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L'informativa ambientale esterna d'azienda

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in

CONSULENZA PROFESSIONALE ALLE AZIENDE

L’informativa ambientale esterna d’azienda

Analisi della letteratura, contabile ed empirica

Relatore

Candidata

Prof. Marco Allegrini

Giulia Casarosa

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A Sara

“L’informazione è la risoluzione dell’incertezza” Claude Shannon

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Indice

Introduzione ... 1

1. La centralità della questione ambientale ... 4

1.1. Ambiente e impresa ... 7

1.1.1. La Responsabilità sociale di impresa ... 9

1.1.2. Nascita e diffusione della RSI: cenni ... 13

1.1.3. Stakeholder view ... 18

1.2. L’importanza dell’informativa socio-ambientale ... 21

1.2.1. Benefici e profili di criticità ... 23

1.3. Sviluppi recenti: la Bussiness Roundtable ... 29

2. Le informazioni ambientali e gli strumenti di rendicontazione ... 35

2.1. Documenti obbligatori ... 37

2.1.1. La Relazione sulla gestione ... 38

2.1.2. La disclosure non finanziaria ai sensi del D. Lgs 254/2016 ... 46

2.1.3. Analisi del primo anno di applicazione del D. Lgs. n. 254/2016 ... 60

2.2. Comunicazione ambientale e rendicontazione volontaria ... 64

2.2.1. Il bilancio sociale ... 65

2.2.2. Il bilancio ambientale ... 73

2.2.3. La disclosure non finanziaria ai sensi del D. Lgs. n. 254/2016 ... 77

3. Profili di bilancio ... 80

3.1. Costi e passività ambientali ... 82

3.1.1. Le spese ambientali e le immobilizzazioni materiali ... 82

3.1.2. Costi per certificazioni ambientali: criteri per la capitalizzazione ... 90

3.1.3. Passività ambientali ... 95

3.1.4. Contributi in conto impianti: cenni ... 111

3.2. Le quote di emissione gas ad effetto serra ai sensi dell’OIC 8 ... 115

3.2.1. Il mercato delle emissioni (ETS) ... 118

3.2.2. Natura, ambito soggettivo e oggettivo ... 122

3.2.3. Valutazione e rappresentazione in bilancio ... 127

3.2.4 Informazioni in Nota Integrativa ... 138

3.2.5. Differenze con IAS/IFRS... 142

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4. Analisi empirica delle informazioni ambientali presenti nella disclosure obbligatoria di

impresa ... 153

4.1. Definizione del campione ... 153

4.2. Profili di analisi ... 157

4.2.1. Risultati dell’analisi empirica ... 160

4.2.3. Esempi pratico-operativi ... 161

4.3. Conclusioni e profili di criticità ... 171

Conclusioni ... 174

Appendice A ... 180

Indice delle figure ... 182

Indice delle tabelle ... 184

Bibliografia ... 185

Fonti normative e principi contabili ... 191

Sitografia... 193

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1 Introduzione

Il presente elaborato ha ad oggetto lo studio dell’informativa ambientale esterna d’azienda. In particolare, vengono esposti ed analizzati i principali strumenti di rendicontazione utilizzati dall’impresa al fine di informare i propri stakeholders relativamente alle azioni intraprese ed ai risultati raggiunti in campo ambientale.

La questione ambientale è un argomento estremamente attuale, nonostante le prime definizioni del concetto risalgono agli anni’50 ed i primi studi e teorie relative alla gestione di impresa socialmente responsabile addirittura a partire dagli anni ‘30. Al giorno d’oggi, infatti, con la globalizzazione sempre più crescente e la maggiore consapevolezza anche dei soggetti esterni del rischio di depauperamento ambientale, la questione ambientale non è solo al centro delle decisioni aziendali, ma necessita di essere comunicata, in modo completo, attendibile e certo ai portatori d’interesse dell’impresa i quali, dunque, non sono più interessati solamente alla quantificazione del profitto, ma pongono l’attenzione a come esso viene ottenuto ed all’impatto che l’impresa può avere sull’ambiente che la circonda.

In tale contesto, si ha il consolidamento di strumenti di rendicontazione volontaria, quali il bilancio ambientale e sociale, in un primo momento, per poi vedersi affermare la comunicazione mediante strumenti obbligatori per particolari categorie di imprese, quali la Relazione sulla gestione e, in tempi molto recenti, la Dichiarazione non finanziaria1. Scopo dell’elaborato è, dunque, quello di esporre, oltre ai contenuti ed alle caratteristiche dei principali strumenti di rendicontazione sopra elencati, anche i riflessi che la questione

1 L’obbligo della redazione della dichiarazione non finanziaria è stato introdotto per i bilanci relativi all’esercizio 2017

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ambientale ha sui due prospetti principali del Bilancio di esercizio, vale a dire sullo Stato patrimoniale e sul Conto economico. Infatti, mentre gli strumenti volontari od allegati al Bilancio d’esercizio contengono principalmente informazioni di tipo qualitativo-descrittivo, lo Stato patrimoniale ed il Conto economico, proprio per il loro carattere estremamente sintetico-quantitativo e per la struttura rigida prevista dalla normativa, difficilmente consentono, senza la lettura della Nota integrativa, di individuare le azioni intraprese in campo ambientale o l’impatto che l’azienda ha sull’ambiente naturale esterno. Se poi, oltre a tale problematica, viene preso in considerazione il fatto che gli strumenti di comunicazione citati (obbligatori e non) sono utilizzati principalmente dalle grandi imprese, il raggiungimento di una comunicazione ambientale diffusa e consolidata nel territorio italiano sembra essere un obiettivo non solo difficilmente raggiungibile, ma quasi utopistico.

Nel presente studio viene, a tal fine, evidenziata l’importanza del rapporto esistente tra l’ambiente e l’impresa, attraverso un’analisi delle principali teorie e della letteratura di riferimento per poi esporre, nei capitoli secondo e terzo, le caratteristiche, i benefici ed i profili di criticità degli strumenti di rendicontazione utilizzati dall’impresa e contenenti informazioni rilevanti per i soggetti esterni a carattere ambientale mediante l’utilizzo di tabelle e di esempi pratici. È stata, infine, effettuata un’analisi empirica su un campione di aziende italiane quotate al fine di individuare le best practices nella disclosure ambientale delle quali vengono forniti, anche in questo caso, esempi pratici dei metodi e delle modalità di esposizione.

Grazie a tale lavoro è stato possibile analizzare i benefici ed i profili di criticità connessi all’informativa ambientale esterna d’impresa anche in considerazione degli sviluppi recenti. È proprio, infatti, negli ultimi anni che la disclosure non finanziaria e, dunque,

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ambientale, risulta essere al centro dell’attenzione proprio a seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 254 del 2016 e delle sempre più numerose azioni intraprese in campo ambientale da parte delle imprese.

