• Non ci sono risultati.

1 – Gli enti territoriali di “area vasta” nel disegno dei Costituenti.

LO SCENARIO NORMATIVO ITALIANO

II. 1 – Gli enti territoriali di “area vasta” nel disegno dei Costituenti.

Il concetto di “area vasta” evoca l’idea delle funzioni allocate, ovvero allocabili, ad un livello intermedio tra Regioni e Comuni.

Com’è stato evidenziato, tale livello è costituito dalla Città metropolitana per le conurbazioni e dalla Provincia per gli altri enti. Gli enti territoriali di “area vasta”, sono, dunque, solo due e dotati di un’autonomia strettamente legata al territorio81. A siffatta conclusione si è pervenuto, in dottrina, muovendo dalla considerazione che il governo del territorio sia uno di quei settori in cui sussiste una sorta di tensio- ne tra “fatto” giuridico-istituzionale e “fatto” socio-economico: dato il particolare carattere interdisciplinare che connota questa materia, ogni intervento che abbia ad oggetto quello che potremmo definire il sistema di governo sul territorio deve neces- sariamente prendere in considerazione l’articolazione dello Stato e il sistema delle autonomie, profili giuridici e assetti politico-istituzionali, nonché dati socio- economici e deve «tenere insieme fatti socio-economici e fatti istituzionali, per la banale considerazione che i territori e i fatti socio-economici vanno governati con forme giuridiche e che il governo del territorio è espressione al tempo stesso di i- stanze di democrazia partecipativa (di autogoverno o eterogoverno) e di esigenze funzionali di amministrazione, per cui sul territorio avremo enti di democrazia ed enti di amministrazione, talvolta in un’unica figura»82.

I Costituenti, nel dibattito sulle autonomie locali, pur non avendo specificamente toccato la tematica degli enti, ovvero, recte, delle funzioni di “area vasta”, sembra si fossero avveduti della necessità di fare della Provincia una vera e propria istanza di autogoverno, o, come disse l’On.le Targetti, «un’ente autarchico dotato di autogo- verno»83.

81 Cfr. L.V

ANDELLI, Città metropolitane, in Enciclopedia del diritto, Annali IX, Milano, 2016, p. 85, il quale rileva che «la natura di ente territoriale differenzia così le città metropolitane e le province da altre categorie di enti, come le unioni, che la stessa legge definisce semplicemente “enti locali” (comma 4); mentre il riferimento a dimensioni ampie le distingue nettamente dal livello di prossimità costituito dal comune.

82 Cfr. F.P

ATRONI GRIFFI, La città metropolitana nel disegno generale del riordino del territorio, in www.federalismi.it, n. 3/2014, p. 1.

83

Cfr. AA. VV., La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, Roma, 1976, p. 2415.

47

Nondimeno, alla conclusione di valorizzare in chiave democratica e partecipativa tali enti territoriali non fece seguito la determinazione di delinearne in sede costitu- zionale le funzioni, rimesse alle scelte discrezionali del Legislatore84.

Né può sottacersi il rilievo in forza del quale già i lavori preparatori dell’Assemblea Costituente avessero palesato prese di posizione drastiche nei ri- guardi di un ente, come la Provincia, che veniva considerato come qualcosa di artifi- ciale, di inutile, di non rispondente alle istanze della collettività stanziata sul territo- rio che ne delinea i confini.

Com’è noto, la relazione presentata dalla Commissione Forti all'Assemblea Co- stituente conteneva, tra le altre, il resoconto della sottocommissione per lo studio delle autonomie locali, nata con uno specifico e dichiarato scopo d’inchiesta: con l’intento, cioè, di raccogliere pareri e suggerimenti circa i vari aspetti del problema degli enti locali.

In particolare, come è stato evidenziato, le conclusioni tratte dalla relazione erano favorevoli «alla scomparsa della provincia in quanto gli interessi in essa localizzati potevano essere tutelati dalla regione ed eventualmente da consorzi di comuni; con- tro il mantenimento delle province veniva richiamata anche la grande differenza di risorse economiche, per cui dati servizi potevano essere convenientemente espletati solo da talune province. La relazione affermava inoltre che le province erano entità poco definite e piuttosto variabili, e ciò a causa del diverso sviluppo delle industrie, dei commerci e delle vie di comunicazione»85.

