• Non ci sono risultati.

Assegno di divorzio e solidarietà post-coniugale

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Assegno di divorzio e solidarietà post-coniugale"

Copied!
179
0
0

Testo completo

(1)

INDICE

Introduzione ... 6

CAPITOLO I

L’istituto del divorzio

1.1 Breve cenno all’evoluzione del divorzio in Europa .... 8

1.2 Il divorzio in Italia: la legge n. 898 del 1970 e successive

modificazioni ... 10

1.3 Le cause di divorzio ... 13

1.3.1 Situazioni a rilevanza penale ... 14

1.3.2 Separazione personale dei coniugi ... 18

1.3.3 Scioglimento del matrimonio o matrimonio all’estero del cittadino straniero ... 22

1.3.4 La mancata consumazione del matrimonio ... 24

1.3.5 Rettificazione di sesso

...

26

(2)

CAPITOLO II

L'assegno di divorzio

2.1 Introduzione all’istituto ... 31

2.2 Funzione assistenziale dell’assegno: la solidarietà post-

coniugale ... 35

2.3 Presupposto per l’attribuzione: mancanza di mezzi

adeguati e impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive.

... 44

2.4 Criteri di quantificazione dell’assegno divorzile ... 52

2.4.1 Condizioni dei coniugi ... 52

2.4.2 Ragioni della decisione ... 57

2.4.4 Contributo personale ed economico dei coniugi ... 59

2.4.5 Reddito di entrambi i coniugi ... 62

2.4.6 Durata del matrimonio ... 65

2.5 Vicende estintive dell’assegno di divorzio ... 68

2.5.1 Nuove nozze del coniuge richiedente l’assegno ... 68

2.5.2 Convivenza more uxorio ... 69

2.5.3 La morte del coniuge beneficiario e del coniuge obbligato. ... 74

(3)

2.5.4 Estinzione per sopravvenuti motivi e per fallimento

dell’obbligato ... 74

2.6 La domanda di assegno di divorzio ... 75

2.7 Le modalità di adempimento: l’adempimento “una

tantum” ... 79

2.8 Vicende modificative dell’assegno di divorzio ... 83

2.8.1 L’adeguamento automatico dell’assegno ... 83

2.8.2 Revisione dell’assegno di divorzio ... 84

2.9 Tutela civile dell’assegno di divorzio: le garanzie per

l’adempimento ... 88

2.10 La distrazione dei crediti dell’obbligato in favore del

coniuge titolare dell’assegno ... 92

2.11 Tutela penale del diritto all’assegno di divorzio ... 95

2.12 Altre misure patrimoniali dei divorziati... 96

2.12.1 La pensione di reversibilità ... 96

(4)

2.12.3 L’assegno a carico dell’eredità ... 104

CAPITOLO III

L'evoluzione giurisprudenziale dell'assegno di

divorzio

3.1 Il consolidato orientamento delle Sezioni Unite del

1990. ... 109

3.2 Dal “tenore di vita” all’ “autosufficienza economica”:

Cassazione Prima Sezione 10 maggio 2017, n. 11504

... …122

3.3 Applicazione del nuovo principio da parte della

giurisprudenza successiva ... 132

3.4 Il recente intervento delle Sezioni Unite della

Cassazione ... 137

(5)

CAPITOLO IV

L'assegno di divorzio nei vari Paesi Europei:

common law e civil law a confronto

4.1 Gli effetti patrimoniali del divorzio in Inghilterra e negli

Stati Uniti d'America ... 146

4.2 I prenuptial agreements e gli accordi in vista del

divor-zio:

l’autonomia

dei

coniugi nella

crisi

del

matrimonio……….150

4.3 Gli effetti patrimoniali del divorzio negli altri paesi

europei. L’esperienza tedesca e francese ... 158

4.4 Consolidamento del principio di autosufficienza in

Europa ... 162

Bibliografia ... 165

Conclusioni ... 175

(6)

Introduzione

Il presente elaborato si prefigge l'obiettivo di illustrare compiutamente l'evoluzione e la disciplina dell'assegno di divorzio o post-matrimoniale. L'indagine avrà come punto di partenza una concisa panoramica sull'istituto del divorzio, proseguendo successivamente verso la trattazione approfondita dell’indiscusso protagonista del suddetto lavoro. L’introduzione del divorzio, e, soprattutto, dell’assegno di divorzio, nel nostro ordinamento (come negli altri ordinamenti europei, del resto) ha segnato l’inizio di un nuovo modo di concepire i rapporti per quelle coppie di coniugi nelle quali siano mutate le condizioni favorevoli al prosieguo della convivenza instaurata a partire dalla celebrazione del matrimonio: costoro si trovano ad affrontare tutta una serie di conseguenze patrimoniali e personali del tutto inimmaginabili nel momento iniziale del loro rapporto coniugale.

Dalla sua prima comparsa, il divorzio è stato concepito come rimedio alla irreversibile incrinatura del nucleo familiare, affidato alla scelta consapevole di uno o di entrambi i coniugi; una volta presa tale decisione, al giudice non rimane altro che prenderne atto e regolare i rapporti che ne conseguono, soprattutto di natura patrimoniale, avendo cura di apprestare le tutele necessarie al coniuge debole, per permettergli di proseguire la propria esistenza in una situazione ormai mutata. Tale obiettivo viene raggiunto non soltanto attraverso l’irrogazione dell’assegno post-matrimoniale da parte del coniuge che ne abbia le disponibilità, ma altresì per il tramite di una serie di misure disciplinate specificatamente dalla legge.

L'assegno di divorzio collega la sua genesi alla nascita del divorzio con la legge del 1970, rinnovata profondamente dalle modifiche avvenute attraverso la legge n.74 del 1987.

(7)

L’encomiabile intervento riformatore si è occupato di specificare meglio il presupposto per il riconoscimento dell’assegno divorzile nonché i numerosi criteri di quantificazione che il giudice ha il compito di utilizzare per fissare l’entità concreta del contributo economico.

Non bisogna certamente dimenticare, tuttavia, il fondamentale apporto fornito dall'intervento della Suprema Corte di Cassazione: in primis, attraverso la pronunzia emessa a Sezioni Unite nel 1990, apprezzato punto di riferimento che in vario modo è stato sviluppato dalle corti di merito; secondariamente, per il tramite della dirompente sentenza pronunciata dalla Sezione Prima della Corte stessa nel maggio del 2017, segnando un momento di completa rottura rispetto all’orientamento precedente; da ultimo, è opportuno menzionare la recentissima soluzione offerta dalle Sezioni Unite nell’aprile di questo anno, attesissimo intervento risanatore dei vari conflitti interpretativi in materia di assegno post –matrimoniale.

In chiusura d’opera, viene lasciato spazio al raffronto con la disciplina adottata dagli Stati Uniti d’America e dal Regno Unito, paesi appartenenti all’esperienza di common law che hanno saputo imprimere all’assegno di divorzio (e allo scioglimento del matrimonio in generale) un’essenza profondamente privatistica, nell’intento di lasciare un ampio margine di scelta ai coniugi che intraprendano il percorso successivo alla rottura del vincolo matrimoniale; seguirà, poi, un breve raffronto con la disciplina tedesca e francese, entrambi sistemi di civil law.

(8)

CAPITOLO I

L’istituto del divorzio

1.1 Breve cenno all’evoluzione del divorzio in Europa

Nella storia più recente dell’Europa, la configurazione del divorzio come forma di scioglimento del vincolo matrimoniale si ha nei paesi protestanti a partire dall’interpretazione della Bibbia da parte dei riformisti, che ammettono il divorzio per adulterio. Ciò implicò, allora, un’importante rottura del principio di indissolubilità del matrimonio, che sino ad allora la Chiesa Cattolica aveva predicato in maniera indiscussa identificando il matrimonio con un sacramento. Questa nuova regola religiosa è recepita rapidamente dalle leggi civili dei paesi nei quali si diffonde la Riforma, i quali successivamente aggiungeranno a questa prima causa di divorzio altri comportamenti tipizzati. Inizialmente si instaura un tipo di divorzio basato sul comportamento colpevole di uno dei coniugi, ancora molto distante dalla manifestazione della libertà personale. La sua disciplina corrisponde ad un’idea consolidata del matrimonio come istituzione che deve essere conservata indipendentemente dagli interessi dei coniugi, e dunque solamente quando si verifica una condotta meritevole della riprovazione dell’ordinamento è possibile procedere al suo scioglimento. Da questa prospettiva, il divorzio è inteso come sanzione a seguito di un comportamento illegittimo e non una soluzione alla crisi coniugale, e in nessun caso un’opzione da offrire agli sposi senza alcun controllo riguardo le cause1.