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4 1. La centralità della questione ambientale

1.1. Ambiente e impresa – 1.1.1. La Responsabilità sociale di impresa – 1.1.2. Nascita e diffusione della RSI: cenni – 1.1.3. Stakeholder view – 1.2. L’importanza dell’informativa socio-ambientale – 1.2.1. Benefici e profili di criticità – 1.3. Sviluppi recenti: la Business Roundtable

La questione ambientale sta assumendo negli ultimi anni un’importanza riconosciuta da tutti i soggetti che entrano in contatto con l’impresa. Infatti, considerando una prospettiva più ristretta, non solo gli azionisti, detti anche shareholders o stockholders, e, di conseguenza, i managers aziendali e la proprietà aziendale pongono l’attenzione sul comportamento dell’impresa stessa: allargando il campo di interesse, di fatto, sono coinvolti nell’attività dell’impresa i portatori di interesse intesi in senso ampio, ovvero i cosiddetti stakeholders. A conferma di ciò vi sono stati numerosi incontri, conferenze, interventi normativi e studi a partire dagli anni ’90, tra cui i più rilevanti risultano il Summit della Terra, tenutosi a Rio de Janeiro nel 19922, durante cui fu sottoscritta, tra le tre Convenzioni di Rio, la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC)3. La Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente e sullo Sviluppo, infatti, è stato un “Summit che ha lanciato per la prima volta lo sviluppo

sostenibile come un concetto accettato a livello internazionale e basato su tre pilastri: economico, sociale ed ambientale”4; a livello europeo, invece, l’impronta sostenibile viene definitivamente sancita con l’Agenda 20205, prima, nel marzo del 2010, e con la

2Il Summit della Terra, o Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente e lo Sviluppo (UNCED) è stata la prima

conferenza mondiale dei capi di Stato sull’ambiente

3 Oltre a tale Convenzione, avente il fine di limitare l’incremento di anidride carbonica nell’atmosfera terreste, furono

sottoscritte la Convenzione sulla lotta contro la Desertificazione e la Convenzione sulla Diversità Biologica. Inoltre, vennero stipulati e redatti alcuni importanti documenti quali l’Agenda 21, la Dichiarazione di Rio per l’Ambiente e lo Sviluppo e la Dichiarazione sui Principi relativi alle Foreste

4 Ugo Guarnacci, Il Summit della Terra Rio+20: una dichiarazione senza futuro, Cartografare il presente, 28 giugno

2012, http://cartografareilpresente.org/article794

5 Con Agenda 2020 si intende la strategia dell’Unione Europea per la crescita e lo sviluppo per il decennio in corso

avente, tra gli altri, obiettivi relativi ai cambiamenti climatici ed energia in termini di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, aumento dell’utilizzo delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica

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sottoscrizione dell’Agenda 20306, successivamente nel settembre 2016: tali programmi incorporano, infatti, una strategia che, oltre ad avere ad oggetto la crescita e la coesione economica della UE, includono anche obiettivi nell’ambito del sostenibile, vale a dire relativi ad un’economia più verde, più efficiente nella gestione delle risorse e più competitivo.

In tale ottica, la tematica ambientale e la problematica connessa della comunicazione verso l’esterno di tale questione rientrano nell’ambito più ampio della Corporate Social

Responsibility e dell’etica in generale. Rusconi, infatti, sostiene che esiste un’etica anche

per colui che gestisce l’impresa dal momento che non sembra comprensibile “l’esistenza

di un’etica applicabile solo alla quotidianità personale e non anche ad azioni essenziali per il vivere comune come sono quelle inerenti all’attività imprenditoriale”7. Tali valori etici costituiscono, di fatto, le premesse di valore del vivere comune e variano nel tempo e nello spazio, pur costituendo sempre un “forte condizionamento al comportamento delle

istituzioni e degli individui8. Etica e socialità sembrano instaurare tra di loro un rapporto di reciproco interesse: i valori etici “muovono”, infatti, le scelte del manager aziendale portandolo a considerare sia l’aspetto dell’economicità che quello della socialità; questo porta ad introdurre, pertanto, nella teoria aziendale e nella teoria delle decisioni d’impresa, “i problemi dell’umanizzazione e dell’ambientamento”9. “Il rispetto del vincolo etico”, inteso come condizione di sviluppo dell’impresa, anche se “funzionale al conseguimento degli equilibri aziendali”10 è, infatti, strettamente collegato all’etica

6 Programma di azione per le persone ed il pianeta sottoscritto da 193 Paesi membri dell’Onu, che ingloba i Sustainable

Development Goals (SDGs), ovvero i 17 obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile

7 Gianfranco Rusconi, Etica, responsabilità sociale d’impresa e coinvolgimento degli stakeholder, ImpresaProgetto, n.

1, anno 2007, pag. 2

8 Francesco Manni, Responsabilità sociale e informazione esterna d’impresa – Problemi, esperienze e prospettive del

bilancio sociale, G. Giappichelli editore, Torino, anno 1998, pag. 14

9 F. Manni, Responsabilità sociale e informazione esterna d’impresa, op. cit., pag. 16

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personale di tutti gli stakeholder; tuttavia, la Corporate Social Responsibility “si

relaziona all’oggettività dei rapporti fra le persone”11 in quanto, secondo Husted e Allen, “cerca di andare incontro alle aspettative pubbliche generalmente concordate sul

comportamento dell’impresa”12. Tra tali aspettative pubbliche vi rientrano le aspettative legate all’ambiente con cui l’impresa entra in contatto, che varia a seconda del contesto economico-sociale, e storico, in cui l’impresa opera: l’attenzione alla tematica ambientale, anche se non recente, è così innovativa degli ultimi anni. L’ambiente circostante diventa, dunque, parte dell’impresa per gli stakeholders in primis i quali, si aspettano una vera e propria gestione sostenibile, ma soprattutto per l’azienda stessa intesa come l’insieme delle persone che contribuiscono alla sua attività13. Non è solo,

infatti, richiesta la condivisione dell’obiettivo del minor impatto ambientale ai manager ed alla proprietà aziendale in quanto, risulta fondamentale, soprattutto per la grande impresa, che anche i lavoratori operino nell’ottica della sostenibilità ai fini del conseguimento di risultati concreti.

Alla luce di tali considerazioni, nel presente capitolo introduttivo, dopo aver esaminato il rapporto tra ambiente ed impresa, verranno esposti i profili della Responsabilità sociale d’impresa (o Corporate Social Responsibility), le principali teorie sui portatori di interesse dell’impresa per poi illustrare i benefici derivanti da una gestione sostenibile orientata alla prevenzione dell’ambiente che, preannuncia e risolve un vero e proprio “ “dilemma etico” dal momento che “l’attività di colui che prende decisioni è intimamente

11 G. Rusconi, Etica, responsabilità sociale d’impresa e coinvolgimento degli stakeholder, op. cit., pag. 9 12 Bryan W. Husted, David B. Allen, Is it Ethical to Use Ethics as Strategy?, Journal of Business Ethics, vol. 27,

anno 2000, p. 23

13 L’impresa, infatti, può essere vista come un sistema aperto in quanto si trova ad operare in un determinato ambiente

in relazione con altri soggetti esterni quali consumatori, imprese, ecc. ... utilizzando come input i fattori produttivi e gli influssi ambientali che rappresentano vincoli od opportunità per la stessa organizzazione. Risulta, pertanto, fortemente influenzata dall’ambiente esterno in cui opera (C. Saliconi, Compendio di Organizzazione aziendale, Edizioni Simone, anno 2013)

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legata alla capacità di realizzare un equilibrio tra la sfera personale (etica), dell’organizzazione (strategia) e quella dell’ambiente economico-sociale esterno

(CSR)”.14

1.1. Ambiente e impresa

“Il comportamento dell’impresa, secondo Catturi, si concretizza in un sistematico e vicendevole scambio con il contesto ambientale di riferimento”15, dal momento che la qualità dei rapporti che un’impresa crea con l’ambiente circostante risulta determinante al fine di assicurare la sopravvivenza dell’impresa, in prima istanza, ma soprattutto per perseguire lo sviluppo aziendale. L’ambiente, infatti, entra a far parte delle variabili che la direzione aziendale deve prendere in considerazione nella definizione della strategia d’impresa in quanto costituisce, al giorno d’oggi, una vera e propria opportunità di

business, da un lato, ed una delle grandi opportunità economico-sociali del pianeta,

dall’altro16. Questo ha determinato un aumento delle responsabilità dell’impresa che

derivano dall’operare a diretto contatto con l’ambiente esterno circostante: tali nuove responsabilità non riguardano soltanto il mercato stesso, ma riguardano l’intera società. A conferma di ciò, sostiene sempre Catturi, vi è il fatto che “i rapporti tra l’impresa e

l’ambiente sono di tipo elicoidale”17: la razionalità dell’imprenditore, sia essa di natura economica che di natura sociale, si sviluppa e coesiste in un “continuo processo di

contrattazione-adattamento” tra l’impresa ed i portatori di interesse con cui entra in

14 A. Ferrari, D. Morana, Etica e Management in Innovazione e Sviluppo, supplemento n. 4, aprile 1990, pag. 18 15 Giuseppe Catturi, Produrre e consumare, ma come? Verso l’ecologia aziendale, Cedam, Padova, anno 1990, pag.

