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Profili costituzionali delle citta metropolitane come enti territoriali di area vasta. Il caso della citta metropolitana di Reggio Calabria.

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UNIVERSITÀ DI PISA

D

IPARTIMENTO DI

G

IURISPRUDENZA

Corso di dottorato in Scienze giuridiche

C

URRICULUM IN

G

IUSTIZIA COSTITUZIONALE E DIRITTI FONDAMENTALI

Coordinatore: Ch.mo Prof. Roberto Romboli

TESI DI DOTTORATO

PROFILI COSTITUZIONALI

DELLE CITTÀ METROPOLITANE

COME ENTI TERRITORIALI DI AREA VASTA

Il caso della città metropolitana di Reggio Calabria

Tutor Candidato

Ch.mo Prof. Antonino Spadaro Dott. Vincenzo Dascola

Matr. 526512

A.A. 2017-2018

Giugno 2018

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I INDICE

Rilievi introduttivi………p. 1 CAP. I

LO SVILUPPO URBANO ED IL PROBLEMA DELLA GOVERNANCE DE-GLI ENTI TERRITORIALI DI AREA VASTA IN EUROPA

I.1 – La politica territoriale ed urbana nel e dell’Unione Europea……… p. 10 I.2 – I modelli di governo metropolitano e la Carta europea dell’autonomia loca-le………. p. 25

I.3 – Le città metropolitane nella politica di coesione comunitaria: lo stato dell’arte………p. 36

CAP. II

LO SCENARIO NORMATIVO ITALIANO

II.1 – Gli enti territoriali di “area vasta” nel disegno dei Costituen-ti………... p. 46

II.2 – Le città metropolitane nella l. 142 del 1990………. p. 53 II.3 – Gli interventi legislativi successivi alla riforma del 1990: dalla l. 2 novem-bre 1993 n. 436 al Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti locali (D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267)………p. 63

II.4 – Il riconoscimento costituzionale delle Città metropolitane e la legge La Loggia del 2003………p. 69

II.5 – La legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale e la l. 135 del 2012 che ha convertito il d.l. n. 95 del 2012 conosciuto come spending rewiew……… p. 77

II.6 – Il riordino del governo locale nella legge Delrio (l. 7 aprile 2014 n. 56)……… p. 86

II.7 – La recente, fallita, riforma costituzionale c.d “Renzi-Boschi”: le Province “restano”……….. p. 97

CAP. III

IL MODELLO ISTITUZIONALE DI CITTÀ METROPOLITANA

III.1 – La scelta del legislatore del 2014 per il modello “strutturale”. Profili di critici-tà concernenti la perimetrazione del territorio dell’ente di area vasta………… p. 104 III.2 – Profili di criticità della forma di governo della città metropolitana……. p. 110 III.3 – I rapporti con gli altri enti locali: Comuni, Regioni e… Città metropolita-ne………..p. 134 III.4 – L’autonomia statutaria della Città metropolitana. Un tentativo di definizione: Città metropolitana come “funzione” per un territorio………p. 157

CAP. IV

IL CASO PECULIARE DELLA CITTA’ METROPOLITANA DI REGGIO CALABRIA

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II

IV.1 – Premessa storico istituzionale: la C.M. di Reggio come una delle tante “Calabrie”………p. 184

IV.2 – La legge sul federalismo fiscale e la previsione anomala della Città metro-politana di Reggio Calabria……… p. 192 IV.3 – Sulla praticabilità tecnico-giuridica della Città metropolitana “dello Stret-to”……….p. 196

IV.4 – Uno spunto di diritto comparato: l’area dello Stretto di Øresund……p. 219 IV.5 – Lo Statuto della città metropolitana di Reggio Calabria: alcuni rilievi criti-ci ed alcune proposte………p. 234

Cenni conclusivi………..p. 272 Bibliografia citata………p. 276

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1

Rilievi introduttivi

Perché intraprendere una ricerca sui profili costituzionali delle città metropolita-ne1 e, soprattutto, perché – alla fine – focalizzare l’attenzione sulla città metropolita-na di Reggio Calabria?

Scopo di questa tesi di dottorato è cercare di dare una dignitosa risposta ai quesiti, attraverso un percorso argomentativo che necessariamente operi una disamina della disciplina di tali enti, che, ovviamente, va al di là del fatto che l’autore sia originario di Reggio Calabria.

Le città metropolitane, com’è noto, al pari dei Comuni e delle Regioni, vengono definite enti “autonomi” dall’art. 114 della Costituzione novellata dalla l. cost. n. 3 del 18 ottobre 2001, dotati “di propri poteri e funzioni” (da esercitarsi nel rispetto dei princìpi fissati dalla Costituzione) e concorrono assieme allo Stato, a formare la Repubblica.

L’avvento delle città metropolitane nel nostro ordinamento è espressione della scelta del legislatore costituente del 2001 di articolare il potere pubblico sul territo-rio partendo dal “basso”, attraverso un processo di progressivo ricompattamento de-gli enti territoriali in enti di livello superiore, dai Comuni, sino allo Stato2.

1 Si utilizzerà il termine città metropolitana come sostanziale sinonimo di “area metropolitana”,

quale ente territoriale di rilevanza europea, atteso che la questione metropolitana assume oggi, più che in passato, dimensione sovranazionale, e diventa non solo un “fattore di federazione” (cfr. in tal senso, L.GUILLOUD, Décentralisation et fédéralisme. Les collectivités locales, facteur de fédération dans l'Union Européenne? - Deuxiéme partie: Les collectivités locales, acteurs clés dans l'Union eu-ropéenne -- Le Comité des régions, un organe paradoxal de l'Union eueu-ropéenne, n. 532/2009, pp. 582 e ss.), ma anche – com’è stato affermato – espressione dell’esigenza di “istituzionalizzare un’area urbana in scala europea” (Cfr. in tal senso, CH. VALLAR, La mètropole: l’institututionnalisation d’une aire urbaine à l’èchelle europèenne, in J.CARLES,D.GUIGNARD,S. REGOURD (a cura di), Rèformes et mutations des collectivitès territoriales, Paris, 2012, p. 255 e ss.). E si muoverà dal rilievo in forza del quale assai problematica pare l’individuazione e la delimitazione concettuale delle città metropolitane, nonché territoriale delle stesse. Sui criteri di classificazione del fenomeno metropolitano, si v. ex pluribus, W.TORTORELLA, M.ALLULLI, Città metropolitane. La lunga attesa, Venezia, 2014, p. 16 e ss., nonché G.MARTINOTTI, Metropoli: la nuova morfologia sociale della città, Bologna, 1993, p. 66 e ss. ed F.BARTALETTI, Le aree metropolitane in Italia e nel mondo: il quadro teorico e i riflessi territoriali, Torino, 2009, p. 25 e ss.

2 La sottolineatura del carattere "decentrato" del modello istituzionale del nostro ordinamento con

la riforma del Titolo V della Costituzione, pare sia volto al conseguimento delle finalità comuni nel rispetto delle istanze identitarie e di autogoverno di cui si fanno portatori i gruppi differenziati. È stato condivisibilmente sostenuto che «Il federalismo esprime un valore, in quanto mira (...) a garantire la coesione dei popoli salvaguardandone la diversità e consente il perseguimento di fini comuni mantenendo l'integrità di tutte le parti; esso unisce senza confondere e divide senza separare (...) e si presta a comprendere una vasta gamma di realtà tecnico-giuridiche, tra le quali si annoverano, appunto, come il meno nel più, lo Stato federale e quello regionale»: in tali termini, v.

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2

Non poche sono state le perplessità iniziali della dottrina in merito alla loro costi-tuzione, e taluno ha persino vaticinato – facile profezia – il loro possibile tradursi nel «prodotto artificiale di scelte di ingegneria amministrativa ed urbanistica»3, soprat-tutto qualora non si fosse dato corso con il consenso delle popolazioni interessate, ed in presenza di reali fenomeni di aggregazione sociale ed economica.

Inoltre le Città metropolitane sono enti di rilevanza non solo nazionale, ma anche sovranazionale, visto che l'Unione Europea ad esse destina significative provvidenze economiche nell'ambito della politica comunitaria di coesione4. Viene, così, in rilie-vo, l’aspetto della natura dell’ente funzionale allo sviluppo della comunità che vive all’interno dei suoi confini territoriali, in quanto recettore privilegiato di specifici fondi comunitari.

