Confrontando le esperienze europee, è stato correttamente osservato che, in ambito di conseguenze patrimoniali del divorzio, sia in atto un lento passaggio dal principio di solidarietà post-coniugale, non ancora com- pletamente sorpassato, a quello dell’autosufficienza, che sottende una visione individualista delle condizioni successive al divorzio587.
Questa sensazione viene confermata dai principi elaborati dalla Com-
mission on European Family Law, che si occupano della regolamenta-
zione del divorzio e del mantenimento tra ex coniugi; secondo quanto previsto dal principio 2.2, quest’ultimo profilo, valevole per ogni tipo di
584Idem, pp. 284-287.
585Oberto, Contratti prematrimoniali e accordi preventivi sulla crisi coniugale, in Fam.
Dir., 2012, p. 75.
586Fusaro, Marital contracts, ehevertraege, convenzioni e accordi prematrimoniali.
Linee di una ricerca comparatistica, in Nuova giur. civ. comm., 2012, p.483.
587Patti, Solidarietà e autosufficienza nella crisi del matrimonio, Relazione svolta al
Convegno su «La solidarietà tra familiari in Europa», Grosseto, 20 aprile 2017, organizzato dall’Osservatorio Nazionale sul Diritto di Famiglia, p. 278.
divorzio, è improntato ai criteri di autosufficienza ed autoresponsabilità, poiché “dopo il divorzio ciascun coniuge provvede ai propri bisogni”. Nonostante, poi, il principio 2.8 richieda una generica limitazione tem- porale al mantenimento, tale obbligo post- matrimoniale viene previsto laddove “il coniuge richiedente non abbia mezzi adeguati a far fronte ai propri bisogni e il coniuge obbligato abbia la capacità di soddisfarli” (2.3)588.
Il principio 2.4 si sofferma sui criteri di determinazione del manteni- mento, prendendo in considerazione la capacità lavorativa dei coniugi, l’età, lo stato di salute, nonché la durata del matrimonio, la ripartizione dei doveri durante il matrimonio e il tenore di vita precedente (parametro, tuttavia, residuale)589.
Quindi, nei casi in cui sia strettamente necessario il mantenimento del coniuge, tornano a operare una serie di parametri estremamente vicini a quelli enucleati dall’art. 5 l. div., che racchiudono una profonda istanza assistenziale all’interno del contributo economico, ampiamente influen- zato dalla vita matrimoniale precedente.
I successivi principi si riferiscono sia all’esecuzione del mantenimento, o nella forma della somministrazione periodica o della soddisfazione
una tantum, sia all’estinzione di tale obbligo, nel caso di morte di uno
dei due coniugi, di nuovo matrimonio o di successiva convivenza (con la precisazione che, nell’ipotesi di rottura della convivenza, il manteni- mento non rivive).
Meritano attenzione sia il riconoscimento della facoltà dei coniugi di concludere un accordo sul mantenimento riguardante l’esecuzione, la durata, l’estinzione e l’eventuale rinuncia al contributo economico, sia la particolare previsione della clausola di “eccezionale durezza” a favore del coniuge obbligato, idonea ad escludere o limitare il mantenimento,
588Patti-Cubeddu, Introduzione al diritto della famiglia in Europa, Milano, 2008, p.
279.
a seguito del comportamento inadeguato del coniuge richiedente (prin- cipi 2.10 e 2.6)590.
Ciò che emerge chiaramente da tali principi è la necessità di un equili- brato bilanciamento tra rafforzamento delle istanze di indipendenza e persistente esigenza di solidarietà post- coniugale: se il primo profilo risulta enfatizzato dalla regolamentazione convenzionale dei rapporti
post – coniugali, nonché dalla spiccata responsabilizzazione economica
a seguito dello scioglimento del vincolo, il secondo, senza dubbio, emerge non solo dai requisiti richiesti per l’attribuzione del manteni- mento ma anche dai numerosi indici per la sua determinazione; entrambi gli aspetti sembrano invocare una profonda tensione assistenziale-pere- quativa del contributo divorzile, valorizzata ma, al contempo, controbi- lanciata da quello spirito di autosufficienza, proprio della dissoluzione del rapporto coniugale.
