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L’indennità di fine rapporto

2.12 Altre misure patrimoniali dei divorziati

2.12.2 L’indennità di fine rapporto

L’art. 12 bis, introdotto dalla novella del 1987, regola l’ipotesi dell’at- tribuzione, all’ex coniuge titolare dell’assegno di divorzio e non passato a nuove nozze, di una percentuale di indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge all’atto di cessazione del rapporto di lavoro338, anche

se l’indennità matura dopo la sentenza di scioglimento del matrimonio.

332 Cass. 16 dicembre 2010, n. 25511, in CED Cassazione, 2010; Cass. 10 gennaio

2001, n. 282, in Mass. Giur. It., 2001; Cass. 14 marzo 2000, n. 2920 in Mass. Giur. It., 2000; Cass. 19 settembre 2000, n. 12389, in Giur. It., 2001, 1127.

333 Cass. 18 luglio 1997, n. 6619, in Mass. Giur. It., 1997. 334 Cass. 10 ottobre 2003, n. 15148, in Mass. Giur. It., 2003. 335 Bianca, Diritto civile 2/1, La famiglia, Milano, 2014, p. 314. 336 Corte Cost. 14 novembre 2000, n. 419, in Nuova Giur. Civ., 2001.

337 Auletta, Caricato, Tommasini, Rossi Carleo, La crisi familiare, in Trattato di diritto

privato, a cura di M. Bessone, Torino, 2013, p.315.

Occorre precisare che il diritto spetta soltanto a seguito della concreta percezione dell’indennità, a condizione che l’ex coniuge sia già e sia sempre titolare dell’assegno339 , richiedendo, precisamente, l’effettivo

accertamento e la conseguenziale liquidazione dello stesso secondo i criteri dell’art. 5340.

Soltanto nel momento in cui viene a maturare il diritto in capo al lavo- ratore, può essere valutata la sussistenza del diritto dell’ex coniuge ad una quota di indennità341.

La quota, maturata al momento della cessazione del rapporto di lavoro e corrisposta direttamente dal coniuge percettore, è calcolata al 40 per 100 dell’indennità maturata dall’altro in relazione al rapporto lavorativo svoltosi in concomitanza al matrimonio.

La norma giustifica una duplice esigenza: da un lato, quella di tutelare il coniuge economicamente più debole, secondo un modello di tipo as- sistenziale, considerando la quota di indennità come componente diffe- rita ad un momento successivo al divorzio342, dall'altro, quella di valo-

rizzare l’effettiva partecipazione del coniuge allo svolgimento della compagine familiare343.

La convivenza, nello stesso istituto, di entrambe le funzioni, è stata con- fermata dalla Corte Costituzionale344.

Difatti, se parte della dottrina ha ravvisato una forte componente assi- stenziale, considerando tale attribuzione destinata a “compensare il co-

339 Cass. 10 febbraio 2004, n. 2466, in CED Cassazione, 2004. 340 Cass. 11 aprile 2003, n.5720, in Arch. Civ., 2004, 263.

341 Bonilini, Trattato di diritto di famiglia, Volume terzo, Milano, 2016, p. 3044. 342 Rimini, La crisi della famiglia, Il nuovo divorzio, Milano, 2015, p. 201.

343 Scia, Indennità di fine rapporto e divorzio, in Nuova giur. civ., 2005, pp. 107 e ss. 344 Corte Cost. 24 gennaio 1991, n. 2, in Giur. Costit., 1991, 151.

niuge più debole della perdita di aspettative maturate durante il matri- monio”345 (e, quindi, doverosa integrazione dell’assegno post- matrimo-

niale346), altra parte ha ritenuto assodata la funzione partecipativa, emer-

gente sia dalla determinazione, in maniera fissa, della percentuale di in- dennità spettante al beneficiario, sia dal riferimento alla coincidenza tra rapporto di lavoro e durata del matrimonio347.