Sotto l’aspetto da ultimo segnalato, la funzione dell’ente vale a connotare signifi-cativamente la sua qualificazione giuridica: non si tratta, dunque, di un mero ente territoriale in cui si articola l’ordinamento autonomistico italiano ovvero di un ente unicamente “politico”, in quanto in grado di esercitare attività di indirizzo politico entro i limiti fissati dalle leggi statali, bensì anche di un ente di «rilevanza sovrana-zionale, ai fini dell’accesso a specifici fondi comunitari»5.

Con l'istituzione delle Città metropolitane il legislatore ha dato finalmente attua-zione alle disposizioni normative che nel 2001 ne avevano segnato l'ingresso nel tes-suto costituzionale ed al contempo ha inteso realizzare una significativa riforma “di sistema” della geografia istituzionale della Repubblica, in vista di una semplifica-zione dell’ordinamento degli enti territoriali, senza però ancora arrivare alla soppres-sione di quelli previsti in Costituzione.

L’intervento riformatore è parso necessario alla luce dell’impellente esigenza di adeguare l’assetto ordinamentale all’evoluzione dell’economia ed alla

A. REPOSO, Profili dello Stato autonomico. Federalismo e Regionalismo, Torino, 2000, p. 7. Cfr. anche G. D'IGNAZIO, G. MOSCHELLA, Specialità e asimmetrie nell'ordinamento regionale, in S. GAMBINO (a cura di), Diritto regionale e degli enti locali, Milano, 2003, pp. 215 e ss.; M.VOLPI, La classificazione delle forme di Stato, in G.MORBIDELLI,L.PEGORARO,A.REPOSO,M.VOLPI, Diritto pubblico comparato, Torino, 2004, p. 216.

3

In tal senso cfr. S.BARTOLE, in Diritto Regionale dopo le riforme, a cura di S.BARTOLE,R.BIN, G.FALCON,R.TOSI, Bologna, 2003, p. 26.

4 Cfr. tra gli altri, C. P

ACENTE, La città metropolitana nell’Unione europea. Programmazione comunitaria, esperienze europee a confronto e nuove prospettive, Milano, 2013.

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Tale è la definizione che viene data dalla Corte costituzionale nella nota sentenza 50 del 2015, Considerando 3.4.1., sulla quale ci si soffermerà più approfonditamente nel corso del presente lavoro.

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ne della società, della quale il diritto, com’è noto a tutti, costituisce forse l’espressione più evidente.

La riforma del 2001 sembra che, almeno in parte, abbia colto la sfida lanciata dal-le profonde modificazioni della struttura economica e sociadal-le del Paese, in epoca di crisi, quale la nostra, in cui si registrano significative trasformazioni delle grandi ca-tegorie del diritto costituzionale.

Elementi costitutivi dello Stato come il popolo e, quindi, la cittadinanza – ma an-che il territorio e la sovranità – sono in fase di cambiamento e il discorso sulle Città metropolitane, in realtà, è un epifenomeno della più generale metamorfosi del terri-torio verso la perdita dei suoi confini strutturali abituali, sia nell’accezione di confini in senso tecnico, propriamente dei confini statali, sia quando ci si riferisce ai confini in senso atecnico, all'interno dello Stato, nella dimensione delle autonomie locali6.

Questa tendenza alla intraterritorialità, è, in realtà, un'esigenza emersa su diversi piani, anche se poi non si sono realizzati (si pensi al dibattito sulle c.d. macroregio-ni)7.

La riflessione sulle città metropolitane, concretamente realizzata attraverso la legge n. 56 del 2014, comunemente nota come legge “Del Rio”, ci porta più da vici-no a guardare alla trasformazione del territorio come spazio politico, ossia come centro di riferimento di interessi generali: infatti, in ambito locale, è proprio nella

6 Si v. in particolare, G. S

ILVESTRI, Lo Stato senza principe. La sovranità dei valori nelle democrazie pluraliste, Torino, Giappichelli, 2005, sul cui pensiero, ora, E.CASTORINA, C.NICOLOSI, “Sovranità dei valori” e sviluppo della tutela dei diritti fondamentali: note sull’evoluzione della giurisprudenza statunitense, p. 519 e ss. e G.GEMMA, Riflessioni sul pensiero di Silvestri in tema di sovranità, p. 1068 e ss., entrambi in AA.VV., Scritti in onore di Gaetano Silvestri, Torino, 2016. Si v. anche, A.SPADARO, Les évolutions contemporaines de l’État de droit, in Civitas Europa, in Revue semestrielle de l’Université de Lorraine, 2/ 2016 (n. 37), 95-120 (nonché in Lo Stato, n. 8/2017).

7 Si v. proposta di legge costituzionale presentata dai deputati Morassut ed altri, recante

"Modifica dell'articolo 131 della Costituzione, concernente la determinazione delle regioni italiane" (2749), il cui esame in Commissione è iniziato il 20 gennaio 2015, e che è stata ritirata il 29 aprile 2015, sulla quale, tra gli altri, cfr. L.ANTONINI, Le macro Regioni: una proposta ragionevole ma che diventa insensata senza un equilibrio complessivo dell’assetto istituzionale, in www.federalismi.it, n. 3/2015, 4 ss.; A.LUCARELLI, Le Macroregioni “per funzioni” nell’intreccio multilivello del nuovo tipo di Stato, in www.federalismi.it, n. 6/2015, C.SALAZAR, Regioni, diritti fondamentali, crisi eco-nomica: qualche considerazione alla luce del disegno "Renzi-Boschi" (Intervento alla Tavola rotonda del Seminario "L'impatto della crisi sulla tutela dei diritti nelle Regioni. La prospettiva italiana, spa-gnola ed europea", organizzato dall’ISSiRFA-CNR, dalla LUMSA e dall’Università di Macerata e svoltosi a Roma, presso il Dipartimento di Giurisprudenza della LUMSA, il 13 novembre 2014), pubblicato nella sezione Studi ed interventi del sito web http://www.issirfa.cnr.it; nonché, da ultimo, O.SPATARO, Crisi del regionalismo e macroregioni, in www.federalismi.it, n. 6/2018.

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4

dimensione quotidiana che noi vediamo se, in realtà, la gestione degli interessi della comunità migliora le nostre vite8.

È significativo, al riguardo, considerare come la percezione di vivere in un conte-sto territoriale ben governato, caratterizzato da servizi pubblici adeguati, sia ritenuta fattore di benessere individuale9.

Il buon governo e la fiducia nella comunità sono elementi che determinano il li-vello di benessere di ogni Stato, secondo il “rapporto mondiale sulla felicità”, stilato annualmente, a far data dal 2012, dal UN Sustainable Development Solutions Network10.

Nel World Happiness Report del 2018, la Finlandia è balzata al primo posto della classifica dei Paesi più felici, seguita a breve distanza dalla Norvegia, dalla Dani-marca, dall’Islanda e dalla Svizzera. La Svezia, altro Stato nordico, è collocata entro la decima posizione.

Nonostante gli Stati scandinavi siano unitari e non federali, i loro sistemi di auto-nomia locale, pur diversamente concepiti, consentono di affermare che l’amministrazione pubblica sia in realtà fortemente “decentrata” per quanto attiene all’erogazione dei servizi pubblici essenziali11.

Ora, in questo contesto, l’introduzione nel nostro ordinamento di enti come le Città metropolitane costituisce un elemento che – certo insieme ad altri fattori – con-sentirebbe all’Italia di entrare nel novero dei “Paesi felici” (o “meno infelici”)?

Invero, tutti gli Statuti delle città metropolitane italiane retoricamente anelano, nelle loro dichiarazioni di principio, seppur in maniera diversa, alla felicità delle

8 Sulla definizione del concetto di territorio non più solo spazialmente inteso quale mera

superficie fisica sopra cui proiettare le competenze di ciascun livello territoriale, bensì quanto, ed a maggior ragione, considerato invece come centro di imputazione di interessi generali che proprio su di essa rinvengono luogo privilegiato della propria emersione si v., per tutti, T. MARTINES, A. RUGGERI, C.SALAZAR, Lineamenti di diritto regionale, Milano, 2012, p. 15.

9

Si v., tra gli altri, l’interessante lavoro di S.POLIMENI, Il welfare generativo tra dimensione teorica e applicazioni pratiche: cenni sul ruolo degli enti locali, in Nuove Autonomie, n. 3/2015, pp. 429-447.

10 Com’è noto, l’UN Sustainable Development Solutions Network è stato fondato dal Segretario

delle Nazioni Unite Ban-Ki Moon ed è presieduto dal Professor Jeffrey D. Sachs, con il compito di mobilitare il mondo della ricerca e dell’innovazione per la promozione di soluzioni concrete ed applicabili alle diverse problematiche di sviluppo sostenibile riassunte dai Sustainable Development Goals.

