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3 – Gli interventi legislativi successivi alla riforma del 1990: dalla l 2 novem bre 1993 n 436 al Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti Local

LO SCENARIO NORMATIVO ITALIANO

II. 3 – Gli interventi legislativi successivi alla riforma del 1990: dalla l 2 novem bre 1993 n 436 al Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti Local

(D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267).

Preso atto dei ritardi, delle indecisioni e delle resistenze conseguiti al farraginoso iter di costituzione delle Città metropolitane, il Legislatore cercò di ovviare alle e- merse criticità con l’approvazione della Legge 2 novembre 1993, n. 436, che rese facoltativa l’istituzione di tali enti, rendendo solo eventuale l’intervento sostitutivo da parte del Governo129.

Nella specie, l’intervento normativo finì per modificare l’impostazione originaria senza, peraltro, sostituirne esplicitamente una nuova e senza condurre ai risultati at- tesi, ma accentuando, semmai, i problemi esistenti.

Ulteriore evento sintomatico delle trasformazioni che innovarono profondamente il sistema degli enti locali negli anni ’90 del secolo scorso fu l’approvazione dell’ordinamento della finanza e della contabilità degli enti locali con D. lgs. 25 feb- braio 1995 n. 77, che, tra le altre cose, abrogò le norme ancora vigenti del regola- mento del 1911 di esecuzione della legge comunale e provinciale.

Nel nuovo quadro dei rapporti Regioni-enti locali, certo inciso anche dall’influenza sul nostro ordinamento del diritto eurounitario – che da poco tempo,

127 Così M. C

AMMELLI, Appunti per un governo metropolitano, in Regione e governo locale, 1990, 22.

128

In tal senso, cfr. L.VANDELLI, Ordinamento delle autonomie locali. Commento alla legge 8 giugno 1990, n. 142, Rimini, 1990, p. 110.

129 Invero, mentre la Legge 142/90 configurava un obbligo, in capo alla Regione, relativo alla

definizione dei confini metropolitani, la Legge 436/93 tramutava l’obbligo in una meno vincolante facoltà. La disposizione «procede» veniva sostituita con «può procedere». Cfr. E. CASETTA, L’istituzione delle aree metropolitane, in Diritto amministrativo, 1994, p. 4.

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tra le altre cose, aveva introdotto nel testo del trattato di Maastricht il principio di sussidiarietà – si è inserita la Legge 15 marzo 1997, n. 59, recante “Delega al Go- verno per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed enti locali per la ri- forma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa”. Se l’intenzione del legislatore del 1990 era stata quella di porre in essere un in- sieme autonomistico “policentrico” in grado di valorizzare contemporaneamente tut- ti gli enti territoriali, prevedendo un modello di cooperazione-partecipazione dotato di una certa flessibilità ed ispirato ad un principio di leale collaborazione tra i vari soggetti istituzionali130, con l’emanazione della legge c.d. Bassanini I, n. 59 del 1997 si avviò un processo di decentramento di compiti e funzioni amministrative dallo Stato, alle Regioni e alle autonomie locali, intendendo come tali, tra l’altro, non solo le Province ed i Comuni ma anche “gli altri enti locali” (art. 1, comma 1). Pertanto, in linea con le previsioni contenute nella Legge n. 142/90, tese a valo- rizzare l’autonomia delle diverse realtà territoriali mediante una ridistribuzione delle funzioni che tenesse conto delle caratteristiche peculiari di tutti gli enti coinvolti, la legge in esame introdusse una serie di princìpi e criteri direttivi che, configurando un diverso modello nei rapporti tra le istituzioni territoriali, da un lato attribuì particola- re rilievo al livello di governo più vicino ai cittadini e, dall’altro introdusse una valu- tazione circa l’idoneità ad esercitare le funzioni conferite131.

Quanto alle modalità di attuazione del conferimento (termine ambiguo, nel cui alveo la legge faceva rientrare sia il “trasferimento”, che la “delega” e l’“attribuzione”) delle funzioni e competenze amministrative, la l. 59 del 1997 pre- vedeva che esso potesse avvenire mediante l’emanazione di appositi decreti legisla- tivi. S’intende che quanto all’intervento delle Regioni, avviene previa adozione delle leggi statali di puntuale individuazione delle funzioni fondamentali attribuite ad ogni livello di governo locale (Comuni, Province e, comprese fra gli “altri enti locali”, anche le Città metropolitane), purché le funzioni stesse siano riconducibili alle mate- rie indicate nell’art. 117, sempre che non richiedano l’uniforme esercizio a livello regionale.