Problematica è stata la definizione dell’inciso “gli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio”: a tal proposito è stato sostenuto, da parte della dottrina348, che, alla luce della lettera della norma, il cal-

colo vada effettuato in relazione all’effettiva durata del matrimonio, escludendo il periodo di convivenza matrimoniale ma comprendendo anche la fase della separazione personale, caratterizzata dalla perma- nenza degli obblighi matrimoniali; in questo senso si è espressa la Corte Costituzionale, che, chiamata a intervenire sul presunto contrasto tra la disposizione in esame e gli artt. 3 e 38 Cost., ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 bis nella parte in cui attribuisce al divorziato una percentuale in maniera fissa dell’indennità di fine rapporto, non rapportandola alla durata del matrimonio349.

Relativamente al mancato godimento del diritto in questione al coniuge separato, una parte della dottrina350 ha evidenziato la palese irrazionalità

di una tale scelta, in considerazione dell’affinità di tutela che collegano

345 Testualmente, Princigalli, Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del

matrimonio (l. n. 74 del 1987), in Nuove leggi civ. comm., 1987.

346 Princigalli, Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio

(l.n. 74/1987), in Nuove leggi Civ. Comm., 1987.

347 Quadri, La nuova legge sul divorzio, Napoli, 1987.

348 Dogliotti, Separazione e divorzio: il dato normativo, i problemi interpretativi,

Torino, 1995, p.260.

349 Corte Cost. 24 gennaio 1991, n. 23, in Giur. Costit., 1991, 151.

350 Amadio, Indennità di fine rapporto e diritti del coniuge divorziato: elementi della

i due istituti (divorzio e separazione), altra parte351 ha ritenuto inconte-

stabile l’omissione legislativa, sul presupposto che la separazione per- sonale si caratterizza per una intrinseca transitorietà.

La questione sembra essere strettamente collegata con uno dei presup- posti richiesti dalla norma, ossia la pronunzia di scioglimento del ma- trimonio, da cui discende, secondo opinione univoca della giurispru- denza352, il riconoscimento della legittimazione a proporre istanza solo

in capo al divorziato; tuttavia, si ammette che il riconoscimento del di- ritto può avvenire anche in virtù di una sentenza non definitiva di divor- zio, ma mai nel corso del giudizio di divorzio, escludendo così un pre- ventivo accertamento del diritto353.

Al fine di risolvere i dubbi sollevati dalla parte finale della disposizione, ossia che tale diritto sorge “anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza”, il giudice di legittimità354 ha sostenuto che il diritto alla

percentuale di fine rapporto nasce soltanto se l’indennità sia maturata al momento della proposizione della domanda introduttiva di divorzio o successivamente ad essa, senza dare rilevo alle indennità riscosse prece- dentemente, o durante la convivenza matrimoniale o anche durante la fase di separazione.

Il legislatore ritiene di escludere il diritto a percepire la quota di inden- nità laddove l’ex coniuge abbia contratto un nuovo matrimonio: tale pre- cisazione è stata ritenuta superflua in quanto tale circostanza giustifica di per sé l’estinzione del diritto all’assegno di divorzio355.

Per quanto riguarda l’oggetto dell’attribuzione in esame, si ritiene che essa comprenda il trattamento di fine rapporto tout court, ossia indennità

351 De Paola, Il diritto patrimoniale della famiglia coniugale, Milano,1991 p.362;

Dogliotti, Separazione e divorzio: il dato normativo, i problemi interpretativi, Torino 1995, p.259.

352 Cass. 10 aprile 2012, n. 5654, in Fam. Dir., 2012 , 12, 1114. 353 Bonilini, Trattato di diritto di famiglia, Milano,2014, p. 3044.

354 Cass. 6 giugno 2011, n. 12175, in CED Cassazione, 2011; Cass. 16 dicembre 2010,

n.25520, in CED Cassazione, 2010; Cass. 14 novembre 2008, n. 27233, in Foro It., 2009, 2, 1, 415.

355 Rimini, Sub art. 12 bis, in Comm. Gabrielli, Della famiglia, a cura di Balestra,

di anzianità, trattamento di fine rapporto in generale, indennità di buo- nuscita e quella di fine servizio356.

La norma risulta viziata, tuttavia, di una notevole disparità di tratta- mento, in quanto allude all’indennità di fine rapporto soltanto con rife- rimento al coniugato che sia lavoratore subordinato, escludendo le altre professioni357.