Sarà necessario aspettare il periodo dell’Illuminismo perché cominci a prendere forma il divorzio basato sull’irreparabile rottura del

1De la Cruz, Verso un divorzio senza causa in Europa?, in Dir. Soc., 2012, pp.

(9)

matrimonio: il divorzio inizia ad essere concepito come estremo rimedio alla crisi matrimoniale. Il presupposto per consentire il divorzio è la rottura irreparabile della relazione coniugale, il cui apprezzamento spetta ai giudici. Neppure in questo caso si può affermare che esista la libertà di sciogliere il matrimonio, poiché è lo Stato che permette il divorzio come extrema ratio, esistendo ancora un favor nei confronti del matrimonio, considerato come legame indissolubile. Lentamente si afferma il divorzio derivante dalla volontà di entrambi i coniugi di sciogliere il vincolo matrimoniale, il cosiddetto divorzio consensuale, in relazione al quale lo Stato non effettua alcun controllo sui motivi, sebbene imponga, alla parte richiedente, l’indefettibile rispetto del consenso dell’altra. Ulteriore sviluppo attiene al riconoscimento del diritto a domandare il divorzio per volontà unilaterale di solo uno dei coniugi (il cosiddetto divorzio unilaterale, fattispecie non ammessa nel nostro ordinamento) senza alcuna necessità di motivare con una specifica causa; si concretizza il trionfo definitivo della libertà personale all’interno la disciplina del divorzio. Si delinea una concezione di divorzio strutturata come uno strumento per ottenere la realizzazione personale e la stabilità emozionale di ognuno dei coniugi2.

Nel diritto occidentale contemporaneo il divorzio discende perciò dalla personalissima scelta dei coniugi, senza alcun tipo di controllo sociale. Laddove molti ordinamenti giuridici si allineano alla cosiddetta teoria contrattualistica del matrimonio, ammettendo dunque il divorzio sulla base del mutuo consenso, in assenza del quale spetta al richiedente dimostrare la violazione dei doveri coniugali da parte dell’altro coniuge, in altri si è ormai consolidata la tendenza a favorire un modello ancorato alla volontà unilaterale di uno dei coniugi e fondato sulla eventuale dissolubilità del vincolo, che rimane intatto finché i coniugi non decidano di interromperlo3.

2 De la Cruz, Verso un divorzio senza causa in Europa?, in Dir. Soc., 2012, pp.

538-540.

(10)

Esemplificando, nel tempo, lo scioglimento del matrimonio, da evento eccezionale, coincidente con circostanze pressoché irreversibili, diventa l’ideale espediente che il singolo ha per riemergere da un rapporto coniugale che per qualche motivo ha soffocato le personali aspirazioni.

1.2 Il divorzio in Italia: la legge n. 898 del 1970 e successive

modificazioni

Nel nostro ordinamento il divorzio è stato introdotto con la l. 1 dicembre 1970, n. 898, che si dimostrò fin da subito innovativa, poiché, per la prima volta, veniva riconosciuto uno strumento, un vero e proprio rimedio, affidato ai coniugi al fine di recidere un rapporto matrimoniale ormai sostanzialmente intollerabile.

Si resero necessari ben due anni prima che la proposta di legge elaborata il 5 giugno del 1968 dall’ On. Fortuna venisse accolta dal Parlamento: a partire da essa, veniva sottoposto a critica non solo l’archetipo canonico delle nozze, in aperto contrasto con l’attuale concezione del divorzio come espressione dello sviluppo della persona umana, riconosciuta nell’alveo delle libertà costituzionali; ma soprattutto veniva colpita l’immagine pubblicistica della famiglia, scardinata dalla posizione di coloro i quali consideravano il neonato istituto come un’ esigenza sociale, come una soluzione alla impossibilità di portare avanti un matrimonio ormai dissolto4.

Ripercorrendo brevemente la travagliata storia di tale intervento legislativo, è opportuno ricordare che esso si colloca in un periodo particolare dell’esperienze italiana: se da una parte tale cambiamento è stato senza dubbio incentivato dai mutamenti in atto in tutto il mondo, il periodo che decorre dal 1968, dall’altra, si tratta di anni in cui il partito di maggioranza corrisponde alla Democrazia Cristiana, da sempre

(11)

sostenitore dei capisaldi della fede cattolica e fermo oppositore di questa nuova legge, che si poneva in aperto contrasto con il principio della indissolubilità del matrimonio.

Superato l’ostacolo referendario del 1974, all’approvazione della riforma si giunse con un compromesso: la Democrazia Cristiana offrì ai partiti laici la rinuncia all’ostruzionismo, in cambio della immediata approvazione della legge sul referendum abrogativo. La schiera dei cattolici ottenne in questo modo una serie di modifiche rispetto al testo precedentemente approvato alla Camera il 28 novembre 1969 nonché l’attestazione riguardo la natura del divorzio come estremo rimedio ad una frattura decisamente e oggettivamente insanabile, concesso soltanto a condizione di essere l’unica possibile soluzione al conflitto coniugale5.

Accanto alle immediate (ma del tutto infondate) critiche della dottrina riguardanti l’attribuzione di un ampio margine di discrezionalità al giudice in sede di scioglimento del matrimonio (si parlava di vero e proprio arbitrio) 6, è opportuno sottolineare che nonostante mancasse,

nel testo approvato, qualsiasi riferimento alla colpa di uno dei coniugi, il divorzio non poteva essere pronunciato se non dopo aver ottenuto il consenso alla separazione da parte dell’altro coniuge e dopo aver atteso un tempo molto lungo7.

Successivamente alla riforma della famiglia del 1975, artefice della abolizione di qualsiasi rifermento alla colpa dei coniugi, ma soprattutto a seguito della novella del 1987 n. 74, i lineamenti dell’istituto si sono smussati, considerando che ad oggi, il punto di partenza per lo scioglimento del matrimonio è costituito dalla dichiarazione dei coniugi sulla impossibilità di mantenere la comunione materiale e spirituale instaurata con la celebrazione del matrimonio; su di essa si concentra la

5Rimini, La crisi della famiglia, Il nuovo divorzio, Milano, 2015, pp. 16-18. 6Giorgianni, Cinque note sul divorzio, I, in Politica del diritto,1970, cit., p. 354 e ss. 7 Rimini, La crisi della famiglia, Il nuovo divorzio, Milano, 2015, p. 21.

(12)

verifica del giudice, comprensiva, inoltre, dell’accertamento sulla esistenza di una delle cause tassative indicate dalla legge.

Sebbene gli aggiustamenti apportati dalla suddetta novella siano stati decisivi, incidendo sulla disciplina dell’insieme delle conseguenze discendenti dalla pronuncia di divorzio, di recente l’intervento più innovativo è stato messo in atto dal d.l. 12 settembre 2014, n. 132, recante “Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile”, convertito nella legge 10 novembre 2014, n. 162. A partire dal 2014, attraverso l’introduzione di una procedura degiurisdizionalizzata, disciplinata agli artt. 6 e 12, lo scioglimento del matrimonio può avvenire non più solamente attraverso la pronuncia del giudice del divorzio, ma anche, nei casi di separazione dei coniugi previsti dall’art. 3, 1° comma, n. 2, lett. b) della l. n. 898/1970, protrattasi per almeno tre anni (recentemente ridotti a seguito della l. n. 55 del 2015) mediante un accordo raggiunto dai coniugi, attraverso la convenzione di negoziazione assistita da almeno un avvocato per coniuge. L’ulteriore innovazione consiste, alla luce di quanto previsto dall’art. 12, nella possibilità per la coppia di coniugi di concludere il suddetto accordo direttamente davanti al sindaco nella veste di ufficiale di stato civile, con la duplice condizione dell’assenza di figli minori, maggiorenni incapaci, o portatori di

handicap grave o economicamente non autosufficienti, e del divieto di

inserimento di patti che comportino trasferimenti patrimoniali. L’accordo, totalmente sostitutivo di provvedimenti giudiziali, dovrà indicare i presupposti, ossia la disgregazione della comunione materiale e spirituale tra i coniugi e la regolamentazione dei rapporti personali e patrimoniali. Appartiene alla l. 6 maggio 2015, n. 55, riguardante il cosiddetto “divorzio breve”, il merito di aver ridotto i termini per la proposizione della domanda di divorzio a seguito della separazione

(13)

personale: da tre anni a dodici mesi per la separazione giudiziale, da tre anni a sei mesi per quella consensuale8.

