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La Convenzione di Lanzarote e il suo impatto sul sistema italiano di tutela penale dei diritti della persona

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CAPITOLO 1

LA CONVENZIONE DI LANZAROTE

1.1 I precedenti in campo internazionale e comunitario.

Affrontare oggi una riflessione sugli abusi sui minori vuol dire porre attenzione su un fenomeno, da sempre presente, nonostante possano essere mutate nel tempo le modalità e l’intensità della riprovazione sociale esercitata dalla collettività sugli autori delle violenze, ma in costante aumento, complice anche lo sviluppo tecnologico, tale da fare assumere al fenomeno dei delitti sessuali commessi a danno dei minori, specie a partire da questi ultimi anni, una incidenza sempre più allarmante.

In Italia, secondo dati recenti, i casi di abuso e di maltrattamento contro i minori sono in continua crescita, con circa 1000 denunce per violenza sessuale lo scorso anno. In circa il 70 per cento dei casi le vittime sono bambine, il più delle volte con meno di dieci anni (l’80 per cento di tutti gli abusi riguarda piccoli con meno di 14 anni). Da studi condotti in 21 paesi industrializzati circa il 36% delle donne e il 29% degli uomini dichiarano di aver subito violenza sessuale durante l’infanzia1

Lo sfruttamento e gli abusi sessuali commessi a danno dei minori costituiscono certamente un fenomeno antico. Fin dall’alba dei tempi, i bambini, gli elementi più fragili e vulnerabili di ogni società, hanno subito abusi di ogni genere: sessuale, fisico e psicologico.

Le antiche tradizioni e la stessa mitologia antica, anche classica, fanno del bambino una vittima sacrificale: il sacrificio dei primogeniti, gradito agli dei, assicurava protezione dal pericolo e dai nemici per il

1

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re o il guerriero, fertilità dei campi e abbondanza delle messi per il contadino, inviolabilità della casa2.

Solo per fare alcuni esempi celeberrimi, basta citare l’episodio di Abramo e di Isacco di biblica memoria, l’uccisione di Ifigenia da parte di Agamennone per ingraziarsi gli dei alla vigilia della spedizione per Ilio, il barbaro rituale del Tophet praticato dai popoli mesopotamici3.

Secondo le regole egizie chi generava la vita era legittimato a toglierla in virtù di un principio di proprietà-appartenenza4; nell’antica Grecia una legge consentiva agli Spartani di uccidere o abbandonare i bambini nati con deformità che li rendessero inadatti al servizio militare.

E del resto anche la pedofilia era largamente accettata e praticata, soprattutto in Grecia, ma anche a Roma.

Il legame tra un uomo libero ed un ragazzo ugualmente libero era visto nei circoli intellettuali dell’èlite culturale come la forma di amore più alta e più pura. L’erastes era l’amante, ossia colui che prendeva l’iniziativa e organizzava il corteggiamento, l’eromenion era invece l’amato5. Il ragazzo oggetto d’amore doveva essere pubere cioè avere un’età non inferiore ai 12 anni, altrimenti tale relazione veniva severamente punita. All’inizio del VI secolo a.C., Solone il legislatore,

2

Maria Stella D’Andrea, “Child Abuse: il ruolo del medico legale nell’assistenza,

nella prevenzione e nella preparazione di linee guida”, tesi di dottorato di ricerca in

scienze mediche generali e scienze dei servizi, Università di Bologna, 2012, p. 9 3

Per un riferiemnto biblico, Geremia 7,31 “Hanno costruito l'altare di Tofet, nella

valle di Ben-Hinnòn, per bruciare nel fuoco i figli e le figlie, cosa che io non ho mai comandato e che non mi è mai venuta in mente”. Si veda per un approfondimento,

Sabatino Moscati, “Il santuario dei bambini (tofet)”, Itinerari - XI, Libreria dello Stato IPZS, Roma 1992

4

Maria Stella D’Andrea, “Child Abuse: il ruolo del medico legale nell’assistenza,

nella prevenzione e nella preparazione di linee guida”, tesi di dottorato di ricerca in

scienze mediche generali e scienze dei servizi, Università di Bologna, 2012, p. 9 5

Valeria Picariello, “La pedofilia femminile”, pp. 7-8, Tesi di Laurea in Psicologia, Università degli Studi di Roma La Sapienza, 2004

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pedofilo egli stesso, aveva imposto la pena di morte da applicare a chi fosse stato sorpreso con fanciulli al di sotto dell’età pubere6.

A Roma l’uccisione del bambino commessa dalla madre era punita con la morte dalla lex Pompea de parricidiis e dalla lex

Cornelia de sicariis, ma il diritto di vita e di morte (ius vitae et necis)

era uno dei contenuti della patria potestà, secondo quanto già previsto dalla legge delle XII tavole7, assieme al diritto di vendere gli infanti8, e allo ius exponendi, ovvero la facoltà del pater familias, forse in origine limitato alle sole figlie femmine, non primogenite, di abbandonare in luogo pubblico il figlio, condannandolo a morire o ad essere raccolto da un terzo9 ; un mitico precedente a questa “tradizione” può essere rintracciata anche nella leggenda di Romolo e Remo, sottratti alla madre ed abbandonati da Amulio.

Inoltre, in tempi arcaici, l’infante nato deforme, chiamato

monstrum, ostentum, prodigium, portentum, nemmeno considerato

una persona umana, ma assimilato ad un simbolo di sventura, doveva essere soppresso, talvolta con un preciso rituale10: così stabilivano le XII tavole11.

È opinione erronea che Costantino abbia sancito per il più estremo esercizio della patria potestà la stessa pena che per il

6

ibidem 7

Cfr. Danilo Dalla, Renzo Lambertini, “Istituzioni di Diritto Romano”, Terza edizione, G. Giappichelli editore, Torino, 2006, p. 79

8

Anticamente, la vendita dei figli aveva l’effetto di renderli schiavi. L’istituto, caduto in desuetudine durante il periodo classico, ricompare in età imperiale. Per porre un freno al fenomeno, le autorità imperiali intervengono con elargizioni, ma la situazione storica di fame e miseria, fa sì che si realizzi una accettazione tacita del fenomeno onde evitare pratiche di infanticidio. Con Giustiniano (C. 4.43.2), la vendita dei figli è ancora ammessa, con l’effetto di ridurre il soggetto in schiavitù; tale disciplina era valida tuttavia solo per i neonati, in caso di estrema povertà della famiglia e con facoltà di riscatto. Cfr. Cfr. Danilo Dalla, Renzo Lambertini, “Istituzioni di Diritto Romano”, Terza edizione, G. Giappichelli editore, Torino, 2006, pp. 80-81

9

Ibid., p. 80 10

Ad esempio gli ermafroditi, come testimonia anche Plinio, venivano abbandonati in mare. Ibid., p. 50

11 Ibidem

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parricidio: soltanto a datare da Valentiniano12, dal 374 d.C., la soppressione di un bambino era considerata legalmente omicidio ed era punita con la pena capitale.

Ma è solo a partire dal periodo a cavallo tra il XIX e il XX secolo che inizia a formarsi una coscienza collettiva sull’entità degli abusi e sulle loro conseguenze devastanti sul minore che, di lì a poco, avrebbe portato alla consacrazione della condanna delle violenze nei testi giuridici internazionali.

Sulla base delle scoperte della moderna scienza medica e delle neonate scienze basate sull’esame della psiche, si arrivò a comprendere l’entità dei danni che gli abusi provocavano nelle giovani vittime.

L’esperienza negativa vissuta dal bambino maltrattato non si esaurisce infatti con la fine materiale degli abusi ai quali è stato sottoposto: gli effetti dei maltrattamenti subiti possono incidere (e solitamente, incidono) negativamente sui processi evolutivi della psiche con gravissime conseguenze per l’equilibrio della personalità13.

