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2 – Profili di criticità della forma di governo della città metropolitana

IL MODELLO ISTITUZIONALE DI CITTÀ METROPOLITANA

III. 2 – Profili di criticità della forma di governo della città metropolitana

Com’è noto, la Legge n. 56 del 2014, nel delineare quella che, con una definizio- ne meramente descrittiva, si può indicare come la “forma di governo” dell’ente di area vasta oggetto dell’odierna ricerca233, nell’art. 1, comma 7, opta per un’impostazione “tripartita”, individuando quali organi della Città metropolitana il Sindaco metropolitano, il Consiglio metropolitano e la Conferenza metropolitana234. Il legislatore ha deciso di escludere la tradizionale previsione applicata ai Comuni ed alle Province di «uno schema articolato in un organo monocratico (sindaco o pre-

232 Cfr. E.B

ALBONI, op. loc. cit., p. 3.

233 In realtà, in dottrina si esclude che si possa utilizzare la categoria “forma di governo” per

definire l’insieme dei rapporti intercorrenti tra gli organi di indirizzo politico amministrativo degli enti locali, essendo, tale concetto, riferibile – come evidenziato, tra gli altri, da ultimo, da M. LUCIANI, Governo (forme di), in Enciclopedia del diritto, Annali III, 2010, p. 540 – ai rapporti tra gli organi di vertice dell’ordinamento, id est agli organi costituzionali, delineando il “modo di essere” del potere esecutivo rispetto agli altri poteri dello Stato. Sulle problematiche concernenti la “forma di governo” delle Città metropolitane, v. di recente, R. MEDDA, La forma di governo delle città metropolitane, in Working papers. Rivista online di Urban@it - 2/2016, ma si v. anche A.SIMONCINI, G.MOBILIO, L’identità delle Città metropolitane attraverso i loro Statuti: sintomi di una sindrome «bipolare»? in Le Regioni, 4, 2016, p. 671 e ss.

234 Com’è stato rilevato in dottrina, «il tenore della disposizione è tale da rendere indiscutibile che

si tratta di un elenco “chiuso”. Dunque, come opportunamente precisato dalla circolare del Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali in data 23 ottobre 2014, è escluso che gli statuti possano istituire altri organi rispetto a questi tre. Così F. PIZZETTI, La riforma degli enti territoriali. Città metropolitane, nuove province e unioni di comuni, cit., p. 20.

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sidente della provincia) un organo assembleare (consiglio comunale o provinciale) ed un esecutivo collegiale (giunta)»235.

Dunque, la figura del Sindaco metropolitano si staglia nel disegno istituzionale dell’ente, che contempla due organi assembleari privi di funzioni esecutive, che vengono interamente attribuite all’organo monocratico, che presiede entrambe le as- semblee, e che è titolare, peraltro, del potere di indirizzo politico amministrativo del- la Città metropolitana, condividendolo, sia pure in posizione direttiva, con il Consi- glio metropolitano236.

Appare opportuno sin d’ora rilevare che – al di là delle differenze organizzati- ve esistenti fra le diverse Città metropolitane, secondo quanto previsto dai singoli Statuti – il vero e proprio baricentro della novella è incardinato proprio nel ruolo del Sindaco metropolitano, al quale compete la rappresentanza dell’ente, la convocazio- ne e presidenza del Consiglio metropolitano e della Conferenza metropolitana, non- ché il compito di sovrintendere al funzionamento dei servizi e degli uffici e all’esecuzione degli atti, oltre che l’esercizio delle funzioni attribuitegli dallo Statu- to237.

In particolare, quasi tutte le “carte statutarie” – ci sia consentito chiamarle così – attribuiscono al Sindaco metropolitano la titolarità delle funzioni, di carattere residu- ale, non espressamente conferite dalla legge, dallo Statuto e dai regolamenti dell’ente di area vasta al Consiglio, alla Conferenza metropolitana ed ai dirigenti238.

235 Cfr. L.V

ANDELLI, Città metropolitane, in Enciclopedia del diritto, cit., p. 88.

