giovanna Bianchi e Richard Hodges, nell’ottica di una proficua collaborazione nella definizione del quadro storico del territorio indagato dal progetto, all’interno del quale rientra il sito del Vignale. Per quanto riguarda le linee di ricerca del progetto nEU-Med si rimanda a http://www.neu- med.unisi.it, e al volume Bianchi-Hodges 2018.

228 In merito alla ricostruzione del tracciato viario dell’Aurelia in questo territorio si veda Cambi 2002, pp.9-27; Dallai 2003, pp. 296-302; Ponta 2006, pp. 453-468, con bibliografia di riferimento. Per un approfondimento sugli aspetti legati alla nascita e sviluppo della struttura di servizio (mansio), si veda Shepherd 2003, pp. 293-296; Giorgi 2016, pp. 174-183.

229 Per una descrizione degli eventi che portarono al rinvenimento fortunato del mosaico si veda Giorgi, Zanini 2016.

230 Tale datazione è confermata dal rinvenimento nello stato di preparazione del mosaico di un follis di Costantino I, coniato probabilmente tra il 324 e 330, che costituisce quindi un sicuro terminus post quem di almeno questa parte di pavimentazione (Giorgi, Zanini c.s.).

231 Per una descrizione esaustiva del mosaico e dei suoi rifacimenti si veda: Giorgi-Zanini 2015, pp. 277- 296; Giorgi-Zanini, c.s.

Infine, significativo della trasformazione del contesto socio politico in cui questi rifacimenti avvennero è l’intervento sulla figura centrale al cui torso viene applicata, in un momento collocabile nel VI secolo, una veste, al fine di soddisfare l’esigenza di coprirne la nudità, evidentemente divenuta inopportuna.

A sostegno della lunga occupazione di questo insediamento, sono i materiali ceramici messi in luce durante le ricognizione di superficie232, che indicano con chiarezza come il sito fosse ancora

occupato per tutto il VI secolo, in linea quindi con quanto emerso di recente dallo scavo.

Come già anticipato, attualmente non ci sono dati archeologici che permettano di definire con certezza se il sito abbia conosciuto una fase di vita successiva al VII secolo e in tal caso quale fosse la sua natura; allo stato attuale dei dati archeologici editi, solo la presenza di un cimitero che per tipologia di sepolture è stato inquadrato nell’età altomedievale, potrebbe confermare l’ipotesi più volte proposta che il Vignale rientrasse all’interno della curtis di S. Vito in Cornino, e che potesse addirittura costituire il caput della curtis medesima, citata nelle fonti documentarie lucchesi a partire dalla metà dell’ VIII-IX secolo233.

Se il Vignale viene ragionevolmente considerato da tempo, per la tarda antichità, e forse anche per il primo alto Medioevo, il centro demico di riferimento per la bassa Val di Cornia, tuttavia le recenti ricerche archeologiche condotte nel comprensorio, e la revisione del materiale emerso durante le precedenti indagini di superficie, hanno consentito di individuare altre aree insediative “privilegiate”; queste, come nel caso precedente, conoscono una occupazione consistente tra l’ epoca repubblicana ed il V secolo d.C., che si spingerà in qualche caso, fino ai primi secoli dell’alto Medioevo. Ne sono un buon esempio le zone di Franciana, Macchialta e Casal Volpi, poste a breve distanza dal Vignale, in direzione nord rispetto a quest’ultimo, lungo la pianura attraversata dalla

via Aemilia Scauri.

232 Per avere un quadro più completo delle fasi tardoantiche/altomedievali bisognerà attendere lo studio dei reperti rinvenuti durante l’ultima campagna di scavo conclusa nel mese di ottobre 2018.

