4. Il popolamento dalla tarda Antichità al primo alto Medioevo
4.3. La struttura del paesaggio dell’entroterra
4.3.6. Castiglion Bernard
Sulla sommità di un poggio (364 m s.l.m.) localizzato alla confluenza del torrente Risecco e del fosso La Dirota, a qualche centinaia di metri dal corso del fiume Cornia, nel comprensorio che delimita a nord la pianura del Frassine, si trovano i resti dell’insediamento di Castiglion Bernardi; quest’area costituisce la porzione centro occidentale del territorio comunale.
Nei decenni passati, il poggio di Castiglion Bernardi è stato interessato dall’impianto di un traliccio per la realizzazione di un elettrodotto che ha fortemente disturbato il sito localizzato sulla sommità; questa si caratterizza come una zona piana piuttosto ampia mentre i fianchi della altura sono molto scoscesi, ad eccezione del versante occidentale che appare regolarizzato da un sistema di terrazzamenti molto estesi che declinano verso l’area di Buca dei Falchi, dove si trova la cava di allume.
Le fonti menzionano, a partire dagli ultimi decenni dell’VIII secolo, case massaricie situate in luogo denominato “Castellione”, termine che nella documentazione altomedievale evoca spesso la presenza di antiche strutture di fortificazione, quali torri e cinte murarie451, ridotte in molti casi a
ruderi e di cui rimane, tuttavia, il ricordo nella memoria del luogo. L’identificazione di questo
Castellione con l’altura di Castiglion Bernardi, comunemente accettata, si basa su diversi elementi
riportati nei documenti, tra i quali l’associazione di questo toponimo ad altri che corrispondono
451 Farinelli 2007, scheda 27.3; per la storia del Monastero di Monteverdi e degli scavi ivi condotti si veda Francovich-Bianchi 2006, pp.346-352, con bibliografia di riferimento.
ancora oggi a luoghi situati nelle vicinanze di Castiglion Bernardi; la vicinanza di queste fortificazioni al “rio de Rota”, l’attuale botro la Dirota, e il riferimento della sua appartenenza alla vicina corte di San Regolo.
Dalle fonti scritte si apprende inoltre che Castellione e i beni posti nelle sue vicinanze, furono, almeno dagli ultimi decenni dell’VIII secolo, in parte dipendenti dal monastero di S.Pietro di Monteverdi452 ed in parte rientrarono tra le proprietà gestite dalla corte di San Regolo453, sotto il
controllo dell’episcopato lucchese, che ne detenne la proprietà fino al X secolo; alcuni atti redatti in questo periodo attestano come case e terre, poste nei pressi di Castellione, venissero concesse a livello a privati sotto corresponsione di censi. Tra queste concessioni quella stabilita nell’830 che riguardava case et res massaricie in Castillione riveste particolare interesse dal momento che nell’atto viene specificato che non è incluso “monte illo in ipso loco qui dicitur Castellione”, ovvero l’altura dove erano situate le fortificazioni con l’intento, probabilmente, di mantenere il controllo diretto proprio su quelle strutture. Queste erano ugualmente visibili e ancora riconoscibili nel 954, anno nel quale Teuperto, che anni prima aveva acquistato dal vescovo di Lucca terre contigue, ricevette in permuta dal monastero di Monteverdi beni situati “in loco et finibus ubi dicitur
Castellione”; l'atto comprendeva probabilmente la porzione di terreno, “terra quod est sterpeto”, di
circa trenta modia, su cui aveva sede un Castellione. Tale concessione venne ripetuta dal vescovo di Lucca nel 970 nei confronti del figlio dello stesso Teuperto così come avvenne nel 980 a favore del fratello del medesimo Teuperto, Gherardo454. Il rilievo assunto, probabilmente già dal X secolo, da
questo luogo nelle dinamiche dell’organizzazione territoriale, crebbe progressivamente tanto che all’inizio dell’XI secolo Castillione appare come punto di riferimento alternativo alla chiesa e curtis di San Regolo, anche per lo stesso episcopato lucchese.