11

Cfr. in tal senso, P.BIANCHI, Gli ordinamenti scandinavi, in AA.VV., Diritto Costituzionale Comparato, a cura di P.CARROZZA,A.DI GIOVINE,G.F.FERRARI, Bari, 2014, p. 339.

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5

comunità stanziate sul territorio di area vasta. La realtà, ovviamente, è ben diversa, anche per l’incertezza che aleggia sul nuovo ente.

Qual è il modello istituzionale prescelto dal legislatore in attuazione del dettato costituzionale? Si è operata una scelta tra modello funzionale e modello strutturale, oppure la determinazione nel disegnare l’assetto, soprattutto territoriale, dell’ente qui esaminato – mutuandolo dalla preesistente Provincia, di cui ha preso il posto – è il frutto di un’estemporanea decisione di politica legislativa?

In questa tesi si porrà l’attenzione sulla disfunzionalità del modello istituzionale adottato, soprattutto nell’ultima parte della ricerca, laddove si studierà con particola-re attenzione la città metropolitana di Reggio Calabria, costruita sulle “macerie” del-la Provincia omonima, e si metteranno in luce i pregi del “modello funzionale” neldel-la prospettiva della auspicata futura creazione, semmai, di una “città metropolitana del-lo Stretto”, comprensiva dell’intera area di Reggio Calabria e di Messina (e quindi delle città metropolitane reggina e peloritana).

Si porranno in evidenza le difficoltà tecnico-giuridiche concernenti la realizza-zione della città metropolitana dello Stretto, e si delineeranno i possibili sviluppi fu-turi, mutuando la prospettiva funzionalistica dell’ente, anche alla luce di alcuni rife-rimenti comparati.

Invero, proprio da questa prospettiva, è sembrato utile alla ricerca esaminare il modello funzionale della città metropolitana che caratterizza, tra l’altro, la Regione metropolitana di Øresund, la quale comprende le aree metropolitane di Malmö, in Svezia, e di Copenaghen, in Danimarca.

L’orografia della regione in esame, fortemente caratterizzata dalla presenza di uno stretto spazio di mare che separa la penisola dello Jutland dalla Scania, ha indot-to la suggestione di operare un’ardita comparazione con la “regione” dello stretindot-to di Messina, ove insistono due aree metropolitane, quella di Reggio Calabria, e quella messinese.

La circostanza che nel Nord Europa si sia riusciti a superare finanche problemati-che connesse alla esistenza di confini territoriali “statuali” induce a sperare nell’adozione di un modello simile per la città metropolitana dello Stretto, dove, in realtà, il “confronto” è fra due Regioni, una a Statuto ordinario ed una a Statuto

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spe-6

ciale. Ma proprio il riferimento alla concezione dell’esistenza di un modello funzio-nale di città metropolitana legittima questa proposta di sviluppo istituziofunzio-nale dell’area comprensiva delle città di Reggio Calabria e Messina, nonché (almeno in parte) delle loro province.

Il modello funzionale di città metropolitana si ritiene sia il più idoneo non solo ad illuminare la connotazione istituzionale, ma soprattutto a far luce sulla natura giuri-dica di tale ente locale, ancora forse non precisamente delineata.

Nell'opinione pubblica, ma anche nell'immaginario di chi non è giurista, la città metropolitana è una specie di “fantasma”, perché non vi è ancora una netta individu-azione delle sue funzioni ed una netta differenziindividu-azione rispetto a quelle della provin-cia.

Il fatto che non si sia ragionato su un territorio “idealtipico” della città metropoli-tana e che si sia stabilito per legge che ci debba essere una sorta di trasposizione del territorio provinciale sul territorio della città metropolitana, non pare sia stata una mossa "strategica", bensì un errore, ripetutosi a distanza di più di settant’anni da quando si decise di prevedere il disegno costituzionale delle Regioni senza tener conto dei dati reali: antropologici, culturali, economici, commerciali, persino della orografia e della storia dei loro territori12.

Nondimeno, ciò può essere un bene e può essere un male: il bene è che il legisla-tore italiano (costituzionale e ordinario) abbia immaginato il nuovo ente; il male è che non abbia, però, predisposto criteri adeguati per la sua concreta definizione in rapporto a parametri minimi uniformi.

Non è un caso che, per questo, molti abbiano criticato il fatto che Reggio Calabria sia stata inserita tra le città metropolitane: evidente, plateale, è la sua diversità da molti punti di vista rispetto a tutte le altre13.

12

M.S.GIANNINI, In principio sono le funzioni (1959), in ID., Scritti, Milano 2004, IV, 719 ss. Il concetto di “ripetizione dell’errore” del Costituente è ora manifestato espressamente da A. SPADARO, nel lavoro del 14 febbraio 2015 intitolato Le città metropolitane, tra utopia e realtà, sulla rivista te-lematica www.federalismi.it n. 1/2015, p. 6.

13

Sulla querelle innescata da un articolo di G.A.STELLA, sul Corriere della Sera del 22 marzo 2009, che aveva posto l’accento sulla vera ragione dell’inserimento di Reggio Calabria tra le 10 aree metropolitane d’Italia, individuandola nel futuro arrivo di finanziamenti ad hoc si tratterà più approfonditamente nell’ultima parte della tesi, dedicata al “caso” della città metropolitana di Reggi Calabria. In quella sede, si puntualizzerà ulteriormente la circostanza secondo cui, a parte l’evidente errore di contestualizzazione temporale del dato normativo, ciò che appare condivisibile delle

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7

Tuttavia, siccome non solo gli studi dottrinali, prevalentemente comparatistici, ma anche la legge attuativa della riforma del titolo V della Costituzione non ci dà un quadro idealtipico di città metropolitana dal punto di vista territoriale, strutturale, orografico, di popolazione, allora noi possiamo immaginare che la città metropolita-na non è tanto il suo territorio ma è la sua “funzione”. Dunque si pone il problema dell’individuazione del τέλος di questo ente di area vasta.

E si giunge alla conclusione di ritenere che – almeno rebus sic stantibus – esso si concretizzi nella valorizzazione e differenziazione di un territorio specifico, caratte-rizzato da un centro urbano (genericamente) significativo, rispetto a tutti gli altri, e della sua gestione univoca attraverso la valorizzazione delle differenziazioni interne attraverso le c.d. “zone omogenee”.

Sembrerebbe registrarsi, invero, una sorta di gioco di specchi tra omogeneità e differenziazione che traduce i principi dell'art. 118 della Costituzione per la prima volta in un modo nuovo, inedito, non si sa quanto consapevolmente condotto da chi ha scritto la legge c.d. Del Rio.

Poiché il compito del giurista è anche quello, ove possibile, di ricondurre a razio-nalità l'opera del legislatore, dovremo cercare di interpretare la l. n. 56 del 2014 nel modo più razionale, anzi “ragionevole”, possibile.

In questa prospettiva forse è possibile vedere nella città metropolitana di Reggio Calabria l'attuazione di un principio che nella Costituzione purtroppo non c'è più: il principio della valorizzazione del Mezzogiorno e delle isole, che era scritto nel vec-chio art. 119, ma che poi è stato cancellato perché considerato qualcosa di antico e di superato14, nella erronea convinzione che basta cancellare la parola perché sparisca il problema.

Purtroppo le cose non stanno così.

È interessante notare che in alcuni Statuti delle città metropolitane, come in quel-lo della città metropolitana di Napoli, riaffiori la parola «Mezzogiorno». Parrebbe che in queste “mini costituzioni” – perché la definizione che Martines aveva dato

argomentazioni contenute nell’articolo del noto cronista è il richiamo al dato secondo cui non vi sia unanimità di vedute nella dottrina urbanistica, economica, e anche giuridica circa la definizione della città metropolitana o dell’area metropolitana.

14

Cfr. S.GAMBINO, Sulla devolution all’italiana (alcune considerazioni sul ddl Cost n. 1187 ed ora sul ddl Cost n. 2544), in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 28 Febbraio 2003.

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8

degli Statuti regionali, che era anche all'epoca un po' polemica, si adatta molto bene agli Statuti delle tante città metropolitane15 – troviamo a volte affermazioni un po’ retoriche: si parla di “felicità, di “bellezza”, di “cura”, ecc. Per fortuna non mancano, però, anche termini giuridicamente rilevanti (“valorizzazione”, “differenziazione”, “adeguatezza” e…, in fondo, come si ricordava, pure la parola “Mezzogiorno”).