130

In tal senso cfr. E.MAGGIORA, Il diritto degli Enti locali, Milano, 2002, p. 68.

131 Cfr. G.M

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Nell’ambito di una vasta riorganizzazione del sistema amministrativo, la c.d. leg- ge Bassanini aveva, tra l’altro, introdotto nel nostro ordinamento giuridico i princìpi di differenziazione, adeguatezza e sussidiarietà, quali fondamentali criteri cui deb- bono attenersi il legislatore statale e quello regionale al momento della distribuzione delle competenze amministrative.

Si diede così luogo ad un significativo processo di riforma delle competenze che portò all’adozione di leggi e decreti legislativi con i quali lo Stato distribuiva com- petenze amministrative verso il basso, ossia a Comuni, Province e Regioni.

Ci si riferisce, ovviamente, alla legislazione successiva e connessa alla legge n. 59 del 1997, ossia alla legge n. 127/1997, alla legge n. 181/1998 al d.lgs. n. 112/1998, ed al d.lgs. n. 96/1999.

Contestualmente, alcune Regioni adottarono leggi proprie con le quali conferiro- no competenze ai Comuni ed alle Province nelle materie di loro competenza legisla- tiva.

Questo processo venne definito “federalismo a Costituzione invariata”132 e certo ebbe un ruolo significativo negli sviluppi della disciplina concernente l’istituzione delle Città metropolitane, soprattutto sotto il precipuo profilo del dibattito politico e dottrinale che stimolò133.

132 Sul “federalismo amministrativo”, o “federalismo a Costituzione invariata” v., ex pluribus, G.

SCIULLO, Federalismo amministrativo, 2 dicembre 2004, in www.federalismi.it, n. 23/2004, p. 1. Ma si v. anche G. VESPERINI, Note a margine di una recente ricerca sulla semplificazione amministrativa, in Giorn. dir. amm., 2010, p. 205 e P. VIPIANA, Osservazioni sul cosiddetto federalismo amministrativo nella sua evoluzione e nei suoi sviluppi, in Istituzioni del federalismo n. 2/2011, p. 399 e ss.

133 Non mancarono le critiche alle riforme Bassanini, che si svilupparono nel corso degli anni, di

pari passo con l’incessante produzione di interventi normativi statali sugli enti locali che non pochi problemi di governance degli stessi poneva e pone, a tutt’oggi. Secondo A.STERPA, Il pendolo e la livella. Il federalismo all’italiana e le riforme, cit., p. 126, oggi, «a venti anni di distanza, possiamo ben dire che gli svantaggi e le storture di quell’impostazione si sono ampiamente manifestati, tant’è che molti degli interventi normativi statali sugli enti locali degli ultimi hanno hanno dovuto affrontare la “foresta” costruita negli anni novanta al fine di razionalizzzare la governance italiana. Una riforma più ideologica che funzionale, basata sull’idea corretta che “vicino è meglio” (ossia sulla condivisibile applicazione del principio di sussidiarietà) ma che ha completamente dimenticato di preparare il sistema all’arrivo delle competenze. La “riforma Bassanini” è stata, per certi versi, se vogliamo usare una metafora, come rovesciare un fiume d’acqua su di un tappeto di bicchierini di carta. Gli enti locali si sono trovati investiti di compiti che, considerata la loro struttura demografica e amministrativa, non riuscivano semplicemente a svolgere. Senza dimenticare che alla difficoltà amministrativa è subentrata successivamente quella finanziaria che […] ha costretto il sistema ad un crescente risparmio della spesa pubblica anche locale nell’ambito dei vincoli europei. […] Ma soprattutto, questo il principale errore di valutazione delle “riforme Bassanini”, il legislatore nazionale (e quelli regionali) spesso non hanno conferito ad un ente locale una fnzione nella sua

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La materia venne ulteriormente modificata con la Legge 3 agosto 1999, n. 265, il cui art. 16 sostituì, per intero, il capo relativo alle Città metropolitane134.

È appena il caso di evidenziare come, dai lavori che condussero all’approvazione del testo definitivo, emergesse uno sforzo di bilanciamento di posizioni tra loro par- ticolarmente distanti.