La volontà di rendere tale luogo un centro demico di rilievo, e di incastellarlo, si basò, probabilmente, sulla possibilità di riusare proprio quelle strutture fortificate più volte menzionate e sulla posizione strategica delle collina su cui esse sorgevano455. L’importanza che nel X secolo
doveva rivestire il Castellione è testimoniata anche dai tentativi fatti, alla fine del secolo, dal vescovo di Lucca di riprendere il controllo su tali strutture e dalle dispute sorte per l’appartenenza della “curtis de Castelione” ora al comitato di Populonia ora alla diocesi di Volterra, sottolineando quanto questo luogo demarcasse il confine tra le due civitates456.
Nonostante la rilevanza avuta nel corso dell’alto Medioevo, riferimenti espliciti alla presenza di un villaggio accentrato e fortificato risalgono solo alla metà del XII secolo e si riferiscono, da qui in
452 In un atto del maggio 770 si legge che l’abate del monastero di S.Pietro a Monteverdi cede al rettore della chiesa di S.Regolo in Gualdo una casa massaricia situata in loco vocabuli Castellione (CDL, II, n. 239- 240, pp. 306-310: 770 maggio 24, Farinelli 2007, p. 144).
453 Risale all‘830 l’atto di concessione al livello di due case et res massaricie situate in loco et finibus Castellione fatto dal vescovo di Lucca dietro corresponsione di un censo da versare alla curtis di S.Regolo (MDL, V/2, n. 991: 893 novembre 30); tale concessione è registrata nel successivo breve de foera della chiesa lucchese(Farinelli 2000, p. 144, nota 17).
454 Farinelli 2007, scheda 27.3. 455 Idem
456 Fiumi 1943, pp. 37-40; Repetti 1835, pp. 589-590. Secondo quanto ipotizzato per San Regolo, sulla base delle considerazioni fatte da Simone Collavini (Collavini 2018, pp.224-226), è possibile che anche nel caso di Castiglion Bernardi questo rientrasse nella proprietà pubblica che gestiva il Gualdo del Re; dopo un periodo di gestione affidata al potere vescovile lucchese, nel corso del X secolo, è possibile che le strutture presenti sulla sommità, così come il luogo e le sue possibili risorse, fossero rientrate nella sfera pubblica.
avanti, a “Castellione Bernardi”, indicando con il toponimo un personaggio457, non meglio
identificabile, che dovette vantare prerogative signorili sul centro.
In ogni caso alla metà del XII secolo il monastero di Serena possedeva “la cappella sancti Michelis
de Castelione Bernardi “e la vicina “cappella sancti Reguli”, mentre si assisteva, nel medesimo
periodo, alle rivendicazione sulla metà del castello mosse dal vescovo di Volterra nei confronti del comune di Pisa, che aveva imposto in quel luogo consoli cittadini.
Intorno alla metà del XIII secolo il comune di Massa deteneva quote del castello e delle sua giurisdizione, mentre dagli anni ’60 del duecento esso appare legato alla famiglia dei Pannocchieschi, che ne detenne la proprietà fino alla sua distruzione avvenuta, per mano delle truppe pisane, nel XIV secolo458.
Le indagini di superficie condotte nell’area di Castiglion Bernardi hanno messo in luce diverse emergenze archeologiche utili alla ricostruzione della storia del popolamento di questo sito (Fi. 10); un aspetto molto interessante emerso, e in parte già conosciuto459, riguarda la diacronia di queste
evidenze che contribuisce, pertanto, a delineare una occupazione del sito stabile ed organizzata di molto precedente all’edificazione del castello.
I sopralluoghi effettuati sulla sommità, coperta da fitta vegetazione arbustiva, hanno permesso di osservare diverse emergenze murarie che consentono di ricostruire la topografia del castello (UT 112) tanto nelle ripartizioni funzionali (quali una torre, una cisterna e una calcara) quanto nella maglia insediativa interna al circuito murario, anch’esso ben leggibile; a queste si associano due aree, piuttosto estese e poste a ridosso del medesimo circuito difensivo, interessate dalla presenza di numerosi frammenti ceramici (UT 121, 122, 1508), pertinenti ad un ampio arco cronologico, compreso tra l’età tardo repubblicana e il pieno Medioevo.