L’iter argomentativo che si è inteso sviluppare nel presente lavoro muove dalla disamina della disciplina comunitaria concernente la politica di coesione con preci-puo riguardo al ruolo che all’interno di essa svolgono le aree metropolitane; quindi si snoda attraverso la disamina dello scenario normativo italiano, delineando diacro-nicamente la disciplina positiva di questi enti ed analizzandone, tra l’altro, la forma di governo; si porrà poi attenzione, in particolare, ai profili di incostituzionalità di alcuni aspetti della normativa sulle città metropolitane e l’analisi, quindi, alla fine, si focalizzerà sul “caso” della città metropolitana di Reggio Calabria e sulla necessità di applicare alla stessa il “modello funzionale”, perché si ritiene che tale ente do-vrebbe andare oltre i limiti del territorio provinciale, e guardare all’area dello Stretto che la separa dalla città (anch’essa metropolitana) di Messina.

15

T.MARTINES, Prime osservazioni sugli statuti delle Regioni di diritto comune, in T.MARTINES, I.FASO, Gli statuti regionali, Milano 1972, ora in T.MARTINES, Opere, III, Milano 2000, p. 567.

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CAP. I

LO SVILUPPO URBANO ED IL PROBLEMA DELLA GOVERNANCE DEGLI ENTI TERRITORIALI DI AREA VASTA IN EUROPA

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10

I.1 – La politica territoriale ed urbana nel e dell’Unione europea

La politica regionale europea – comunemente nota come «politica di coesione», poiché il suo obiettivo generale è rafforzare la cosiddetta «coesione economica, so-ciale e territoriale»16 nelle regioni che possono beneficiare del sostegno – ha da sempre valorizzato gli enti territoriali quali veicoli dello sviluppo delle originarie comunità europee, oggi dell'Unione europea.

La promozione delle città, in generale, ma anche delle aree metropolitane, in par-ticolare, come centri catalizzatori delle politiche di perseguimento degli obiettivi comunitari, è sostenuta non solo destinando i fondi strutturali attraverso la “regional policy”, ma anche integrando questo elemento nelle politiche settoriali, alla stregua di un obiettivo trasversale, ovvero in nome di quella che è stata efficacemente defi-nita la “dimensione locale” delle politiche dell’UE17.

Oggi le aree urbane d'Europa ospitano oltre due terzi della popolazione dell'UE, utilizzano circa l'80% delle risorse energetiche e generano fino all'85% del PIL eu-ropeo18.

Cercando di “forzare” le difficoltà che si pongono sul piano tassonomico, attesa la complessità del fenomeno metropolitano, potremmo affermare che le aree metro-politane costituiscono una species del genus “aree urbane”, caratterizzate dalla mag-giore ampiezza territoriale e dalla multiformità dei fenomeni economici e sociali ivi presenti.

16 Non vi è unanimità di vedute in merito alla esatta qualificazione giuridica del sintagma

"coesione economica, sociale e territoriale" in Europa. Alcuni autori si riferiscono alla coesione qualificandola come sviluppo policentrico ed endogeno con l'obiettivo di coltivare molteplici agglomerati di competitività ed innovazione in Europa; altri definiscono la coesione come modello di sviluppo equilibrato con l'obiettivo prioritario di ridurre le diseguaglianze socio-economiche e attenuare gli squilibri; altri, ancora, considerano la coesione come concetto identificativo della parità di accesso dei cittadini europei ai servizi e alla conoscenza, prescindendo dal luogo in cui ciascuno di essi vive; infine la coesione viene definita come forma di rete che dà risalto alle connessioni fisiche e interattive esistenti tra centri di comunicazione, legati grazie ad essa anche con le loro aree circostanti. Cfr. sulla tematica in esame, tra gli altri, K.MIRWALDT,I.MCMASTER,J.BACHTELER, Reconsidering cohesion policy: the contested debate on territorial cohesion, in European policy research paper, n. 66/2009, p. 5.

17 Commissione europea, Comunicazione su La dimensione urbana delle politiche dell’UE –

Elementi fondanti di una Agenda urbana UE, 18.7.2014, COM(2014) 490 final.

18

I dati sono tratti dalla pagina web della Commissione europea, inerenti alla politica regionale dell’UE: http://ec.europa.eu/regional_policy/it/policy/themes/urban-development.

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11

Le aree metropolitane, prima che oggetto di interesse per i giuristi, hanno costi-tuito in origine, materia di studio per economisti e sociologi, in quanto terreno ideale per lo studio delle dinamiche del mercato e “osservatori privilegiati” per la lettura dell’evoluzione dei più importanti processi sociali19 .

La fenomenologia dei modelli di governo metropolitano che emergono dal pano-rama degli altri ordinamenti è davvero molteplice e probabilmente non riconducibile a certa unità concettuale.

Si potrebbe affermare che esiste un “florilegio” di modelli di governo metropoli-tano, connotati per la soluzione di tipo funzionale ovvero strutturale adottata, che spazia da forme più accentuate come le città-stato o città-regioni ovvero forme di governo di secondo livello, a elezione diretta o ristretta o non elettive, sino a forme

19 Cfr. P.U

RBANI, Aree metropolitane, in Enciclopedia del diritto, Agg. V, 2001, p. 111. Gli studi sociologici tradizionali focalizzano l'attenzione su tre elementi ritenuti caratterizzanti il fenomeno urbano: la dimensione (size), la densità (density), l’eterogeneità (heterogeneity) In tali termini si esprime L.WIRTH, Urbanism as a way of life, in American Journal of Sociology, 44, 1938, p. 1 e ss. Nel XXI secolo, tuttavia, queste tre variabili non possono più essere intese con lo stesso significato di settant’anni fa: la dimensione vale ovviamente ancora, ma l’oggetto su cui misurarla non ha più confini precisi; di conseguenza, la densità diventa di difficile computo; infine non è più chiaro di che tipo di eterogeneità si tratti e su quale scala vada misurata (Cfr. ex pluribus, G. MARTINOTTI, Metropoli: la nuova morfologia sociale della città, cit., p. 66 e ss., cit., nonché, W.TORTORELLA, M. ALLULLI, Città metropolitane. La lunga attesa, cit., p. 16 e ss., ed ancora, sempre G.MARTINOTTI, Dalla metropoli alla meta-città. Le trasformazioni urbane all’inizio del secolo XXI, in Le grandi città italiane. Società e territori da ricomporre, a cura di G.DEMATTEIS, Venezia, 2011, p. 26;v. ancheF. BARTALETTI, Le aree metropolitane in Italia e nel mondo: il quadro teorico e i riflessi territoriali, cit., p. 25 e ss.). Oggi, infatti, come rilevano attenti studi urbanistici, la dimensione costituisce un problema per la delimitazione del perimetro della città, più che una risorsa; si pone molta attenzione al problema della reciproca interdipendenza tra la città ed il suo hinterland; lo spazio, infine, non costituisce una risorsa, bensì un territorio da gestire e tutelare nella sua scarsità, nelle sue dinamiche insediative e nelle problematiche da risolvere (ambientali, nei rifiuti, trasporti, ecc.): la città si espande più lentamente da un punto di vista quantitativo e si trasforma più rapidamente da un punto di vista qualitativo nei suoi processi interni Cfr., C. MARIANO, Governare la dimensione metropolitana. Democrazia ed efficienza nei processi di governo dell’area vasta, Milano, 2011, p. 13 e ss. La rassegna degli studi involgenti la materia delle aree metropolitane rende la complessità del fenomeno, dunque, con la conseguenza di rimetterne la determinazione e la qualificazione alla scelta discrezionale del legislatore (Cfr. in tal senso P.URBANI, Governi metropolitani e interessi nazionali, Padova, 1988, p. 166). Ed invero, il riconoscimento dell’area metropolitana è un dato costante degli ordinamenti moderni ed è la consapevole risposta giuridica al fenomeno definito di «gerarchizzazione del territorio», frutto dell’industrializzazione del secolo scorso, che ha portato alla «formazione costante di centri e di periferie, di aree forti e di aree dipendenti» (in tal senso v. A.CROSETTI, Sul governo delle aree metropolitane, in Amministrare, n. 1-2/1989, pp. 149-150), ossia all’emersione di agglomerati urbani in cui risalta un centro capofila di grandi dimensioni e polifunzionale e un insieme di insediamenti distinti e strettamente correlati nelle relazioni socio-economiche. L’area metropolitana si connota, pertanto, non per l’ampliamento ma per “ […] l’interdipendenza delle strutture urbane che, se da un lato mantengono la loro individualità, dall’altro si integrano in un tessuto comune imperniato attorno alla città metropolitana” (cfr. F. CUOCOLO, Assetto e finalità della nuova struttura metropolitana, in Quad. cost., n. 4/1990, p. 1095).