Attraverso le menzionate modifiche, il legislatore ha voluto perseguire l’obiettivo di ridurre il carico processuale nei casi in cui la comune consapevolezza dei coniugi in merito alla fine del rapporto possa condurre a semplificare la procedura divorzile.

1.3 Le cause di divorzio

Il legislatore non utilizza la locuzione “divorzio” in nessuna parte della legge introduttiva, ma parla di “scioglimento del matrimonio contratto a norma del codice civile”, anche se, nonostante la distinzione terminologica, gli effetti sono i medesimi.

L’articolo 1 l. div., affermando che: “il giudice pronuncia lo scioglimento del matrimonio contratto a norma del codice civile, quando [..] accerta che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita per l'esistenza di una delle cause previste dall'art. 3”, suggerisce una lettura combinata delle due proposizioni, come se la rottura definitiva della comunione coniugale discendesse dalla ricorrenza di una delle cause estremamente tassative indicate all’art. 3. Si tratta di ipotesi elencate in una struttura ritenuta, da alcuni autori9 , tecnicamente mal formulata e assai complessa, a tratti quasi

caotica; nonostante la loro conclamata diversità, una volta integrate, esse devono passare necessariamente sotto il vaglio del giudice, come passaggio indefettibile, in quanto, laddove egli riscontri l’esistenza di un fatto non incluso nell’elenco, può respingere la domanda di divorzio. Dalla lettura della disposizione contenuta nell’art. 3 l. div. è possibile osservare che, nonostante nella realtà l’ipotesi maggiormente ricorrente

8 Bonilini, Trattato di diritto di famiglia, Volume terzo, Torino, 2016, pp. 2390- 2392. 9 Dogliotti, Separazione e divorzio: il dato normativo, i problemi interpretativi, Torino,

(14)

sia la separazione personale, la scelta del legislatore si è orientata nel collocare, in apertura, fatti che, oltre a minacciare la stabilità del nucleo familiare, si connotano per un notevole contenuto disvaloriale, molto simili ai cd. unreasonable behavior10 del divorzio inglese.

Completano l’elenco fattispecie estremamente distinte (le quali si intrecciano e si confondono le une con le altre, lasciando l’interprete alquanto disorientato), tra le quali non compare, anche se proposta in concomitanza con la stesura della legge del 1987, l’interdizione giudiziale di uno dei coniugi, la cui mancanza è stata giustificata sulla base della doverosa assistenza reciproca dovuta a seguito della contrazione del matrimonio11.

1.3.1 Situazioni a rilevanza penale

La legge di divorzio elenca, come prima causa di divorzio, una caotica serie di fattispecie a rilevanza penale. Partendo da quanto riportato dal n. 1 dell’ art. 3, lo scioglimento del matrimonio può essere pronunciato quando “dopo la celebrazione del matrimonio, l'altro coniuge è stato condannato, con sentenza passata in giudicato, anche per fatti commessi in precedenza”: o all'ergastolo ovvero ad una pena superiore ad anni quindici per uno o più delitti non colposi, esclusi i reati politici e quelli commessi per motivi di particolare valore morale e sociale” (lettera a) ; o “a qualsiasi pena detentiva per il delitto di incesto, violenza carnale, atti di libidine violenti, ratto ovvero per induzione, costrizione, sfruttamento o favoreggiamento della prostituzione” (lettera b); o “a qualsiasi pena per omicidio volontario di un figlio ovvero per tentato omicidio a danno del coniuge o di un figlio” (lettera c); infine “a qualsiasi pena detentiva con due o più condanne, per i delitti di lesioni personali, quando ricorra la circostanza aggravante di cui al secondo

10 Rimini, La crisi della famiglia, Il nuovo divorzio, Milano, 2015, p.49. 11Bonilini, Trattato di diritto della famiglia, Volume terzo, Torino, 2016, p.2430.

(15)

comma dell'art. 583, o per violazione degli obblighi di assistenza familiare, maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli, circonvenzione di persone incapaci, compiuti in danno del coniuge o di un figlio” (lettera d). In tale ultima ipotesi, è compito del giudice verificare, “prima di pronunciare il divorzio, anche in considerazione del comportamento successivo del convenuto, la di lui inidoneità a mantenere o ricostituire la convivenza familiare”.

Nell’ ipotesi descritta alla lettera a), un ruolo determinante sembra essere assunto dalla elevata durata della pena, nonché dalla menzione dei soli delitti, indice di una estrema gravità del fatto12 . Si tratta dell’unico

esempio di pregiudiziale penale, in quanto il giudice civile non può autonomamente disporre il divorzio a seguito del compimento di condotte illecite che astrattamente configurino una condanna superiore a 15 anni di reclusione, ma potrà pronunciare il divorzio unicamente in virtù della sentenza di condanna passata in giudicato, che abbia sancito tali pene13.

Passando invece alla successiva lettera, è opportuno annotare che su di essa ha inciso notevolmente la novella del 1987, in particolar modo eliminando qualsiasi riferimento alla relazione di coniugio o alla discendenza della vittima rispetto all’autore del reato; modifiche sostanziali hanno interessato anche la lettera c), la quale contiene, nella versione attuale, soltanto il riferimento alla condizione di “figlio” e non più di “discendente”, cosicché diventa irrilevante che il reato sia commesso nei confronti di questa categoria generale14.

In merito poi alla disposizione contenuta nella lettera d), numerose sono state le polemiche mirate a denunciarne il contenuto caotico e disordinato, capace di accostarereati particolarmente gravi, come le

12Quadri, Divorzio nel diritto civile e internazionale, in Digesto civile, 1990. 13 Anceschi, Divorzio, in Digesto civile, 2012.

(16)

lesioni gravissime, ad illeciti che coincidono con condotte meno significative 15 .

Il comma 3 dell’art. 3 proclama che in tutti i casi previsti dal n. 1, “la domanda non è proponibile dal coniuge che sia stato condannato per concorso nel reato ovvero quando la convivenza coniugale è ripresa”; la doppia ratio di questo specifico limite consiste sia nel riconoscere il diritto a richiedere il divorzio soltanto al coniuge non colpevole16, sia

nell’impedire che possa avvalersene chi abbia deciso di riprendere le redini del rapporto coniugale.

Nonostante il ruolo estremamente marginale attribuito a tali svariate ipotesi, statisticamente irrilevanti, senza dubbio esse vengono enumerate tra le cause di divorzio in considerazione della loro dirompente capacità a frantumare la vita coniugale: esse spiccano non solo in quanto fattispecie penalmente perseguibili, ma soprattutto perché trattasi di comportamenti considerati, dal coniuge che li subisce, pienamente non condivisibili; questo il motivo per il quale il nostro ordinamento vi ricollega non solo la conseguenza della irrogazione della pena, ma anche quella della cessazione degli effetti civili del matrimonio17 .

Appare logico affermare che lo scioglimento del matrimonio non può che essere richiesto dal coniuge vittima del reato, sia in considerazione della ratio della norma, rivolta primariamente alla tutela della parte incolpevole18, sia per il motivo per cui non si vuole che il reo possa

utilizzare il suo comportamento al fine di ottenere il divorzio.

Proseguendo nell’esegesi della norma, il punto n. 2 lett. a) si sofferma su alcuni profili specifici inerenti ai comportamenti di cui al n. 1 lett. b) e c), in particolar modo laddove fa discendere la pronuncia giudiziale

15 Anceschi, Divorzio, in Digesto civile, 2012.

16 Bonilini, Trattato di diritto di famiglia, Volume terzo, Torino, 2016, p. 2439. 17Idem, p. 2437.

(17)

dal caso in cui “l'altro coniuge sia stato assolto per vizio totale di mente da uno dei delitti previsti nelle lettere b) e c) del numero 1 del presente articolo, quando il giudice competente a pronunciare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio accerta l'inidoneità del convenuto a mantenere o ricostituire la convivenza familiare” ; la norma in questione identifica nella malattia mentale di uno dei coniugi una circostanza che può incidere negativamente sulla convivenza familiare, soltanto però nel caso in cui il soggetto, pur destinatario di una sentenza di assoluzione, abbia integrato una delle fattispecie indicate dalla disposizione contenuta nelle lettere citate19 .