15

16 Eugenio Caruso, Impresa Oggi, www.impresaoggi.com

17 Giuseppe Catturi, Intervento alla tavola rotonda dal titolo Etica ed obiettivi dell’impresa, Cedam, Padova, anno

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8

contatto. Secondo Manni, infatti, “l’impresa è un potente reattore di ricchezza che, però,

necessita di orientamenti sociali che si coniughino con le esigenze del mercato competitivo al fine di mantenere entro limiti accettabili le cosiddette esternalità negative”, tra le quali vi rientrano, ad esempio, la violazione di regole etiche,

l’inquinamento ambientale, la corruzione, ecc. 18.

In base a tali considerazioni, una delle conseguenze naturali del sopravvento della problematica ambientale nella questione della gestione d’impresa, è l’aspetto della comunicazione esterna. L’impresa, fin dalla sua origine, ha, infatti, sempre comunicato con il mondo esterno; date le nuove esigenze degli stakeholders, tuttavia, attualmente la comunicazione cerca anche il consenso degli interlocutori con cui l’impresa entra in contatto. Secondo Dalledonne, infatti, dato che l’ambiente può essere considerato un vero e proprio capitale (naturale) dell’impresa e dato che esso è patrimonio comune della collettività, “l’impresa deve necessariamente comunicare per “colloquiare” con la

collettività, ovvero non solo per rendere conto dell’utilizzo di tale capitale, ma anche per essere autorizzata ad utilizzarlo”19. La necessità di una comunicazione dettagliata e specializzata, sebbene consenta di fornire un’esaustiva informativa ai diversi

stakeholders, esclude la possibilità di una comunicazione universale e standard, basata su

una struttura rigida, normata ed uguale per tutte le imprese. Questo non significa, però, che la comunicazione ambientale sia soltanto quella volontaria in quanto è ormai risaputo che la natura dell’essere umano reagisce, nella maggior parte dei casi, a regole e alla possibilità correlata di incorrere in sanzioni, piuttosto che alla volontarietà. Se, tuttavia, tale considerazione, sembri “escludere”, o comunque considerare ininfluente, l’esistenza

18 F. Manni, Responsabilità sociale e informazione esterna d’impresa, op. cit., pag. 17

19 Piero Cavicchi, Andrea Dalledonne, Camillo Durand, Giovanni Pezzuto, Bilancio sociale e ambientale –

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9

di un’etica d’impresa, la crescente globalizzazione e la conseguente sensibilizzazione dei soggetti alle questioni sociali ed ambientali, affermano la necessità di una maggiore responsabilità, la cui nozione rinvia, sempre di più, a quella di affidabilità20. Infatti, anche se, come ha scritto Bauman, “oggi, l’organizzazione nel suo complesso è uno strumento

per la cancellazione delle responsabilità”21, data la stretta interconnessione tra ambiente esterno ed impresa, secondo Zamagni, “quest’ultima se vuole durare a lungo sul mercato

non può non prendere in considerazione le esigenze del contesto in cui opera e, in particolare, dei suoi stakeholders”22. La motivazione morale e l’etica dell’impresa non devono rappresentare, dunque, soltanto obiettivi astratti a cui ambire insieme ad un profitto sempre maggiore, ma devono divenire strumenti volti all’ottenimento sì di un maggior profitto, ma responsabile e sostenibile nel medio-lungo periodo.

1.1.1. La Responsabilità sociale di impresa

La responsabilità sociale d’impresa può assumere diversi significati; questo comporta un’inevitabile indeterminatezza ed incertezza delle caratteristiche che tale tematica assume in un determinato contesto: infatti, “anche quando ad essa s’attribuisce un senso

etico, il suo contenuto non è esplicitabile in termini assoluti dal momento che deve essere rapportata al sistema di valori umani dominanti in una definita area e in una certa epoca storica”23. Sebbene sia ampiamente condivisibile l’opinione secondo cui la Corporate Social Responsibility (CSR) non consista soltanto nel riparare i danni cagionati alla

società, ma consista per l’impresa e, dunque, per il manager aziendale, nel porsi il

20 Stefano Zamagni, L’ancoraggio etico della responsabilità sociale e la critica alla RSI, Facoltà di Economia,

Università di Bologna, Working Paper n. 1, ottobre 2004

21 Zygmut Bauman, Modernità e Olocausto, Il Mulino, Bologna, anno 1992, pag. 225

22 S. Zamagni, L’ancoraggio etico della responsabilità sociale e la critica alla RSI, op. cit., pag. 8 23 F. Manni, Responsabilità sociale e informazione esterna d’impresa, op. cit., pag. 31

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problema delle interrelazioni esistenti tra l’impresa stessa e gli altri soggetti del sistema sociale in cui opera, Rusconi la definisce come “la risposta legittimante che l’impresa dà

(o non dà) alla società civile costituita da tutte le persone che interagiscono con l’attività dell’impresa, sia all’interno che all’esterno di essa”24.

È comunque indubbio che vi sia un legame tra etica e responsabilità sociale d’impresa; il contenuto della RSI, infatti, non si esaurisce nei valori tutelati dalle norme giuridiche in quanto per comprenderne meglio il concetto è necessario considerare la moralità del comportamento del sistema etico di riferimento, la quale consente di sottolineare l’importanza dei valori ambientali diffusi25. Lo sviluppo di una cultura etica, quindi,

risulta necessario ai fini della qualificazione di impresa socialmente responsabile: tale cultura coinvolge non solo la direzione aziendale, ma anche la collettività dal momento che riguarda le modalità di comunicazione al pubblico dei livelli di soddisfazione degli

stakeholders coinvolti. Tuttavia, Rusconi sostiene che “pur in presenza di omogeneità di contenuti, il punto di vista dell’etica è centrato sulla persona, i suoi doveri e le sue scelte (sul soggetto), mentre la responsabilità sociale si relaziona all’oggettività dei rapporti tra le persone”26. Della stessa opinione sono Husted e Allen secondo i quali “l’etica tende a focalizzarsi sulla scelta personale, mentre la responsabilità sociale cerca di andare incontro alle aspettative pubbliche generalmente concordate sul comportamento dell’impresa”27. Quest’affermazione sottolinea, da un lato, l’importanza delle aspettative

che gli stakeholders hanno nei confronti dell’impresa e, dall’altro, evidenzia l’aspetto oggettivo della responsabilità sociale d’impresa: la CSR, infatti, sebbene differisca da

24 G. Rusconi, Etica, responsabilità sociale d’impresa e coinvolgimento degli stakeholder, op. cit., pag. 8 25 F. Manni, Responsabilità sociale e informazione esterna d’impresa, op. cit.

26 G. Rusconi, Etica, responsabilità sociale d’impresa e coinvolgimento degli stakeholder, op. cit., pag. 9 27 B. W. Husted, D. B. Allen, Is it Ethical to Use Ethics as Strategy?, op.cit., p. 23

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impresa ad impresa ed in base all’ambiente di riferimento, consiste, sotto un profilo oggettivo, nell’adeguarsi alle scelte generalmente accettate ed ai bisogni della società civile. Tale ultimo profilo sembra, pertanto, confermare la prospettiva di Manni secondo il quale, come già accennato, la natura etico-sociale dell’impresa si evidenzia in un

processo di contrattazione-adattamento tra l’impresa ed i suoi portatori di interesse.