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L’ordine con cui i tre organi sono elencati “rompe” il modello tradizionale descritto nel T.U.E.L. secondo una concezione “piramidale”, in cui viene prima il consiglio, seguito dalla giunta ed infine dal sindaco o dal presidente della Provincia (cfr. art. 36 commi 1 e 2 T.U.E.L.), come evidenziato da F.PIZZETTI, La riforma degli enti territoriali. Città metropolitane, nuove province e unioni di comuni, cit., p. 21, che mette in risalto la conseguenzialità di tale innovazione normativa rispetto all’«espansione del ruolo degli organi monocratici legata all’elezione diretta dei sindaci e dei presidenti di provincia che, pur risalendo al 1993 (e dunque prima del T.U.E.L.), è andata affermandosi sempre di più nel corso di questi vent’anni, fino a condurre alla situazione attuale che vede l’indiscussa centralità dei sindaci e dei presidenti di provincia rispetto agli altri organi».

237 Cfr. art. 1 comma 8 l. 56 del 2014. Il Sindaco metropolitano può, peraltro, nominare un

vicesindaco, scelto tra i consiglieri metropolitani, e delegare, nel rispetto del principio di collegialità, a singoli consiglieri metropolitani la trattazione di specifiche materie o il coordinamento di alcuni settori, così sopperendo alla mancata istituzione di una giunta metropolitana.

238 All’autonomia statutaria delle CM è consentita, dunque, la ripartizione delle attribuzioni tra gli

organi metropolitani, e soprattutto l’allocazione della competenza residuale, considerando l’assenza della Giunta, organo collegiale esecutivo a cui questa competenza è stata sempre attribuita sin dal 1990. Su questo punto, quasi tutti gli Statuti hanno optato per l’attribuzione di detta competenza al Sindaco, mentre soltanto la Città metropolitana di Bari (art. 16, comma 2, lett. u) ha puntato sulla