Medesima ratio è seguita anche dal n. 2 lett. c) art. 3 l. div., secondo il quale lo scioglimento del matrimonio può essere dichiarato anche quando “il procedimento penale promosso per i delitti previsti dalle lettere b) e c) del n. 1 del presente articolo si è concluso con sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato, quando il giudice competente a pronunciare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio ritiene che nei fatti commessi sussistano gli elementi costitutivi e le condizioni di punibilità dei delitti stessi”. La norma considera fatti storici effettivamente posti in essere, nonostante sia stata dichiarata dal giudice l’improcedibilità per estinzione del reato20.

Volendo riassumere, ai comportamenti cui ha riguardo l'art. 3, n. 1, lett. b) e c), è riconosciuta una tale incidenza sulla compagine familiare tale da essere considerati rilevanti oggettivamente, indipendentemente, quindi, dalla circostanza che essi abbiano dato luogo ad una condanna21.

Conclude il gruppo di cause a rilevanza penale, il n. 2 lett. d) art. 3, che con riferimento alla fattispecie di cui al n. 1 lett. b), ammette la pronuncia di divorzio anche in caso di sentenza di proscioglimento o

19 Bonilini, Trattato di diritto della famiglia, Volume terzo, Torino, 2016, p. 2451. 20Idem, p.2452, cit.

(18)

assoluzione che, accertato il reato di incesto, lo dichiari non punibile per assenza della condizione di punibilità. Trattasi di un delitto che offende la “morale familiare”22 , tipicamente attinente alla sfera di specifici

rapporti, cosicché può rilevare come fatto oggettivo in sé a prescindere dall’esistenza della condizione oggettiva di punibilità costituita dal “pubblico scandalo”23.

1.3.2 Separazione personale dei coniugi

La causa più frequente di divorzio è contenuta al n. 2 lett. b) art. 3 della legge 898/1970, che include sia la separazione giudiziale tra coniugi sia la separazione consensuale omologata dal giudice sia la separazione di fatto iniziata almeno due anni prima del 18 dicembre 1970, quest’ultima relegata ad ipotesi meramente transitoria.

L’introduzione del divorzio nel nostro ordinamento ha posto in crisi la separazione dei coniugi: se fino a quel momento veniva considerato l’unico strumento che essi potevano utilizzare per porre fine al vincolo matrimoniale e concepito come rimedio temporaneo in vista di una repentina conciliazione, una volta venuto meno il principio di indissolubilità del matrimonio, l’istituto si ritrovava privo della sua funzione sociale. Senza nascondere la palese inutilità della separazione giudiziale (a differenza di quella consensuale, che presuppone un incontro di volontà), il cui effetto disgregante è stato recepito dal divorzio, la scelta del legislatore è stata quella di mantenerla nel nostro ordinamento, pur richiedendo un lasso di tempo così lungo da non lasciare adito a dubbi riguardo la frattura dell’affectio coniugalis24.

22 Rimini, La crisi della famiglia, Il nuovo divorzio, Milano, 2015, p. 50. 23 Bonilini, Trattato di diritto della famiglia, Volume terzo, Torino, 2016 p. 2447. 24Dogliotti, Separazione e divorzio, il dato normativo, i problemi interpretativi, Torino,

(19)

E’ doveroso aggiungere che la natura di rimedio attribuita al divorzio con la l. n. 898 è stata ben presto estesa anche all’istituto della separazione, dal momento che con la riforma della famiglia del 1975 è stata debellata la cd. separazione per colpa, sostituita dal requisito della intollerabilità della convivenza25.

Per quanto riguarda il dettato normativo, la lett. b) del n. 2 art. 3 richiede espressamente, come presupposto indefettibile per avanzare istanza di divorzio, il passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia la separazione protratta ininterrottamente per il periodo indicato dalla legge e decorrente dalla data di comparizione dei coniugi davanti al Presidente del Tribunale nonché dalla data certificata nell'accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita da un avvocato ovvero dalla data dell'atto contenente l'accordo di separazione concluso innanzi all'ufficiale dello stato civile.

La legge fa coincidere il dies a quo del periodo della separazione, oltre che con la data di conclusione dell’accordo di negoziazione assistita o di quello ratificato innanzi al sindaco (nell’ambito di una delle procedure introdotte dall’art. 12 comma 4 del d.l. n. 132 del 2014, come modificato dalla l. n. 162 del 2014), con l’udienza presidenziale, durante la quale il Presidente può autorizzare la coppia a vivere separata; con la precisazione che questo provvedimento provvisorio, secondo la giurisprudenza, non può avere nessun effetto sulla proponibilità della domanda di divorzio, il cui unico presupposto è costituito dal passaggio in giudicato della sentenza di separazione personale o di omologa di quella consensuale26.

Il termine decorre ugualmente anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale, nell’evenienza in cui i coniugi si

25 Dogliotti, Separazione e divorzio, il dato normativo, i problemi interpretativi,

Torino,1995, p.146.

(20)

accordino, una volta iniziata la procedura di separazione, per trasformare il titolo di separazione.

Nell’originaria previsione, il periodo era pari a cinque anni (in caso di opposizione del coniuge convenuto arrivava fino a sei o sette anni) diventati tre dopo la novella del 1987, eventualmente ridotti nelle ipotesi previste a seguito delle modifiche introdotte dalla legge n. 55 del 2015: il termine attuale corrisponde ad un anno in caso di separazione giudiziale oppure a sei mesi, in caso di separazione consensuale. Tale presupposto temporale viene ritenuto ormai anacronistico perché costringe le parti ad attendere il decorso di mesi prima di ottenere il divorzio, nonché l’attesa dello svolgimento del processo di separazione27.

La separazione personale costituisce, senza alcun dubbio, l’anticamera del divorzio, essendo, essa stessa, originata dal venir meno dell’impegno coniugale e perciò della comunione di vita tra i coniugi28; situazione,

seppur provvisoria, la quale frequentemente può sfociare, laddove i coniugi non abbiano intenzione a recuperare il rapporto, nel definitivo scioglimento del vincolo.

Il legislatore prevede che essa possa essere pronunziata direttamente dal giudice o omologata a seguito della volontà comune delle parti di addivenire a tale esito; in questo modo, palesandosi l’opzione nei confronti di una separazione “titolata”, si è voluto ribadire l’esigenza di un imprescindibile vaglio giudiziale29.

L’ipotesi più controversa riguarda la cosiddetta separazione di fatto, estremamente rara (considerata la facilità con cui si addiviene ad una pronuncia di separazione) ma ammessa a condizione che si tratti di una

27Idem, p. 48, cit.

28Dogliotti, Separazione e divorzio: il dato normativo, i problemi interpretativi,

Torino,1995, p.148.

(21)

situazione, meramente transitoria, iniziata anteriormente alla legge del 1970 e connotata, secondo la Cassazione30, dalla necessaria mancanza,

sotto il profilo oggettivo, del consortium vitae concorrente, dal punto di vista soggettivo, con il difetto dell'affectio coniugalis; in particolar modo, si è ritenuto integrato tale requisito quando dal comportamento di almeno uno dei coniugi si deduca chiaramente la sua volontà di interrompere la convivenza, solo richiedendosi, insomma, la consapevolezza, da parte dell'altro coniuge, di una simile situazione 31.

Nell’incertezza legata alla reversibilità dello status di separato e in considerazione del fatto che i coniugi in qualsiasi momento possono tentare una fruttuosa riconciliazione, il legislatore richiede specificatamente il requisito della ininterrotta separazione; l’art. 3 n. 2 lett. b) l. div. afferma che “la separazione deve essersi protratta ininterrottamente”, precisando che “l’interruzione deve essere eccepita dalla parte convenuta”. La norma, evidentemente, deve essere letta alla luce di quanto disposto dall’art 157 cod. civile, il quale precisa che la “riconciliazione avviene senza che sia necessario l’intervento del giudice, sulla base di una dichiarazione espressa dei coniugi o anche di un semplice comportamento non equivoco che sia compatibile con lo stato di separazione”. Secondo l’interpretazione offerta dalla giurisprudenza, si ritiene che spetti al giudice del merito considerare quegli atti o comportamenti puramente oggettivi, dai quali è possibile desumere che sia stato ricostruito il nucleo familiare, ossia il ripristino delle relazioni reciproche tali da superare quelle condizioni che avevano reso intollerabile la convivenza32 . La ripresa della convivenza deve

essere dimostrata dal coniuge che si oppone al divorzio, a fronte della

30In questo senso, Cass. 18 maggio 1976 n. 1757, in Foro It., 1976, I, pp. 1421 e ss.;

Cass. 25 maggio 1978 n. 2624, in Dir. Fam., 1978, pp. 818 e ss.