Oltre ad incorporare i valori ambientali tra i valori etici condivisi, al fine di ottenere un

valore aggiunto a seguito dell’assunzione di un comportamento socialmente responsabile,

diviene indispensabile “ridisegnare il sistema di informazione esterna dell’impresa in

modo da far trasparire il livello di socialità – e di attenzione all’ambiente – che caratterizza l’economicità della gestione”28. Alla luce di ciò risulta, pertanto, fondamentale domandarsi verso quali soggetti l’impresa sia responsabile e, dunque, verso quali soggetti debba provvedere ad una comunicazione ambientale più chiara e trasparente. Questo quesito ricollega alla teoria degli stakeholders, elaborata da Edward Freeman che si pone in contrasto con la teoria degli stockholders, o shareholder view, elaborata, invece, dal noto economista Milton Friedman. Le due differenti teorie, in contrapposizione tra di loro, permettono di evidenziare l’ancoraggio etico a sostegno alla

stakeholders view e, di conseguenza, alla RSI ormai ampiamente affermata e riconosciuta

tra le imprese, ma permettono anche di affrontare le critiche che sono state avanzate a tale concetto.

La “critica-madre29” alla RSI è, appunto, mossa da Friedman, fautore per eccellenza della shareholder view, in quanto secondo tale teoria “i manager hanno il dovere morale di

28 F. Manni, Responsabilità sociale e informazione esterna d’impresa, op. cit., pag. 34

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aumentare il ritorno finanziario agli investitori”30. Secondo l’economista, pertanto il vero dovere sociale dell’impresa consiste nell’ottenere profitti sempre più elevati. Tuttavia, sebbene questa opinione critica alla RSI sembri essere confermata dall’esistenza di asimmetria informativa nel mercato per cui l’impresa non ha effettivamente modo di conoscere le necessità delle varie classi dei portatori d’interesse, è stato dimostrato che la “tesi anti-RSI” presuppone, ai fini della sua validità, “di condizioni vigenti sotto le quali

le imprese non ottengono più profitti”31, assunto contrario alla teoria di Friedman: infatti, condizioni necessarie sono sia l’esistenza di mercati perfettamente concorrenziali sia l’esistenza dei fondamentali di mercato. Tuttavia, “se così fosse, in un equilibrio

concorrenziale di lungo periodo, i profitti sarebbero nulli”, come dimostrò Leon Walras

nel 19743233.

Le critiche alla CSR non si esauriscono, comunque, di certo nella visione di Friedman: infatti, potrebbe verificarsi che, imprese “forti” ed opportuniste in cerca solo di profitti maggiori, finiscano per “spiazzare” le imprese realmente motivate riducendone la forza competitiva; inoltre, l’assenza effettiva di moralità potrebbe essere nascosta attraverso il

social commitment34; infine, affinché effettivamente si affermi un comportamento socialmente responsabile è necessario che questo sia sufficientemente diffuso in modo tale da scongiurare il rischio del rafforzamento della posizione degli scettici35.

30 Emilio D’Orazio, Responsabilità sociale ed etica d’impresa, Centro Studi Politeia, Milano, n. 72, anno 2003, pag. 3 31 S. Zamagni, L’ancoraggio etico della responsabilità sociale e la critica alla RSI, op. cit., pag. 6

32 S. Zamagni, L’ancoraggio etico della responsabilità sociale e la critica alla RSI, op. cit., pag. 6

33 La teoria elaborata da Leon Walras, nota come teoria dell’equilibrio economico generale individua l’esistenza di un

insieme di prezzi per cui tutti i mercati sono in equilibrio

34 È da intendersi come tale un impegno attivo nel sociale attraverso, ad esempio, donazioni o partecipazione ad eventi

di solidarietà

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13

Nonostante i diversi profili di criticità che il riconoscimento della necessità di un comportamento socialmente responsabile, è proprio l’esistenza sul mercato di asimmetrie informative e di soggetti “deboli” che porta alla nascita dell’etica di impresa. Proprio per questo un’impresa sarà socialmente responsabile soltanto qualora contribuisca a definire un’etica di sistema che coinvolga tutta la mappa degli interlocutori da considerare al fine di raggiungere la massimizzazione del benessere.

1.1.2. Nascita e diffusione della RSI: cenni

Sebbene ancora ad oggi non esista una definizione unitaria di Responsabilità sociale d’impresa (RSI) o di Corporate Social Responsibility (CSR), considerando l’accezione anglosassone del termine, appare utile ripercorrere l’evoluzione storica di tale concetto, ormai parte integrante della cultura d’impresa dal momento che il consumatore di oggi opera una vera e propria “scelta di appartenenza”, favorendo e premiando un’impresa non soltanto in base al costo ed al prodotto o servizio che offre, ma in base a criteri più ampi che implicano quasi sempre aspetti etici e morali36.

Il primo dibattito sulla Responsabilità sociale d’impresa risale agli anni ’30 del ventesimo secolo, mettendo le proprie radici oltre oceano, negli Stati Uniti d’America. Tuttavia, oggetto del dibattito non risulta essere una vera e propria responsabilità d’impresa: al centro della questione, infatti, vi è una mera responsabilità personale del manager in quanto “centro decisionale37” dell’impresa. In questo periodo l’importanza della responsabilità viene discussa a livello soprattutto teorico, tra esperti del settore. Centrale,

36 Progetto Training in Progress, L’evoluzione del concetto di Responsabilità sociale d’impresa, finanziato dal

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ai sensi della L. 383/2000, Direttiva annualità 2010, pag. 3

37 Alice Morandin, Responsabilità sociale d’impresa: il caso “The Coca-Cola Company”, Università degli Studi di

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infatti, fu il dibattito sui “doveri fiduciari dei manager” tra i due giuristi E. Merrick Dodd e A. A. Berle i quali, pur riconoscendo entrambi di come la moderna corporation sia al servizio dell’intera società, sostenevano due concezioni differenti di responsabilità sociale dell’impresa. Berle, infatti, sostenendo che “tutti i poteri attribuiti a una

corporation o al suo management devono essere sempre esercitabili solo a vantaggio di tutti gli shareholders”38 sposa una “concezione - secondo D’Orazio - assai ristretta della responsabilità sociale d’impresa39” poiché temeva che estendere le responsabilità del management avrebbe avuto come conseguenza quella di sancire definitivamente il potere

assoluto del vertice decisionale, divenendo dannosa non solo per la comunità, ma per l’impresa stessa. Dodd, invece, sostenne che, in accordo con Berle gli shareholders dovessero essere protetti da managers egoisti ed opportunisti; nonostante ciò affermò che i poteri del manager dovessero essere utilizzati a beneficio dell’intera società, riconoscendo di fatto una più ampia responsabilità.

Negli anni successivi il dibattito si fece sempre più acceso: a partire dagli anni ’50 presero posizione pubblicamente imponendo la CSR alle imprese diversi economisti, tra cui Howard Bowen il quale fornisce, nel 1953, una prima definizione di Responsabilità sociale d’impresa affermando che essa “fa riferimento agli obblighi degli uomini di affari

di perseguire quelle politiche, prendere quelle decisioni, o seguire quelle linee di azione auspicabili in termini di obiettivi e valori della nostra società40”. Fra gli anni ’60 e ’70 vengono fornite diverse definizioni di CSR le quali, tuttavia, sottolineavano una separazione tra le responsabilità economiche e giuridiche che tutte le imprese hanno, e responsabilità di altra natura, come quelle sociali, ambientali o morali.

38 A. A. Berle, “Corporate Powers as Powers in Trust”, Harvard Law Review, n. 44, anno 1931, pag. 1049 39 E. D’Orazio, Responsabilità sociale ed etica d’impresa, op. cit., pag. 5

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Un importante contributo al fine di eliminare il gap esistente tra aspettative economiche e etico-sociali viene fornito da Archie Carroll il quale, sostenendo che “la responsabilità

sociale dell’impresa comprende le aspettative economiche, giuridiche, etiche e discrezionali che la società ha nei confronti delle organizzazioni in un dato momento”41, concepisce la CSR come un modello a quattro stadi, il quale venne incorporato nella sua “Piramide della CSR” (figura 1).