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capacità del Consiglio di esercitare efficacemente una considerevole quantità di attività. In alcuni casi, peraltro, l’elenco delle competenze attribuite al Consiglio metropolitano si limita a quanto previsto dal T.U.E.L. per il Consiglio comunale; sono inclusi, infatti, ambiti ulteriori, quali l’approvazione con delibera consiliare del Piano esecutivo di gestione (Roma, art. 18, comma 3, lett. b; Napoli, 26, comma 2, lett. t) o del regolamento degli uffici e dei servizi (Bari, art. 16, comma 2, lett. d); Napoli, art. 20, lett. i). Talora, poi, si interviene in materia di nomine per attribuire al Consiglio, per quanto concerne i rappresentanti della Città metropolitana in enti, aziende e istituzioni, oltre ai poteri di indirizzo, un parere obbligatorio (Roma, art. 26) e, per lo stesso Direttore generale, una previa deliberazione (Roma, art. 44, comma 3). Le funzioni consiliari, d’altronde, possono essere esercitate dal Sindaco in via d’urgenza, talora (Genova, art. 14; Bologna, art. 33; Torino, art. 22) limitatamente alle variazioni di bilancio, secondo il modello comunale; ma, in qualche caso, in via generale, ferma restando la necessità di ratifica del Consiglio, a pena di decadenza (Bari, art. 17; Firenze, art. 13; Reggio Calabria, art. 30). Un procedimento particolare è previsto dallo Statuto di Roma (art. 19), secondo il quale «al fine di garantire il tempestivo adempimento degli obblighi di legge o di evitare che l’omessa adozione di atti fondamentali di competenza del Consiglio possa recare grave pregiudizio alla regolarità e al buon andamento dell’azione amministrativa dell’ente», il Sindaco può richiedere che il Consiglio deliberi in via d’urgenza e, soltanto ove il Consiglio non provveda entro 20 giorni, il Sindaco può esercitare i poteri consiliari, sempre che non si tratti di Statuti, regolamenti, tributi, atti di indirizzo, di pianificazione e di programmazione generale, e fatta salva la necessità della ratifica. Rilevante, per la definizione delle dinamiche tra gli organi metropolitani, è poi il rapporto previsto in relazione alle linee programmatiche presentate – talora entro 60, talora entro 90 giorni dall’insediamento – dal Sindaco: a volte si prevede una vera e propria approvazione da parte del Consiglio (Roma, art. 18, comma 4), a volte una discussione, cui fa seguito l’eventuale espressione, da parte del Consiglio, di orientamenti, in seguito ai quali «il Sindaco adotta in via definitiva il programma del mandato» (Genova, art. 14, comma 4; Torino, art. 15, comma 4, che prevede che anche i cittadini, singoli o associati, possano far pervenire loro osservazioni e proposte). Altrove (Bari, art. 16, comma 3), si dispone invece, in termini generali, che il Consiglio «partecipa» alla definizione e all’adeguamento delle linee programmatiche, lasciando al regolamento e alla prassi l’individuazione delle modalità secondo le quali questa partecipazione dovrà realizzarsi. Con maggiore precisione, in base a quanto si prevede altrove (Bologna, art. 33, comma 3; Reggio Calabria, art. 27, comma 3), sulle linee programmatiche presentate dal Sindaco – relative, si precisa, «all’azione ed ai progetti da realizzare nel corso del mandato» – entro 30 giorni «ciascun consigliere può proporre modifiche, adeguamenti e integrazioni, mediante la presentazione di emendamenti al documento»; tenendo conto di queste proposte, nei successivi 20 giorni, il Sindaco «sottopone il documento al Consiglio metropolitano nella sua forma definitiva, per la sua approvazione». Lo stesso procedimento, del resto, si applica ad eventuali adeguamenti. Ad ogni buon conto, l’attuazione delle linee programmatiche è oggetto di verifica di metà mandato, sulla base di un documento in cui il Sindaco illustra al Consiglio «l’attività svolta, i risultati ottenuti, lo stato di realizzazione del programma di governo» (Bologna, art. 33, comma 5). Non si tratta di differenze di dettaglio: naturalmente, com’è stato osservato da L.VANDELLI, L’innovazione del governo locale alla prova: uno sguardo comparato agli Statuti delle Città metropolitane in Istituzioni del federalismo, Numero speciale Gli statuti delle Città metropolitane a confronto, 2014, p. 233, «sarà la prassi a definire gli equilibri e le dinamiche tra Consiglio e Sindaco; ma già da queste disposizioni si delinea chiaramente qualche tendenza ad evitare, sin dalle prime fasi, separatezze ed a creare un’interazione virtuosa tra il Sindaco metropolitano/Sindaco del capoluogo ed il Consiglio espresso dall’intero territorio». Da segnalare, inoltre, che qualche Statuto prevede un regime differenziato, distinguendo il funzionamento a regime del sistema, al realizzarsi dell’elezione diretta, rispetto alla disciplina che si applica nella fase transitoria; stabilendo che, in quest’ultima fase, nel sistema incentrato sulla identificazione del Sindaco metropolitano con il Sindaco del capoluogo, sia il Consiglio ad approvare le modifiche alle linee programmatiche (Napoli, art. 56, comma 4). In dottrina si è osservato che, da dette disposizioni statutarie emerga «una propensione a garantire al Consiglio un certo livello di autonomia rispetto al Sindaco e, del resto, a riprodurre in un contesto peraltro nuovo e atipico, consolidate dinamiche politico-partitiche che si sono affermate nell’esperienza» (cfr. in tal senso, L. VANDELLI, L’innovazione del governo locale alla prova: uno sguardo comparato agli Statuti delle Città metropolitane in Istituzioni del federalismo, cit., p. 234).

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A sua volta, la Conferenza metropolitana assume le vesti di organo deliberativo dello Statuto e delle relative modifiche239, essendo, titolare di poteri propositivi e consultivi la cui definizione è rimessa allo Statuto240. È presieduta, come si ricorda- va, dal Sindaco metropolitano, che ne convoca le riunioni, cui partecipano i sindaci dei Comuni appartenenti alla città metropolitana. Si tratta di un organo del tutto

239 Per quanto riguarda i quorum deliberativi sullo Statuto e le sue modifiche o sul parere sul

bilancio, si richiede la maggioranza doppiamente qualificata, dovendosi raggiungere un numero di voti che rappresenti almeno un terzo dei Comuni ricompresi nel territorio della Città metropolitana e raggiunga la metà più uno della popolazione complessivamente residente.