Queste ultime, tuttavia, sembrano non essere propriamente in situ bensì costituite, probabilmente, da materiale di risulta proveniente dalle attività movimentazione del deposito archeologico non meglio precisabili.
Altre emergenze sono state individuate nei terrazzamenti sottostanti, attualmente adibiti ad olivete e localizzati lungo il versante sud orientale del medesimo rilievo (UT 218, 152); una di esse (UT 218) è costituita prevalentemente da materiale repubblicano misto a pochi frammenti di epoche successive; la presenza di questi ultimi è probabilmente da imputare ad azioni di dilavamento dalle UT soprastanti. Il numero significativo di frammenti ceramici di epoca romana fa invece ritenere che, in età tardo repubblicana, oltre alla sommità l’insediamento interessasse anche questo settore del poggio.
Dai livelli più bassi dello stesso versante, ad una quota compresa tra 208 e 198 m s.l.m., provengono tracce meno rilevanti di frequentazione (UT 163, 162, 164) costituite da piccole concentrazioni di materiale ceramico di diverse produzioni e laterizi, tra cui si distinguono coppi e poche tegole dall’impasto arancio- rosato ricco di inclusi di media dimensione. In questo caso l’omogeneità osservata tra le classi ceramiche rinvenute nelle UT suggerirebbe che esse non si trovino in posizione primaria e siano originate, piuttosto, da azioni di dilavamento dai livelli
457 Il toponimo Castillionis Bernardi compare in un diploma imperiale del 1 marzo 1191 e poi in un documento del 1212; non si conosce l’identità del Bernardo a cui si deve il nome ancora attuale del sito, quanto alla origine dell’antroponimo è di certo germanica, di tipo franco (Francovich Onesti 1987-88, p. 14). 458 Repetti 1835, pp. 589-590; Farinelli 2007, scheda 27.3.
superiori. Evidenze molto simili a quelle appena descritte sono state osservate ad una distanza maggiore dalla castello, circa 400 m sud-est, lungo la strada poderale che attraversa il versante orientale del poggio, e conduce al Podere Castiglioni Basso (UT 217, 143, 144), così come nei campi ad essa adiacenti 460; la particolarità di queste emergenze risiede nella presenza di laterizi
frammentati dalle superfici fortemente alterate, che suggerirebbero la presenza di attività produttive non meglio definibili461, a causa delle scarsa visibilità riscontrata al momento dei sopralluoghi.
Tracce di attività manifatturiere provengono anche dal sito principale di Castiglion Bernardi, tanto dall’area sommitale (UT 121, 122) quanto dalle pendici orientali (UT 163); nel primo caso si tratta di resti di produzione ceramica, come dimostrano le due pareti di forno, una delle quali caratterizzata dalla presenza di un orlo inglobato e stracotto. A queste si associano un frammento di minerale grezzo non trattato (cappellaccio), pezzami di porfido e alcune scorie che ad un’analisi autoptica possono essere riferibili sia a processi di riduzione di minerali ferriferi che ad attività di forgia; un frammento di minerale ferroso, accompagnato da un altro di incerta natura, proviene infine dalle quote inferiori del poggio.
La difficoltà incontrata nel definire con certezza la posizione originaria delle evidenze individuate lungo le pendici del poggio, unita alla uniformità delle produzioni ceramiche che le caratterizza, limita fortemente la possibilità di ascrivere ad un periodo certo le attività produttive sopra descritte; se per quanto riguarda la manifattura ceramica, il frammento inglobato nella parete di forno sembra riconducibile a forme medievali, per le attività di riduzione e forgia non siamo in grado di aggiungere alcuna precisazione cronologica. Tuttavia, la presenza di un numero maggiore di indicatori produttivi osservato sulla sommità rispetto alle quote inferiori, farebbe ipotizzare che tali attività si svolgessero sull’area sommitale, in un settore al momento non meglio definibile.