In seno al Comitato, composto dagli On.li Ambrosini, Bordon, Castiglia, Codacci Pisanelli, Einaudi, Grieco, Lami Starnuti, Lussu, Uberti e Zuccarini, istituito all'in- terno della seconda sottocommissione, che aveva, com'è noto, tra l'altro anche il compito di occuparsi delle autonomie locali, si pervenne ben presto alla decisione di

84 L’intenzione del Costituente di imporre, ex art. 128 Cost., ai Comuni ed alle Province una

disciplina uniforme, che ponesse tutti gli enti locali sullo stesso piano, da dettarsi con legge ordinaria, com’è noto, nonostante fosse stata ribadita dalla IX disposizione transitoria e finale, che aveva previsto un termine di tre anni per l’adeguamento delle leggi dello Stato elle esigenze delle autonomie locali, trovò concretizzazione normativa a distanza di più di quarant’anni, con la legge n. 142 del 1990, sulla quale ci si soffermerà infra, nel paragrafo II.2.

85

Cfr. F.FABRIZZI, La provincia: storia istituzionale dell’ente più discusso. Dalla riforma Crispi all’Assemblea Costituente, in www.federalismi.it n. 13/2008, p. 18.

48

abolire l’ente provincia come ente autarchico e di mantenerlo come “circoscrizione amministrativa di decentramento regionale”86.

Com'è stato rilevato, «su proposta dell’on. Uberti, il Comitato decise poi di ap- provare la costituzione, all’interno di ogni circoscrizione provinciale, di una Giunta, senza però riuscire a trovare un accordo sulle modalità per la sua composizione. Se taluno infatti proponeva che i componenti la Giunta venissero delegati dai Comuni, altri sostenevano invece la necessità che essi fossero espressione delle Assemblee regionali. All’ attenzione della sottocommissione giungeva dunque un art. 1 così formulato “Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni e Comuni”»87.

Per approvare tale articolo, nondimeno, occorreva raggiungere un accordo sulla conservazione o meno della Provincia e sulla estensione a tale ente della garanzia costituzionale.

Ed il dibattito in merito all’inserimento delle Province tra Regioni e Comuni qua- li articolazioni territoriali della Repubblica ovvero dello Stato, fu molto acceso, atte- so che nella seduta del 14 novembre 1946, numerosi furono gli interventi a favore o contro il mantenimento della provincia come ente autarchico.

Il 27 giugno 1947, la questione giunse infine all’esame dell’Assemblea Costitu- ente, chiamata a deliberare sull’art. 107 del progetto, successivamente divenuto l’art. 114 della Carta costituzionale.

Gli interventi furono numerosi e articolati e le proposte emendative all’articolo presentato furono diverse, ma quel che fu subito evidente fu, com'è stato evidenzia- to, che, «per qualche ragione, l’atteggiamento generale nei confronti dell’ente pro- vincia era mutato. Non mancò naturalmente la voce di Targetti che, non senza pole- mica, ricordava che “nella elaborazione del progetto di Costituzione da parte della Commissione dei Settantacinque, alla povera Provincia fu celebrato un funerale, un funerale di terza classe” e aggiungeva che a seguire il mesto corteo si era trovato da

86 Così disponeva il comma 2 dell’art. 107 del Progetto di Costituzione presentato dalla

Commissione dei 75 alla Presidenza dell’Assemblea Costituente il 31 gennaio 1947. L’art. 107 del Progetto di Costituzione è normalmente indicato come l’antecedente dell’art. 114 della Costituzione. Cfr. S.BARTOLE, Sub. Art. 114 Costituzione, in Commentario della Costituzione art. 114-120, Le Regioni, le Province, i Comuni, Tomo I, a cura di S. BARTOLE, G. FALCON, L. VANDELLI, U. ALLEGRETTI, A.PUBUSA, Bologna, 1985, pp. 1 e ss.

87

Cfr. F.FABRIZZI, La provincia: storia istituzionale dell’ente più discusso. Dalla riforma Crispi all’Assemblea Costituente, cit., p. 21.

49

solo con i colleghi Fuschini e Bozzi. Ma, come avvertiva lo stesso Targetti, il “cli- ma” nei confronti della provincia era ora drasticamente cambiato e “non si trova[va] più nessuno che sosten[esse], come una volta si ripeteva da tante parti, che la nascita della Regione deve [n.d.r.: dovesse] portare come conseguenza questa specie di strangolamento della Provincia»88.