A conferma della dimensione non solo strettamente giuridica, ma altresì clinica, morale ed etica, di cui partecipa il disvalore insito nelle condotte delittuose di cui si tratta, può indicarsi la tendenza costante e meritevole del diritto penale contemporaneo ad una maggiore attenzione dedicata alla posizione della vittima minorenne del reato, specie in relazione alle condotte delittuose legate alla sfera sessuale, in vista di un obiettivo di maggiore tutela delle giovani vittime e di prevenzione di queste odiose forme di violenza, da un lato, e della persecuzione degli autori delle violenze, dall’altro.

12

si veda Cod. Theod., IX, 14

(http://www.treccani.it/enciclopedia/infanticidio_(Enciclopedia-Italiana)/#) 13

Per una rassegna esauriente delle nefaste conseguenze psichiche sulla vittima di abusi, si veda: Marla R. Brassard, Robert Germain, Stuart N. Hart, “La violenza

psicologica contro bambini e adolescenti”, Armando Editore, 1993; Sara Mazzaglia,

“Il «danno invisibile» nella violenza assistita da minori tra aspetti penali, civili e

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L’elaborazione degli organismi di giustizia internazionale sulle nozioni di diritti umani e crimini internazionali e le attività dei tribunali internazionali e internazionalizzati, specie negli ultimi vent’anni, hanno certamente contribuito a dedicare attenzione particolare a tutti i delitti che coinvolgono le fasce più deboli della società, tra i quali non possono non annoverarsi i minori.

La novità più importante dell’elaborazione giuridica inaugurata già a partire dall’inizio dell’ultimo secolo è stato lo spostamento dell’attenzione del legislatore da un impianto normativo pressoché del tutto polarizzato sull’autore del reato della violenza, agli aspetti legati agli interessi e alle esigenze di tutela del minore.

Già il codice penale Zanardelli del Regno d’Italia del 1889, raccogliendo la migliore eredità dei più avanzati codici preunitari, aveva dedicato specifica attenzione all’età della vittima di reati di violenza carnale e di atti di libidine violenta, seppure il disvalore del fatto scolorasse nella collocazione delle norme incriminatrici nei capi dedicati ai delitti contro il buon costume e l’ordine della famiglia14.

Ma è nel campo internazionale, nello stesso torno di anni, che si poté assistere a una prima elaborazione pattizia incentrata sulla necessità di tutela del minore come tale, avuto riguardo solo alla sua tenera età e alle sue esigenze, e non come parte dell’organismo familiare o come destinatario dell’etica statale.

Da qui la prima preparazione di una cospicua serie di strumenti internazionali dedicati, più o meno esplicitamente, alla repressione o prevenzione dei reati commessi a danno dei minori.

La prima fonte internazionale specificamente dedicata ai minori fu siglata all’Aja il 12 giugno 1902 (e ratificata, tra gli altri, dal Regno d’Italia, con regio decreto n. 523 del 12 giugno 1905) e rappresentò un deciso segnale della nuova tendenza nella considerazione dei diritti del minore in quanto tale, perlomeno nel vecchio continente (la

14

Si veda il libro II, titolo VIII “Delitti contro il buon costume e l’ordine della

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convenzione fu sottoscritta da Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Romania, Svezia, Svizzera e Ungheria), ma fu solo dopo l’esperienza della Prima guerra mondiale e della violazione sistematica che scaturì, in tale contesto, dei diritti di infanti e adolescenti, sia lungo la linea del fronte sia lontano dalle zone di combattimento, che fu compiuto un ulteriore passo in avanti nella direzione della tutela dei diritti della minore età.

La neo-costituita Società delle Nazioni, infatti, nel 1924, anche sulla spinta di organizzazioni non governative tra cui la Croce Rossa e la neonata Save the Children, approvò a Ginevra una “Dichiarazione dei diritti del fanciullo”.

L’importanza della Dichiarazione del 1924 non risiede tanto nella sua efficacia e vincolatività giuridica, rappresentando poco più di un mero impegno morale degli Stati membri della Società delle Nazioni, peraltro in una fase storica in cui i rapporti internazionali erano improntati più alla reciproca sfiducia che non all’intenzione di un cammino comune; la grande novità della Dichiarazione sta tutta invece nell’essere il primo strumento internazionale a contenere, sin dalla denominazione, il termine “diritti del minore”, diritti riconosciuti quindi a prescindere da qualsiasi altra considerazione, come peraltro precisato espressamente nel principio primo della Dichiarazione.

Altra pietra miliare della nuova concezione dei diritti del minore è rappresentata, dopo la rielaborazione dei principi della Dichiarazione di Ginevra del 1924 nella Dichiarazione adottata dalle Nazioni Unite nel 1948, dalla fondamentale Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo del 1959, che completava e riscriveva il precedente di Ginevra del 1924, inserendo, per la prima volta in uno strumento internazionale, la condanna di ogni comportamento inumano, crudele o degradante ai danni dei minori (principio nono)15, enunciato questo dal quale

15

Declaration of the Rights of the Child, Adopted by UN General Assembly Resolution 1386 (XIV) of 10 December 1959, par. 9: “The child shall be protected

against all forms of neglect, cruelty and exploitation. He shall not be the subject of traffic, in any form. The child shall not be admitted to employment before an

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certamente può farsi derivare la condanna anche delle forme di sfruttamento e abuso di natura sessuale.

La Dichiarazione del 1959 servì da spunto a molte altre fonti a carattere internazionale e sopranazionale che iniziarono lentamente a precisare l’estensione di tali diritti, enucleandone al tempo stesso le ipotesi di violazione.

Delle successive fonti che recano un qualche riferimento al settore dei reati di cui sono vittime i minori, un buon esempio è offerto dalla prima elaborazione delle istituzioni comunitarie: possono a titolo meramente esemplificativo citarsi la Risoluzione del 28 settembre 1977, n. 27 sul risarcimento alle vittime di reati violenti; la Raccomandazione del 26 marzo 1985, n. 4 sulle vittime delle violenze in ambito familiare; la Raccomandazione del 17 settembre 1987, n. 21, sulla assistenza alle vittime e sulla prevenzione della vittimizzazione;

Ma a discapito di un così ampio ed articolato framework di fonti, occorre sottolineare come si sia trattato di strumenti, purtroppo, caratterizzati da una scarsa incisività, e, più in genere, può dirsi come non si sia andati troppo al di là di mere dichiarazioni di intenti, anche in ambiti, come quello comunitario, che avrebbero dovuto mostrare una maggiore coesione normativa e una conseguente maggior facilità di applicazione, ma nel quale ambito l’utilizzo della forma della raccomandazione finiva per togliere incisività al contenuto dell’elaborato, rimettendone del tutto l’applicazione alla buona volontà dello Stato destinatario.

Del resto, è nota la reticenza ad ogni modifica strutturale della legge penale interna da parte di pressoché tutti gli Stati membri dell’Unione Europea, anche di quelli che non sono del tutto alieni alle ipotesi di armonizzazione del proprio codice penale con altre realtà16.

appropriate minimum age; he shall in no case be caused or permitted to engage in any occupation or employment which would prejudice his health or education, or interfere with his physical, mental or moral development”.

16

Valga l’esempio dell’armonizzazione dei codici penali da parte di Svezia, Norvegia e Danimarca.

(8)

Il primo grande strumento internazionale che ha, potrebbe dirsi per la prima volta compiutamente, affrontato la tematica dei diritti del minore, condannando esplicitamente tutte le forme di sfruttamento sessuale e abuso, rapimento, sottrazione, vendita e traffico nei quali siano coinvolti minori e ogni altra forma di trattamento inumano o degradante, è la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del Fanciullo del 1989.