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più soft come le associazioni volontarie di Comuni o le agenzie di scala metropolita-na20.

Ad ogni modo, tra le aree metropolitane, quali enti territoriali di rilevanza euro-pea21, un ruolo significativo assumono, nel nostro ordinamento, le città metropolita-ne22.

All’interno del loro territorio varî problemi persistenti, quali ad esempio disoccu-pazione, segregazione e povertà, raggiungono i livelli più allarmanti, con straordina-ria comunanza di esperienze tra i diversi Paesi membri dell’Unione Europea23. Le politiche urbane assumono in questa prospettiva un'importanza transfrontalie-ra, ragion per cui lo sviluppo urbano riveste un ruolo di primo piano nella politica regionale dell'UE.

Molte delle problematiche fondamentali che si pongono in Europa – quali la competitività economica e le difficoltà a raggiungere uno sviluppo equilibrato e so-stenibile – non possono prescindere dalle risposte dei livelli di governo metropolita-no.

Le aree metropolitane svolgono un ruolo chiave anche per lo sviluppo territoriale dell'Europa, in quanto motori dell'economia, luoghi di connettività, creatività ed in-novazione, centri di servizi. Per questo, i fondi comunitari per la coesione costitui-scono un primo nucleo sul quale fondare una politica sociale, del lavoro e di svilup-po comune a livello europeo, una ulteriore spinta verso l'integrazione ordinamentale

20 Cfr., in tal senso, M.C

ARRER,S.ROSSI, Le città metropolitane in Europa, Roma, 2014, pp. 6 e 7.

21

Così le definisce, L.GUILLOUD,Décentralisation et fédéralisme. Les collectivités locales, fac-teur de fédération dans l'Union Européenne? - Deuxiéme partie: Les collectivités locales, acfac-teurs clés dans l'Union européenne -- Le Comité des régions, un organe paradoxal de l'Union européenne, cit. pp. 582 e ss.

22

Secondo uno schema classificatorio che, in parte, si condivide, con il termine “città metropolitana”, verrà richiamato, nella presente ricerca, l’ente istituito dalla legge n. 56/2014, con la precisazione che non possono non cogliersi, in chiave definitoria, elementi che accomunano tale ente con la “regione metropolitana” o l’“area metropolitana”, sintagmi utilizzati nella dimensione fattuale, ossia come porzione territoriale su cui un ente metropolitano esercita, ovvero, si auspica potrebbe esercitare (come nel caso dell’area metropolitana dello Stretto), le proprie funzioni di governo (la detta classificazione è adottata da G.MOBILIO, Le città metropolitane. Dimensione costituzionale e attuazione statutaria, Torino, 2017, p. 26). In tal senso, la relazione introduttiva al d.d.l. cost. n. AC 1543, presentato il 20 agosto 2013 dal Governo Letta, qualificava le città metropolitane come «una moderna soluzione per il governo delle aree metropolitane, così come avviene anche nell’ambito dell’esperienza di altri Paesi europei».

23 Sulla “vocazione europea” delle città metropolitane, cfr. L. V

ANDELLI, Città metropolitane, province, unioni e fusioni di comuni: la legge Delrio, 7 aprile 2014, n. 56 commentata comma per comma, Rimini, 2014, p. 44.

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europea a cui soprattutto le città metropolitane possono fare da apripista. Ed invero, i macro-obiettivi perseguiti dalle politiche comunitarie non posso essere raggiunti senza il pieno coinvolgimento dei livelli di governo più prossimi ai cittadini europei. Eppure, nella versione originaria del Trattato istitutivo delle Comunità europee non erano presenti disposizioni che potessero incidere direttamente sugli assetti isti-tuzionali interni e sulla articolazione più o meno autonomistica dei vari Stati aderen-ti.

Nonostante l’anomalia della costruzione comunitaria – che nel corso degli anni si è sempre più distaccata dal modello classico dell’organizzazione internazionale per configurarsi più specificatamente come entità sovranazionale24 – nessun particolare accenno era contenuto al rapporto tra Comunità e articolazioni “interne” degli Stati.

24 La bibliografia sul processo di integrazione eurounitaria è sconfinata. Senza pretesa di

esaustività, ci si limita qui a citare A. SPINELLI, Il progetto europeo, Bologna, 1985; ID., Una strategia per gli Stati Uniti d’Europa, a cura di S.PISTONE, Bologna, 1989;ID., La crisi degli Stati nazionali, a cura di L.LEVI, Bologna, 1991; U.DRAETTA, Elementi di Diritto dell'Unione europea: Parte Istituzionale: Ordinamento e Struttura dell'Unione europea, Milano, 1999; G. GAJA, Introduzione al diritto comunitario, Roma, 1999; S.BONFIGLIO, Costituzione e forma di governo nel quadro del processo di integrazione europea, Roma, 1999; U. DE SIERVO, Costituzionalizzare l'Europa ieri ed oggi: ricerca dell'istituto Luigi Sturzo, "Verso La Costituzione Europea", Bologna, 2001; C. AMIRANTE, Unioni sovranazionali e riorganizzazione costituzionale dello Stato, Torino, 2001; E. LETTA, La Comunità competitiva: L'Italia, le libertà economiche e il modello sociale europeo, Roma, 2001; A.PREDIERI,M.MORISI, L'Europa delle reti, Quaderni Cesifin, Torino, 2001; P. BILANCIA, Il Processo costituente europeo, Collana di Diritto Pubblico, Milano, 2002; L. CARACCIOLO, E. LETTA, Dialogo intorno all'Europa, Roma, 2002; G. IADECOLA, Diritto costituzionale italiano, europeo: elementi di diritto internazionale, Roma, 2002; C. PINELLI, Il momento della scrittura: contributo al dibattito sulla Costituzione Europea, Bologna, 2002; A. PIZZORUSSO, Il patrimonio costituzionale europeo, Bologna, 2002; L.CHIEFFI, Regioni e dinamiche di integrazione europea, Materiali e Studi di Diritto Pubblico, Seconda Università Degli Studi Di Napoli, Dipartimento di Discipline Giuspubblicistiche Italiane, Europee e Comparate, Dottorato Di Ricerca in Diritto Pubblico Interno e Comunitario, Torino, 2003; E. LETTA, L'allargamento dell'Unione Europea, Farsi Un'idea, Bologna, 2003; G. NAPOLITANO, Europa politica: il difficile approdo di un lungo percorso, Roma, Donzelli, 2003; F. PERFETTI, G.RAVASI, Identità Europea: geopolitica e globalizzazione, Milano, 2003; R. CALVANO, La Corte di giustizia e la Costituzione europea, Pubblicazioni dell'istituto di Diritto Pubblico della Facoltà di Giurisprudenza, Università degli Studi di Roma "La Sapienza", Padova, 2004;F.CARLUCCI,F.CAVONE, La Grande Europa: allargamento, integrazione, sviluppo, economia, Milano, 2004; V. CASTRONOVO, L'avventura dell'unità Europea: Una sfida con la Storia e il Futuro, Torino, 2004; G. MORBIDELLI, Diritto Pubblico Comparato, Torino, 2004; F.POCAR, Diritto dell'unione e delle comunità europee, Milano, 2004; G.GUZZETTA, Le forme dell'azione comunitaria nella prospettiva della Costituzione Europea, Dipartimento Di Scienze Giuridiche, Università Di Trento, Padova, 2005; E. LETTA, L'Europa a Venticinque, Farsi Un'idea. Bologna, 2005; AA.VV., a cura di G.BOSCO, F.PERFETTI e G.RAVASI, L'Unione Europea tra processo costituzionale e una nuova identità politica, Fondazione Europea Dragan, Milano, 2006; F.PASSARELLI, Unione Europea, governance e regolamentazione, Bologna, 2006; A. SPINELLI, E.ROSSI, (con prefazione di E. COLORNI), Il Manifesto di Ventotene, Milano 2006; G. VERHOFSTADT (con prefazione di G. AMATO e R. PRODI), Gli Stati uniti d’Europa. Manifesto per una nuova Europa, Roma, 2006; N.ZANON, Le Corti dell'integrazione europea e la

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Il Trattato di Roma del 1957, sebbene prevedesse all’art. 158 tra gli obiettivi co-munitari quello di ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni, non prevedeva alcuna norma che ponesse una qualsivoglia relazione tra gli organi comu-nitari e le articolazioni territoriali interne (men che meno le città) degli Stati, avendo i primi come interlocutori principali gli Stati, evidentemente intesi come Stati-apparato25, id est come Governi dei singoli Stati membri e loro apparati burocratici, che erano considerati gli unici responsabili di eventuali inadempimenti degli obbli-ghi comunitari.