240 Le competenze deliberative attribuite alla Conferenza metropolitana sono particolarmente

limitate, per esplicita indicazione di legge (art. 1 commi 9 e 11, l. n. 56/2014). Essa può esercitare «poteri propositivi e consultivi», la cui estensione e la cui efficacia sono demandate, pressoché interamente, agli Statuti (art. 1 comma 8 l. n. 56/2014). Così, negli Statuti, pareri obbligatori della Conferenza sono previsti ovunque in relazione al Piano strategico (cfr. Roma, art. 21, comma 2; Bari, art. 8, comma 1; Bologna, art. 31, comma 5; Firenze, art. 12, comma 1; Genova, art. 9, comma 1; Milano, art. 28, comma 2; Reggio Calabria, art. 33, comma 6), diffusamente in relazione al Piano territoriale (cfr. Roma, Bologna, Firenze, Milano, Reggio Calabria, artt. cit.); ma, in qualche caso, l’area della funzione consultiva obbligatoria della Conferenza è estesa al Piano rifiuti, al Piano della mobilità, alle convenzioni con Comuni, agli atti di indirizzo, alle linee programmatiche presentate dal Sindaco, alla istituzione di nuovi enti (cfr. in particolare Roma, artt. 8, comma 7, 10, comma 2, 18, comma 2, 21, comma 2, 21, comma 9, 25, comma 3), oppure agli atti di indirizzo ed a contenuto generale in tema di mobilità e viabilità, sistemi coordinati di servizi pubblici, sistemi di informatizzazione e digitalizzazione (Napoli, art. 26, comma 2, lett. g, h, i). Ancora, in qualche caso la funzione consultiva della Conferenza è riferita all’adozione dello stemma e del gonfalone (Bari, 3, comma 3) o al conferimento o delega di funzioni ai Comuni o alle unioni (Roma, art. 29, comma 1; Bari, art. 25, comma 2; Firenze, art. 19, comma 1). Non sempre, poi, l’elenco delle materie in cui la Conferenza è chiamata ad emanare un parere obbligatorio si presenta chiuso, potendosi estendere, nello Statuto, ad altre materie in base ad una delibera adottata dal Consiglio a maggioranza assoluta (Napoli, art. 28). Il parere della Conferenza di regola non ha valore vincolante, sebbene tale carattere sia espressamente attribuito da qualche Statuto, in particolare, in ordine all’adozione del Piano strategico e del Piano territoriale generale (Torino, artt. 7, 8, comma 5, e 24, ove si richiede che il parere sia adottato con i voti che rappresentino almeno la maggioranza assoluta dei presenti), oppure alla costituzione delle zone omogenee (Roma, art. 28, comma 2, lett. c; Napoli, art. 30, comma 4, ove, peraltro, si prevede che, qualora non si raggiungano le maggioranza previste, entro un termine di 30 giorni, il Consiglio possa comunque procedere). Del resto, gli Statuti che tendono maggiormente ad accentuare il ruolo dell’organo composto da tutti i Sindaci pongono, in capo al Consiglio, un generale obbligo di adeguata motivazione in ogni caso in cui si discosti dai pareri della Conferenza (Roma, art. 21, comma 2; Torino, art. 24, comma 4; Napoli, art. 30, comma 4). La tendenza ad estendere ed elevare il ruolo della Conferenza, peraltro, si manifesta in altre forme: ad esempio, attribuendole una generale facoltà di presentare proposte al Consiglio (Milano, art. 25, comma 1, lett. p)), oppure estendendo la partecipazione alle sedute ad ulteriori soggetti, quali presidenti di Municipi o Quartieri (Roma, art. 21, comma 10; Firenze, art. 15, comma 2), o Sindaci di Comuni esterni con cui la Città metropolitana abbia stipulato accordi (Bari, art. 19, comma 10) o, ancora, stabilendo un obbligo di convocazione, su richiesta di una certa quota dei Sindaci membri (Bari, art. 19, comma 4; Torino, art. 24, comma 5). A questi ultimi, secondo qualche Statuto, il Sindaco può conferire specifici incarichi, per l’elaborazione di proposte o progetti di interesse metropolitano (Roma, art. 23, comma 9). Al fine di agevolare il funzionamento della Conferenza ed il conseguimento del quorum previsto, in qualche caso, poi, si prevede la possibilità che i Sindaci possano partecipare tramite propri delegati (Bari, art. 19.9), o quanto meno tramite il Vicesindaco (Roma, art. 22, comma 9).

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nuovo, composto ope legis da tutti i Sindaci del territorio metropolitano, nonché dal sindaco metropolitano.