Entrata in vigore il 2 settembre 1990, il trentesimo giorno dopo il deposito del ventunesimo strumento di ratifica presso il Segretariato Generale delle Nazioni Unite, richiamata da pressoché tutti gli strumenti nazionali ed internazionali adottati dopo la sua emanazione, la Convenzione diventa ben presto un insopprimibile punto di confronto in materia, rappresentando, all’epoca della sua emanazione, l’unico trattato universale specificamente dedicato alla materia, ed avendo adesione pressoché universale, essendo stata ratificata da ben 140 Stati ed adottata da quasi tutti i Paesi del mondo, eccettuati Somalia, Repubblica del Sudan del Sud e Stati Uniti (questi ultimi hanno in realtà siglato la Convenzione il 16 febbraio 1995, ma non l’hanno ratificata)17, con qualche distinguo proveniente da alcuni Paesi islamici per adeguare il contenuto della Convenzione alle disposizioni della shari’a (emblematica in merito è la dichiarazione rilasciata dalla Repubblica dell’Afghanistan al momento della firma, il 27 settembre 1990, “Il Governo della Repubblica dell’Afghanistan si riserva il diritto di esprimere, al momento della ratifica della Convenzione, riserve su tutte le previsioni della Convenzione che siano incompatibili con la legge della Shari’a islamica e la legislazione locale in vigore”18).

17

cfr. http://treaties.un.org/Pages/ViewDetails.aspx?src=TREATY&mtdsg_no=IV-11&chapter=4&lang=en

18

cfr. “The Government of the Republic of Afghanistan reserves the right to express,

upon ratifying the Convention, reservations on all provisions of the Convention that are incompatible with the laws of Islamic Shari’a and the local legislation in effect”

(http://treaties.un.org/Pages/ViewDetails.aspx?src=TREATY&mtdsg_no=IV-11&chapter=4&lang=en#EndDec)

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Già dal Preambolo della Convenzione, può evidenziarsi il suo carattere di continuità con tutti i maggiori strumenti internazionali di tutela dei diritti non solo dell’infanzia e della minore età, ma anche più in generale con le fondamentali fonti internazionali dedicate alla protezione dei diritti dell’uomo in quanto tale, sottolineandosi così una volta di più il definitivo superamento della vecchia concezione dei diritti dell’infanzia in funzione ancillare rispetto alle più dimensioni familiari e sociali e il conseguente riconoscimento, in capo al minore, di diritti e gli interessi a questi spettanti in quanto tale.

Si vedano come esempio di questa tendenza, il quarto capoverso del Preambolo19 della Dichiarazione in cui si afferma che “ (…) in the

Universal Declaration of Human Rights, the United Nations has proclaimed that childhood is entitled to special care and assistance.”,

o il nono capoverso del medesimo Preambolo, laddove richiamandosi esplicitamente la Dichiarazione dei diritti del fanciullo adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1959, si rileva come “the child, by reason of his physical and mental

immaturity, needs special safeguards and care, including appropriate legal protection, before as well as after birth”.

Ma è nella parte legata più strettamente alla tutela contro gli abusi che la Convenzione mostra il suo aspetto più avanzato.

Per la prima volta in un documento internazionale, e in un documento ad adesione pressoché universale, viene esplicitamente inserita la condanna ad ogni forma di abuso, anche di natura sessuale, di cui siano vittime i minori.

In particolare, l’art 19, paragrafo 1, della Convenzione, impegna tutti gli Stati firmatari ad adottare ogni misura appropriata di natura

19

si tenga presente come il Preambolo di una dichiarazione internazionale, ai sensi dell’art 31 della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati del 1969, costituisca valido strumento per l’interpretazione della stessa, non limitandosi a contenere norme meramente programmatiche e considerata, ed assuma in tal modo efficacia vincolante al pari del testo dell’accordo cui è premesso (art. 6: “The context for the

purpose of the interpretation of a treaty shall comprise, in addition to the text, including its preamble and annexes”)

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legislativa, amministrativa per proteggere il fanciullo contro qualsiasi forma di violenza, danno o abuso fisico o mentale, maltrattamento o sfruttamento, inclusa anche la violenza sessuale20, e ancora di più, l’art. 34 della Convenzione, sancisce l’obbligo di tutela di minori ed infanti ogni forma di sfruttamento sessuale e violenza sessuale, prevedendo esplicitamente, tra le condotte da perseguire, l’induzione o la costrizione a partecipare a una attività sessuale21, lo sfruttamento della prostituzione minorile22, e soprattutto lo sfruttamento dei minori per la produzione di spettacoli e materiali pornografici23.

Sull’onda dei larghi consensi goduti dalla Convenzione del 1989, la Commissione dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, durante la sua quarantaseiesima sessione, il 7 marzo 1990, con la risoluzione n. 1990/68, decise di nominare un Relatore Speciale per analizzare l’impatto della Convenzione sulle pratiche di traffico e compravendita di minori, prostituzione minorile e pornografia infantile.

I risultati delle indagini furono allarmanti: il rapporto presentato dal Relatore dott. Vitit Muntarbhorn il 14 gennaio 1994 davanti alla Commissione Diritti Umani delle Nazioni Unite segnalò come “(…)

la pornografia infantile abbia assunto carattere maggiormente transnazionale, e sia strettamente legata alla prostituzione infantile. L’avvento della nuova tecnologia solleva molte questioni riguardo

20

cfr., Treaty Series, Treaties and international agreements registered or filed and

recorded with the Secretariat of the United Nations, Volume 1577, p. 50, United

Nations, New York, 1999, “States Parties shall take all appropriate legislative,

administrative, social and educational mesures to protect the child from all forms of physical or mental violence, injury or abuse, neglect or negligent treatment, maltreatment or exploitation, including sexual abuse, while in the care of parent(s), legal guardian(s) or any other person who has the care of the child”

21

cfr. Treaty Series, Treaties and international agreements registered or filed and

recorded with the Secretariat of the United Nations, Volume 1577, p. 55, United

Nations, New York, 1999, “lett. a: “The inducement or coercion of a child to engage

in any unlawful sexual activity”

22

cfr. ibid, “lett. b: “The exploitative use of children in prostitution or other

unlawful sexual practices”

23

cfr. Ibid, lett. c, “The exploitative use of children in pornographic performances

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all’efficacia della legislazione esistente in materia”24, e pure laddove gli Stati avevano provveduto, in ottemperanza all’impegno contenuto nella Convenzione del 1989, ad adeguare le proprie legislazioni agli standard richiesti, l’efficacia delle misure da questi apprestate erano destinate a soffrire di una carenza di efficacia anche a causa del rapido progresso tecnologico, tale, a detta del Rapporto del Relatore Speciale del 1995, da porre “(…) notevoli barriere a una efficace persecuzione

dei responsabili”25.

La preoccupante dimensione raggiunta da tali fenomeni, già alcuni anni dopo l’emanazione della Convenzione del 1989, fu testimone della necessità di offrire maggiori mezzi di tutela contro tali esecrabili condotte e motivò quindi gli organismi internazionali a rafforzare gli strumenti di tutela della minore età, riprendendo e rafforzando i contenuti della Convenzione del 1989.

La necessità di attuare più concrete misure di contrasto fu l’obiettivo della Conferenza mondiale contro lo sfruttamento sessuale dei minori a fini commerciali, tenutasi a Stoccolma tra il 27 e il 31 agosto del 1996, sotto il patrocinio delle Nazioni Unite e con la partecipazione dei delegati di 122 Paesi e di organizzazioni internazionali come l’UNICEF e ECPAT (End Child Prostitution in

Asian Tourism).