Il presidente Ruini, manifestando la sua opinione e quella della Commissione sul- le proposte di modifica e riepilogando lo stato della discussione, così si espresse: «La Commissione dei Settantacinque, pur mantenendola per altri aspetti in vita, non aveva conservato alla Provincia la natura di ente autonomo. Ma poi si è avuto, in se- no all’Assemblea, un diverso orientamento. [...]. Si sono addotte ragione storiche, si è ricordata l’esistenza tradizionale, qualcuno ha detto millenaria, della Provincia; mi limiterò a ricordare che un nostro maestro, Orlando, ha scritto, in un suo magnifico studio, che la Provincia è storicamente propria della parte d’Italia ove sono esistiti i Comuni, ed appunto attorno al maggiore di essi si è raggruppata la Provincia, mentre in altre parti, specialmente del Mezzogiorno, dove non ha allignato il Comune, non è esistita storicamente neppure la Provincia; ma – ha aggiunto Orlando – sebbene isti- tuita dovunque in Italia soltanto dal 1860, dopo l’unità nazionale, sebbene dunque non abbia, in certi luoghi, che ottanta anni di età, la Provincia si è ormai fondata, consolidata, ed ha acquistato una sua, pur recente, tradizione storica. È un vivente organismo con attribuzioni un po’ magre che si riducono oltre che ad una categoria di strade, all’assistenza dei pazzi e dei trovatelli, ed a qualche materia aggiuntiva, sempre prevalentemente assistenziale. Però siffatti organismi hanno uffici solidi e struttura tale da poter adempiere anche funzioni maggiori. Ecco le ragioni pratiche, più ancora che storiche, invocate per la permanenza dell’ente Provincia. […] Vi è infine un argomento di opportunità, del quale io personalmente sento il grande valo- re: se noi, per creare la Regione, distruggessimo la Provincia, susciteremmo un am- biente di malcontenti, di diffidenze, di gelosie, di urti, entro il quale non conviene che sorga la Regione. Quest’ente nuovo, che la maggioranza dell’Assemblea ha de-

88

Cfr. Cfr. F.FABRIZZI, La provincia: storia istituzionale dell’ente più discusso. Dalla riforma Crispi all’Assemblea Costituente, cit., p. 22.

50

ciso di fondare, deve avere la maggior collaborazione possibile, anche di coloro che vedono nella Provincia il loro nido, la loro tradizione, il loro sentimento»89.

Com’è stato autorevolmente segnalato, «ci si trovò, dunque, di fronte ad una si- tuazione rischiosa: il Presidente della Commissione che aveva redatto il progetto ri- nunciava a difenderlo. Solo gli onorevoli Lusso, De Vita e Persico presero la parola per sostenere la tesi contraria alla conservazione della Provincia tra gli enti territo- riali»90.

In particolare, molto accesi furono i toni usati dall’on. Lussu, che qui di seguito si riportano: «La Provincia è niente. Io mi rivolgo alle esperienze dei colleghi che han- no fatto parte dei Consigli o delle Deputazioni provinciali prima del fascismo. Io ne ho fatto parte dopo la guerra, sino a che il fascismo non ha soppresso i Consigli pro- vinciali, e affermo che i Consigli e le Deputazioni provinciali sono un bel niente nell’organizzazione periferica. E quando si teme che insorgano i capoluoghi attuali di provincia, che si sentirebbero minacciati, si cede a un senso di panico, che non ha nessuna consistenza nella realtà dei fatti. Perché, in fondo, i capoluoghi di provincia rimangono, in quanto sono centri di civiltà sviluppatisi nell’ultimo cinquantennio»91. Secondo l’on. De Vita «la Provincia, espressione dello Stato accentratore, è una creazione artificiale che non corrisponde né a criteri geografici, né a esigenze umane ed è quindi priva di qualsiasi ragione di vita amministrativa ed economica. Quale funzione eserciterebbe la Provincia? È proprio necessario il suo mantenimento? Credo che nessuno possa seriamente sostenere che la Provincia eserciti funzioni che non possono essere efficacemente esercitate o dal Comune o dalla Regione»92. Ma l’asprezza dei toni dei pochi detrattori della salvaguardia costituzionale di ta- le ente non bastò a precluderne la “costituzionalizzazione”.