31Quadri, Diritto civile e internazionale, in Digesto civile ,1990.

32In questo senso, Cass. 6 dicembre 2006, n. 26165, in Mass. Giur. It., 2006 ; Cass. 15

marzo 2001 n. 3744, in Mass. Giur. It., 2001 ; Cass. 17 giugno 1998, n. 6031, in Fam.

(22)

dichiarazione dell’altro che attesti la sporadicità e l’irrilevanza della stessa, in tal modo escludendo qualsiasi rilevazione d’ufficio33.

In conclusione quindi il legislatore, richiedendo puntualmente il decorso di un termine prima della istanza di divorzio, vuole assicurarsi che la scelta dei coniugi di separarsi sia presa valutando nel tempo se effettivamente il loro legame si sta deteriorando o se, semplicemente, si tratta di una fase passeggera che può poi sfociare nel ripristino della comunione coniugale.

1.3.3 Scioglimento del matrimonio o matrimonio all’estero

del cittadino straniero

Ulteriore causa di divorzio inserita all’interno della l. 898/1970 viene in essere quando “l'altro coniuge, cittadino straniero, ha ottenuto all'estero l'annullamento o lo scioglimento del matrimonio o ha contratto all'estero un nuovo matrimonio”, secondo quanto previsto dal n. 2 lett. e) art. 3 l. div.

La norma di cui sopra contempla tre casi: annullamento; scioglimento del matrimonio; nuovo matrimonio del coniuge straniero all'estero. La disposizione è stata introdotta per arginare la presenza di delicate situazioni estremamente paradossali (che incidevano sulla concreta applicazione del principio di parità tra coniugi), in cui il coniuge italiano si trovava legato ad un vincolo matrimoniale che il coniuge straniero aveva già sciolto in un altro Stato (i cosiddetti “matrimoni claudicanti”)34 . Tale inconveniente derivava dalla necessaria verifica

che, in passato, il nostro ordinamento richiedeva sui provvedimenti stranieri (attraverso l’exequatur), i quali molto frequentemente venivano

33Rimini. La crisi della famiglia, Il nuovo divorzio, Milano, 2015, pp.58-62.

34Dogliotti, Separazione e divorzio: il dato normativo, i problemi interpretativi, Torino,

(23)

considerati non delibabili, perché pronunciati sulla base di requisiti diversi da quelli previsti in Italia35.

Attualmente, a seguito della riforma di diritto internazionale privato avvenuta con la l. 218 del 1995, la sentenza estera di annullamento e di divorzio acquista immediata efficacia in Italia senza che sia necessario un giudizio di delibazione e quindi un provvedimento autonomo di divorzio in Italia; da qui la caduta in desuetudine della norma, che tuttavia può trovare applicazione residuale nel caso in cui la sentenza non possa essere recepita nel nostro ordinamento per mancanza di requisiti indicati dall’art. 64 della l. n. 218 (un esempio tra tutti, il ripudio unilaterale)36.

E’ lecito considerarla quindi come norma di chiusura, in modo da assicurare comunque la liberazione del vincolo anche nei casi in cui non è possibile riconoscere l’atto straniero di dissoluzione del matrimonio.37

In relazione alla lettera della disposizione, si desume che l’istanza possa essere avanzata, ai sensi dell'art. 3, n. 2, lett. e), unilateralmente, dal coniuge che sia cittadino italiano38 (ancora vincolato al matrimonio),

occorrendo altresì che l’avvenuto divorzio o annullamento siano efficaci nell'ordinamento nazionale del coniuge straniero39.

In considerazione poi della circostanza che la disposizione menziona il “cittadino straniero”, dubbi sono stati sollevati in relazione al momento dell’acquisto della cittadinanza straniera; tuttavia l’opinione maggioritaria si è orientata a prendere in considerazione, a tal fine, l’insorgenza del fatto (divorzio, annullamento) rilevante per il divorzio40.

35Rimini, La crisi della famiglia, Il nuovo divorzio, Milano, 2015, p. 71. 36 Anceschi, Divorzio, in Digesto civile, 2012.

37 Quadri, Divorzio nel diritto civile e internazionale, in Digesto civile,1990. 38 Galoppini, Commentario sul divorzio, a cura di P. Rescigno, Milano, 1980. 39Trib. Roma 19 gennaio 1985, in Giu. Civ., 1985, I, 880.

(24)

L'ipotesi legislativa del “nuovo matrimonio” assume un valore sostan-zialmente residuale (rileva soltanto in caso di ordinamenti esteri che am-mettono la poligamia), dato che, in presenza di divorzio o di annulla-mento stranieri, sarà la relativa pronuncia a costituire la causa di divor-zio per il nostro ordinamento41.

1.3.4 La mancata consumazione del matrimonio

Ai sensi del n. 2 lett. f) art. 3 lo scioglimento del matrimonio può essere pronunciato quando “il matrimonio non è stato consumato”.

La suddetta ipotesi risente della previsione contenuta nell’ordinamento canonico che prevede la possibilità di ottenere un provvedimento di dispensa per il matrimonio rato e non consumato 42: può ben darsi che il

verbo “consumare” evochi una concezione rituale ed intrinsecamente sacramentale (canonicamente, il matrimonio è funzionale alla procreazione), tuttavia la norma dovrebbe essere interpretata in chiave moderna, qualificando il vincolo matrimoniale come scambio di volontà e impegno reciproco, piuttosto che unione carnale43.

In realtà, se da una parte la giurisprudenza ha tenuto a sottolineare che non sempre pare strettamente necessaria la prova riguardo la cessazione dell’affectio coniugalis, dall’altra la dottrina si è orientata ad affermare che la legge, in caso di mancanza dell’unione sessuale, pone una presunzione assoluta di assenza della comunione tra coniugi44.

Effettivamente, anche volendo prescindere dal ruolo che è stato attribuito tradizionalmente alla consumazione del rapporto tra coniugi, è lecito ritenere che la sua mancanza non possa che incidere sul quotidiano svolgimento della vita tra le mura domestiche: può rilevare

41Idem, cit.

42 Bianca, Diritto civile vol. 2/1 La famiglia, Milano, 2014, p. 283.

43 Rimini, La crisi della famiglia, Il nuovo divorzio, Milano, 2015, pp. 76-77. 44 Bonilini, Trattato di diritto della famiglia, Volume terzo, Torino, 2016, p. 2546.

(25)

in maniera più o meno spiccata a seconda del peso percepito dalla coppia in considerazione, ma sicuramente la mancata condivisione di quella speciale intimità verrà avvertita come un non così irrilevante disagio. Una questione estremamente spinosa è stata la definizione di “matrimonio non consumato”: se da una parte la giurisprudenza ha ritenuto sufficiente l’accertamento della mancata congiunzione carnale secondo natura 45 , dall’altra, la dottrina, ha negato che possa corrispondere alla copula perfecta del diritto canonico46.

In merito poi all’origine della non consumazione, laddove la giurisprudenza47 ha sottolineato come siano del tutto inconferenti le ragioni che ne sono alla base, la dottrina ha precisato che se la consumazione del matrimonio può essere identificata come atto profondamente cosciente e volontario, al contrario la sua assenza rileva come mero fatto giuridico48. Più ardua risulta la prova attinente alla inconsumazione, in quanto si tratta di circostanze che non si realizzano ”uno actu” ma possono constatarsi soltanto dopo un considerevole lasso di tempo; se in alcuni casi è sufficiente una semplice indagine peritale ( come esempio, si può far riferimento alla impotentia

coeundi del marito), diversamente, in altri, tale accertamento rischia di

essere pressoché inutile, laddove i coniugi abbiano avuto rapporti intimi antecedenti al vincolo matrimoniale49.

Spetta al giudice verificare il fatto oggettivo della mancata unione carnale, ricorrendo, in mancanza di inconfutabili indizi della non consumazione, all’utilizzo di presunzioni univoche e concordanti: quello che si vuole evitare è il ricorso ad astratte generalizzazioni, considerando che la concezione della sessualità deve essere, senza dubbio, attuata secondo modalità lasciate alla libertà degli interessati e

45Trib. Santa Maria Capua Vetere 15 aprile, in Giust. Civ., 1999, 2590.

46 Dogliotti, Separazione e divorzio: il dato normativo, i problemi interpretativi,

Torino, 1995, p.158.