I materiali raccolti durante il survey presentano condizioni conservative diverse a seconda dell’area di provenienza; i reperti rinvenuti nell’area sommitale del poggio di Castiglion Bernardi, occupata dalle strutture murarie riferibili al castello, hanno dimensioni maggiori, e sia i bordi che le superfici appaiono meglio definiti tanto da consentire, in diversi casi, una precisa tipologizzazione. Per quanto riguarda i materiali provenienti dai terrazzamenti inferiori e dalle aree più orientali del poggio, soggetti ad attività agricole qui condotte per decenni, questi risultano molto frammentari e consunti tanto da renderne decisamente più complesso lo studio.
Le ceramiche più antiche sono ascrivibili anche in questo caso, alle produzione in vernice nera dell’Etruria meridionale e settentrionale (fine IV-inizi III secolo a.C.) alternati a prodotti di origine
460 Per queste evidenze decentrate rispetto al sito principale, i materiali ceramici sono, nella
maggioranza dei casi, di dimensioni modeste e poco conservati, per cui nell’insieme risulta piuttosto difficile ricavarne una datazione precisa; tuttavia la prevalenza dei frammenti è riconducibile al periodo romano, ma ad essa si affiancano altri frammenti le cui caratteristiche di impasto e forma si riferiscono alle fasi alto medievali e medievali.
461Nel caso dell'UT 217 si può ipotizzare che quanto rinvenuto, laterizi alterati e ceramica comune, sia riferibile ad una fornace da laterizi o ceramica. I sopralluoghi condotti negli anni '90 da Alessandra Casini sul poggio di Castiglion Bernardi avevano già individuato una concentrazione di scarti di fornace, laterizi e ceramica comune, messi in luce lungo il sentiero che conduce al Podere Castiglioni Basso, interpretata appunto come fornace da laterizi e da ceramica, datata al V-IV secolo a.C. sulla base dei materiali rinvenuti (Casini 1991-92, sito CM 172.1). La corrispondenza topografica con le tracce da noi individuate lascia intendere che si possa trattare della medesima evidenza, quanto alla cronologia i materiali da noi esaminati delineano un orizzonte ellenistico piuttosto che di periodo classico.
campana (II secolo a.C.). anfore greco-italiche (UT 218),numerosi frammenti di ceramica comune, da mensa e da cucina462. La fase propriamente imperiale non risulta attestata come dimostra
l’assenza di produzioni ceramiche tipiche del periodo, quali la terra sigillata italica, le pareti sottili e la sigillata africana, diversamente da quanto si registra per la tarda Antichità e il primo Medioevo, periodi ai quali sono ascrivibili diversi frammenti in ceramica acroma e rivestita.
Alla tarda Antichità datano alcune scodelle con orlo indistinto, arrotondato e leggermente introflesso (UT 121, 162), che trovano confronti precisi in contesti urbani di seconda metà VI-inizi VII secolo (Tav.6, 4)463, gli orcioli con orlo estroflesso e ingrossato a sezione triangolare (UT 121,
Tav.6, 1) diffusi in ambito regionale464 tra VI e VIII secolo, e attestati già nella seconda metà del V
nelle stratigrafie di Ventimiglia465; i grossi contenitori da dispensa con orlo a tesa orizzontale e
bordo ingrossato e arrotondato (UT 121, Tav.1, 3) presenti a Siena nella prima metà del VII secolo466, a cui si affiancano quelli con orlo molto estroflesso e indistinto (UT 122) diffusi a partire
dalla tarda Antichità fino al secolo VIII467. Ai manufatti ora descritti, caratterizzati da un impasto per
lo più semi depurato, con piccoli inclusi di calcite, duro e di colore arancio/rosa, si associano alcune anse con sezione a nastro spesso e superiormente concavo468 (UT 122, Tav.7, 5), diffuse tra seconda
metà VII-VIII secolo, e pertinenti a forme chiuse, probabilmente brocche.