89 Cfr. A

A. VV., La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, cit., p. 2418 e ss. Si v. anche V.FALZONE,F.PALERMO,F.COSENTINO, del Segretariato Generale della Camera dei Deputati, La Costituzione della Repubblica Italiana Illustrata con i lavori preparatori, con prefazione di V.E.ORLANDO, Roma, 1949, p. 210.

90 In tal senso, v. S.B

ARTOLE, Sub. Art. 114 Costituzione, in Commentario della Costituzione art. 114-120, Le Regioni, le Province, i Comuni, cit., p. 4.

91 Cfr. A

A. VV., La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, cit., p. 2421 e ss.

92 Cfr. Aa. Vv., La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea

51

Com'è noto, l’Assemblea procedette alla votazione per parti separate dell’emendamento dell’on. Veroni che recitava “La Repubblica si riparte in Regio- ne, Province, Circondari e Comuni”. Fuorché per la parola ‘circondari’ il testo venne approvato e pertanto il comma risultava così formulato: “La Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni”. Successivamente il presidente mise ai voti la soppres- sione del secondo comma dell’art. 107 (“Le province sono circoscrizioni ammini- strative di decentramento statale e regionale”) e l’Assemblea approvò.

Subito dopo la conclusione della discussione sull’art. 107 l’on. Terracini propose di passare all’esame dell’art. 108, ma l’on. Carboni fece presente che, avendo l’Assemblea deciso il mantenimento della Provincia come un ente al quale dovevano essere attribuite delle funzioni, prima di passare all’esame degli articoli successivi riguardanti le attribuzioni delle Regioni, sarebbe stato opportuno chiarire quali a- vrebbero dovuto essere le funzioni delle province.

L’on. Ruini rispose che per il momento si era stabilito il mantenimento dell’ente provincia come ente autonomo e che solamente negli articoli successivi si sarebbero determinate le funzioni, le reciproche competenze rispetto alle Regioni, le modalità di funzionamento degli organi; chiese poi tempo per permettere al Comitato di lavo- rare su questo punto. Come noto, quello che diventerà l’art.128 della Carta costitu- zionale (“Le Provincie e i Comuni sono enti autonomi nell’ambito dei princìpi fissati da leggi generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni”) rimanderà completamente alla legge ordinaria la definizione dei compiti e del ruolo delle pro- vince.

Conclusivamente, si può senz’altro affermare che la decisione dei Costituenti di non eliminare dal novero degli enti a rilevanza costituzionale la Provincia sia stata dettata non solo dall’esigenza di traghettare un patrimonio istituzionale preesistente dalla forma monarchica a quella repubblicana e democratica93, ma anche dall’opportunità di mantenere comunque un ruolo per questo livello territoriale94.

93

Sull’adozione del modello accentrato napoleonico, assunto a riferimento dell’assetto istituzionale degli enti locali dell’Italia del XIX secolo, e sui cambiamenti del funzionamento del modello italiano cfr. ex pluribus, P. AIMO, Stato e poteri locali in Italia, Roma, 2010. Ma si v. soprattutto G.MELIS, Storia dell’amministrazione italiana (1861-1993), Bologna, 1996.

94

Come evidenziato da C. BACCETTI, Il capro espiatorio. La Provincia nell’evoluzione del sistema politico italiano, in Istituzioni del Federalismo n. 2/2014, p. 285 ss.: «alla fine, le

52

Nondimeno, i Costituenti si guardarono bene dall’approfondire il tema delle fun- zioni e dei compiti che avrebbero dovuto caratterizzare l’ente.

L’Italia era già organizzata in Comuni e le Province costituivano l’ambito orga- nizzativo del decentramento statale, rimasto tale durante il periodo della dittatura fa- scista.

Pur acquistando un profilo nuovo quali enti territoriali attraverso i quali le rispet- tive comunità si autogovernano (c.d. enti di autonomia), con la Costituzione repub- blicana non viene eliminata l’idea napoleonica che li aveva delineati come strumenti di decentramento o di “governo a distanza” da parte del potere centrale.