47Trib. Ravenna 24 dicembre 1975, in Giur. It., 1977, I, 2, c. 236 e ss.

48Galoppini, Divorzio per inconsumazione e poteri del giudice, in Dir. Fam., 1982. 49 Bonilini, Trattato di diritto della famiglia, Volume terzo, Torino, 2016, p. 2551

(26)

da costoro conformabili anche in dipendenza delle proprie condizioni fisiche50.

1.3.5 Rettificazione di sesso

Inclusa tra le cause indicate dall’ art. 3 della l. div (n. 2 lett. g), come introdotta dall’art. 7 della novella, è il passaggio in giudicato della sentenza di attribuzione di sesso secondo la l. n. 164 del 1982, la quale prevede la possibilità di attribuire un sesso diverso da quello originario, a seguito di una modifica dei caratteri sessuali anche “attraverso un trattamento medico-chirurgico autorizzato dal tribunale”. Se, pacifica, è stata ritenuta l’esistenza, come presupposto per ottenere il divorzio, del passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione di attribuzione dei caratteri sessuali (nonostante, recentemente, la Corte di Cassazione si sia espressa sulla “non necessarietà” dell’intervento chirurgico demolitorio, affidato alla libera e consapevole scelta dell’interessato)51, così non è avvenuto per gli effetti conseguenti al mutamento di sesso: laddove la prevalente dottrina rigettava l’idea di considerare automatico lo scioglimento del matrimonio, lasciando liberi i coniugi di presentare istanza a seguito del cambiamento intrapreso da uno di loro52 (essendo

chiara la volontà del legislatore del 1987 di preservare il più possibile il nucleo familiare), altra parte invece faceva discendere tale immediato effetto dalla sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso53 .

50Quadri, Il divorzio nel diritto civile e internazionale, in Digesto civile, 1990. 51Cass. 20 luglio 2015, n.15138, in Foro It. ,2015, I, 3137.

52In questo senso, A. e M. Finocchiaro, Il divorzio, in Diritto di famiglia, Milano, 1988,

cit., p.182; Bonilini, La sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso a norma della l. n. 164/1982 in Lo scioglimento del matrimonio in Comm. Schlesinger, Milano, 2010,

p. 302 e ss.; Rossi Carleo Caricato, La separazione e il divorzio, p.230; Mantovani, in

Comm. Cian, Oppo, Trabucchi, sub art. 3 l. div, p. 252 e ss.; Lupo, Le cause di scioglimento del matrimonio, cit., p.668; Barbiera, Il matrimonio,CEDAM,2006,cit.,

p.322; D’Ettore, Le cause di scioglimento del matrimonio, Tratt. Bonilini-Cattaneo,

cit., p.575.

(27)

Questa seconda posizione sembra che sia stata confermata dalla disposizione indicata all’art. 31, ult. Cpv., del D.lgs. 1 settembre 2011, n. 150, la quale recita:”la sentenza di rettificazione di sesso […] determina lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio celebrato con rito religioso. Si applicano le disposizioni del codice civile e della legge 1 dicembre 1970, n.898”; in questo modo, sebbene non ci sia stata nessuna espressa modifica della lettera g), si può affermare che, al pari di quanto sosteneva il principio enucleato all’art. 4 l. 164/1982, una volta diventata cosa giudicata la sentenza di rettificazione della attribuzione di sesso, il matrimonio viene considerato sciolto senza che occorra una pronuncia giudiziale. Il quadro in questione è stato ulteriormente arricchito dalla pronuncia della Corte Costituzionale n.170 del 201454 (a seguito della

richiesta di intervento promossa dalla Cassazione con ordinanza 6 giugno 2013 n. 14329) che ha dichiarato illegittime le disposizioni degli artt. 2 e 4 della legge n. 164 del 1982 nella parte in cui non prevedono che la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso di uno dei coniugi, che provoca lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili, permetta, laddove i coniugi lo richiedano, di conservare il rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i diritti e gli obblighi della coppia medesima con modalità da statuirsi ad opera del legislatore55 .

Il tanto atteso intervento è arrivato con la legge 20 maggio 2016, n.76 in materia di Unioni civili, la quale all’art. 1 comma 27 specifica che “alla rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti

54Corte Cost. 11 giugno 2014 n. 170, in Foro It., 2014, I, 2324.

(28)

civili, consegue l'automatica instaurazione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso”56.

1.4 Sentenza di divorzio

La sentenza di divorzio viene emessa a seguito di un procedimento con-tenzioso che origina dalla domanda unilaterale di un solo coniuge o dalla domanda congiunta di entrambi, comprensiva anche delle statuizioni inerenti alle conseguenze economiche e ai rapporti nei confronti dei fi-gli, secondo quanto previsto dall’art. 4 l. div.

Il nostro ordinamento non ha accolto, come invece avviene in altri paesi, l’opzione dello scioglimento del matrimonio per mutuo consenso, ri-chiedendo espressamente una pronuncia giudiziale: dal combinato degli artt. 1 e 2 l. div. si ricava che “il giudice pronuncia lo scioglimento del matrimonio contratto a norma del codice civile o la cessazione degli ef-fetti del matrimonio religioso trascritto, quando, esperito inutilmente il tentativo di conciliazione di cui al successivo art. 4, accerta che la co-munione spirituale e materiale tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita per l'esistenza di una delle cause previste dall'art. 3”; difatti, spetta al Presidente verificare se può essere raggiunta la soluzione della conciliazione tra i coniugi (e far sottoscrivere loro il relativo verbale), anche e soprattutto tenendo conto degli interessi della eventuale prole, o se non sussiste nessuna possibilità al riguardo.

Il minuzioso vaglio richiesto ha sollevato un problema giuridico assai delicato: il dubbio ha riguardato l’alternativa tra il mero accertamento della presenza di una delle suddette cause o la dimostrazione della stretta conseguenzialità tra impossibilità di mantenimento della comunione e l’incidenza di una delle ipotesi previste dall’art. 3.

56Spangaro, “Anche la consulta ammette il mutamento di sesso senza il previo

(29)

Dottrina e giurisprudenza si sono mostrate divise sul tema del cosid-detto” automatismo del divorzio”, perché se la prima57 ha ritenuto che ai fini dell’accertamento della cessazione della comunione tra coniugi, sia sufficiente l’esistenza di una delle cause previste dall’art. 3, nono-stante esse non possano escludere l’apprezzamento del giudice ma solo circoscriverlo, la seconda si è dimostrata propensa a incoraggiare una più prudente valutazione giudiziale58.

Sul piano processuale, l’innovazione maggiormente significativa appor-tata dalla novella del 1987 è sappor-tata l’introduzione del giudizio di divorzio su istanza congiunta dei coniugi; secondo quanto previsto dall’art. 4 comma 16 della legge introduttiva del divorzio, il tribunale decide dopo aver sentito entrambi i coniugi, verificato le condizioni fissate dalla legge e conciliato questi presupposti con l’interesse della prole59.

La domanda congiunta di divorzio sottintende la comune volontà dei coniugi di ottenere la cessazione del matrimonio, senza che sia data la possibilità di revocare unilateralmente la domanda, considerando che si tratta, come affermato dalla Cassazione, di una iniziativa intrapresa da entrambe le parti, completamente paritetica60.

Attraverso tale disposizione, il legislatore del 1987 ha inteso valorizzare la concorde iniziativa dei coniugi riguardo la disgregazione del vincolo coniugale, ma l’impostazione di fondo della normativa affida ad un sog-getto terzo, il giudice, la valutazione inerente la irreversibilità del dis-solvimento della comunione di vita, escludendo però qualsiasi riferi-mento all’esistenza della colpa, giacché il divorzio va inteso come rime-dio al fallimento del matrimonio, come potere e soprattutto diritto di sciogliere un legame oramai andato distrutto61 .

57 Santoro-Passarelli, Divorzio e separazione personale, in Libertà e autorità nel

diritto civile, Milano, 1977, cit., p. 205.

58Fra le tante, Trib. Arezzo, 20 aprile 1971.

59 Bianca, Diritto civile, Vol. 2/1, La famiglia, Milano, 2014, pp. 286-287. 60Idem, con riferimento a Cass. 8 luglio n. 6664, in Gius. Civ., 1999.

(30)

L’impianto procedurale sul quale si fonda la pronuncia di divorzio è stato notevolmente rivoluzionato a seguito della innovazione discen-dente dal cd. divorzio stragiudiziale, attraverso due specifiche disposi-zioni: l’art. 6 e l’art. 12 del d. l. 132 del 2014, come modificato con l. n. 162 del 2014.