La Dichiarazione Finale della Conferenza di Stoccolma, adottata al termine dei lavori della Conferenza e richiamata, tra gli altri documenti, espressamente dall’art. 1 della fondamentale legge 3 agosto 1998 n. 269 recante “Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù”26, può essere ben

24

cfr. Akdeniz Y., “Internet Child Pornography And The Law: National And

International Responses”, Ashgate Publishing Limited, Aldershot, Hampshire

(United Kingdom), 2008, p. 210 25

cfr. ibid, pp. 211-212 26

art. 1, legge 269/1998, “Modifiche al codice penale”: “In adesione ai principi

della Convenzione sui diritti del fanciullo, ratificata ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176, e a quanto sancito dalla dichiarazione finale della Conferenza

(12)

considerata la “carta madre nella lotta contro lo sfruttamento sessuale dei minorenni”27, contenendo, tra gli altri, l’importante considerazione secondo cui la violazione dei diritti dei minori costituisca una violazione di diritti di rango fondamentale (art 5). Ma vi è di più.

La Dichiarazione Finale di Stoccolma si preoccupa, per la prima volta espressamente, di escludere la rilevanza di ogni possibile causa di giustificazione alle condotte che integrano abusi e sfruttamento sessuale (art. 6), riconoscendo altresì la necessità di destinare maggiore attenzione e risorse per finanziare e sostenere atti normativi di contrasto a tali fenomeni che, seppur esistenti, si caratterizzano spesso per la scarsa efficacia ed incisività28.

Al fine di rafforzare, inoltre, la cooperazione internazionale in materia, la Dichiarazione di Stoccolma, con l’approvazione e sottoscrizione da parte di tutti i firmatari di una “Agenda per l’azione contro lo sfruttamento sessuale commerciale dei minori”, contiene numerose disposizioni dirette a creare il clima di collaborazione a livello internazionale e locale necessario per una attività di contrasto veramente efficace, seppure manchi nella Dichiarazione una norma specificamente diretta a disciplinare le pratiche di estradizione e doppia incriminazione (saranno disciplinate puntualmente a livello comunitario29).

Sulla scorta delle indicazioni sorte da Stoccolma, un ulteriore passo in avanti fu compiuto dalla comunità internazionale con i lavori

mondiale di Stoccolma, adottata il 31 agosto 1996, la tutela dei fanciulli contro ogni forma di sfruttamento e violenza sessuale a salvaguardia del loro sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale e sociale, costituisce obiettivo primario perseguito dall'Italia. A tal fine nella sezione I del capo III del titolo XII del libro secondo del codice penale, dopo l'articolo 600 sono inseriti gli articoli da 600-bis a 600-septies, introdotti dagli articoli 2, 3, 4, 5, 6 e 7 della presente legge”.

27

cfr. Helfer M., “Sulla repressione della prostituzione e pornografia minorile”, Cedam, Padova, 2007, p. 6

28

art. 10 “While laws, policies and programmes exist to counter the commercial

sexual exploitation of children, greater political will, more effective implementation measures, and adequate allocation of resources are needed to give effect to the spirit and letter of these laws, policies and programmes”

29

(13)

della Conferenza internazionale sulla lotta contro la pornografia infantile su Internet, svoltasi a Vienna tra il 30 settembre e il 1 ottobre 1999.

L’esigenza di un nuovo strumento internazionale andava rintracciata in primo luogo nell’esigenza di colmare le lacune esistenti nelle legislazioni degli Stati firmatari, proprio nelle direzioni indicate dai rapporti del Relatore Speciale, con particolare riferimento alle problematiche sorte a causa del progresso tecnologico e della diffusione generalizzata di Internet.

Gli Stati firmatari sottoscrissero quindi un programma di tolleranza zero, in tutte le giurisdizioni, nei confronti della pornografia infantile, nel più generale contesto di rafforzamento della cooperazione a livello internazionale, con la previsione, inoltre, della possibilità di punire i propri cittadini resisi colpevoli di reati ai danni di minori in altre parti del mondo, specie in quelle aree ove residuavano maggiori margini di impunità30.

Inoltre, la Conferenza di Vienna, e per la prima volta in un documento internazionale, si preoccupa di elencare le condotte che costituiscono pornografia infantile, non limitandosi a criminalizzare la fase di produzione o cessione del materiale pedopornografico, ma altresì la distribuzione, esportazione, importazione, trasmissione, possesso internazionale e pubblicità di tale materiale, al fine di evitare anche le rimostranze di alcuni Paesi, tra cui la Svezia, per le condotte al limite della punibilità31.

30

si veda a titolo di esempio il “UK’s Sexual Offences (Conspiracy and Incitement)

Act 1996”, che permette di agire anche all’estero contro i cittadini britannici che

abbiano commesso atti di violenza sessuale ai danni di minori o che abbiano anche (sezione 2) incitato o determinato un altro soggetto a commettere tali azioni, prevedendosi la punibilità a titolo di concorso, in quest’ultimo caso, anche se l’incitamento sia avvenuto tramite Internet. (cfr. http://www.legislation.gov.uk/ukpga/1996/29/contents)

31

le riserve espresse dal governo svedese riguardavano la nozione di “rappresentazione” di atti sessuali o di parti sessuali appartenenti ai minori, in quanto secondo la legislazione svedese non sarebbero punibili a titolo di pedopornografia la rappresentazione di atti sessuali compiuti da attori maggiorenni che si fingano minorenni, e sarebbe punibile al medesimo titolo non “ogni

(14)

La lezione di Vienna venne raccolta e discussa durante i lavori a margine del Secondo Congresso Mondiale contro lo sfruttamento sessuale a fini commerciali dei minori tenutosi a Yokohama (Giappone) nel dicembre del 200132.

Con oltre 3.000 delegati, inclusi i rappresentanti di 132 governi e organizzazioni internazionali33, il congresso si chiuse con la redazione di un documento nel quale si riaffermò “(…) la protezione e

promozione degli interessi e diritti del bambino che devono essere protetti da tutte le forme di sfruttamento sessuale (…)”34. Evidente l’eredità del precedente di Stoccolma del 1996, esplicitamente richiamato (art. 1), ma il congresso di Yokohama mostrò di essere anche al passo con i tempi, dedicando attenzione alle nuove dimensioni assunte dalle condotte di sfruttamento di minori e di pedopornografia a causa del progresso tecnologico (ne è anche dimostrazione il richiamo, contenuto nell’art 2, alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla Criminalità Informatica di Budapest del 2001), affermando all’art. 5 essere compito dei firmatari “ prendere

misure adeguate per fronteggiare gli aspetti negativi delle nuove tecnologie, in particolare la pornografia infantile su Internet, riconoscendo al tempo stesso il potenziale delle nuove tecnologie per la protezione dei minori dallo sfruttamento sessuale a fini commerciali, attraverso la diffusione e scambio di informazioni e

rappresentazione di atti sessuali compiuti da minori” ma soltanto “la

rappresentazione visiva” (cfr.

http://treaties.un.org/Pages/ViewDetails.aspx?src=TREATY&mtdsg_no=IV-11-c&chapter=4&lang=en)

32

i lavori di Yokohama erano in realtà stati preceduti da altri sei incontri preparatori a base regionale: a Bangkok, per l’Asia Orientale e l’Oceania, dal 16 al 18 ottobre 2001; a Rabat, per l’Africa e il Medio Oriente, dal 24 al 26 ottobre 2001; a Dhaka per l’Asia Meridionale, il 5 e 6 novembre 2001; a Montevideo per l’America Latina e l’area caraibica dal 7 al 9 novembre 2001; a Budapest per l’Europa, il 20 e 21 novembre 2001; e a Philadelphia per l’America settentrionale e il Messico il 2 e 3 dicembre 2001. (cfr. http://www.unicef.org/events/yokohama)

33

http://www.unicef.org/events/yokohama 34

cfr. “ (…) the protection and promotion of the interests and rights of the child to

be protected from all forms of sexual exploitation (…)” Yokohama Global

(15)

costituzione di reti tra i partner”35; non solo quindi, tutela contro un uso distorto e criminale della rete, ma anche un coinvolgimento positivo dei privati gestori di Internet, a fianco delle autorità pubbliche, per vigilare sulla rete e la condivisione di informazioni volte a creare informazione tra le stesse potenziali vittime.