Questa impostazione, di carattere sostanzialmente “internazionalistico” era aval-lata anche dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee, per la quale uno Stato membro non può richiamarsi a situazioni del proprio ordinamento interno per giustificare l’inadempimento di obblighi comunitari; esso resta il solo re-sponsabile dell’inadempimento quale che sia l’uso che ha fatto della libertà di ripar-tire le competenze normative sul piano interno26.

Corte Costituzionale italiana: avvicinamenti, dialoghi, dissonanze, cinquanta anni della Corte Costituzionale della Repubblica Italiana, Napoli, 2006; D. CASTELLANO, Europa: definizioni e confini, Institut International D'études Européennes Antonio Rosmini, Napoli, 2007; E.CASTORINA, Profili attuali e prospettive di diritto costituzionale europeo, Torino, 2007, A. D'ATENA, Costituzionalismo multilivello e dinamiche istituzionali, Torino, 2007; T. BALLARINO, Diritto dell'Unione europea, Padova, 2010; E.LETTA, L'Europa è finita, Torino, 2010; U.DRAETTA, “Quale futuro per l’Eurozona e l’Unione Europea”, in Studi sull’integrazione europea, VII, pp. 23-32, 2012; G.TESAURO, Diritto dell'Unione europea, Padova, 2012; L.DANIELE, Diritto dell'Unione europea. Sistema istituzionale, ordinamento, tutela giurisdizionale, competenze, Milano, 2014; R.ADAM -A. TIZZANO, Manuale di Diritto dell'Unione europea, Torino, 2014.

25 Cfr. T.M

ARTINES, Diritto Costituzionale, a cura di G.SILVESTRI, Milano, 2011, p. 102, in cui si trova la definizione di Stato-apparato come l’insieme dei governanti, distinto da tutti gli altri soggetti, pubblici e privati, sottoposti alla sua supremazia, definiti complessivamente come governati, che costituiscono lo Stato-comunità. Si tratta «di due ambiti diversi (quello dell’autorità e quello della libertà e dell’autonomia) che, a seconda della forma di governo sono, o nettamente distinti, ovvero tendono, in varia misura, ad avvicinarsi senza, tuttavia, arrivare a confondersi, dato che, negli ordinamenti statali contemporanei, non sono possibili forme di assoluto autogoverno».

26 Costituisce principio ormai pacifico nella giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione

europea che ciascuno Stato membro non possa invocare a sua discolpa per l'omesso recepimento della normativa comunitaria l'articolazione territoriale interna che conferisce determinate competenze ad enti distinti ed autonomi, eventualmente espressione di autonomia locale. Invero, uno Stato membro non può far valere la ripartizione delle competenze e delle responsabilità tra enti locali esistenti nel proprio ordinamento giuridico interno per sottrarsi alla propria responsabilità per inadempimento degli obblighi di natura eurounitaria cui è vincolato. Lo Stato membro è l'unico soggetto al quale è imputabile la responsabilità dei danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto dell'Unione, a prescindere dall'organo nazionale che abbia commesso la violazione (in tal senso, v. la notissima sentenza Brasserie du Pècheur, 5 marzo 1996, C-46-48/93 par. 32). È acquisizione parimenti pacifica che seppure sia legittima, alla luce del diritto comunitario, una norma nazionale in base alla quale il privato possa esperire l'azione risarcitoria nei confronti di un’articolazione interna di detto Stato (si pensi, per uno Stato federale come la Germania, nei riguardi del Land e non dello Stato

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Ciò ha contribuito ad attrarre nella sfera di competenza statale tutte le materie in-vestite da provvedimenti comunitari, anche quando si trattava di competenze attri-buite dalla Costituzione alle Regioni o agli enti locali, facendole rientrare nel c.d. potere estero dello Stato.

Soltanto nel corso degli anni ’70 le autonomie locali assunsero maggiore rilevan-za in ambito comunitario, con l’avvio dei primi progetti per ridurre il divario tra le varie realtà regionali europee e con l’istituzione nel 1975 del Fondo europeo per lo Sviluppo Regionale (FESR); mancava però ancora una coerente ed organizzata vi-sione regionalistica dell’Europa e soprattutto le varie realtà regionali non assumeva-no alcuna rilevanza rispetto all’ordinamento comunitario27.

Invero, l'accresciuta responsabilità degli enti territoriali nelle politiche comunita-rie si è affermata con fatica e con lentezza: com'è noto, a parte alcune prese di posi-zione della Commissione, solo nel 1984 è stata adottata una dichiaraposi-zione comune

federale nel suo insieme, qualora la violazione sia imputabile al solo Land), ciò nondimeno lo Stato membro deve garantire che gli obblighi comunitari siano adempiuti. Con la sentenza Konle (sentenza 1 giugno 1999, causa 312/97, facilmente visionabile sul sito http://eur-lex.europa.eu), pronunciandosi in relazione ad una fattispecie riguardante la struttura federale dello Stato tedesco, la Corte del Lussemburgo ha affermato che il privato può esperire l’azione risarcitoria nei confronti di un Land e non dello Stato federale nel suo insieme, qualora la violazione sia imputabile al solo Land. E questo purché non vengano poste regole sostanziali e procedurali discriminatorie e tali da incidere negativamente sulla effettiva possibilità di ottenere soddisfazione. Condizione, quest’ultima, ribadita dalla sentenza Haim (sentenza 4 luglio 2000, causa 424/97, facilmente visionabile sul sito http://eur-lex.europa.eu), con la quale la Corte ha ammesso la concorrenza della responsabilità dello Stato nazionale con quella dell’ente pubblico responsabile dell’illegittimo diniego dell’ammissione all’esercizio della professione di dentista nel quadro del regime convenzionale della cassa malattia. Secondo la Corte “il diritto comunitario non osta a che la responsabilità gravante su un ente di diritto pubblico di risarcire i danni provocati ai singoli da provvedimenti da esso adottati in violazione del diritto comunitario possa sorgere oltre a quella dello Stato membro stesso”. Com’ è stato condivisibilmente evidenziato, «[…] Uno Stato membro, dunque, non può far valere la ripartizione delle competenze e delle responsabilità tra enti locali esistenti nel proprio ordinamento giuridico interno per sottrarsi alla propria responsabilità al riguardo. Fatto salvo ciò, il diritto comunitario non impone agli Stati membri alcuna modifica della ripartizione delle competenze e delle responsabilità tra gli enti pubblici esistenti sul loro territorio. Purchè le modalità procedurali in essere nell'ordinamento giuridico consentano una tutela effettiva dei diritti derivanti ai singoli dall'ordinamento comunitario senza che sia più difficoltoso far valere tali diritti rispetto a quelli derivanti agli stessi singoli dall'ordinamento interno e gli obblighi comunitari siano rispettati (Parr. 62 e 63 sentenza Konle)»: in tal senso, M.LOTTINI, Principio di autonomia istituzionale e pubbliche amministrazioni nel diritto dell'Unione Europea, Torino, 2017. Ma si v. anche, in argomento, P. PEREZ-TREMPS e L. VIOLINI, La costituzione europea e l'organizzazione territoriale degli Stati membri, in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, 6/2004, pp. 1431, 1454.

27 Sulla partecipazione delle Regioni e degli enti locali nel processo di integrazione comunitario v.

T.M. MARGELLOS, L'èmergence de la "règion" dans l'ordre juridique communautaire, in G. VANDERSANDEN (dir.), L'Europe et les règions, in Etudes europèemmes, 1997, pp. 19-63 e B.F. KORMOSS, La reconnaissance des règions dans les politiques et programmes communautaires, ivi, pp.65-75.

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del Parlamento, del Consiglio e della Commissione sull'opportunità di una collabo-razione con le autorità regionali e locali, salve le competenze degli Stati, seguita dal-la risoluzione del Pardal-lamento europeo suldal-la politica regionale deldal-la Comunità e sul ruolo delle Regioni con annessa la "Carta comunitaria della regionalizzazione", fa-vorevole all'estensione ed al rafforzamento della partecipazione regionale al proces-so decisionale della Comunità europea, nonché dalla riforma dei fondi strutturali, at-tuata mediante regolamenti disciplinanti anche la partnership delle collettività re-gionali e locali28.