233 Sulla complessa questione relativa all’identificazione della curtis vescovile di S. Vito in Cornino si veda quanto sostenuto da Ceccarelli Lemut secondo la quale la corretta ubicazione della chiesa di San Vito in Cornino sarebbe Vignale Vecchio (Ceccarelli Lemut 1985, p. 23, nota 26). Simone Collavini e Paolo Tomei, che ringrazio per le informazioni con me condivise, reputano invece che S. Vito sia da collocare in

corrispondenza dell’attuale toponimo La Pievaccia (sito di cui si parlerà in seguito), presso Casavolpi, lungo l’antico tracciato della via Aurelia ed in prossimità del corso del Corniaccia e fosso Botrangolo, entrambi idronimi citati nelle fonti documentarie in relazione al Cornino. In quest’ottica Vignale andrebbe invece identificato con la villa magna citata dalla fonte altomedievale Deusdedit, a cui nell’organizzazione territoriale si sotituì la curtis pubblica di Franciana.

4.1.2. Franciana

Più nello specifico, il sito di Franciana, noto dalla metà degli anni ’80, è stato oggetto, negli ultimi decenni, di ripetuti sopralluoghi che hanno restituito percentuali significative di materiale ceramico caratterizzato da una forte diacronia, compresa tra tarda età repubblicana e la tarda Antichità; riferibili a quest’ultima fase diversi frammenti di sigillate africane da mensa (produzione D) e da cucina, tra i quali si riconoscono alcuni esemplari di piatto/coperchio Hayes 109, riconducibile per caratteristiche tecniche e tipologiche alla fase più tarda di questa produzione (pieno VII secolo). Allo stato attuale delle ricerche, le tracce archeologiche non sembrano quindi riferirsi ad un periodo successivo, nonostante le fonti documentarie lucchesi indichino il toponimo Franciana come caput

curtis di una grande proprietà fiscale attiva in Val di Cornia tra VIII e X secolo234. Sempre dalle

fonti documentarie apprendiamo che nelle pertinenze di Franciana rientrava il monastero di Santa Giulia del quale attualmente non si conosce la precisa localizzazione, ma che in base alla toponomastica attuale è plausibile collocare in un’area non distante da Franciana.

Attualmente esistono infatti un podere Santa Giulia posto a nord di Franciana in direzione Venturina, ed un secondo luogo, posto a sud, lungo il tracciato della via Aurelia, alle pendici di Poggio Pappasole.

234 Si veda da ultimo Collavini 2018, pp. 225-226 e quanto scritto nella nota precedente. Un quadro storico relativo alla curtis di Franciana e relativa bibliografia viene inoltre fornito nel capitolo 2 di questo lavoro.

La curtis di Franciana aveva tra le sue pertinenze un’ampia porzione della bassa Val di Cornia ed includeva i boschi delle colline interne, le pianure, le lagune, le peschiere, e gli approdi offerti dalle insenature costiere. Da questa grande proprietà fiscale furono nel tempo distaccate le curtes di Casalappi e di San Vito, attestate fra la seconda metà dell’VIII ed il primo trentennio del IX secolo, che vennero concesse al vescovo di Lucca; a partire da questo momento S. Vito divenne il centro di riferimento territoriale di questa parte della Tuscia235.

4.1.3. Carlappiano

Se quindi il sito di Franciana, ad oggi, non ha restituito indicazioni archeologiche che possano confermare quanto riportato dalle fonti storiche riguardo all’alto Medioevo, alcuni interessanti dati sono emersi dall’area di Carlappiano. Si tratta di un sito posto a poca distanza da Franciana, sulla duna a ridosso del mare, ai margini meridionali dell’antica area lagunare oggi bonificata, in prossimità della foce di San Martino236. Il survey effettuato nell’estate del 2016 ha restituito un

quantitativo di materiale ceramico che copre un arco cronologico ampio compreso tra l’età tardo repubblicana e i secoli centrali del Medioevo237; analogamente a quanto riscontrato su altri siti

vicini, ai fini della nostra ricerca risulta di particolare interesse la presenza di alcuni frammenti di terra sigillata africana relativi alle ultime produzioni in D238; a queste sono associati alcuni