Nonostante le ottime premesse e le valide argomentazioni, comunque, non mancarono le note negative alla Conferenza di Yokohama, di cui si fece portavoce, ancora una volta, il Relatore Speciale delle Nazioni Unite: nel rapporto del 2002 si lamentò come la conferenza avesse dimostrato gli scarsi progressi compiuti dai governi fin dal Primo Congresso Globale. Nonostante gli impegni presi nel 1996 di rispettare l’agenda di Stoccolma, infatti, il rapporto evidenziò come meno della metà dei firmatari dell’Agenda avessero attuato piani di contrasto contro lo sfruttamento sessuale dei minori, e come quelli che avevano provveduto ad adottare tali programmi, non avessero destinato risorse adeguate allo sviluppo dei piani, rendendoli

de facto poco più che un impegno meramente programmatico36.

Il decisivo passo in avanti verso la creazione di un sistema globale di tutela contro i crimini di natura sessuale a danno dei minori, fu compiuto comunque circa un anno dopo Yokohama, il 18 gennaio 2002 37 , con l’entrata in vigore del Protocollo Opzionale alla Convenzione sui Diritti dell’infanzia del 1989 sulla Vendita, Prostituzione e Pornografia dei Bambini.

Già gli art. 34 e 35 della Convenzione del 1989, tra le altre norme, prevedevano l’impegno da parte dei firmatari di attuare tutte le

35

“Take adequate measures to address negative aspects of new technologies, in

particular child pornography on the Internet, while recognizing the potential of new technologies for the protection of children from commercial sexual exploitation, through dissemination and exchange of information and networking among partners”. (http://www.unicef.org/events/yokohama/outcome.html)

36

cfr. Akdeniz Y., “Internet Child Pornography And The Law: National And

International Responses”, Ashgate Publishing Limited, Aldershot, Hampshire

(United Kingdom), 2008, p. 222 37

l’adozione del Protocollo da parte delle Nazioni Unite risaliva in realtà al 25 maggio 2000, ma l’efficacia del Protocollo era subordinata al deposito del decimo strumento di ratifica (art. 14)

(16)

misure per tutelare i minori da ogni tipo di abuso o sfruttamento sessuale, e tale impegno appare richiamato e rafforzato (l’uso del verbo inglese “shall” suggerisce la presenza di un forte obbligo più che di un impegno) nell’art. 1 del Protocollo del 2000.

Ma al di là del rafforzamento dell’impegno da parte degli Stati, il Protocollo si pone esplicitamente in funzione ancillare della Convenzione del 1989, avendo essenzialmente funzione di precisare i comportamenti vietati e punibili e i sistemi di coordinamento internazionali.

Sul primo versante, oltre a sollecitare l’adozione di più rigorosi strumenti di legislazione interna, l’art. 2 definisce esattamente le condotte di vendita, prostituzione e pornografia infantile, onde realizzare quello standard di punibilità minima che, purtroppo, da un lato le riserve di alcuni firmatari (primi fra tutti i Paesi islamici e la Svezia)38, e dall’altro la carenza di efficacia delle misure di contrasto adottate specie dagli Stati con compagini governative instabili, avevano messo in crisi già dal trattato del 1989.

Sul versante della cooperazione, invece, il Protocollo esige la più stretta collaborazione giudiziaria e di polizia, con la previsione della massima assistenza possibile sulle procedure giurisdizionali e di estradizione per i reati di prostituzione, compravendita e pornografia minorile e con l’impegno a non ostacolare le indagini di autorità di altri Stati (artt. 3 e 4).

A fianco degli strumenti internazionali assunti sotto l’alto patrocinio delle Nazioni Unite, assumono fondamentale importanza le iniziative elaborate nel contesto delle istituzioni europee.

Il processo di integrazione europea in campo penale è stato indubbiamente assai travagliato (anche se l’approvazione del Trattato di Lisbona il 13 dicembre 2007, abolendo la costruzione a pilastri dell’Unione Europea e comunitarizzando la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, costituisce un passo in avanti verso un

38

(17)

processo di integrazione anche nel settore criminale), ma la necessità di omogeneità nella punizione dei più gravi delitti ha giustificato, anche a livello comunitario, l’adozione di importanti strumenti anche nel settore degli abusi e sfruttamento sessuale a danno dei minori e della pedopornografia.

Le disposizioni dello Statuto Sociale Europeo elaborato dal Consiglio d’Europa nel 1961 (e aggiornato nel 1996), costituiscono il primo atto di presa di coscienza del grave problema dei reati di cui siano vittima i minori e il primo tentativo di affrontare tale situazione in campo comunitario, in particolare laddove lo Statuto prescrive (art. 7) il diritto degli infanti e degli adolescenti ad una protezione speciale contro i pericoli morali e fisici ai quali sono esposti, e dove prevede (art. 17) il diritto dei minori ad una appropriata tutela sociale, legale ed economica, precisando, nel sub-paragrafo 1b del medesimo articolo, l’obbligo dei governi membri di prendere tutte le misure necessarie ed appropriate per la più ampia tutela dei minori contro ogni forma di violenza o sfruttamento.

L’attiva partecipazione delle istituzioni comunitarie alle grandi Convenzioni in tema di diritti degli infanti e loro violazioni (tra cui la Convenzione del 1989 e Stoccolma 1996), giustificò ben presto il rafforzamento anche a livello comunitario degli strumenti di tutela verso i minori. Fu il Parlamento Europeo, in questa prima fase, che si assunse il compito di elevare tali standard di tutela39, con la risoluzione del 6 novembre 1997 sulla protezione dei fanciulli e dei loro diritti, che, mentre nel suo art. 5 condanna “(…) senza riserve lo

sfruttamento sessuale dell'infanzia, gli abusi di vario tipo commessi sui bambini e la loro degradazione a oggetti sessuali e a merce commerciale40” oltre a chiedere “(…) il divieto totale di produzione,

39

per la verità l’iniziativa del Parlamento Europeo era stata preceduta dalla Raccomandazione n. R (9) 11 sullo sfruttamento sessuale dei minori, la pornografia minorile, la prostituzione minorile nonché la tratta di bambini e adolescenti, adottata dal Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea il 9 settembre 1991

40

http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:51997IP0954: IT:HTML

(18)

commercializzazione, trasporto e possesso di ogni tipo di materiale che inviti ad abusare sessualmente dei fanciulli”41, contiene, nel successivo art. 7, l’importante novità dell’impegno agli Stati membri di “(…) di adottare disposizioni in materia di procedimenti penali a

carico degli organizzatori turistici che reclamizzano il turismo sessuale nonché degli utenti di tale tipo di servizi”42.

L’attenzione ai problemi sollevati dal turismo sessuale rappresenta infatti uno dei settori in cui maggiormente si sono impegnate le istituzioni comunitarie, all’avanguardia in questo campo anche rispetto alle istituzioni internazionale, e tale tendenza si può ben cogliere nella successiva “Risoluzione del Parlamento europeo sulla comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni sull’attuazione delle misure di lotta contro il turismo sessuale che coinvolge l’infanzia” del 30 marzo 2000.