Come già affermato in tema di pensione di reversibilità, anche in tal caso, il coniuge che ha ottenuto la liquidazione in un’unica soluzione perde il diritto alla quota di indennità di fine rapporto358.

2.12.3 L’assegno a carico dell’eredità

Particolare conseguenza patrimoniale che discende dalla titolarità dell’assegno di divorzio in capo all’ex coniuge in stato di bisogno, con- siste nel riconoscimento, a norma dell’art. 9 bis, introdotto dall’art. 3 della l. n. 426 del primo agosto 1978, di un diritto a ricevere il versa- mento di un assegno a carico dell’eredità a seguito della morte dell’ob- bligato.

L’assegno non spetta automaticamente all’ex coniuge superstite ma viene determinato in via giudiziale dal tribunale359.

In merito al fondamento dell’assegno in esame, se appare indiscussa la

ratio chiaramente assistenziale, tenuta conto la precedente comunione

di vita tra i coniugi360 ( pur mantenendo la sua particolare autonomia)361,

356 Dogliotti, Separazione e divorzio: il dato normativo, i problemi interpretativi,

Torino, 1995, p. 259.

357 Bonilini, Trattato di diritto della famiglia, Volume terzo, Milano, 2016, p. 3041. 358Autorino Stanzione, La separazione, il divorzio, l’affido condiviso, Torino, 2011,

p.334

359 Rimini, La crisi ella famiglia, Il nuovo divorzio, Milano, 2015, p. 199. 360 Bianca, Diritto civile 2/1, La famiglia, Milano, 2014, p. 321.

361 Auletta, Caricato, Tommasini, Rossi Carleo, La crisi familiare, in Trattato di diritto

assai dibattuta è la scelta tra natura meramente alimentare362 o succes-

soria363.

Come sostenuto dalla giurisprudenza, la norma, lungi dal trasferire sul coniuge superstite e sugli eredi l’obbligo di corrispondere l’assegno

post- matrimoniale spettante al defunto, ha previsto un diritto del tutto

nuovo e autonomo a beneficio dell’ex coniuge, fondato su presupposti completamente diversi364.

Il fondamentale presupposto per l’ottenimento dell’assegno successorio (ma altresì criterio al quale far riferimento in sede di quantificazione), consiste nella titolarità dell’assegno post-matrimoniale, intesa come ti- tolarità in concreto, in quanto la stessa norma, secondo il suo tenore let- terale, allude all’effettivo riconoscimento del contributo patrimoniale previsto all’art. 5, il cui ammontare verrà preso in considerazione dal giudice in sede di determinazione dell’emolumento previsto dall’art. 9

bis; tale tesi trova implicita conferma nel disposto contenuto nell’art. 5

l. 28 dicembre 2005, n. 263, che ha affrontato la questione in relazione alla pensione di reversibilità 365.

Inoltre, secondo la lettera dell’art. 9 bis, l’attribuzione ereditaria conse- gue non soltanto alla morte dell’ex coniuge obbligato ( considerato ter- mine finale della corresponsione dell’assegno post-matrimoniale)366, ma

altresì all’insorgenza di uno stato di bisogno, il quale sembra confermare la natura alimentare dell’assegno stesso: al riguardo, se la dottrina pre- valente367 e la giurisprudenza368, hanno specificato che tale locuzione

362 Barbiera, I diritti patrimoniali dei separati e dei divorziati, Bologna,2001, p. 107;

Dogliotti, Separazione e divorzio: il dato normativo, i problemi interpretativi, Torino, 1995, p. 268.

363 Bianca, Diritto civile 2/1, La famiglia, Milano,2014, p. 321. 364 Cass. 27 novembre 1996, n. 10557, in Mass., 1996.

365 Rimini, La crisi della famiglia, Il nuovo divorzio, Milano 2015, p. 187. 366 Bonilini, Trattato di diritto di famiglia, Volume terzo, Milano,2016, p. 3067. 367 Si veda Scalisi, Commento all’art 9 bis l. n. 436/1978, in Nuove leggi Civ. Comm.,

1979, p. 624 ss.