Figura 1. Piramide di Carroll. Fonte: A. B. Carroll, A Three-Dimensional Conceptual Model of Corporate

Performance

Come è evidente dall’immagine, secondo Carroll, oltre alla responsabilità economica (legata al profitto) ed a quella giuridica (legata al rispetto delle previsioni di legge), che sono richieste dalla società vi sono altri due tipi di responsabilità, ovvero quelle etiche, non imposte dalla legge, e quelle discrezionali o filantropiche. Mentre le prime sono da intendersi come “comportamenti e attività supplementari che non sono necessariamente

41A. B. Carroll, “A Three-Dimensional Conceptual Model of Corporate Performance”, Academy of Management

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codificate nel diritto ma che ciò nonostante i membri della società si aspettano dall’impresa42”, quelle discrezionali sono semplicemente desiderate dalla società e comportano l’essere (o meno) un buon cittadino aziendale.

Affinchè un’impresa possa definirsi socialmente responsabile, dunque, alla fine degli anni ’70 è necessario che siano presi in considerazione contemporaneamente diversi aspetti quali la massimizzazione del profitto ed il rispetto della legge, necessari ai fini della sopravvivenza dell’impresa, e l’adozione di comportamenti equi, eticamente corretti e che contribuiscono al miglioramento della società. La teoria di Carroll, infine, oltre ad ampliare il campo della responsabilità d’impresa che viene intesa, dunque, come una vera e propria “sensibilità” nei confronti delle attese della società, diventa il fondamento dei successivi dibattiti e delle successive teorie43.

Tra di esse, fondamentale per l’affermazione del concetto di RSI, anche se soggetta a numerose critiche, è la già menzionata Stakeholder Theory, formulata da R. E. Freeman nel 1984, la quale verrà approfondita nel paragrafo successivo. Secondo la visione di Freeman, l’impresa, intrattenendo rapporti con gli attori e l’ambiente circostante, deve prendere in considerazione, nel proprio processo decisionale, i fini propri dell’organizzazione e le richieste e le aspettative di tutti i portatori di interesse.

I vari studi e le varie teorie portano alla nascita di ulteriori filoni di studi tra cui risulta opportuno menzionare la Business Ethics, il cui contributo più consistente in Italia è quello fornito da Lorenzo Sacconi che definisce l’etica degli affari come “lo studio

dell’insieme dei principi, dei valori e delle norme etiche che regolano (o dovrebbero

42 A. B. Carroll, “A Three-Dimensional Conceptual Model of Corporate Performance”, op. cit., pag. 500 43 Progetto Training in Progress, L’evoluzione del concetto di Responsabilità sociale d’impresa, op. cit.

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regolare) le attività economiche più variamente intese44”. Gli studi dell’etica degli affari hanno contribuito a distinguere la visione strategica da quella etica della CSR.

Alla fine del ventesimo secolo si afferma, dunque, la necessità di incorporare un comportamento socialmente responsabile nella gestione d’impresa, la quale, però, viene affrontata per la prima volta solo nel 2001. La Commissione Europea, infatti, fornisce una definizione di CSR all’interno del Libro Verde, la quale è stata rivista dieci anni dopo, attraverso una Comunicazione della stessa Commissione.

Se, infatti, nel 2001, per Responsabilità sociale d’impresa si intendeva “l’integrazione

volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”45, ad oggi la CSR è definita come “la responsabilità delle imprese per il loro impatto sulla società”46. Già con una prima lettura di entrambe le definizioni risulta evidente la portata innovativa della più recente nozione: se, infatti, con la prima definizione l’attenzione viene posta sul sociale e sulla questione ambientale che le imprese devono necessariamente prendere in considerazione, con la seconda definizione viene ampliata ulteriormente la portata della responsabilità. L’impresa, infatti, non è responsabile soltanto per le questioni sociali o ambientali che sorgono nel momento in cui inizia la propria attività ed instaura rapporti con soggetti esterni, ma ha nuove ulteriori responsabilità. Proprio per questo sembra, al giorno d’oggi, quasi “riduttivo” utilizzare il termine di CSR che, sebbene recentemente affermatasi, descrive “soltanto” l’esistenza di responsabilità sociali per l’impresa accanto alla classica responsabilità di conseguire profitti per i propri shareholders. È opportuno,

44 Progetto Training in Progress, L’evoluzione del concetto di Responsabilità sociale d’impresa, op. cit., pag. 11 45 Commissione delle Comunità Europee, COM (2001) 366, Libro Verde, art. 2 par. 20

46 Commissione Europea, COM (2011) 681, Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio,

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in conclusione, chiedersi se non sia più corretto parlare di Corporate Responsibility (CR) dal momento che l’impresa ha un’unica grande responsabilità che include molteplici aspetti: quello economico (legato al profitto), quello legato ai propri stakeholders, che include anche gli shareholders, e quello legato all’ambiente47.

1.1.3. Stakeholder view

Per garantire, dunque, un adeguato processo di coinvolgimento dei portatori di interesse (stakeholder engagement) è necessario adottare un vero e proprio approccio di tipo

stakeholder view. Dopo aver illustrato, dunque, le principali critiche mosse alla RSI, è

necessario illustrare brevemente l’ancoraggio etico della questione. Secondo Carnegie, infatti, “la ricchezza concentrata nelle mani di un solo uomo (top manager) è il risultato

del lavoro di tutta la comunità e deve, pertanto, ritornare a quest’ultima”48. Proprio per

questo, per l’impresa, risulteranno così fondamentali i momenti dell’acquisizione di ricchezza e della sua distribuzione, momento nel corso del quale il manager avrà interesse, mosso dai propri valori morali, a distribuire ricchezza agli stakeholders che, con l’impresa stessa, hanno contribuito alla sua acquisizione. A conferma di ciò la visione di Zamagni secondo il quale, dato il binomio ambiente-impresa, questa non può non prendere in considerazione “le esigenze del contesto in cui opera, e in particolare dei suoi

stakeholders”49. È proprio, infatti, l’etica della responsabilità ad essere alla base della RSI; secondo Weber, infatti, “la responsabilità è la disponibilità a rispondere delle

47 Michael Hopkins, Corporate social responsibility: an issues paper, Working paper n. 27, Policy Integration

Department, World Commission on the Social Dimension of Globalisation, International Labour Office, Geneve, Maggio 2004

48 Andrei Carnegie, The Gospel of Wealth, anno 1889

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conseguenze prevedibili delle proprie azioni”50. Il costo degli errori, di cui l’impresa è chiamata a rispondere, va ben oltre “il valore monetario del capitale conferito dagli

azionisti” e “costituisce un solido ancoraggio alla nozione della responsabilità”51. Infatti, scopo dell’impresa non è soltanto quello di massimizzare il profitto, ma è quello di garantire un bilanciamento degli interessi dei diversi stakeholders dal momento che “l’impresa ha a che fare con clienti, familiari, occupati, finanziatori, comunità e

managers che interagiscono e creano valore”. Pertanto, secondo Freeman, fautore della stakeholder view, “per capire l’impresa è necessario capire come funzionano tali relazioni”52. A tal fine Freeman ha elaborato una mappa degli stakeholders (figura 2), ovvero dei portatori di interesse che sono coinvolti nell’attività aziendale. Dato che ciascuna azienda risulta differente dalle altre, compito della direzione aziendale sarà quello di individuare quali siano gli stakeholders primari (o principali) e quelli secondari in modo da definire le strategie e gli strumenti di comunicazione più idonei.

Figura 2. Mappa degli stakeholders di

Robert Edward Freeman.