Appare utile richiamare, inoltre – sia pure nel quadro della c.d. grande Europa, più ampia dell’UE – le iniziative intraprese dal Consiglio d'Europa a tutela del prin-cipio autonomistico, quali, esemplificativamente, la creazione, già nel gennaio 1951 del Consiglio dei Comuni d'Europa (CCE), poi divenuto nel 1984 Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa (CCRE), organo funzionale alla ricostruzione eu-ropea "dal basso", ossia dai Comuni, enti per antonomasia più "prossimi" ai cittadi-ni29. Non può non segnalarsi, infine, in questo quadro, con l'impegno di approfondire la tematica in seguito, la Carta europea dell’ autonomia locale (firmata a Strasburgo nel 1985), il cui obiettivo essenziale è quello di "compensare la carenza di normative europee comuni per la protezione dei diritti delle collettività locali", disponendo, tra l'altro, che "l'esercizio delle potestà pubbliche deve in linea di principio spettare alle autorità più vicine al cittadino" (art. 43).

È interessante notare che proprio poco tempo dopo l’adozione, in seno al Consi-glio d’Europa, della Carta europea dell’autonomia locale, con l’Atto Unico Europeo del 1986, finalmente le Comunità Europee hanno elevato al rango di politica comu-nitaria la politica di coesione economica e sociale. Con l’introduzione nel Trattato del Titolo V – dedicato alla Coesione socio-economica e composto da cinque articoli (130 A, 130 B, 130 C, 130 D e 130 E) – l’Atto Unico Europeo (AUE) ha disegnato infatti le fondamenta giuridiche della politica regionale europea: vi si legge

28 Cfr. F.B

RUNO, Stati membri ed Unione europea: il difficile cammino dell’integrazione, Torino, 2012, p. 145 e 146.

29 Sul contributo del CCE all'unità europea v. F. Z

UCCA, Autonomie locali e federazione sopranazionale, con Prefazione di V.GISCARD D'ESTAING, Bologna, 2001, il quale segnala l'azione svolta dal Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa a favore dell'elezione diretta dei componenti del Parlamento europeo e dell'apertura di progetti europei finalizzati alla valorizzazione delle autonomie locali.

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l’obiettivo di ridurre le disparità tra le regioni e l’impegno a ovviare al ritardo di svi-luppo di zone meno favorite, come molte aree di Grecia, Spagna e Portogallo, allora appena entrate in Europa.

È significativo che la Commissione così si sia espressa in merito all’entrata in vi-gore del predetto atto normativo ed alle prospettive di sviluppo dell’integrazione eu-ropea: «L’Atto unico europeo migliora in modo significativo il sistema istituzionale e fissa nuovi obiettivi per la Comunità, in particolare la realizzazione del mercato interno entro la fine del 1992 e il consolidamento della coesione economica e socia-le. Conseguire questi due obiettivi significa altresì rispondere alle ispirazioni e alle speranze dei nuovi Stati membri i quali legittimamente auspicano che la partecipa-zione alla Comunità contribuisca allo sviluppo e all’elevapartecipa-zione del tenore di vita nei rispettivi paesi, per l’effetto combinato dei loro sforzi e del sostegno dei partner»30. Solo da quel momento, la politica regionale europea rientra tra gli obiettivi priori-tari dell’Unione, con l’adozione dei relativi strumenti politici e finanziari.

Tuttavia, il Trattato istitutivo delle Comunità Europee non prevedeva ancora un organismo di raccordo tra le istituzioni comunitarie e le realtà regionali.

La Commissione ha finalmente colmato questa lacuna nel 1988, quando ha isti-tuito il Comitato consultivo delle autorità regionali e locali, nel tentativo di raffor-zare il collegamento con le singole Regioni e con gli enti locali. Si tratta di un Comi-tato formato da esperti che veniva consulComi-tato in merito all’attuazione ed allo svilup-po di tutte le svilup-politiche comunitarie che svilup-potessero in qualche modo incidere sulle re-altà regionali degli Stati membri.

Se nell'Atto unico europeo vi è stato l'esplicito riconoscimento della politica re-gionale comunitaria, è, tuttavia, con il Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992 che si è operato un significativo passo in avanti, attraverso l'enunciazione del principio di sussidiarietà (art. 3B), con il quale si è voluto far fronte all'esigenza di una parte degli Stati membri di evitare eccessivi trasferimenti di sovranità a livello europeo ed,

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Commissione delle Comunità europee - Portare l’Atto unico al successo: una nuova frontiera per l’Europa, COM(87) 100 def. del 15 febbraio 1987.

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allo stesso tempo, di garantire alle entità subnazionali (istanza, quest'ultima, prove-niente soprattutto dai Länder tedeschi) il rispetto delle loro competenze31.

Con l’affermazione del principio di sussidiarietà, inoltre, gli enti locali hanno trovato una loro maggiore valorizzazione anche a livello comunitario, non essendo stati visti solo dal punto di vista istituzionale, ma anche dal punto di vista funzionale. Con il Trattato di Maastricht, inoltre, è stato istituzionalizzato il Comitato delle Regioni, organismo consultivo che ha ereditato i compiti del Comitato del 1988 ed è divenuto operativo nel 1994.

Il percorso comunitario di maggiore coinvolgimento delle autonomie territoria-li ha registrato una tappa significativa con il Trattato di Amsterdam che ha attribuito al Comitato delle Regioni ulteriori poteri, e ne ha aumentato i settori di consultazio-ne obbligatoria (ad es. fondo sociale ed ambiente).

In quel periodo della storia istituzionale europea, la governance “metropolitana” non pare essere ancora delineata nel contesto comunitario, nonostante le aree metro-politane abbiano da sempre rappresentato i motori economici dell'UE.

L'impatto di tali aree sull'ambiente, sull'energia e sul consumo di risorse ha reso il loro ruolo decisivo per una crescita europea sostenibile e anche per la coesione del territorio europeo, attraverso scambi tra le aree metropolitane.

Con tali presupposti si sono costituite, nel tempo, vere e proprie reti tra aree me-tropolitane.

Una di esse è METREX32, fondata nel 1996 alla Conferenza per le Regioni Me-tropolitane di Glasgow col sostegno della Commissione europea, che ha riconosciu-to il ruolo delle aree metropolitane per il futuro urbano dell'Europa.

31

Sul principio di sussidiarietà si v., tra gli altri, R. DICKMANN, Sussidiarietà, sovranità e regionalismo: il ruolo delle assemblee parlamentari, in Dir. Soc., 1994, p. 483 ss.; A. SPADARO, Sui princìpi di continuità dell’ordinamento, di sussidiarietà e di cooperazione fra Comunità/Unione europea, Stato e regioni, in Riv. trim. dir. pubbl., n. 4/1994, p. 1041 ss.;P.CARETTI, Il principio di sussidiarietà e i suoi riflessi sul piano dell’ordinamento comunitario e sul piano dell’ordinamento nazionale, in AA.VV., Scritti in onore di Alberto Predieri, Tomo I, Milano, 1996, p. 383 ss.; L. VIOLINI, Il principio di sussidiarietà, in G.VITTADINI (a cura di) Sussidiarietà: la riforma possibile, Milano, 1998; P.VIPIANA, Il principio di sussidiarietà verticale, Milano, 2002; A.ESTELLA, The EU principle of subsidiarity and its critique, Oxford, 2002; A.BATTISTA, Il principio di sussidiarietà nel diritto italiano e comunitario, Roma, 2005; P. BILANCIA, Il carattere bifronte del principio di sussidiarietà, in E.DE MARCO (cur.), Problemi attuali della sussidiarietà, Milano, 2005, p. 73 e ss.; F. IPPOLITO, Fondamento, attuazione e controllo del principio di sussidiarietà nel diritto della Comunità e dell’Unione europea, Milano, 2007.

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Tale rete ha contribuito a fornire una prospettiva metropolitana ai dibattiti della Commissione europea sulla coesione sociale, economica e territoriale.

Uno degli obiettivi principali di METREX è di contribuire al riconoscimento del-le aree metropolitane in Europa ed all'instaurazione di appropriate forme di gover-nance metropolitane per consentire la risoluzione efficace di problematiche chiave a livello comunitario quali la sostenibilità ambientale, il cambiamento climatico, eco-nomico e sociale, la connettività urbana e l'equilibrio tra il rinnovamento e l'espan-sione urbana.

Poi, con il Trattato di Nizza sono state apportate modifiche ai requisiti per poter essere nominati membri del Comitato delle Regioni, quale, esemplificativamente, la titolarità di un mandato elettorale nell'ambito di una collettività regionale o locale oppure l'essere politicamente responsabile dinanzi ad un'assemblea eletta. La sca-denza del mandato rappresentativo all'interno dell'articolazione territoriale di uno degli Stati membri, inoltre, determina l'automatica cessazione della validità della nomina nell'organismo comunitario, con l'obbligo posto in capo allo Stato membro, di provvedere alla sostituzione del proprio rappresentante.