La risoluzione in commento, dopo la prima, fondamentale considerazione che “(…) il turismo sessuale che coinvolge l’infanzia è

divenuto un problema sempre più grave nel corso dell’ultimo decennio, poiché la diminuzione dei prezzi nel settore dei trasporti ha reso possibile per chiunque recarsi in vacanza all’estero, aumentando così la disponibilità a viaggiare; che le persone che si trovano in un paese straniero, in una località non familiare, possono agire in completa anonimità e convincersi più facilmente che l’abuso di minori sia meno riprovevole in virtù del diverso contesto socioculturale e che i valori morali del paese d’origine non abbiano lì la stessa validità”43, esorta gli Stati membri a dotarsi di strumenti di legislazione interna diretti a perseguire e punire le iniziative di turismo sessuale, per un verso, e per l’altro, sottolineando “(…) la necessità che l’Unione

europea e gli Stati membri potenzino i loro sforzi nella lotta contro lo

41

ibidem 42

v. art 7, risoluzione 6 novembre 1997 43

(19)

sfruttamento e il turismo sessuale che coinvolge i minori (art. 6)”44

contiene un forte richiamo all’adozione di una comune politica di contrasto e al rafforzamento della cooperazione tra Stati membri.

Parlando di fonti comunitarie, un deciso passo in avanti la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla Criminalità Informatica siglata a Budapest, il 23 novembre 2001, di importanza fondamentale anche perché ratificata non solo dagli (allora) 26 Stati membri del Consiglio d’Europa, ma altresì da Stati Uniti, Canada, Repubblica Sudafricana e Giappone, assumendo in tal modo carattere più internazionale che comunitario, oltre a costituire, attualmente, l’unico trattato internazionale che tutela la libertà, la sicurezza, e più in generale i diritti umani online.

La novità della Convenzione di Budapest è legata alla specifica attenzione alle condotte criminose attuate, oltre che nelle tradizionali forme dello sfruttamento sessuale e della prostituzione minorile, anche tramite l’uso delle nuove tecnologie digitali e della rete, come nel caso delle condotte di grooming 45 e di condivisione, detenzione e commercio di materiale pedopornografico.

Nella Convenzione si tiene conto di questo secondo aspetto in particolare nell’art. 9, intitolato appunto “Reati relativi alla pornografia infantile”, nel quale si dà una definizione precisa delle condotte costituenti pornografia infantile, specificandosi tuttavia che l’età tutelata in materia è quella inferiore ai diciotto anni, pur prevedendo (art. 9, comma 3), sorprendentemente, che uno dei firmatari possa richiedere un limite di età inferiore, seppur mai inferiore ai sedici anni46. E si tratta, in questo caso, di una previsione

44 ibidem 45

per una definizione accurata di grooming si veda ad esempio il titolo 18, paragrafo 2422, lettera b, del Code of Laws of the United States of America: “Chiunque,

usando la mail o altro mezzo (…) volontariamente persuade, incita, adesca, o costringe un individuo che non ha raggiunto l’età di 18 anni a prendere parte ad atti di prostituzione o ad attività sessuali (…)”

46

cfr. Helfer M., “Sulla repressione della prostituzione e pornografia minorile”, Cedam, Padova 2007, p. 8

(20)

davvero inspiegabile, dato che in tutti gli strumenti internazionali in materia prevedono come discrimine l’età di diciotto anni.

L’evoluzione della disciplina comunitaria in tema di abusi su minori e pornografia infantile non si poteva comunque dire conclusa con l’entrata in vigore della Convenzione di Budapest.

Con la decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, veniva introdotto il “mandato di arresto europeo”, definito, all’art. 1, come “una decisione giudiziaria emessa

da uno Stato membro in vista dell’arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro di una persona ricercata ai fini dell'esercizio di un’azione penale o dell’esecuzione di una pena o una misura di sicurezza privative della libertà”, senza aver riguardo alla doppia

incriminazione per i reati per i quali è prevista la pena della reclusione pari o superiore a tre anni, e per una serie di delitti, elencati nell’art. 2, comma 2, tra i quali figurano lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia infantile, la violenza sessuale, la tratta di persone.

L’inserimento delle condotte delittuose di cui siano vittime i minori fra i reati per i quali non è previsto l’obbligo di doppia incriminazione, è un segnale evidente di come queste siano ipotesi di reato considerate di particolare allarme e per le quali le istituzioni comunitarie richiedano maggiore incisività nelle attività di prevenzione e repressione, anche data la loro tendenza ad assumere un carattere sempre più transnazionale, che esige quindi una reazione preventiva e punitiva non più lasciata all’iniziativa della singola realtà locale.

Il 2004 è stato un “anno fondamentale” nella lotta contro le condotte criminali dirette contro i minori in ambito europeo47.

La decisione quadro 2004/68/GAI del Consiglio dell’Unione Europea si colloca, come recita il secondo “considerando”, nel quadro

47

cfr. Leone S. (a cura di), “L’innocenza tradita. Pedofilia: il punto sulla questione”, Città Nuova Editrice, Roma, 2006, p. 105

(21)

delle auspicate “ (…) ulteriori iniziative legislative volte a dirimere le

divergenze nelle impostazioni giuridiche degli Stati membri ed a contribuire allo sviluppo di una cooperazione efficace, a livello giudiziario e di applicazione delle leggi, nella lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile”48.

Per quanto concerne i contenuti, dopo aver circoscritto le nozioni di reati relativi allo sfruttamento sessuale dei bambini (art. 2)49, senza rilevanti novità rispetto ai precedenti strumenti, la decisione quadro 2004/68/GAI rivela il suo carattere più avanzato nella definizione di pornografia infantile (art. 3), prevedendo, per la prima volta, la rilevanza penale anche delle ipotesi di pornografia apparente (materiale che ritrae persone reali che sembrano essere minori) e pornografia virtuale (immagini virtuali di minori)50.

Di grande novità, inoltre, la previsione di una minima soglia sanzionatoria di cinque-dieci anni di reclusione (art. 5, comma 2), oltre che della responsabilità delle persone giuridiche che abbiano tratto vantaggio dalle condotte criminose in commento (art. 6, comma 1).

Occorre infine considerare come, contenendo una serie di disposizioni finalizzate, oltre che a esigenze specificatamente preventive, anche a realizzare e rafforzare quella collaborazione tra

48

http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2004:013: 0044:0048:IT:PDF

49

Articolo 2, Reati relativi allo sfruttamento sessuale dei bambini:

“Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie affinché sia punibile come

reato la condotta intenzionale di chi:

a) costringe un bambino alla prostituzione o alla produzione di spettacoli a carattere pornografico, ne trae profitto o lo

sfrutta sotto qualsiasi forma a tali fini;

b) induce un bambino alla prostituzione o alla produzione di spettacoli a carattere pornografico;

c) partecipa ad attività sessuali con un bambino, laddove: i) faccia uso di coercizione, forza o minaccia;

ii) dia in pagamento denaro, o ricorra ad altre forme di remunerazione o compenso in cambio del coinvolgimento del bambino in attività sessuali; oppure

iii) abusi di una posizione riconosciuta di fiducia, autorità o influenza nel bambino”

50

cfr. Helfer M., “Sulla repressione della prostituzione e pornografia minorile”, Cedam, Padova, 2007, p. 15

(22)

Stati membri più volte invocata ma mai del tutto raggiunta, la decisione quadro 2004/68/GAI miri a giungere, per tale via, a una progressiva omogeneizzazione del diritto penale, tendendo alla costruzione di un diritto penale europeo minimo, costituito da disposizioni comuni a tutti gli Stati membri in materia di giurisdizione e esercizio dell’azione penale.

Sotto questo aspetto, la decisione quadro in commento può dunque agevolmente essere considerata come un primo importante esempio della auspicata tendenza di comunitarizzazione del diritto criminale51.

Il passo successivo è stato compiuto in sede di Consiglio d’Europa, durante il terzo incontro dei Capi di Stato e Governo del Consiglio d’Europa del maggio 2005 in Varsavia.