Il testo della legge – confluito, quasi interamente, nel D.lgs. 18 agosto del 2000, n. 267, recante “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali” – stabili- sce che la Regione avrebbe dovuto procedere alla delimitazione dell’area metropoli- tana «entro centottanta giorni» dalla presentazione di una proposta conforme degli enti locali interessati in assenza della quale, «il Governo, sentita la Conferenza uni- ficata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, [avrebbe dovuto] invita[re] la Regione a provvedere entro un ulteriore termine, scaduto il qua- le [avrebbe dovuto] procede[re] alla delimitazione dell’area metropolitana».

Tale passaggio appare di non poco momento, in quanto pone al centro del percor- so il consenso degli enti locali territoriali, di talché, in sua assenza, il Governo non avrebbe potuto attivarsi esercitando il potere sostitutivo135, cui era invece tenuto per l’ipotesi in cui gli enti locali fossero addivenuti alla proposta e la stessa non fosse arrivata a compimento a causa dell’“inerzia” regionale136.

interezza (ossia avvio e conclusione di un procedimento amministrativo e adozione del provvedimento) ma “pezzi di funzione”, vere e proprie parti come intese, accordi, pareri, nullaosta, piani, programmi e così via. Uno spacchettamento delle funzioni già peraltro causato dall’esistenza di enti e organismi di diritto pubblico operativi in modo “concorrenziale” con gli altri enti. Quando non è successo questo, le “riforme Bassanini” hanno comunque commesso un altro errore, hanno cioè duplicato le competenze attraverso il meccanismo della dimensione dell’interesse della funzione (strade di interesse comunale di interesse provinciale, di interesse regionale, di interesse nazionale…). Non si è provveduto quindi a stabilire con certezza “chi fa cosa” ma si è pensato di far fare un po' a molti: così esistono aspetti della cultura e dell’ambiente (per fare qualche esempio) per i quali occorre definire se si tratta di attività di “interesse comunale”, di “interesse provinciale”, di “interesse regionale” o di “interesse nazionale” prima di poter individuare il livello di governo competente».

134

Cfr. L. VANDELLI, Ordinamento delle autonomie locali. 1990-2000. Dieci anni di riforme. Commento alla legge 8 giugno 1990, n. 142, Santarcangelo di Romagna, 2000, p. 386 e ss.

135 Sul potere sostitutivo del Governo, cfr. L.V

ANDELLI, Ordinamento delle autonomie locali. 1990-2000. Dieci anni di riforme. Commento alla legge 8 giugno 1990, n. 142, cit., p. 387 e G. PIPERATA, Art. 22. Aree metropolitane, in M.BERTOLISSI (a cura di), L’ordinamento degli enti locali. Commentario al testo unico sull’ordinamento delle autonomie locali del 2000 alla luce delle modifiche costituzionali del 2001, Bologna, 2002, p. 157.

136 Forse la novità di maggior rilievo introdotta con la Legge n. 265/1999, è consistita nell’aver

spostato il momento decisionale del piano istituzionale. Non si individuarono più nella Regione e nello Stato gli attori principali della delimitazione dell’area metropolitana, bensì tale ruolo fu

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Tra le novità più significative della riforma dell’ordinamento degli enti locali vi è però senz’altro la previsione del carattere non più facoltativo, bensì obbligatorio del- la perimetrazione dell’area metropolitana da parte delle Regioni nelle quali insistono i Comuni capoluogo già individuati dalla l. 142 del 1990137.

Con l’approvazione del D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 si è giunti infine ad una svolta nel riconoscimento delle Città metropolitane come “enti locali”, al pari di Comuni, Province, Comunità montane, Comunità isolane e Unioni di Comuni. L’elevazione al chiaro rango di ente locale delle Città metropolitane è stata salu- tata con favore da parte degli interpreti, alcuni dei quali ne hanno evidenziato l’importanza assegnata dal legislatore statale, e l’hanno considerata quale buon au- spicio per una loro celere costituzione138.

Per contro, è rimasto pressoché immutato, nel nuovo impianto normativo, il mo- dello istituzionale di governo metropolitano introdotto all’inizio degli anni ‘90, es- sendo interamente rimessi alle determinazioni statutarie sia le funzioni che gli organi della Città metropolitana.

È stato, altresì, eliminato il riferimento a dinamiche di scorporo dei Comuni di grandi dimensioni in realtà più piccole, rimanendo comunque la facoltà delle ammi- nistrazioni regionali di procedere alla revisione delle circoscrizioni territoriali139. Alcuna novità degna di nota si è registrata, poi, in relazione all’aspetto territoria- le: il T.U.E.L., invero, si limitava a confermare le medesime città individuate nella legge 142/90, in alternativa all’adozione di criteri elastici140.

attribuito agli enti locali interessati, ai quali in precedenza spettava una mera funzione consultiva esercitabile attraverso un parere obbligatorio.