50 Max Weber, La politica come professione in Il lavoro intellettuale come professione, a cura di A. Giolitti, Einaudi,

Torino anno 1969, pag. 109

51 S. Zamagni, L’ancoraggio etico della responsabilità sociale e la critica alla RSI, op. cit., pag. 10 52 S. Zamagni, L’ancoraggio etico della responsabilità sociale e la critica alla RSI, op. cit., pag. 10

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La molteplicità di stakeholders conferma la visione di Manni, secondo il quale “le

decisioni dell’impresa non possono essere rivolte alla soddisfazione esclusiva degli interessi di coloro che detengono il potere supremo, ma devono, nel contempo, gratificare le attese degli attori chiave”53. È, tuttavia, opportuno sottolineare che la manifestazione dei benefici economici derivanti dall’impegno sociale ed ambientale, scaturiscono da un’adeguata informazione e comunicazione ai propri stakeholders delle azioni intraprese. La comunicazione esterna delle questioni sociali, infatti, risulta, al giorno d’oggi, l’unico strumento mediante il quale i portatori di interesse vengono a conoscenza, non solo delle attività svolte dalle imprese, ma anche dei risultati raggiunti. Un’impresa sarà, infatti, socialmente responsabile soltanto quando, oltrepassando le soglie e gli obblighi imposti dalla normativa, adempiendo ai propri doveri morali, fa fronte alle nuove attese espresse dal proprio contesto di riferimento. Pertanto, la riduzione delle emissioni gas ad effetto serra, la massimizzazione dell’uso sostenibile di risorse rinnovabili, l’incremento della riciclabilità dei materiali, la riduzione dei rifiuti, sono solo alcune delle richieste imposte dal contesto attuale, un contesto in cui gli attori-chiave rappresentati non solo dagli ambientalisti, sono interessati non tanto al prodotto o servizio finale, ma a come questo viene ottenuto ed all’impatto che l’attività di impresa ha sull’ambiente. In un contesto del genere, dunque, la comunicazione esterna ambientale risulta fondamentale; di conseguenza, l’impresa, oltre a promuovere una gestione sostenibile, dovrà integrare il proprio sistema di comunicazione con strumenti di rendicontazione idonei alla rappresentazione dei propri investimenti in campo ambientale54.

53 F. Manni, Responsabilità sociale e informazione esterna d’impresa, op. cit., pag. 20 54 Per approfondimenti si veda il capitolo 2

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1.2. L’importanza dell’informativa socio-ambientale

Il programma di azione delle imprese che intendono adottare un comportamento socialmente responsabile deve, alla luce di quanto preso in considerazione nei precedenti paragrafi, necessariamente includere la questione dell’informativa esterna che rappresenta, dunque, uno strumento determinante per il mantenimento delle condizioni di successo aziendale in un contesto in cui l’impresa comunica al fine di ottenere credibilità, fiducia e legittimazione.

La necessità per l’impresa di predisporre opportune fonti informative è, del resto, una conseguenza del contesto attuale in cui l’impresa opera: la diffusione di fenomeni di globalizzazione dei mercati e dell’informazione, lo sviluppo dell’informatica e della telematica e le aspettative sempre maggiori richieste da uno scenario multi-stakeholder55 rappresentano solo alcuni dei motivi per cui l’impresa deve diffondere adeguatamente sia informazioni interne, al fine razionalizzare “i comportamenti in relazione agli obiettivi

gestionali”, sia informazioni esterne, al fine, invece, di soddisfare “le attese conoscitivo/valutative delle diverse classi di stakeholders”56. Soltanto, infatti, attraverso una comunicazione economico-finanziaria completa e trasparente l’impresa sarà in grado di ottenere una durevole realizzazione dei rapporti fiduciari ed un’esaustiva interazione esterna con i destinatari dell’informativa.

Il consolidamento dei rapporti fiduciari e del consenso esterno ha assunto sempre più importanza a partire dall’inizio dell’attuale secolo, in quanto “si sono manifestati

55Un contesto multi-stakeholder è caratterizzato da soggetti diversi che sono interessati ad informazioni diverse. Il

pubblico di riferimento di un’impresa sarà, pertanto composto da diverse classi di portatori di interessi

56 Daniela M. Salvioni, Cultura della trasparenza e comunicazione economico-finanziaria d’impresa, Università degli

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fenomeni di dissesto economico dell’impresa in assenza di evidenti riscontri nelle informazioni quantitativo-monetarie precedentemente divulgate”57. Se, infatti, una trasparente informativa esterna genera, da un lato, un’immagine positiva dell’impresa nei confronti dei propri portatori d’interesse; dall’altro, una comunicazione incompleta e non veritiera può risultare estremamente diseconomica: i recenti disastri economici, connessi alla falsità delle comunicazioni anche attraverso l’occultamento dei fattori critici hanno, infatti, soltanto posticipato il manifestarsi di situazioni di diseconomicità al momento in cui ormai erano insanabili sia sotto il profilo finanziario che sotto quello reputazionale in quanto hanno generato un incolmabile senso di sfiducia nei confronti del comportamento aziendale. Fenomeni come questi dovrebbero assumere, allora, la funzione di sottolineare l’importanza della trasparenza per il miglioramento delle relazioni interaziendali e dovrebbero spingere ad una riflessione ben più ampia volta all’affermazione dei principi della trasparenza e della rappresentazione veritiera e corretta della società non solo come principi normativi e teorici, ma come principi etico-comportamentali dell’impresa il cui scopo, dunque, non sarà più solo quello di ottenere il maggior profitto possibile, ma sarà quello di ottenere un risultato economico sostenibile nel tempo. Dato, infatti, il costante orientamento all’efficacia globale dell’impresa, ovvero non solo sotto il profilo economico, ma anche sotto il profilo sociale ed ambientale, la selezione delle informazioni da comunicare e le modalità di comunicazione delle stesse consentono di attivare relazioni durature positive tra azienda ed ambiente raggiungendo un consolidato consenso esterno (figura 3).

57 Daniela M. Salvioni, Cultura della trasparenza e comunicazione economico-finanziaria d’impresa, Università

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Figura 3. Comunicazione d'impresa ed efficacia aziendale. Fonte: Daniela M. Salvioni, Cultura della trasparenza e

comunicazione economico-finanziaria d’impresa, Università degli Studi di Milano – Bicocca, pag. 2

1.2.1. Benefici e profili di criticità

Dato l’affermarsi della RSI nella gestione aziendale, il successo aziendale dipende anche dall’attitudine delle imprese ad interagire e a rispondere alle esigenze dei propri portatori di interesse. La responsabilità d’impresa è, dunque, una “responsabilità sociale

allargata” dal momento che “l’ambiente naturale diventa esso stesso uno stakeholder aziendale”58. Sebbene un comportamento green e socially responsible costituisca una vera opportunità per le imprese in quanto consente di ottenere benefici di tipo economico-reputazionale, è opportuno evidenziare anche i profili di criticità relativi alla RSI ed alla comunicazione esterna ambientale.

58 Paolo Oliva, Le spese per la certificazione ambientale – Una provocazione: vantaggi e opportunità della

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Un primo profilo di criticità riguarda la volontarietà dell’informativa socio-ambientale. Tale caratteristica è, tuttavia, sotto un diverso profilo di analisi, determinante al fine dell’ottenimento di un maggior valore aggiunto e di un maggior consenso da parte dei destinatari del bilancio: le prescrizioni normative, infatti, prevedono nella maggior parte dei casi un contenuto minimo non garantendo, da un lato, la qualità della comunicazione e lasciando, dall’altro, “un ampio margine di discrezionalità per cui l’esaustività e la

completezza delle informazioni contenute nei documenti pubblicati risultano significativamente influenzate dagli obiettivi che ciascuna azienda si propone di raggiungere con la propria comunicazione”59.