La prima modalità, la convenzione di negoziazione assistita, prevede una struttura bifasica, composta da una convenzione diretta al raggiun-gimento della soluzione consensuale e, successivamente la sottoscri-zione dell’accordo, il quale è poi affidato al controllo del pubblico mi-nistero al fine di apporre il nullaosta; la seconda permette ai coniugi di concludere, innanzi al sindaco del comune di residenza o del comune in cui il matrimonio fu celebrato, un accordo di scioglimento o di cessa-zione degli effetti civili del matrimonio. Il sindaco è destinatario di una dichiarazione dei coniugi all’interno della quale è riportata la volontà di divorziare, nonché le condizioni concordate62.

Ritengo doveroso riconoscere il merito al legislatore che, senza scardi-nare le fondamenta del divorzio63, così come si è evoluto nel tempo, ha

abilmente riconosciuto maggior spazio di scelta a quelle coppie di co-niugi le quali non lo considerano come una soluzione sofferta e trava-gliata, anticipata da dissidi e screzi, ma come una inevitabile conclu-sione ad una convivenza divenuta insopportabile.

62Rimini, La crisi della famiglia, Il nuovo divorzio, Milano, 2015, p. 23-24. 63Idem, p. 25.

(31)

CAPITOLO II

L'assegno di divorzio

2.1 Introduzione all’istituto

Il legislatore del 1970, dopo aver inquadrato l'istituto del divorzio nei suoi caratteri fondamentali, si è preoccupato di descrivere l'effetto maggior-mente determinante che discende dalla pronunzia giudiziale, l'assegno di divorzio, emolumento tendenzialmente indeterminato e perciò, vitalizio (fatta salva la possibilità di sottoporlo ad un termine)64 , corrisposto

dall’ex coniuge nei confronti dell’altro in difficoltà economica.

Ad esso, peraltro, si affiancano una numerosa serie di conseguenze: sia di natura personale, quali la perdita, da parte della moglie, del cognome maritale acquisito al momento del matrimonio ( con la precisazione che, laddove sia in gioco l'interesse, meritevole di tutela, suo o dei figli, il tribunale può autorizzarla a conservarlo), e dello status di coniuge, con la riemersione dello stato libero; sia di natura patrimoniale, considerando che lo scioglimento del matrimonio comporta principalmente il venir meno della comunione legale tra i coniugi e del regime di separazione dei beni, esistenti fin tanto che sussiste il vincolo matrimoniale, nonché, ai sensi dell’art. 171 cod. civ., del fondo patrimoniale ( il quale permane soltanto nel caso in cui ci siano figli minori di età) 65.

Il quadro fin qui descritto inerisce al rapporto tra i due coniugi, perciò, nonostante la menomazione psicologica di cui possono risentire a seguito

64 Bonilini, L’assegno post-matrimoniale, in Lo scioglimento del matrimonio, Milano,

2004, p.513.

(32)

della scelta effettuata dai genitori, i figli non devono in alcun modo su-bire alcuna mitigazione dei doveri genitoriali previsti dalla legge: il no-stro ordinamento si prefigge l'obiettivo di mettere al riparo i minori da comportamenti aggressivi, rivendicazioni e contrasti che trovano la loro fonte in una drastica rottura, che non sempre riesce ad essere metaboliz-zata dalle parti in conflitto, ma che sicuramente non deve prevalere sulla cura e sulla dedizione che ogni genitore ha il compito di rivolgere ai pro-pri figli.

Per completezza, è opportuno aggiungere che la riforma del 1987 ha in-trodotto una serie di ulteriori effetti patrimoniali, a seguito della pronun-zia di divorzio, che vengono accomunati dal requisito dell’effettiva tito-larità, in capo all’ex coniuge beneficiario, dell’assegno statuito dal giu-dice del divorzio.

Come accennato, l'assegno di divorzio, o post-matrimoniale, fa la sua prima comparsa nel nostro ordinamento nel 1970, a seguito della intro-duzione dell'istituto del divorzio, al quale è strettamente collegato: indub-biamente, finché rimane ben saldo il vincolo matrimoniale, la coppia vive soddisfacendo i propri bisogni con l'ausilio di tutto ciò che riesce ad ac-cumulare tramite le varie fonti di sostentamento ( rientranti nel patrimo-nio familiare), sia che derivi da entrambi che da uno solo dei partner; tuttavia, una volta sopraggiunto lo scioglimento del matrimonio, gli equi-libri esistenti durante l'abituale convivenza sono destinati a rompersi, con la conseguenza che può ben darsi che si assista alla nascita di una condi-zione di debolezza economica in capo ad uno dei componenti della coppia. La disciplina normativa dell'istituto è interamente enucleata all'art. 5 l. div., che, al sesto comma, rappresentante il fulcro principale della materia, afferma che “con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessa-zione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo per-sonale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di

(33)

entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare perio-dicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”. Non si tratta del dettato originario, in quanto su di esso sono intervenute le modifiche introdotte dalla l. n. 74 del 1987, le quali hanno interessato la definizione dei presupposti e la precisazione di alcuni criteri per la de-terminazione dell'ammontare dell'assegno66.

Senza mettere in dubbio le sue particolari caratteristiche, che lo rendono un unicum nel nostro ordinamento, non si può certo celare la sua stretta somiglianza con l’assegno di mantenimento disposto dal giudice a se-guito della sentenza di separazione: presupposto di suddetto assegno, ai sensi dell’art 156 cod. civ., è che il beneficiario non goda di “adeguati redditi propri”, laddove invece la l. n. 898 del 1970 richiede che il desti-natario del contributo economico non abbia “adeguati mezzi o si trovi nell’impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive”67, definizione di gran lunga più ampia di quella delineata dalla disposizione codicistica. E’ necessario però osservare come il primo risenta in maniera più intensa della scia degli obblighi assistenziali inerenti ad un vincolo non ancora definitivamente sciolto ed ancora permeato da quella particolare solida-rietà matrimoniale68.

Se da una parte la dottrina69 ha escluso fermamente che la determina-zione dell’assegno di separadetermina-zione, basandosi su uno stato coniugale che poi definitivamente può venire meno, possa vincolare il giudice del di-vorzio, dall’altra, inizialmente, la Suprema Corte, secondo un peculiare orientamento, ha ammesso la necessità di tenere presente l’assegno di mantenimento, anche se in maniera non vincolante, come imprescindibile parametro per una più completa valutazione della situazione economica

66 Cubeddu-Patti, Diritto della famiglia, Milano, 2011, p. 625.

67Autorino Stanzione, La separazione, Il divorzio, Torino, 2005, p. 272. 68 Cubeddu-Patti, Diritto della famiglia, Milano, 2011, p. 626.

69 Dogliotti, Separazione e divorzio: il dato normativo, i problemi interpretativi,

(34)

dei coniugi in sede di determinazione dell’assegno divorzile, eventual-mente modulato di fronte al mutamento delle condizioni delle parti 70; tuttavia, secondo una diversa posizione, la Corte ha precisato che il giu-dice del divorzio non è tenuto a considerare eventuali accordi raggiunti in sede di separazione dal momento che l’assegno post-matrimoniale, presupponendo lo scioglimento del matrimonio, prescinde dagli obblighi di mantenimento tipici del regime della separazione71.

In particolar modo, la Corte, in altre occasioni72, sottolineando la marcata indipendenza tra le due attribuzioni economiche in virtù della loro diversa natura, struttura e finalità, ha ritenuto opportuno precisare che la rinuncia della domanda volta a ottenere l’assegno di separazione non pregiudica il diritto all’attribuzione dell’assegno di divorzio, stante il carattere di indi-sponibilità dello stesso.

In sintesi, se in alcuni casi la Suprema Corte si è soffermata sulla identità funzionale e di presupposti dei due emolumenti, in altri, affermando la spiccata autonomia intercorrente tra gli stessi, ha affermato la necessità di una valutazione, in sede di divorzio, del tutto diversa rispetto a quella compiuta dal giudice della separazione e raffrontata con specifici criteri73, in virtù della definitiva perdita dello status di coniuge.

Dopo aver delineato un quadro generale in cui contestualizzare l’istituto in esame, nei prossimi paragrafi il compito sarà quello di analizzare la sua particolare funzione nonché i criteri legali per l’attribuzione e per la determinazione in concreto.