Per quanto attiene al Consiglio metropolitano, esso assume contemporaneamente le vesti di organo di indirizzo e di controllo: per la vaghezza dell’attribuzione, ciò prima facie parrebbe in deroga al principio che vuole una necessaria distinzione fra controllore (garante) e controllato (decisore).

Esso ha il compito, tra gli altri, di approvare regolamenti, piani e programmi ed ogni altro atto ad esso sottoposto dal Sindaco metropolitano, nonché di adottare gli schemi di bilancio da sottoporre al parere della Conferenza metropolitana ed eserci- tare le altre funzioni attribuite dallo statuto241.

241 Quanto all’organizzazione e al funzionamento del Consiglio metropolitano, se paiono

particolarmente rilevanti le peculiarità che caratterizzano il Consiglio (numero ristretto di consiglieri; funzione di presidenza assegnata al Sindaco), emerge, in qualche Statuto, una tendenza a riprodurre gli assetti tipici dei Consigli dei Comuni di maggiori dimensioni. Così, sono previsti gruppi, conferenza dei capigruppo, commissioni, vicepresidenti del Consiglio, ufficio di presidenza (Roma, art. 17; Bari, art. 15); talora si prevede l’obbligo di convocazione quando lo richieda un certo numero di consiglieri (Bari, 15, comma 9; Genova, 18, comma 4), si dispone l’incompatibilità tra le cariche consiliari (vicepresidente del Consiglio, capogruppo, presidente di commissione) e l’incarico di consigliere delegato (Roma, art. 17; Reggio Calabria, art. 32), o si attribuisce alle minoranze la presidenza delle commissioni con funzioni di controllo (Genova, art. 16, comma 6). In relazione ai consiglieri delegati, mentre talora ci si limita a prevedere un numero massimo (Roma, art. 23, comma 5; Genova, art. 15, comma 4), altrove si tende a definirne il ruolo, precisando che – a differenza di quanto avviene per gli assessori comunali – non si tratta di incarichi meramente politici, ma la delega ad essi conferita dal Sindaco, «per materia, per territorio o per singoli progetti o questioni», può comprendere l’adozione di veri e propri provvedimenti a rilevanza esterna (Bologna, art. 34, comma 4; cfr. Bari, art. 21, comma 8; Torino, art. 16, comma 4; Reggio Calabria, art. 32, comma 3). Particolare attenzione, d’altronde, gli Statuti dedicano alla individuazione di momenti di collegialità, nell’attività dei consiglieri; prevedendo la nomina di un «coordinamento dei delegati», che può essere riunito «in forma collegiale» (Roma, art. 15, comma 2) o come «organismo di coordinamento» (Torino, art. 16, comma 5), oppure semplici riunioni periodiche «al fine di definire le proposte da presentare al Consiglio metropolitano per l’attuazione dei programmi e per definire le priorità da perseguire» (Milano, art. 22, comma 3; cfr. Genova, art. 15, comma 6 e Torino, art. 16, comma 5), o per «condividere e coordinare le attività svolte» (Reggio Calabria, art. 32, comma 4) o ancora gruppi di lavoro (Bari, art. 22, comma 2). In altri casi, poi, si prevede una «conferenza dei consiglieri delegati», cui si demanda una funzione consultiva, con pareri obbligatori, ad esempio, sugli schemi di bilancio (Napoli, art. 26, comma 2, lett. d). La responsabilità dei consiglieri delegati sembra essere, in base alla legge, rigorosamente individuale (cfr. Genova, 15, comma 4); ma, non senza qualche ambiguità, in qualche caso alla responsabilità individuale per le iniziative assunte nell’ambito della delega, se ne affianca una collegiale per «gli atti loro sottoposti dal Sindaco» (Roma, art. 24, comma 2). In qualche caso (come Torino, art. 16, comma 7), si specificano i poteri del Sindaco stesso, in relazione alle funzioni delegate, affermando che «il Sindaco deve vigilare sull’esercizio concreto della delega, impartendo direttive, avocando a sé specifici atti, sostituendosi al delegato in caso di inerzia, revocando la delega stessa, con esplicita motivazione».

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Ha una composizione numerica variabile, a seconda della popolazione residen- te242.

La disciplina del ruolo, della struttura amministrativa, delle attribuzioni di tali or- gani è contenuta in poche, scarne disposizioni normative.