Secondo una prospettiva critica, la voluntary disclosure ha, dunque, come conseguenza che alcune imprese potrebbero decidere non comunicare all’esterno le azioni intraprese e gli obiettivi raggiunti proprio per evitare il rischio di incorrere in sanzioni. Il carattere della volontarietà comporta, inoltre, che, una volta individuati gli stakeholders dell’impresa, le azioni da intraprendere e le informazioni da comunicare, resta sempre il problema dell’attuazione pratica dal momento che, infatti, non vi è garanzia che quanto promesso o quanto dichiarato venga effettivamente messo in pratica. Secondo Zamagni vi sono due possibilità di soluzione a tale problema: la prima soluzione consiste nel cosiddetto meccanismo della reputazione secondo cui l’impresa si autoinfligge sanzioni a seguito di comportamenti contrastanti a quanto previsto dal proprio codice etico; in questo modo vedrà accrescersi il proprio capitale reputazionale e, di conseguenza, la sua

performance economica. La seconda soluzione è, invece, una conseguenza naturale del

funzionamento del mercato: la competizione, infatti, selezionerà le culture di impresa

59 Daniela M. Salvioni, Cultura della trasparenza e comunicazione economico-finanziaria d’impresa, Università

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fondate sui valori che si mostreranno più profittevoli e premierà coloro che promuovono culture etiche basate sui valori della RSI cosicché tali valori verranno ad identificarsi come vere e proprie virtù60.

Un secondo profilo di criticità riguarda l’assenza di una previsione normativa che regoli le modalità di comunicazione ambientale. Ciò, oltre a non garantire una comparabilità tra le aziende, potrebbe comportare che vengano considerate aziende socialmente più responsabili quelle che forniscono più informazioni e non quelle che effettivamente adottano una strategia, un comportamento etico e raggiungono risultati in campo ambientale.

Entrambi i profili di criticità possono, tuttavia, considerarsi risolti, anche se in parte, con l’attuazione del D. Lgs. n. 254/2016 che, oltre a prevedere l’obbligatorietà per le imprese con particolari caratteristiche di redigere un’informativa non finanziaria, ha previsto un set di informazioni che necessariamente devono essere incluse, nonostante non sia stata disciplinata, d’altro canto, la struttura che tali report devono avere. Anche se, di fatto, non è stato risolto il problema della comparabilità, mediante la previsione di maggiori controlli e l’attestazione da parte del revisore viene garantita l’effettività delle informazioni comunicate all’esterno.

L’introduzione di una disclosure non finanziaria vuole, inoltre, soddisfare l’esigenza palese della validità della comunicazione esterna. Non esiste, infatti, attualmente una cultura diffusa della trasparenza; tale assenza ha comportato una limitata qualità dell’informazione e, proprio per questo, la trasparenza rappresenta uno dei principi

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cardine che l’impresa deve seguire ai fini della qualifica di impresa socialmente responsabile.

Dal punto di vista dei benefici che la RSI, invece, l’attenzione alla questione ambientale consente alle imprese di conformarsi alle attuali regolamentazioni evitando eventuali sanzioni e di anticipare future problematiche. Inoltre, una volta che la sostenibilità diventa parte della cultura d’impresa, questa può consistere in un vero e proprio vantaggio competitivo per l’impresa stessa che sarà in grado di raggiungere nuovi mercati, come, ad esempio, il mercato dell’equo-solidale o del bio; ottenere benefici legati al mercato come un risparmio di costi e l’eco-efficienza; incrementare l’immagine e la reputazione dell’organizzazione. Questi vantaggi, accompagnati da un’adeguata informativa, consentono di ottenere un vero e proprio valore aggiunto sostenibile nel medio-lungo periodo. Dall’investimento in ambito ambientale, infatti, l’impresa si aspetta di aumentare la redditività economica. Proprio per questo le spese sostenute ai fini del consolidamento di un comportamento socialmente responsabile sono da intendersi come investimenti, che sottintendono il carattere del medio-lungo periodo, e non come costi all’interno del bilancio per i quali sarà, dunque, necessaria un’adeguata comunicazione. In pratica, secondo Miolo Vitali, “nelle imprese più avvedute la questione ecologica si trasforma in

occasioni imprenditoriali, che rafforzano le condizioni economico-finanziarie dell’impresa; l’assenza di una strategia ambientale provoca, dunque, all’impresa, dei danni ben superiori dell’onere richiesto dalla sua attuazione”61.

Tali occasioni si tradurranno, tuttavia, in risultati effettivamente percepiti dall’azienda e dagli stakeholders soltanto attraverso un’adeguata comunicazione esterna. Al fine del

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27

raggiungimento di un tale obiettivo, però, risulta fondamentale rivedere e revisionare le regole ed i comportamenti aziendali rispondenti ai criteri di veridicità, di chiarezza e di trasparenza.

Le opportunità che un comportamento socialmente responsabile consente di ottenere possono essere estese anche alle PMI. Infatti, la responsabilità sociale non è stata concepita esclusivamente per le grandi imprese dal momento che ciò metterebbe in discussione la sua applicabilità sul mercato italiano, dove “il panorama economico è

rappresentato in prevalenza da piccole e medie imprese”62. Anche se, circa la metà delle PMI risultano coinvolte sul piano sociale, le iniziative adottate risultano meramente occasionali e difettano di un’adeguata comunicazione presso il pubblico63; ciò comporta

l’assenza del valore aggiunto che solo l’attuazione di una consapevole strategia di responsabilità sociale può apportare. Sebbene il nuovo decreto sull’informativa non finanziaria preveda un sistema di riconoscimento per quelle imprese che volontariamente redigono una dichiarazione ai sensi del D. Lgs. 254/2016, tra cui vi potrebbero rientrare le PMI, diviene fondamentale che la responsabilità sociale si diffonda sempre di più tra le piccole e medie imprese, soprattutto nel panorama italiano.

Essere socialmente responsabili, dunque, significa per le imprese adempiere ai propri doveri morali nei confronti dei soggetti coinvolti, soddisfare le richieste dei propri

stakeholders, comunicare all’esterno le azioni intraprese, gli obiettivi raggiunti e gli

investimenti effettuati. Con il concetto di investimento socialmente responsabile si fa riferimento anche alla finanza etica, che è un’ulteriore questione positiva che si è sviluppata a seguito della diffusione del concetto di Responsabilità sociale di impresa. La

62 P. Cavicchi, A. Dalledonne, C. Durand, G. Pezzuto, Bilancio sociale e ambientale, op. cit., pag. 17 63 P. Cavicchi, A. Dalledonne, C. Durand, G. Pezzuto, Bilancio sociale e ambientale, op. cit., pag. 18

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finanza etica presuppone, di fatto, un coinvolgimento dei cittadini, ovvero dell’investitore etico che sarà interessato non solo al rendimento dell’operazione, ma che vuole anche essere consapevole del processo produttivo adottato dall’impresa in cui ha investito. Scegliendo, infatti, per un determinato fondo di investimento, l’investitore appoggia tematiche quali la tutela dell’ambiente, il riciclo dei rifiuti, lo sviluppo sostenibile ed altre questioni legate, ad esempio, alla sicurezza ed alla salute dei lavoratori. “L’investimento

etico si sostanzia, dunque, nella selezione e nella gestione degli investimenti condizionata da criteri etici e di natura sociale”. Tra le diverse concezioni di finanza etica per le

imprese, risultano rilevanti quella che comprende tutti “gli intermediari finanziari che

svolgono un ruolo attivo nei CdA al fine di modificare i comportamenti delle aziende di cui possiedono le azioni, orientandoli verso un comportamento socialmente responsabile”; e quella che comprende tutti “gli intermediari che non investono in aziende che abbiano violato criteri etici definiti a priori”64.