frammenti di anfora di Empoli, e prodotti di imitazione delle medesime ceramiche africane, in particolare le forme da cucina, ascrivibili ad un orizzonte compreso tra IV e V secolo. Accanto alle produzioni tardoantiche, si trovano anche manufatti prodotti in aroma grezza e depurata, le cui caratteristiche tipologiche rimandano ad un orizzonte altomedievale. Tra i manufatti da cucina si segnalano casseruole e tegami di chiara analogia con i medesimi prodotti africani, affiancati da alcune olle in aroma grezza caratterizzate da corpo globulare ed orlo estroflesso, variamente sagomato, con l’alloggio per il coperchio; in associazione si trovano anche catini dall’orlo

236 Dallai 2018, pp. 29-32.

237 Per una descrizione dettagliata dei materiali, oggetto di studio da parte di chi scrive e di Arianna Briano, si rimanda a Briano- Ponta 2018, pp.49-52.

rientrante, realizzati in aroma selezionata, ampiamente diffusi nel territorio interno e costiero a tra VII secolo e IX secolo.

La presenza di questi materiali, seppure numericamente meno attestati rispetto ai reperti di periodo romano - imperiale e ai secoli centrali del Medioevo, testimoniano l’uso e la frequentazione di questo luogo durante la tarda antichità ed il primo Medioevo.

Nell’autunno del 2016 il sito è stato sottoposto ad indagini stratigrafiche che hanno messo in luce la presenza di un impianto di lavorazione del sale239, favorito dalla posizione stessa del luogo240. I

reperti rinvenuti permettono di inquadrare tale impianto nei secoli centrali del Medioevo241. Tuttavia

la presenza, in superficie, delle produzioni ceramiche risalenti alla tarda antichità, ci permette di ipotizzare anche per questa fase, la medesima vocazione produttiva emersa per il pieno Medioevo. La stretta vicinanza esistente tra Carlappiano e Vignale, collegati con ogni probabilità da un asse viario di cui rimane traccia ancora nel Catasto Leopoldino, e le stretta omogeneità riscontrata a livello di cronologia di occupazione e tipologia dei materiali rinvenuti, suggerisce infine la possibilità che esistesse una qualche forma di dipendenza tra i due insediamenti.

239 Lo sfruttamento del sale, ricavato dei vicini impianti costieri, sarebbe all’origine della ricchezza della curtis di Cornino/Franciano (Collavini 2018, p. 226). Le saline sono esplicitamente menzionate nelle donazioni e privilegio papale concesso al monastero di S.Quirico di Populonia del 1143 (Collavini 2016, pp. 75-76).

240 Per una descrizione delle sequenze stratigrafiche del sito e del contesto storico ed ambientale in cui esso è inserito si rimanda a Dallai et alii 2018, pp. 29-55, con bibliografia di riferimento.

241 Per quanto riguarda i rinvenimenti effettuati durante la campagna di scavo, condotta sul sito

nell’autunno del 2016, non sono state rinvenute produzioni databili all’orizzonte tardoantico-altomedievale; il contesto ceramico, uniforme ed omogeneo, è infatti inquadrabile nei secoli centrali del Medioevo. Per una descrizione dettagliata si veda Ponta-Russo 2018, pp. 40-42.

4.1.4. Casalvolpi

Ulteriori tracce di occupazione stabile di periodo tardoantico, come già accennato, sono state individuate anche nella porzione di pianura posta a nord di Franciana, lungo il tracciato dell’Aurelia.