Per quanto riguarda la ceramica acroma grezza, sono presenti olle con orlo estroflesso e bordo arrotondato, attestate, in contesti regionali469, nella seconda metà del VI-inizio VII secolo e
caratterizzate da un impasto duro con inclusi di calcite e quarzo, colore marrone ed evidente anima grigia in sezione. Per le sue caratteristiche tecniche l’olla sembra destinata alla cottura dei cibi su fuoco.
È probabile che alcuni dei frammenti di ceramica grezza poco caratterizzanti, rinvenuti sulla sommità e nelle aree più periferiche, data l’analogia d’impasto osservata, siano da ricondurre ad olle simili a quella sopra descritta, o ad altre tipologie di poco successive, dal momento che gli impasti sono altrettanto assimilabili con quelli provenienti dai contesti di VIII-X secolo del sito Cugnano. Tra le ceramiche verniciate, è attestato un esemplare di ingobbiata di rosso (UT 121) realizzato con un impasto piuttosto depurato e mediamente duro; si tratta di un contenitore chiuso caratterizzato da un orlo estroflesso e bordo bifido (Tav.7, 2), noto in produzioni anche acrome a partire dal V fino al
462 Tra questi si distinguono piatti, brocche e ciotole affiancati da olle e tegami (UT 218, 217, 152, 144, 122, 121).
463 Cantini 2005, tav. 6 n. 4.3, p.94; queste forme risultano prodotte in TSA D e, a Firenze, in ingobbiata di rosso la cui datazione è stata proposta al tardo IV secolo(Cantini 2006, Tav. XII, 11.1.6). 464 I confronti si riferiscono a materiali di s.m. VII-VIII secolo individuati nello scavo urbano di Siena (Cantini 2005, Tav. 10 fig. 4.36 p.98) e ad altri provenienti dal vicino territorio costiero di Scarlino
inquadrabili nello stesso periodo (Cucini 1989, Tav. II n.32). 465 Olcese 1993, Fig. 39, n. 74.
466 Cantini 2005, Tav. 9 n. 4.27
467 Nello scavo di Ventimiglia tale forma, con leggere varianti, è attribuita alle stratigrafie tardo antiche/ alto medievali indicando, con ogni probabilità, una tipologia tipica della transizione tra le due fasi
analogalmente a quanto si registra per Luni e Firenze; per quanto riguarda Siena, invece, la medesima forma viene attribuita più precisamente a stratigrafie di prima metà VII-VIII secolo. A questo proposito si veda rispettivamente Olcese 1993 pp.203-206, Frova 1977, Tav. 129.6, Cantini 2007, Tav. IV nn. 26.6, 26.20 e, per Siena, Cantini 2005, Tav. 10, n. 4.32.
468 Per un confronto preciso si veda Cantini 2005, Tav. 19, 4.106, p.106.
469 Anche in questo caso, per un confronto preciso si veda il contesto urbano di Siena (Cantini 2005, Tav. 30, n. 5.74, p. 143), dove si riscontra strettissima analogia anche per le caratteristiche di impasto.
VII secolo, e che trova confronti con esemplari prodotti con la tecnica delle colature di rosso datati alla seconda metà VII-VIII secolo470.
Le superfici esterne di alcuni frammenti riconducibili a forme aperte, probabilmente scodelle, caratterizzate da un impasto mediamente duro e semidepurato, presentano labili tracce di un rivestimento rosso, che potrebbe essere ricondotto ad una vernice o ingobbio non più conservato, pertanto è plausibile che originariamente la percentuale di ceramiche rivestite fosse maggiore di quella registrata.
Inoltre, una parte considerevole dei reperti è ascrivibile alla fase centrale del Medioevo (secoli XI- XIII), e si riferisce a vasellame da mensa/ dispensa e da cucina, realizzato in aroma depurata e grezza e successivamente, in maiolica arcaica.