368 Cass. 17 luglio 1992, n. 8687, in Foro It., 1993, I, 790; Cass. 14 maggio 2004, n.

implichi l’assenza di quei mezzi necessari a soddisfare le primarie esi- genze di vita, tenendo conto delle condizioni economiche del beneficia- rio e del de cuius , in analogia a quanto previsto dall’art. 438 cod. civ. (in materia di diritto agli alimenti), altra parte369 attualmente ritiene che

lo stato di bisogno menzionato sottenda una valutazione simile a quella operata in sede di riconoscimento dell’assegno di divorzio, ossia la man- canza di mezzi adeguati; tuttavia, vi è una posizione intermedia370 che

richiede che la valutazione dello stato di bisogno debba essere effettuata in termini meno rigorosi rispetto a quella operata ex art. 438 cod. civ., tenendo conto anche di altri criteri.

Il legislatore indica, come valori per la determinazione dell’assegno successorio, l’importo dell’assegno divorzile, indicante la soglia mas- sima oltre al quale il giudice non può andare 371; l’entità del bisogno,

subordinata all’accertamento delle condizioni economiche del richie- dente; l’eventuale godimento della pensione di reversibilità, idonea a escludere o a ridimensionare l’assegno372; l’ammontare delle sostanze

ereditarie, che a seconda delle interpretazioni, può comprendere o sol- tanto il patrimonio relitto373 o anche, addirittura, le donazioni poste in

essere dall’ex coniuge obbligato374; il numero, la qualità e condizioni

economiche degli eredi e, in tal caso, se il riferimento quantitativo im- plica che maggiore è il numero degli eredi, minore è il sacrificio che devono sopportare per versare l’assegno all’ex coniuge375 , compren-

dendo, in tale considerazione, soltanto i parenti più stretti, il riferimento

369 Bonilini, Trattato di diritto di famiglia, Volume terzo, Milano, 2016, p. 3071. 370 Dogliotti, Separazione e divorzio: il dato normativo, i problemi interpretativi,

Torino,1995, p. 266; Trib. Pavia 13 maggio 1993, in Giust. Civ., 1993.

371 Bianca, Commento all’art 9 bis l. d., in Comm. Dir. It. Fam., a cura di Cian, Oppo,

Trabucchi, VI, Padova, 1993, p. 482.

372 Cass. 17 luglio 1992, n. 8687, in Foro It., 1993, I, 790; Cass. 8 giugno 1992, n.

5492, in Foro It., 1993.

373 Mengoni, Successioni per causa di morte. Parte speciale: Successione legittima, in

Tratt. Dir. Civ. Comm., Milano, 1993, p. 155 ss.

374 Finocchiaro, Commento all’art 9 bis l. d., in Diritto di famiglia, III, Il divorzio,

Milano, 1988, p.644.

375 Bianca, Sub art 9 bis l. d., in Comm. Cian, Oppo, Trabucchi, cit. p. 485; Dogliotti,

Separazione e divorzio: il dato normativo, i problemi interpretativi, Torino,1995, p.

alle “condizioni economiche” richiama un criterio alquanto marginale, in virtù dell’assenza di uno stretto rapporto che li lega con l’ex coniuge richiedente376.

Per quanto riguarda i soggetti obbligati a corrispondere l’assegno suc- cessorio, la norma parla di “eredi”, alludendo, perciò, a quelli legittimi e a quelli testamentari; discussa è la possibilità di ricomprendere anche i legatari, poiché se una parte della dottrina377 tende ad escluderlo, altra

parte si mostra di tutt’altro avviso, ipotizzando che i legatari, pur non essendo onerati a corrispondere l’assegno all’ex coniuge, possano essere presi in considerazione secondo l’entità del legato378.

L’art. 9 bis, al secondo comma, prevede l’eventualità che le parti si ac- cordino per la corresponsione dell’assegno in una unica soluzione, de- rogante al versamento periodico a cui allude il primo comma; si tratta di una modalità speculare a quella prevista in materia di assegno divorzile (pur mancando, in questo caso, qualsiasi riferimento al giudizio di equità compiuto dal giudice), che si giustifica sulla base della necessità, degli eredi e dell’ex coniuge destinatario, di interrompere celermente i rap- porti379.