In corrispondenza di Casalvolpi Alessandra Casini, durante le sue ricerche di superficie nei primi anni ’90 del Novecento, individuò un’estesa area di concentrazione di materiale fittile (UT 149.1, 149.2, 149.3; 150.1) caratterizzato da una lunga diacronia, ed interpretabile, sulla base della distribuzione dei materiali, come un abitato242. Le ceramiche rinvenute consentono di individuare

nella tarda età repubblicana la fase di più antica occupazione dell’area243 che prosegue senza

soluzione di continuità per tutta la tarda Antichità244; a quest’ultimo periodo si riferiscono alcune

forme molto frammentate di terra sigillata africana riconducibili per caratteristiche tipologiche e di

242 Il materiale raccolto durante il survey è stato sottoposto ad una revisione integrale da parte di chi scrive. Non è stato invece possibile localizzare con precisione le singole unità topografiche (UT), in quanto il volume della tesi consultato non era corredato da un apparato grafico sufficiente per ricavare le informazioni necessarie per questo.

243 Dal lavoro di tesi della medesima autrice si evince che in corrispondenza dello stesso toponimo Casalvolpi, al momento del sopralluogo venne identificato, a poca distanza dal sito di lunga occupazione, una seconda area di affioramento di materiale (UT 148.2) costituita da due unità abitative, classificate come “Casa 1”databili al periodo etrusco. Questo dato evidenzia come quest’area, posta in corrispondenza di un’area asciutta, ad una quota rilevata rispetto all’area acquitrinosa circostante, e servita da una viabilità terrestre precedente alla costruzione della consolare Aurelia, avesse le caratteristiche opportune a favorire un’occupazione antropica stabile ed organizzata.

impasto alla produzione D, di V-VI secolo245. A queste si possono associare per cronologia i

frammenti di verniciata di rosso, da me individuati durante lo studio, per i quali a causa dello stato estremamente frammentario di conservazione non è, tuttavia, possibile definire una tipologia, e relativa cronologia, più precisa.

Un secondo affioramento di materiale archeologico venne rinvenuto nel campo posto a circa 300 m a nord, presso Podere San Giuseppe (UT 177.1, estensione 100x100 m); l’uniformità dei materiali emersi, costituito da frammenti ceramici relativi a diverse classi misti a laterizi246, perlopiù mattoni,

con quelli individuati nel sito precedente, unito alla stretta vicinanza topografica, permette di mettere in relazione le due UT ed ipotizzarne l’appartenenza ad un unico centro insediativo. Come già osservato da Alessandra Casini, in corrispondenza di quest’ultima Unità Topografica, vennero rinvenute due concentrazioni di laterizi scorificati (UT 177.2) misti a materiale stracotto (UT 177.3), estese rispettivamente per 10x10 m e 15x15 m. Tali evidenze nel primo caso vennero interpretate come fornace da laterizi, nel secondo come una struttura di servizio ad essa collegata. La presenza della struttura produttiva avvalorerebbe dunque l’ipotesi di considerare il sito di podere San Giuseppe direttamente collegato a Casalvolpi, costituendone, con ogni probabilità, la zona artigianale.

Un dato decisamente significativo che riguarda l’insediamento individuato nei pressi di Casalvolpi è costituito dalla presenza di ceramica acroma selezionata, emersa nel nucleo principale omonimo e nei pressi di podere Prunicci, localizzato a circa 200 metri a nord rispetto alle UT di san Giuseppe appena menzionate. Le caratteristiche tecniche, di impasto e trattamento delle superfici in particolare, permettono di inquadrare queste ceramiche, perlopiù riconoscibili come brocche, nel periodo altomedievale (IX-X secolo)247. La presenza sul sito di questo tipo di materiali assume una

rilevanza particolare se letti in relazione a quanto riportato dalla documentazione scritta. Le fonti indicano, infatti, nel comprensorio del Cornino, identificabile con l’attuale bassa val di Cornia, la presenza di San Vito che, a tutti gli effetti, si delinea come il centro di riferimento territoriale del patrimonio del vescovo lucchese nella Maritima248. Gli storici hanno da tempo ipotizzato che sulla

base delle seppure labili indicazioni topografiche fornite dai documenti249 , il luogo possa essere