70 Cass. 28 ottobre 1986, n. 6312, in Foro It., 1987, I, 467; Cass. 19 ottobre 2006, n.

22500, in Mass. Giur. It., 2006.

71 Cass 28 ottobre 1994, n. 8912 in Fam. Dir., 1, 14.

72 Cass 4 giugno 1992, n. 6857, in Corr. Giur., 863; Cass 11 settembre 2001, n. 11575 ,

in Fam. Dir.,2002, 3, 285.

73 A. Morace Pinelli, La crisi coniugale tra separazione e divorzio, Milano, 2001, p.

(35)

2.2 Funzione assistenziale dell’assegno: la solidarietà post-

coniugale

Prima dell’intervento modificatore della novella del 1987, le posizioni giurisprudenziali si erano focalizzate sul riconoscimento della natura “composita” dell’assegno di divorzio, il quale poteva assumere carattere assistenziale, risarcitorio o compensativo, a seconda che venisse attri-buita rilevanza, di volta in volta, allo squilibrio delle condizioni econo-miche dei coniugi, alle ragioni della decisione, al contributo personale ed economico dato da ciascuno durante il matrimonio, intesi tutti come elementi incidenti sia sulla attribuzione che sulla quantificazione dell’assegno74.

Altra parte della giurisprudenza, tuttavia, riteneva consolidato il carat-tere risarcitorio-indennitario dell’assegno di divorzio, la cui attribuzione prescindeva dalla verifica delle condizioni del coniuge economicamente più debole, ma risultava legata alla sussistenza di un notevole squilibrio provocato dalla pronunzia di divorzio75.

La dottrina degli anni Settanta, invece, si divideva tra alcuni autori76, che attribuivano all’assegno natura mista, equiparando perfettamente i tre criteri enunciati dall’art. 5 comma 6; altri77, che riconoscevano un

74 Cass. 26 aprile 1974, n. 1194, in Foro It., 1974; Cass. Sez. Unite 9 luglio 1974, n.

2008, in Giur. It. ,1975.

75 Cass. 1 dicembre 1974, n.263, in Foro It., 1974; Cass. 7 maggio 1974, n. 1283, in

Giur.it, 1975.

76 Così, ad esempio, De Martino, Scioglimento del matrimonio, Roma, 1971; Visalli,

La legge italiana sul divorzio nel quadro della legislazione europea e del diritto interno, Roma 1972.

77 Così, ad esempio, Grassi, La legge sul divorzio, Napoli, 1971; Luzzatti, Prima

casistica in tema di divorzio, Milano, 1971; Trabucchi, Matrimonio e divorzio, in Riv. Dir. Civ., 1971, pp. 1-22.

(36)

fondamento alimentare o assistenziale (dando primaria rilevanza al cri-terio delle condizioni economiche); altri ancora78, che rintracciavano in-vece un’essenza risarcitoria o indennitaria (attribuendo risalto allo squi-libro provocato dallo scioglimento del matrimonio).

La riforma avvenuta con l' art. 10 della l. 6 marzo 1987, n. 74, che ha modificato l’art. 5 della legge del 1970, ha privilegiato la natura assi-stenziale dell'assegno stesso (nonostante non debba del tutto escludersi la ricorrenza del fondamento risarcitorio o compensativo nel momento in cui si proceda alla modulazione dell’entità concreta dell’assegno79),

ponendo, come presupposto principale per l'attribuzione del diritto alla corresponsione dell'emolumento, la mancanza, da parte dell’altro co-niuge, "di mezzi adeguati” o “l'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive"80. Si tratta di uno stato di debolezza economica, che non

coin-cide perfettamente con lo stretto stato di bisogno, in quanto, pur se con-cesso in esclusiva funzione assistenziale, l’assegno di divorzio ha disci-plina giuridica diversa da quella che regge l’obbligo alimentare81.

In tal modo, la ratio della disciplina contenuta nel riformato art. 5 si ispira a quel dovere di solidarietà che permane tra coniugi in virtù del rapporto matrimoniale precedente; il riconoscimento dello spirito soli-daristico nella materia divorzile discenderebbe dal forte legame matri-moniale che i coniugi hanno vissuto, basato sulla piena condivisione di un determinato percorso di vita82 e quindi fondato sulla comunione di

vita morale e materiale instauratasi con il matrimonio. Con lo sciogli-mento del matrimonio si verrebbe a creare un rapporto sui generis di

78 Vedi, ad esempio, Barbiera, Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio,

Bologna-Roma, 1971; Capozzi, L’assegno periodico al coniuge divorziato, in Dir.

Giust., 1971; Scardulla, Il divorzio, appendice a La separazione personale dei coniugi,

Milano, 1977.

79 Anceschi, Divorzio, in Digesto civile, 2012.

80 La Rosa, Quantificazione dell’assegno di divorzio e rilevanza della formazione di

una nuova famiglia, in Fam. Dir., 2007, pp. 597 e ss.

81 Cass. 19 febbraio 1977, n. 772, in Dir. Fam., 1977. 82 De Filippis, La solidarietà post-coniugale, 2012, p. 31.

(37)

solidarietà economica, nel quale viene trasformato l’insieme degli ob-blighi di assistenza materiale imposti in costanza di matrimonio83.

Ecco che, stante la previsione di un dovere legale di assistenza econo-mica gravante sui coniugi, benché divorziati, si può ben parlare di una solidarietà post-coniugale, alla stregua della coscienza sociale che an-cora lega i due ex coniugi84.

Inoltre è stato opportunatamente sottolineato che, ispirandosi al canone di correttezza, la permanente solidarietà tra i coniugi in crisi potrebbe ridurre la conflittualità e mitigare le inevitabili conseguenze dello scio-glimento del matrimonio, spesso pregiudizievoli per i figli; anche se il rapporto matrimoniale si è concluso, il rispetto reciproco discende dal prolungamento del dovere di solidarietà espresso dalla Costituzione85.

Tuttavia si tratterebbe, solamente, di una solidarietà economica, stretta-mente materiale: sebbene la scelta dello scioglimento del matrimonio sottenda la fine di qualsiasi legame affettivo tra i coniugi, la parte più forte del rapporto interviene per sostenere l’altra, che si trovi in stato di bisogno, tramite un contributo concreto86.

Più cinicamente è stato sottolineato che la solidarietà post-coniugale, sottesa all’obbligo in esame, esiste in quanto imposta dalla legge, ac-compagnata solo in rare ipotesi da uno spontaneo sentimento altruista87.

Il fondamento assistenziale dell’assegno è stato confermato, in passato, dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nel 1990 e avallato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 24 gennaio 1991, n. 23, la quale, dichiarando manifestatamente infondata la questione sottoposta, ha spe-cificato che “la riforma della disciplina del divorzio ha avuto tra i suoi

obiettivi quello di dare una più ampia e sistematica tutela al soggetto economicamente più debole con l'approntamento di incisivi strumenti

83 De Martino, Scioglimento del matrimonio, Roma, 1971, p. 552. 84 C.M. Bianca, Diritto civile 2/1, La famiglia, Milano, 2014, p. 297.

85Carbone, Crisi della famiglia e principio di solidarietà, in Fam. Dir., 2012, p. 1166. 86 De Filippis, La solidarietà post-coniugale, 2012, p. 27.

Riferimenti

Documenti correlati

In effetti, anche la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio determinando, nell'ordinamento statuale italiano, la cessazione degli effetti civili

stessa prima della celebrazione del matrimonio, nonché l'influenza che tale mancata conoscenza aveva avuto sulla prestazione del consenso, mentre al giudice era rimesso

nel 1974 affermarono il seguente principio di diritto: « L’assegno di divorzio non ha natura alimentare, ma ha natura composita: con funzione assisten- ziale (in quanto, attraverso

L’instaurazione, da parte del coniuge divorziato, di una nuova famiglia, anche si di fatto, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità

Il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi e una funzione assistenziale e in pari misura compensativa e perequativa, richiede

Il matrimonio non fu mai consumato a causa del costante rifiuto dalla parte di Y di avere rapporti. Y dice di essere sposata spinta da una sorta di autocostrizione, a scopo

Si deve però rilevare che nell’ordinanza la Corte di Cassazione pare prospettare un potere - dovere in capo al giudice di valutare le allegazioni del richiedente l’assegno

c.p.c., per non avere il Collegio ritenuto la rilevanza della prova per testi, sia in ordine alla sollevata questione di legittimità costituzionale sia in ordine alla