137 Cfr. A. B

RANCASI, P. CARETTI, Il sistema dell’autonomia locale tra esigenze di riforma e spinte conservatrici: il caso della Città metropolitana, cit., p. 551.

138

In tali termini, F.SPALLA, R.LANZA, op. cit., p.114.

139 L’articolo 25, comma 1, del T.U. enti locali statuisce che «istituita la Città metropolitana, la

Regione, previa intesa con gli enti locali interessati, può procedere alla revisione delle circoscrizioni territoriali dei Comuni compresi nell’area metropolitana».

140

Deve annotarsi, ad ogni buon conto, che se, da un lato, è stato riconfermato il criterio della rigidità per l’individuazione delle Città metropolitane, dall’altro sono stati intenzionalmente prescelti criteri elastici per l’identificazione dei Comuni aggregabili all’area metropolitana: quelli «i cui insediamenti abbiano» con le città elencate «rapporti di stretta integrazione territoriale e in ordine alle attività economiche, ai servizi essenziali, alla vita sociale, nonché alle relazioni culturali e alle caratteristiche territoriali».

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Le novità di maggior rilievo possono cogliersi, invece, nell’iter tracciato dal Le- gislatore del 2000 per giungere alla creazione del governo metropolitano, atteso il ruolo di primo piano assunto da enti in precedenza lasciati ai margini.

Invero, si è attribuito agli enti locali interessati il compito di “proporre” alla Re- gione la delimitazione dell’area, nonché quello di definire un progetto di statuto del- la Città metropolitana da sottoporre all’approvazione di una delle due Camere, con la precisazione che la proposta di istituzione della Città metropolitana, prima di giungere in Parlamento, sarebbe stata subordinata al referendum a cura di ciascun Comune partecipante.

Solo in caso di esito positivo della consultazione, la proposta avrebbe potuto es- sere trasmessa ad una delle Camere per essere approvata con legge.

Novità strettamente collegata alla su divisata previsione normativa è rappresenta- ta dalla espressa possibilità per le Regioni, in attesa dell’istituzione della Città me- tropolitana – ma, in realtà, come soluzione alternativa ad essa141 – di definire ambiti sovracomunali ottimali per l’esercizio coordinato di alcune funzioni degli enti locali «attraverso forme associative e di cooperazione» in una serie di materie che, grosso modo, ricalcano quelle che legge n. 142/1990 affidava alla competenza della Città metropolitana142.

In meno di dieci anni si è registrato, pertanto, un evidente mutamento di indiriz- zo, prima ancora che normativo, relativo al governo metropolitano.

A proposito dell’inversione di tendenza registratasi rispetto al passato, qualche Autore ha rimarcato come tale mutamento sia espressione di una crescente diminu- zione dell’ingerenza dei livelli superiori di governo, in nome di quel principio di sussidiarietà che sarebbe stato costituzionalizzato, da lì a breve, con la riforma del 2001143.

141 Com’è stato evidenziato, gli ambiti sovracomunali prescindono sia dall’individuazione

dell’area metropolitana che dall’istituzione del nuovo ente. Cfr. in tal senso, F. MIDIRI, Art. 24. Esercizio coordinato di funzioni, in M. BERTOLISSI (a cura di), L’ordinamento degli enti locali. Commentario al testo unico sull’ordinamento delle autonomie locali del 2000 alla luce delle modifiche costituzionali del 2001, Bologna, 2002, p. 164.

142 V. Art. 24 del TUEL. Cfr. A. B

RANCASI, P.CARETTI, Il sistema dell’autonomia locale tra esigenze di riforma e spinte conservatrici: il caso della Città metropolitana, cit., p. 551.

143 F.S

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In buona sostanza, sulla scorta del T.U.E.L, le comunità locali avrebbero potuto autonomamente decidere di governare le aree metropolitane attraverso un’istituzione come la Città metropolitana, oppure di implementare le policies d’area vasta me- diante altri strumenti.

Nondimeno, neppure le novità di disciplina normativa introdotte con il D. lgs. n. 267 del 2000, sono riuscite a superare, alla prova dei fatti, le tensioni e le difficoltà che hanno impedito la concreta istituzione nel nostro ordinamento delle Città metro- politane.

II.4 – Il riconoscimento costituzionale delle Città metropolitane e la legge La