Quanto descritto ci permette di proporre alcuni ragionamenti sul ruolo che questo insediamento rivestì nelle fasi precedenti alla sua trasformazione in centro castrense, avvenuta, con ogni probabilità, tra la fine del X e l’XI secolo; da questo periodo, infatti, le fonti documentarie indicano
Castillione quale punto di riferimento territoriale di rilievo, sostituito a San Regolo dallo stesso
episcopato lucchese.
Analizzando la posizione delle emergenze ritenute più significative per estensione e densità di reperti restituiti, esse sono localizzate soprattutto sulla sommità del poggio, e questo ci permette di ipotizzare che l’area preferenziale fosse, già a partire dall’età romana e tardoantica, la stessa che, successivamente, venne occupata dal castello. Nella selezione insediativa sarebbe rientrato anche il versante orientale del medesimo poggio, dove il survey ha individuato tracce significative di popolamento riconducibile in particolar modo all’epoca repubblicana (UT 218).
Per quanto attiene alle produzioni ceramiche rinvenute sulla sommità, in un’area di poco esterna alle mura (UT 121, 1508, 122), queste sono riferibili in misura maggiore alla fase di vita del castello e, in percentuale piuttosto omogenea tra loro, al periodo romano e tardoantico/altomedievale; la presenza di una densità rilevante di manufatti antichi in questa parte del sito rappresenta, a nostro avviso, un aspetto molto significativo, dal momento che potrebbe indicare una sovrapposizione tra il deposito di età classica, al quale andrebbe riferito anche un frammento di cocciopesto rinvenuto, e le strutture successive.
Per quanto riguarda le evidenze individuate lungo il pendio orientale della collina, ad eccezione dell’UT 218, della quale si è detto poc’anzi, l’ipotesi del dilavamento dai livelli superiori sembra, in mancanza di elementi confutatori, potersi adattare a queste unità topografiche all’interno delle quali i materiali ceramici sono risultati essere molto eterogenei a livello di produzioni e cronologie di pertinenza, e sostanzialmente coerenti con i reperti sommitali.
Nonostante la mancanza di una indagine stratigrafica specifica renda alcuni aspetti di questo sito meno definibili, tuttavia appare evidente come questo luogo abbia conosciuto una lunga occupazione antropica, che affonda le proprie radici nell’età repubblicana e, dopo un apparente iato
470 Cantini 2005, Tav. 50, n. 8.29, p. 189; orli simili, che sembrano imitare quelli tipici di alcune tipologie di casseruole in sigillata africana da cucina, sono attestati anche nel territorio senese, dove appaiono associati ad olle in acroma grezza assimilabili a produzioni tardoantiche di Fiesole e Settefinestre (Valenti 1991, tav 1, n. 6 , Idem 1996, pp. 81-106).
nell’età imperiale471, con la tarda Antichità torni ad essere stabilmente occupato e lo rimanga fino al
basso Medioevo.
Le evidenze che si riferiscono al periodo pre-medievale sembrano indicare un tipo di insediamento piuttosto semplice, il cui carattere abitativo emerge dalla presenza di manufatti da mensa e da cucina, per lo più di manifattura modesta, tra cui non spiccano, salvo qualche rara eccezione, manufatti verniciati e più pregevoli; nell’insieme la quantità di materiale riferibile a questa fase risulta numericamente inferiore rispetto ad altri siti individuati nel territorio circostante, ma questo aspetto può dipendere, come detto precedentemente, dalla probabile sovrapposizione con le strutture del castello; ad ogni modo, anche nel caso dell’UT posta nel primo terrazzamento (UT 218), ad alta percentuale di ceramica classica, l’estensione non risulta essere particolarmente significativa, e per quanto riguarda la tipologia insediativa, l’attestazione di materiale edilizio suggerisce che tale struttura fosse dotata di copertura in coppi e forse tegole, trovate tuttavia in percentuale minima.
Il silenzio che caratterizza la fase imperiale viene interrotto in maniera inequivocabile con la tarda