Il Comitato delle Regioni, nonostante non sia stato dotato di poteri significativi, atteso che esercita, com'è noto, funzioni prevalentemente consultive, si è sempre po-sto come interlocutore delle istituzioni comunitarie in ordine alle tematiche emer-genti in sede regionale e degli enti locali.

Com'è stato rilevato, soprattutto negli ultimi dieci anni, il Comitato delle Regioni è stato, «[…] a più riprese, in condizione di influenzare le ulteriori tappe del pro-cesso di integrazione europea, attraverso una paziente attività spiegata spesso al di fuori delle previsioni del Trattato, ponendo all'attenzione dei suoi interlocutori le ragioni che consigliavano di procedere in un senso anzichè in un altro»33.

33 Cfr. S.M

ANGIAMELI, Il ruolo delle collettività regionali e locali nella governance europea, in

www.issirfa.cnr.it, 2015, il quale richiama, per fornire un'esemplificazione del rinnovato e più incidente ruolo del Comitato delle Regioni all'interno del sistema ordinamentale eurounitario, il “Protocollo sulle modalità di cooperazione fra la Commissione europea e il Comitato delle Regioni” (DI CdR 81/2001). In dottrina v., da ultimo, M. ESPOSITO, Dal libro bianco sulla governance europea alla Convenzione sul futuro dell’Europa: il Comitato delle Regioni e le sue componenti, in Le Istituzioni del Federalismo, 1, 2004, p. 123 e ss.

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Il Comitato delle Regioni ha più volte reclamato una sua partecipazione al dibat-tito sull'architettura istituzionale dell'Unione, in quanto, come rappresentante del li-vello regionale e locale nelle più varie sfaccettature, "consolida la legittimazione democratica dell'organo incaricato della preparazione" (CdR 325/2001 fin, Memo-randum sulla partecipazione del Comitato delle Regioni al dibattito strutturato sul futuro dell'Unione, Bruxelles, 3 ottobre 2001).

Con il protocollo sulle modalità di cooperazione tra la Commissione ed il Comi-tato delle Regioni, del settembre 2001 (CdR 81/2001) la Commissione ha esternato la volontà di sviluppare il dialogo con le autorità regionali e territoriali, mediante la stipula di contratti ed accordi tripartiti tra l'Unione, gli Stati membri e le autorità re-gionali e locali interessate (v. Comunicazione del 19 dicembre 2003, Bruxelles, Com(2003)811).

Al predetto protocollo ha fatto seguito un secondo, con il quale si è sottolineato che l'obiettivo della collaborazione tra livelli interordinamentali europei consiste nella creazione di una cultura di sussidiarietà basata su un progetto di multilevel go-vernance ove le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini (CdR 86/2007 fin).

Nel Trattato firmato a Roma nel 2004, che anelava all’adozione una Costituzione per l'Europa veniva posta particolare attenzione alla realtà della dimensione locale dell'Unione, tant'è vero che il Preambolo della Carta dei Diritti, che trovava colloca-zione nella parte II del Trattato, così recitava: "L'Unione contribuisce alla salva-guardia e allo sviluppo di questi valori comuni nel rispetto delle diversità delle cul-ture e delle tradizioni dei popoli d'Europa, nonché dell'identità nazionale degli Stati membri e dell'ordinamento dei loro pubblici poteri a livello nazionale, regionale e locale".

Inoltre, accogliendo, tra l'altro, le richieste formulate dal Comitato delle Regioni, era stata integrata la definizione di sussidiarietà, con la previsione contenuta all'art.I-11 secondo cui "nei settori che non sono di sua competenza esclusiva, l'Unione in-terviene soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non posso-no essere sufficientemente raggiunti dagli Stati membri, sia a livello centrale sia a

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livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell'a-zione in questione, essere meglio raggiunti a livello di Unione".

Se l’entrata in vigore del Trattato costituzionale, è stata bloccata – com’è noto – da due referendum negativi in Francia e nei Paesi Bassi, nondimeno, i suoi contenuti sono diventati la base di partenza della Conferenza intergovernativa che ha condotto alla redazione ed alla firma del Trattato di Lisbona.

A Lisbona è stato riconosciuto esplicitamente, per la prima volta, il principio dell’autonomia regionale e locale negli Stati membri dell’UE all'art. 4, par. 2, TUE, ai sensi del quale «L’Unione rispetta l’uguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati e la loro identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, compreso il sistema delle autonomie locali e regionali...».

Ed è stata attribuita maggiore importanza ai livelli substatali nel quadro del prin-cipio di sussidiarietà, nell’art. 5, par. 3, TUE, ai sensi del quale «In virtù del princi-pio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l’Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell’azione prevista non possono esse-re conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livel-lo regionale e livel-locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell’azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione. Le istituzioni dell’Unione applicano il principio di sussidiarietà conformemente al protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità. I parlamenti nazionali vigilano sul rispetto del principio di sussidiarietà secondo la procedura prevista in detto protocol-lo».

È stata dunque recepita la definizione del principio di sussidiarietà proposta in passato dal Comitato delle Regioni, che, com’è stato condivisibilmente rilevato, «[…] ha visto un deciso potenziamento del suo ruolo e dei suoi poteri con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona»34.

Infatti, il Comitato delle Regioni (CdR) pur mantenendo la funzione di organo consultivo della Commissione europea, del Consiglio dell'UE e del Parlamento

34

Cfr. in tal senso, C. NAPOLITANO, La coesione territoriale e il Comitato delle Regioni dell’Unione europea, 25 gennaio 2017, in www.federalismi.it n. 2/2017.

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ropeo, ha assunto lo status, secondo taluni, di “semi-istituzione” comunitaria35, tant’è che i suoi membri rimangono in carica, al pari di quelli dei predetti organi comunitari per 5 anni.

Per quanto il CdR sia un organo solo consultivo, i suoi pareri non sono facoltati-vi, ma obbligatoriamente richiesti nei settori della coesione economica e sociale, del-le reti transeuropee, della sanità pubblica, dell’istruzione, della cultura, della politica dell’occupazione, della politica sociale, dell’ambiente, della formazione professiona-le e dei trasporti.

Inoltre – e non è cosa del tutto trascurabile – nell'evenienza in cui il CdR non venga consultato nelle predette materie, può adire la Corte di giustizia.

Infine, può essere consultato ogni volta il Parlamento, la Commissione o il Con-siglio lo ritengano opportuno, in particolare nei casi concernenti la cooperazione transfrontaliera36. A sua volta, il Comitato può di propria iniziativa formulare pareri sulle proposte UE che ritenga interferenti con il principio di sussidiarietà.

Il controllo del Cdr sul rispetto del principio di sussidiarietà e di proporzionalità da parte degli organi dell’Unione Europea opera, dunque, sia nella fase della forma-zione degli atti comunitari, che, in quella, successiva, dell’adoforma-zione, mediante il ri-corso alla Corte di giustizia, offrendo alle città e alle regioni la possibilità di espri-mere formalmente la loro opinione nel processo legislativo dell’Unione europea per assicurare che la posizione e le esigenze degli enti regionali e locali siano rispettate. Anche le città metropolitane, in tal modo, si inseriscono come protagonisti del processo di integrazione europeo, atteso che i loro rappresentanti designati dallo

35 Così, S.M

ANGIAMELI, Il disegno istituzionale dell’Unione europea dopo il Trattato di Lisbona, in Dir. Un. Eur., 2/2011, p. p. 377 e ss.

36 Cfr. art. 307 TFUE: «1. Il Parlamento europeo, il Consiglio o la Commissione consultano il

Comitato delle Regioni nei casi previsti dai trattati e in tutti gli altri casi in cui una di tali istituzioni lo ritenga opportuno, in particolare nei casi concernenti la cooperazione transfrontaliera. 2. Qualora lo reputino necessario, il Parlamento europeo, il Consiglio o la Commissione fissano al Comitato, per la presentazione del suo parere, un termine che non può essere inferiore a un mese a decorrere dalla data della comunicazione inviata a tal fine al presidente. Allo spirare del termine fissato, si può non tener conto dell’assenza di parere. 3. Quando il Comitato economico e sociale è consultato in applicazione dell’articolo 304, il Parlamento europeo, il Consiglio o la Commissione informano il Comitato delle Regioni di tale domanda di parere. Il Comitato delle Regioni, qualora ritenga che sono in causa interessi regionali specifici, può formulare un parere in materia. 4. Il Comitato delle Regioni, qualora lo ritenga utile, può formulare un parere di propria iniziativa. 5. Il parere del Comitato è trasmesso al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Commissione, unitamente a un resoconto delle deliberazioni».

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