Com’è stato evidenziato in dottrina, si è voluto adottare un’impostazione rove- sciata rispetto al tradizionale, omologante modello che ha dominato incontrastato «dalla legge Rattazzi in poi e ha caratterizzato allo stesso modo sia i comuni che le province. Per questo anche quando, con la l. n. 142/1990, si è previsto il potere sta- tutario per gli enti e le loro associazioni, si è trattato di una fonte a competenza limi- tata e fortemente circoscritta. Per questo, il T.U.E.L. ha trovato assolutamente ovvio che il richiamo allo statuto fosse collocato nell’ambito dell’art. 50, comma 3, dopo le leggi. […] La nuova legge si incentra sulla differenziazione e tutto il suo impianto è guidato da questo criterio»243.

Si spiega, dunque, in tal modo, non solo la scelta di prevedere una disciplina “minima” dei rapporti tra gli organi della CM e delle loro attribuzioni, in netto con- trasto con la minuziosità con cui il T.U.E.L. definisce ed organizza le funzioni degli organi degli enti locali ed il loro modo di esercizio, ma anche la valorizzazione dell’atto statutario, a cui sono attribuiti contenuti nuovi rispetto al paradigma deline- ato nel D.lgs. 18.8.2000, n. 267: com’è stato evidenziato di recente in dottrina, lo Statuto «non soltanto è concepito quale ‘carta’ dei princìpi e dei fini istituzionali e fonte delle regole fondamentali per l’organizzazione e il funzionamento della città, ma costituisce l’atto deputato a sancire scelte basilari per l’ente tra quelle rese possi-

242 In particolare: 24 componenti, per una popolazione sopra 3.000.000 abitanti; 18 componenti,

per una popolazione tra 800.001 e 3.000.000 abitanti; 14 componenti, per una popolazione fino a 800.00 abitanti.

243 In tal senso F.P

IZZETTI, La riforma degli enti territoriali. Città metropolitane, nuove province e unioni di comuni, cit., p. 25. La l. Delrio viene definita una “grande riforma istituzionale” dal predetto A. in altri lavori: Cfr. in tal senso, ID. Una grande riforma istituzionale: la legge n. 56 del 2014 (legge Delrio), in Astrid Rassegna, 9, 2014; ID., Città metropolitane e nuove Province. La riforma e la sua attuazione, in Astrid Rassegna, 13, 2014; ID., La legge Delrio: una grande riforma in un cantiere aperto. Il diverso ruolo e l’opposto destino delle Città metropolitane e delle Province, in Rivista AIC n. 3/2015; Ma si v. anche L. VANDELLI, Città metropolitane, in Enciclopedia del diritto, Annali IX, cit., p. 88.

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bili dalla legge; una sorta di ‘carta di identità, dunque, che suggella la fisionomia del nuovo ente e ne accompagna l’effettivo avvio»244.

In ogni caso, nondimeno, il legislatore, perseguendo l’obiettivo di dettare «dispo- sizioni in materia di città metropolitane, province, unioni e fusioni di comuni al fine di adeguare il loro ordinamento ai princìpi di sussidiarietà, differenziazione e ade- guatezza»245, qualora le Città metropolitane non vogliano o non possano modellare la propria organizzazione istituzionale in adesione ai princìpi di differenziazione ed adeguatezza – per gli ampi aspetti concernenti le loro attività, organizzazione, fun- zioni, su cui la legge Delrio nulla dispone o non dispone chiaramente – prevede un espresso rinvio all’applicazione delle disposizioni del T.U.E.L. in materia di Comuni “in quanto compatibili” (c. 50)246.

Sembra cogliersi, in tale disegno riformatore, la messa in atto del “meccanismo dinamico”247 del principio di sussidiarietà che opera non tanto – come ha sancito l’ormai pacifica giurisprudenza della Corte costituzionale – «come ratio ispiratrice e fondamento di un ordine di attribuzioni stabilite e predeterminate, ma come fattore di flessibilità di quell’ordine in vista del soddisfacimento di esigenze unitarie»248, di tal che l’intento di “differenziare” la disciplina del sistema degli enti di area vasta si

244 In tal senso M. B

ROCCA, Coesione territoriale e Città metropolitane: le sollecitazioni