In tale occasione fu dichiarato espressamente come la tutela dei minori rappresentasse un obiettivo primario e fondamentale per le istituzioni europee, e fu elaborato un Piano da forti contenuti programmatici: “Noi prenderemo iniziative specifiche per sradicare

tutte le forme di violenza contro i bambini. Noi decidiamo perciò di lanciare un programma di azione triennale per interessare gli ambiti sociale, legale, sanitario e scolastico sulle varie forme di violenza contro i bambini. Ci impegniamo altresì ad elaborare misure per fermare o sfruttamento sessuale dei bambini, incluse misure legali se necessario, e a coinvolgere la società civile in questo processo”52.

Sulla base della dichiarazione di Varsavia, il Consiglio d’Europa lanciò il programma “Building a Europe for and with Children”

51

Per la definizione del processo di comunitarizzazione del diritto penale, v. Mantovani F., “Diritto penale. Parte generale”, Cedam, Padova, 2011, p. 973 “Con

l’attenuarsi dl rigido concetto di sovranità e l’avvicinamento politico-ideologico, nell’ambio dei gruppi di Stati politicamente omogenei si sono sviluppate nuove forme “regionali” di collaborazione ed integrazione internazionale. Ciò in particolare si è verificato tra gli Stati europei dopo la seconda guerra mondiale, anche nella prospettiva di un diritto penale europeo comune, le cui scaturigini risalgono attraverso il positivismo, l’illuminismo, ed il rinascimento fino alla dottrina del diritto penale comune dell’alto medioevo”

52

richiamato in Council of Europe Convention on the Protection of Children against Sexual Exploitation and Sexual Abuse, Explanatory Report, par. 24

(23)

(Costruendo un’Europa per e con i bambini), nel quale il Consiglio d’Europa si sarebbe impegnato a registrare i progressi ottenuti dai Piani strategici adottati sotto la sua egida, oltre che a prender nota delle istanze provenienti dalla società civile e dalle autorità nazionali e locali, al fine di eliminare ogni forma di violenza a danno dei bambini, garantire i diritti fondamentali dei minori, e promuovere la partecipazione dei minori medesimi all’interno di processi educativi specificamente a loro destinati, nel quadro di una nuova gestione di servizi maggiormente orientati alle loro esigenze (child-friendly)53.

Questa dunque la situazione a livello internazionale e comunitario: da un quadro frammentario e di articolato coesistere di fonti di rango diverso e generalmente caratterizzate da una incidenza ed efficacia di tenue rilevanza, si è giunti in un primo tempo al riconoscimento di “diritti del minore” in quanto tali, passando in un secondo momento alla protezione di tali diritti secondo una sfera di tutele via via sempre più incisive, con l’enucleazione sempre più precisa delle condotte criminali a danno di infanti e adolescenti.

L’altra tendenza, caratteristica dell’evoluzione del sistema di tutela in favore dei minori, è stato il passaggio da un sistema in cui le azioni penali erano lasciate pressoché totalmente all’iniziativa dei singoli Stati, alla creazione, in sostanza, di una giurisdizione quasi universale (o perlomeno interstatale), attraverso il riconoscimento generale della perseguibilità dei reati fra i più odiosi ed esecrabili, in un clima di cooperazione e collaborazione sempre più stabile e generalizzato.

Tutto era pronto per un ulteriore passo in avanti.

53

(24)

1.2 La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione dei bambini contro lo sfruttamento sessuale e gli abusi sessuali: i contenuti

Il 25 ottobre 2007, in occasione della ventottesima conferenza dei Ministri della Giustizia europei di Lanzarote, si apriva alle firme, dopo i lavori iniziati dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 12 luglio dello stesso anno, la “Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione dei bambini contro lo sfruttamento sessuale e gli abusi sessuali”.

Da quella data ad oggi ventinove Paesi, non solo appartenenti all’Unione Europea, hanno ratificato la Convenzione e altri diciassette l’hanno sottoscritta pur senza depositare strumento di ratifica54.

La Convenzione strumenti si pone in linea di continuità dei molti, importanti, strumenti internazionali che l’avevano preceduta, raccogliendone la più feconda eredità, ma con il dichiarato scopo di

“(…) contribuire efficacemente al comune scopo di proteggere i bambini contro lo sfruttamento sessuale e l’abuso sessuale…”55

tramite il definitivo superamento delle resistenze nazionali con la realizzazione di una più efficace cooperazione tra i Paesi membri della Convenzione, con l’ulteriore fine, richiamato simbolicamente nel primo capoverso del Preambolo di “ottenere una più grande unità”.

54

la situazione è aggiornata al 26/11/2013; i Paesi che hanno ratificato la Convenzione sono: Albania, Austria, Belgio, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Danimarca, Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, Federazione Russa, Finlandia, Francia, Grecia, Islanda, Italia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Moldavia, Montenegro, Portogallo, Paesi Bassi, Romania, San Marino, Serbia, Slovenia, Spagna, Svezia, Turchia, Ucraina. Hanno firmato ma non ratificato la Convenzione: Andorra, Armenia, Azerbaijan, Cipro, Estonia, Georgia, Germania, Gran Bretagna, Irlanda, Lettonia, Liechtenstein, Principato di Monaco, Norvegia, Polonia, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Federazione Russa, Slovenia, Svezia, Svizzera, Ungheria. Fonte: Ufficio dei Trattati, (cfr. http://conventions.coe.int) 55

cfr. Council of Europe Convention on the Protection of Children against Sexual Exploitation and Sexual Abuse, Preamble: “Determined to contribute effectively to

the common goal of protecting children against sexual exploitation and sexual abuse, whoever the perpetrator may be, and of providing assistance to victims”

(25)

Del resto, l’efficacia degli strumenti internazionali che aveva preceduto Lanzarote era purtroppo andata poco al di là della, pur fondamentale, attività di prima individuazione delle condotte punibili e delle loro circostanze, come lamentato dagli organismi internazionali incaricati della vigilanza dei programmi a tutela dei minori56.

Da qui può quindi agevolmente trarsi come l’obiettivo primario della Convenzione di Lanzarote, esplicitamente richiamato dal Preambolo, sia quello di individuare nuovi e più efficaci strumenti di contrasto ai reati di sfruttamento e abuso sessuale e pedopornografia, oltre che di rafforzare la protezione dei minori contro tali odiose condotte, non limitandosi quindi a prescrivere un’azione esclusivamente punitiva, ma anche attivando, in chiave decisamente generalpreventiva, criteri e misure legislative e regolamentari comuni, con carattere di vincolatività per tutti i firmatari, i quali si sono impegnati ad armonizzare i propri ordinamenti penali, prevedendo modifiche alla propria legislazione interna ove contrastante con i principi contenuti nella Convenzione.

E il metodo utilizzato allo scopo di conseguire questi importanti obiettivi da questo fondamentale strumento internazionale si traduce nel rivolgere ai legislatori degli Stati firmatari dei decisi moniti57 affinché questi possano adottare con la maggiore sollecitudine possibile le misure stabilite dalla Convenzione.

Procedendo a un’analisi dei contenuti della Convenzione di Lanzarote, occorre soffermarsi in primo luogo sulla norma di apertura che, rubricata “Finalità”, costituisce una sorta di manifesto programmatico dell’intero strumento, illustrando, con una completezza di cui davvero si sentiva la mancanza nei precedenti atti

56

vedere supra 57

particolarmente significativo, dal punto di vista anche linguistico, l’utilizzo del verbo “shall” nella versione inglese della Convenzione, verbo che indica una prescrizione obbligatoria in cui rilevano sia la dimensione morale che quella giuridica.

(26)

internazionali, gli scopi sottesi non solo e non tanto a questa Convenzione, ma all’attività di mediazione internazionale di più di mezzo secolo, e cioè “prevenire e combattere lo sfruttamento sessuale e l’abuso sessuale dei minori” (art. 1, comma 1, lettera a), “proteggere i diritti dei minori vittime di sfruttamento sessuale e abuso sessuale” (lettera b) e “promuovere la cooperazione nazionale ed internazionale contro lo sfruttamento sessuale e l’abuso sessuale dei minori” (lettera c).