Il comma 1, in chiusura, specifica che l’assegno non spetta laddove le parti abbiano optato per la corresponsione una tantum dell’assegno post- matrimoniale.

Alla luce del tenore normativo, il diritto all’assegno a carico dell’eredità si estingue laddove l’ex coniuge beneficiario contragga un nuovo matri- monio o laddove venga meno lo stato di bisogno, anche se in tal caso si può correttamente parlare di “quiescenza”380, nell’eventualità che tale

376 Bonilini, Trattato di diritto di famiglia, Volume terzo, Milano, 2016, p. 3077. 377 Scalisi, Commento all’art. 9 bis l. n. 436/1978, in Nuove leggi civ. comm., 1979, p.

630.

378 Mengoni, Successioni per causa di morte. Parte speciale, Successione legittima, in

Tratt. Dir. Civ. Comm., p. 204 e ss.

379 Mirone, I diritti successori del coniuge, Napoli, 1984, p. 315 ss. 380 Mirone, I diritti successori del coniuge, Napoli, 1984, p. 347.

stato di bisogno, come prospettato dalla legge, possa rivivere successi- vamente.

In virtù del fondamento assistenziale dell’istituto, pur nel silenzio del legislatore, si ritiene che l’assegno successorio possa essere sottoposto a revisione, laddove vengano a mutare le condizioni economiche delle parti o a seguito di una svalutazione monetaria381.

Viene considerata causa di estinzione la morte del beneficiario, in quanto tale diritto, in virtù della sua natura personale, è intrasmissibile, mentre non può dirsi altrettanto per la morte di uno degli eredi obbligati, poiché consegue il trasferimento di tale quota in capo agli eredi di quest’ultimo382.

381 Bianca, Diritto civile 2/1, La famiglia, Milano, 2014, p. 322.

CAPITOLO III

L'evoluzione giurisprudenziale dell'assegno di di-

vorzio

3.1 Il consolidato orientamento delle Sezioni Unite del

1990.

Quando si affronta la tematica dell'assegno di divorzio, dal punto di vista dell’evoluzione giurisprudenziale, una tappa fondamentale, benché da- tata nel tempo, coincide con questa storica sentenza383 della Corte di

Cassazione, punto di svolta, ma anche di partenza, all'interno della ma- teria oggetto del presente elaborato.

La sua importanza non deriva solamente dal prestigio dell'organo giudi- ziario in questione, che rappresenta il gradino più elevato al quale tutte le altre sezioni si devono adeguare, ma, inoltre, dalla innovativa inter- pretazione attribuita all'art. 5 l. div., sulla scia dell’impostazione im- pressa a partire dalla riforma del 1987.

La Cassazione, in questa occasione si è trovata a dover risolvere il con- trasto insorto tra gli esiti della sentenza 17 marzo 1989, n. 1322 e quelli della sentenza 2 marzo 1990, n. 1652384, riguardante la ricerca del refe- rente più appropriato al quale raffrontare il concetto di “adeguatezza dei mezzi”, considerato, dal legislatore, presupposto indefettibile per il ri- conoscimento del diritto a percepire l’assegno di divorzio. Per appro- fondire, è opportuno ricordare che, se la prima sentenza della Cassa- zione si è orientata a rilevare l’”inadeguatezza di mezzi” nell’eventualità in cui il coniuge più debole non possa condurre un tenore di vita analogo a quello goduto durante il matrimonio (con la conseguenza, tuttavia, di un eccessivo congelamento dei rapporti tra ex coniugi, ancora legati da un vincolo non più esistente); la seconda, all’opposto, si è indirizzata a commisurare tale presupposto ad un livello di vita che non ecceda quello di normalità, intendendo per quest'ultimo un livello di vita che sia rite- nuto dignitoso di per sé in un dato momento storico dalla coscienza sociale385 . Quindi, per “adeguatezza di mezzi”, come già sostenuto pre-

cedentemente dalla dottrina, si deve intendere “la capacità del coniuge

di provvedere da sé alle proprie esigenze e bisogni della vita, cioè quel «tanto» che è necessario per rendersi economicamente e dignitosamente autonomo dall'altro”386.