590Idem, pp. 280-281.
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Conclusioni
Il presente elaborato si è incentrato sull'analisi dell'istituto dell'assegno
post-matrimoniale, così come disciplinato dalla legge n. 898 del 1970 e
arricchito sia dalle successive modifiche apportate dalla legge n. 74 del 1987, sia dalle interpretazioni che dottrina e giurisprudenza hanno of- ferto nel tempo.
Non appare certo scontato ribadire che la fine di un matrimonio, fondato su una realtà composta da ritmi ed esigenze peculiari, possa stravolgere la vita dei coniugi, che si trovano ad affrontare, da soli, situazioni che in precedenza venivano condivise e vissute di comune accordo.
L’assegno di divorzio occupa un ruolo primario nella disciplina dei rap- porti tra coniugi, reduci dallo scioglimento del matrimonio, in ragione della specifica funzione che esso svolge: sin dalla prima comparsa, il legislatore si è preoccupato di farne emergere l’essenza puramente assi- stenziale, capace di trasformarlo in un mirabile strumento di tutela della parte più debole del rapporto coniugale.
L’assegno rappresenta l’ultimo baluardo di un rapporto ormai concluso, di quella solidarietà che lega i coniugi durante il matrimonio e che, pur se trasformata, impone al coniuge più forte di soccorrere l’altro in diffi- coltà, in ragione del tratto di vita che hanno condiviso.
Questa ratio permea l’intera disciplina, ma, in particolar modo, l’art. 5 l. div., nucleo centrale della materia, stella polare che deve guidare il giudice sia nel riconoscimento che nella determinazione dell’assegno di divorzio: se il presupposto dell’”inadeguatezza dei mezzi e dell’”impos- sibilità di procurarseli oggettivamente” costituisce, in ossequio alla fun- zione assistenziale propria dell’istituto, l’incontestabile punto di par- tenza per l’attribuzione dell’assegno, l’applicazione dei numerosi criteri enunciati dalla norma può condurre il giudice a molteplici risultati, in
relazione alla peculiarità del caso concreto. Più in particolare, proprio il criterio del contributo di ciascun coniuge, nonché l’indicazione della durata del matrimonio, possono costituire formidabili indizi del vissuto dei coniugi, che pur legati al passato, riescono ad influenzare i rapporti successivi.
La variabilità delle situazioni concrete può dipendere anche dallo spazio riservato all’autonomia delle parti, che possono modellare i loro rapporti secondo le proprie esigenze: ricordiamo che è la legge che permette loro di proporre domanda congiunta di divorzio, fissando le condizioni ine- renti alle conseguenze patrimoniali oppure di regolare la modalità di corresponsione dell’assegno post-matrimoniale.
Quindi, è il legislatore, attraverso l’enucleazione dei criteri indicati, che si fa portatore delle istanze di tutela del coniuge più debole, prevedendo l’obbligo, in capo alla parte più forte del rapporto, di corrispondere un aiuto economico all’altro, e che, mediante quell’obbligo, garantisce il proseguo di quella solidarietà che i coniugi hanno vissuto durante il loro rapporto matrimoniale.
Non mi pare del tutto azzardato sostenere che, con molta probabilità, soprattutto per i rapporti conclusi bruscamente, il coniuge più forte, senza un’imposizione legale, non esiterebbe a dimenticarsi dei bisogni del coniuge in difficoltà, lasciandolo da solo ad affrontare il peso delle conseguenze economiche.
La serie di fattori legali è stata, poi, oggetto di interessanti interpreta- zioni offerte dalla giurisprudenza, in primis con la pronunzia delle Se-