Com’è stato condivisibilmente sostenuto, «l’autonomia degli enti locali, diver- samente dal loro impiego come meri enti di delocalizzazione del potere statale, pre- tende però condizioni operative minime per poter produrre davvero processi norma- tivi e amministrativi adeguati: una congrua struttura sociale e demografica (difficil- mente possono esprimere autonomia su competenze di ampio spessore enti territo- riali con poche migliaia di abitanti!) e un tessuto civico-politico locale»95.

L’ente di area vasta della Provincia, in questo senso, costituisce nello stesso tempo un vero ente territoriale autonomo e un ente di semplice decentramento buro- cratico-amministrativo statale.

L’approfondimento delle funzioni di area vasta, come si vedrà nel prosieguo di questo lavoro, è il frutto di un confronto pluridisciplinare, che muove dalla «con- vinzione dell’esigenza di prevedere una disciplina distinta e peculiare per le aree su cui insistono le maggiori realtà urbane del Paese, basata sulla differenziazione delle loro istituzioni, attribuzioni, modalità di funzionamento»96.

Questo dibattito, e, come si è visto, l’influenza che sullo stesso hanno avuto le esperienze dei Paesi stranieri, soprattutto dell’Unione europea, ha posto le fonda- menta per lo studio e quindi per l’adozione, nel nostro ordinamento, di un modello istituzionale nuovo di ente locale, “alternativo” alla Provincia: la Città metropolita- na.

considerazioni tecniche e di funzionalità amministrativa verranno soverchiate dalle considerazioni di opportunità politica» (p. 292).

95

A.STERPA, Il pendolo e la livella. Il federalismo all’italiana e le riforme, Torino, 2015, p. 124.

96 L.V

53

Dopo la riforma del Tit.V della II Parte della Cost., com’è noto, l’impostazione originaria si rovescia, sicché – nell’attuale art. 114, I e II c. – “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni so- no enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione”.

II.2 – Le Città metropolitane nella l. 142 del 1990.

Dopo essersi per lungo tempo astenuto dall’intervenire nella vexata quaestio del- le aree metropolitane, il Parlamento, con la nota riforma dell’ordinamento delle au- tonomie locali (Legge 8 giugno 1990, n. 142), ha operato un generale riconoscimen- to del fenomeno, dedicando al governo metropolitano l’intero Capo VI (titolato “A- ree metropolitane”) e ponendo, così, fine al vuoto normativo in materia.

A ben vedere, già da anni, la questione metropolitana aveva suscitato l’interesse, tra gli altri, di urbanisti, economisti, sociologi e politologi, essendosi diffusa la con- vinzione che, di fronte ad uno sviluppo territoriale che aveva fatto emergere nuove realtà economiche, sociali e demografiche, fosse ormai del tutto anacronistico conti- nuare a governare realtà popolate da centinaia di migliaia di abitanti in modo analo- go a come previsto per i centri più piccoli97.

Di tale contraddizione prese finalmente coscienza il Legislatore a cavallo fra gli anni ‘80 e ‘90.

97 Sul dibattito dottrinale antecedente all’entrata in vigore della l. 142 del 1990, si v. ex pluribus,

B.DENTE, La riforma degli enti locali, Repertorio delle proposte negli anni 1961-1972 (Istituto per la scienza dell’amministrazione pubblica – ISAP), Milano, 1975, nonché G. PASTORI, Problemi inerenti il governo delle aree metropolitane, in La riforma della amministrazione locale (Fondazione Giovanni Agnelli), Torino, 1978, 127 e ss.; P. URBANI, Note in tema di governo delle aree metropolitane, in Riv. giur. ed., 1983, II, pp. 103 e ss.; ID., Governi metropolitani e interessi nazionali, Padova, 1988; D.SORACE, I problemi delle aree metropolitane, in Le Regioni, 1985, pp. 868 e ss.; G.FALCON, incertezze ed ambiguità della riforma della disciplina delle aree metropolitane, in Quaderni Formez, n. 43, Napoli, 1985, pp. 699 e ss.; F.MERLONI, Il rebus metropolitano, Roma 1986; P.URBANI, G.PASTORI, Aree Metropolitane in Digesto (disc. pubbl.), Torino 1987, vol. I, pp. 381 e ss., A.CROSETTI, Sul governo delle aree metropolitane, in Amministrare, cit., pp. 149 e ss.; E. ROTELLI, Il regime differenziato delle aree metropolitane, in Nuova Rass., 1991, pp. 1564 e ss.