In conclusione, sebbene i profili di criticità della RSI risultino diversi e fondati, nella realtà attuale un comportamento socialmente responsabile da parte degli attori economici del mercato risulta fondamentale a seguito della sempre più crescente globalizzazione la quale, oltre a generare un aumento degli scambi economici e finanziari, aumenta il rischio di depauperamento delle risorse naturali che costituiscono, oltre ad una garanzia per la vita dell’essere umano, un capitale naturale prezioso per le imprese che hanno, dunque, l’onere e il dovere morale di salvaguardarlo. Il comportamento delle imprese risulta, pertanto, essenziale: un’impresa verde infatti, non solo deve essere orientata alla salvaguardia dell’ambiente, ma deve incorporare una consapevolezza ed una cultura

64 Leonardo Becchetti, Luigi Paganetto, Finanza etica e commercio equo solidale, Donzelli Editore, Roma, anno 1990,

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etico-ambientale all’interno della propria organizzazione aziendale. La Responsabilità sociale d’impresa, inoltre, si afferma e diventa un pilastro del mercato attuale proprio per una mancanza di legittimazione in campo socio-ambientale; in tal senso, data l’assenza, infatti, di una normativa di riferimento e di un coordinamento stringente a livello mondiale, le imprese si trovano costrette ad autolegittimarsi, riconoscendo la necessità di un comportamento moralmente più responsabile, soprattutto a seguito delle pressioni della comunità esterna, sempre più sensibile alle questioni ambientali e sociali. In questo scenario nascono e si diffondono strumenti di rendicontazione ambientale volti, non solo a far emergere il valore aggiunto che una gestione RSI consente di ottenere, ma a ottenere un maggior consenso dagli stakeholders che divengono, in tale ottica, fondamentali nel processo di definizione degli obiettivi, delle strategie dell’impresa e delle modalità di comunicazione all’esterno dal momento che, la comunicazione stessa rappresenta un “patrimonio immateriale di primario livello per lo sviluppo delle imprese”65.

1.3. Sviluppi recenti: la Bussiness Roundtable

La Business Roundtable è un’associazione non-profit che nasce nel 1972 e la cui sede è attualmente a Washington DC. La particolarità della Business Roundtable consiste nel fatto di comprendere 257 dei più importanti Chief Executive Officer (CEO) degli Stati Uniti d’America tra cui, per citarne alcuni, sono compresi Tim Cook (Apple Inc.), Lisa Davis (Siemens AG), Doug Mc Millon (Walmart) e James Quincey (The Coca Cola

Company).

65 Daniela M. Salvioni, Cultura della trasparenza e comunicazione economico-finanziaria d’impresa, Università

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Dal 1978 la Business Roundtable pubblica periodicamente la sua visione di governance dell’azienda che, solitamente ha sempre sancito l’importanza degli azionisti, enunciando il primato degli stessi. Secondo i più importanti CEO dell’America, motivo di esistenza delle società era principalmente il conseguimento di utili per gli azionisti. Tuttavia, nel corso del 2019, si è assistito ad un cambio di orientamento. Infatti, a partire dal mese di agosto, con la nuova Dichiarazione, la quale sostituisce in toto le dichiarazioni precedenti, viene delineato uno standard moderno per la responsabilità americana.

Jamie Dimon, presidente e CEO di JPMorgan Chase & Co. e presidente della Business

Roundtable sostiene che “I principali datori di lavoro stanno investendo nei loro lavoratori e comunità perché sanno che è l'unico modo per avere successo a lungo termine. Questi principi modernizzati riflettono l'impegno incrollabile della comunità aziendale di continuare a puntare su di un'economia al servizio di tutti gli americani "66. Sembra, dunque, affermarsi anche nella cultura americana delle grandissime imprese, in cui l’azionista svolge un ruolo rilevante al centro del mercato, una visione più Corporate

Social Responsibility. Viene, infatti, dichiarata una visione completamente diversa da

quella contenuta negli ultimi manifesti pubblicati dall’associazione, sebbene già negli anni ’80 era stato riconosciuto il bisogno per le aziende di investire nei propri lavoratori, nella comunità e nei confronti di tutti gli stakeholders in generale.

Al fine di comprendere al meglio questo “cambio di direzione” è opportuno analizzare il manifesto della Business Roundtable, firmato da ben 181 CEO, che può sintetizzarsi in quanto segue: “Gli americani meritano un'economia che consenta a ciascuna persona di

avere successo attraverso il duro lavoro e la creatività e di condurre una vita di

66 Paolo Brambilla, Business Roundtable promuove negli Usa una nuova visione aziendale, affaritaliani.it, 24 agosto

2019, http://www.affaritaliani.it/blog/imprese-professioni/business-roundtable-promuove-negli-usa-una-nuova-visione-aziendale-622044.html

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significato e dignità. Riteniamo che il sistema del libero mercato sia il mezzo migliore per generare buoni posti di lavoro, un'economia forte e sostenibile, innovazione, un ambiente sano e opportunità economiche per tutti. Le imprese svolgono un ruolo vitale nell'economia creando posti di lavoro, promuovendo l'innovazione e fornendo beni e servizi essenziali. Le aziende producono e vendono prodotti di consumo; fabbricazione di attrezzature e veicoli; sostenere la difesa nazionale; crescere e produrre cibo; fornire assistenza sanitaria; generare e fornire energia; e offrire servizi finanziari, di comunicazione e altri servizi alla base della crescita economica.

Mentre ciascuna delle nostre singole società ha il proprio scopo aziendale, condividiamo un impegno fondamentale nei confronti di tutti i nostri stakeholder.”67

La condivisione di una cultura di tipo stakeholder oriented viene rafforzata mediante la stesura di sei punti chiave che individuano proprio l’impegno delle aziende nei confronti dei propri portatori di interesse. Con questi punti, oltre ad impegnarsi ad investire nei propri dipendenti ed a trattare in modo etico ed equo i propri fornitori, le aziende si impegnano a generare valore a lungo termine per gli azionisti, assicurando loro trasparenza nella comunicazione. Questa previsione se, da un lato, ha come conseguenza l’inclusione definitiva degli shareholders tra le categorie di stakeholders che le imprese devono prendere in considerazione, visione già largamente condivisa tra i fautori della RSI, dall’altro vuole sottolineare l’importanza che gli azionisti continuano ad avere per l’azienda. L’intento del manifesto, infatti, non è quello di “abbandonare” i propri azionisti, dal momento che essi forniscono capitale alle aziende per “investire, crescere

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ed innovare”, ma al contrario di generare un valore a lungo termine, garantendo il

successo, anch’esso a lungo termine, dell’azienda68.

Nonostante la visione migliorativa della posizione che gli stakeholders vanno ad assumere per le grandi imprese nei confronti degli azionisti, sono subito emerse alcune perplessità con riferimento al manifesto.

Un primo aspetto critico riguarda, infatti, la gestione di eventuali conflitti di interessi tra

stakeholders e shareholders. È, comunque, opportuno sottolineare che tali conflitti

vengono ad esistere, nella maggior parte dei casi, con riferimento al breve termine: infatti, considerando un’ottica di lungo termine l’interesse, sia per gli stakeholders che per gli

shareholders risulta essere lo stesso, vale a dire la generazione di benefici economici e la

soddisfazione delle proprie richieste. Risulta, comunque, lecito domandarsi se, attraverso tale espediente i CEO delle grandi imprese non attuino comunque politiche più a favore dei propri azionisti, nonostante abbiano aderito al manifesto che, almeno a livello teorico, richiede il contrario. Infatti, secondo Sergio Spaccavento (CEO di MarketLab e Presidente di AIFIn) “l’ equilibrio tra la massimizzazione del valore per gli azionisti e

l’ adeguato valore da generare rispetto alle aspettative di una pluralità di stakeholder è sempre difficile e complesso da raggiungere, mentre dovrebbe essere il vero obiettivo se non la vera e propria mission aziendale. Il documento innalza quindi le aspettative a cui devono però seguire azioni concrete. Il rischio che la sostenibilità possa essere percepita come una scelta opportunistica per operazioni di “brand washing” è sempre alto”69.

68 P. Brambilla, Business Roundtable promuove negli Usa una nuova visione aziendale, op. cit.

69 Innovability: un manifesto per la finanza più sostenibile, 23 agosto 2019, FinancialInnovation.it,

https://www.financialinnovation.it/elements/Finance/Articoli/Innovability-un-manifesto-per-una-finanza-pi-sostenibile/

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