In accordo con il Rapporto Esplicativo della Convenzione, è necessario non sottovalutare la prospettiva della tutela dei diritti (di cui alla lettera b) che sembra posta quasi in subordine alle prospettive di prevenzione e repressione di cui al capoverso precedente; la norma in commento va infatti letta in stretta correlazione con quella dell’articolo 2, intitolata al “Principio di non discriminazione”58, che vieta ogni genere di discriminazione, in particolare nel godimento dei diritti speciali di tutela e prevenzione che la Convenzione offre.

Occorre considerare come la questione della non discriminazione sia infatti una delle problematiche maggiormente dibattute in ambito europeo ed internazionale. In particolare, il principio di non discriminazione, espresso all’art. 14 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali del 195059, è stato oggetto di numerose pronunce, talvolta discordanti, della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, fino definire una differenza di trattamento come discriminatoria se “(…) non ha giustificazioni obiettive e ragionevoli,

58

Art. 2, Non-discrimination principle: “The implementation of the provisions of this

Convention by the Parties, in particular the enjoyment of measures to protect the rights of victims, shall be secured without discrimination on any ground such as sex, race, colour, language, religion, political or other opinion, national or social origin, association with a national minority, property, birth, sexual orientation, state of health, disability or other status”.

59

Art. 14, Prohibition of Discrimination: “The enjoyment of the rights and freedoms

set forth in this Convention shall be secured without discrimination on any ground such as sex, race, colour, language, religion, political or other opinion, national or social origin, association with a national minority, property, birth or other status”.

(27)

ossia se non persegue un obiettivo specifico o se non c’è un ragionevole nesso di proporzionalità tra i mezzi impiegati e gli scopi che si è tentato di realizzare”60.

Si insiste nell’indicare la nozione di non-discriminazione correntemente adottata dagli organi internazionali, per rilevare la perfetta compatibilità dell’art. 2 della Convenzione di Lanzarote con tale principio. Tuttavia, proprio durante i lavori di formulazione, la norma in commento era stata oggetto di alcune istanze, provenienti da alcuni dei negoziatori, e di cui si conserva una traccia nel Rapporto Esplicativo (par. 43), dirette ad integrare la nozione di non-discriminazione accolta dalla CEDU anche dal punto di vista dello stato di salute (il riferimento era in particolare alla problematiche sorte dal contagio del virus HIV a seguito di una violenza 61 ) e dell’orientamento sessuale (pur essendo la Convenzione indirizzata ai minori, la nozione di minore degli anni diciotto va infatti considerata anche avendo riguardo agli adolescenti che fanno le prime esperienze sessuali).

L’art. 3, norma che chiude il primo Titolo della Convenzione, è invece intitolato alle “Definizioni”.

L’attività mirante a circoscrivere e successivamente a definire le condotte punibili non va sottovalutata, in quanto è proprio l’attività definitoria a sancire il confine tra condotta costituente reato e condotta scriminata. E inoltre, era proprio in merito alla punibilità o meno di determinate condotte che si erano registrate, in passato, numerose resistenze alle nozioni adottate dagli strumenti internazionali in materia di reati sessuali e pedopornografia.

L’art. 3 della Convenzione di Lanzarote, in ogni caso si colloca sulla stessa scia delle esperienze internazionali che l’avevano

60

Sentenza resa nel caso “Abdulaziz, Cabales and Balkandali v. The United

Kingdom”, 15/1983/71/107-109 , European Court of Human Rights, 24 April 1985

(http://www.unhcr.org/refworld/docid/3ae6b6fc18.html) 61

cfr. Council of Europe Convention on the Protection of Children against Sexual Exploitation and Sexual Abuse, Explanatory Report, par. 43

(28)

preceduta, definendo minore “ogni persona al di sotto dei diciotto anni”, recependo in tal modo la definizione offerta dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e, in particolare, dalla Convenzione del Consiglio d’Europa contro il traffico di esseri umani del 200562.

Proseguendo nella disamina della Convenzione, la novità maggiore è rappresentata dalla precisa ed esauriente delimitazione dei comportamenti costituenti reato; non che in altri strumenti internazionali mancassero definizioni di violenza sessuale, abuso, prostituzione minorile, ma è la dimensione nella quale si inseriscono i contenuti di Lanzarote ad essere nuova: la prospettiva della creazione di uno standard di punibilità tra gli Stati membri come l’avvio di un processo di armonizzazione delle legislazioni penali interne, onde, per un verso, evitare una sorta di “migrazione negativa”63 verso i Paesi le cui leggi siano maggiormente permissive, e per altro verso, “promuovere lo scambio di dati utili e di esperienze. Le definizioni

condivise possono anche assistere la ricerca e promuovere la comparabilità dei dati a livello nazionale ed internazionale rendendo così più semplice ottenere un quadro generale della criminalità”64.

Osservando le condotte incriminate, balza subito agli occhi l’assenza di una specifica previsione in materia di consapevolezza o ignoranza della persona offesa, rimessa del tutto dal Rapporto Esplicativo alle legislazioni interne dei singoli firmatari.

La scelta della Convenzione desta sorpresa se si pensa come, seppure sia vero che il principio di colpevolezza miri a garantire ai consociati libere scelte d’azione sulla base di una valutazione anticipata delle conseguenze giuridiche e penali della propria condotta, nel caso delle condotte delittuose in questione è proprio l’età della persona offesa a recare con sé tutto il disvalore della previsione del

62

si confronti l’art. 4, comma 1, lettera d della Convenzione del 2005 63

l’efficace espressione è dello scrittore Alan D. Altieri 64

cfr. Council of Europe Convention on the Protection of Children against Sexual Exploitation and Sexual Abuse, Explanatory Report, par. 112

(29)

fatto come reato65. Sono, infatti, proprio tali questioni di politica criminale ad emergere nella novella dell’art. 609 sexies c.p. così come modificato dalla legge 1 ottobre 2012 n. 172 di trasposizione nell’ordinamento italiano delle disposizioni di Lanzarote.

Proseguendo nella disamina delle norme di diritto criminale sostanziale, l’art. 18 della Convenzione è intitolato “abuso sessuale”.

La norma prevede due condotte diverse di abuso.

La prima, di cui al comma 1, lettera a, punisce genericamente gli atti sessuali con un minore che “…non abbia raggiunto l’età legale

per le attività sessuali”, prevedendo esplicitamente un rinvio

all’ordinamento di ciascuno Stato membro per quanto concerne la determinazione in concreto dei limiti d’età che integrano la fattispecie. La successiva lettera b, criminalizza le condotte che, in aggiunta alla minore età del soggetto passivo del reato, siano ulteriormente qualificate, rispettivamente, dall’uso di coercizione, forza o minaccia, dall’abuso di una riconosciuta posizione di fiducia, autorità o influenza sul minore, o infine dall’abuso di una situazione di particolare vulnerabilità della vittima.

Nella determinazione degli elementi costitutivi del reato, in particolare per ciò che concerne la previsione di due condotte autonome di abuso sessuale, delle quali l’una caratterizzata rispetto all’altra dall’assenza di modalità violente e coercitorie, i firmatari della Convenzione hanno tenuto ben presente l’evoluzione della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e delle altre istituzioni europee.

Un precedente di rilievo è rappresentato dalla sentenza resa nel caso “M. C. v Bulgaria” del 4 dicembre 200366, nella quale la Corte di Strasburgo ha delineato gli elementi necessari alla integrazione della fattispecie di violenza sessuale (anche) a danno di minori.

65

cfr. Costanzo A., “I reati contro la libertà sessuale”, Utet Giuridica, Trento, 2008, p. 125

66

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