Quest’ultima pronunzia, offrendo un punto di vista innovativo, ha cer- cato di allentare la forte dipendenza economica tra ex coniugi, resistente allo scioglimento del matrimonio, con l’obiettivo, pur restando fedele alla natura puramente assistenziale dell’assegno divorzile, di incentivare una maggiore indipendenza e autonomia economica del coniuge più de- bole e, al contempo, ridurre il rischio di determinare il sorgere di una rendita vitalizia a vantaggio di quest’ultimo. Secondo la Prima Sezione,

384 Cass. 17 marzo 1989, n. 1322, in Foro It., 1989 I, 2512; Cass. 2 marzo 1990, n.

1652 in Foro It., 1990 I, 1165.

385 Iacovino, Assegno di divorzio e “modelli di vita”, in Giur. It., 1990, 12.

386 Cit. di Macario, Commento all’art 10 l. 6 marzo 1987, n.74, in Le Nuove leggi civ.

quindi, “con la riforma sarebbe cambiata la filosofia dei rapporti patri-

moniali, affermandosi il concetto di “autonomia economica”387. Tra le suddette antitetiche posizioni si è originato il conflitto giurispru- denziale, che ha reso necessario il conciliante intervento delle Sezioni Unite.

L’intervento nomofilattico origina dalla pronuncia di scioglimento del matrimonio da parte del Tribunale, con conseguente statuizione dell’ob- bligo in capo al marito, di versare l’assegno periodico. Quest’ultimo proponeva appello in ordine ai provvedimenti di carattere patrimoniale; a seguito del rigetto dell’impugnazione, l’uomo proponeva ricorso per Cassazione, lamentando la ripetuta violazione, da parte del giudice di secondo grado, dell’art. 5 l. div.: sia, erroneamente, considerando pre- minente il criterio compensativo, in realtà rilevante solamente per la de- terminazione in concreto dell’assegno; sia dimenticando la precedente rinuncia, da parte della donna, chiaramente autosufficiente, dell’asse- gno in sede di separazione; sia omettendo di rilevare la superiorità eco- nomica dell’ex moglie, rispetto alle ristrette capacità redditizie dell’ex marito388.

La Suprema Corte, ritenendo fondati i motivi prospettati, si sofferma, in

primis, sul presupposto (unitario, adattabile “a tutti i vari modelli con- creti di matrimonio”) dell’attribuzione dell’assegno divorzile, specifi-

cando che “sulla base del nuovo testo dell’art. 5 della legge n. 898/1970,

sostituito dall’art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74, l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno risulta fondato esclusivamente sulla circostanza che quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni ogget- tive”; aggiunge poi che “il rapporto di conseguenzialità tra la mancanza dei mezzi adeguati ed il diritto dell’assegno assume carattere esclusivo,

387 Gabrielli, L’assegno di divorzio in una recente sentenza della Cassazione”, in Riv.

Dir. Civ., 1990, p. 538.

nel senso che per l’attribuzione dell’assegno nessun’altra ragione può avere rilievo”389.

Dopo aver confermato l’inderogabile presenza del presupposto richiesto dalla legge, le Sezioni Unite si sono trovate ad affrontare un gravoso compito: fissare un contenuto univoco di “adeguatezza di mezzi”, in mancanza di una definizione legislativa, in modo tale da confermare il fondamento puramente assistenziale dell’assegno di divorzio, e, nel contempo, da superare la precedente consolidata tesi della natura “com- posita” dell’assegno, sostenuta fino dalla pronunzia delle Sezioni Unite del 1974, ma aspramente contestata dalla sentenza in esame.

Alla Corte, tuttavia, non è apparso opportuno far riferimento, come pre- visto dal testo predisposto dalla Commissione Giustizia del Senato, al “dignitoso” mantenimento, ossia un livello di tenore di vita “normale”, autonomo e perciò del tutto sganciato da quello conseguito in costanza di matrimonio390, sul presupposto che, essendo un testo provvisorio, è