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LO SCENARIO NORMATIVO ITALIANO

II. 2 – Le Città metropolitane nella l 142 del 1990.

Dopo la riforma del Tit.V della II Parte della Cost., com’è noto, l’impostazione originaria si rovescia, sicché – nell’attuale art. 114, I e II c. – “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni so- no enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione”.

II.2 – Le Città metropolitane nella l. 142 del 1990.

Dopo essersi per lungo tempo astenuto dall’intervenire nella vexata quaestio del- le aree metropolitane, il Parlamento, con la nota riforma dell’ordinamento delle au- tonomie locali (Legge 8 giugno 1990, n. 142), ha operato un generale riconoscimen- to del fenomeno, dedicando al governo metropolitano l’intero Capo VI (titolato “A- ree metropolitane”) e ponendo, così, fine al vuoto normativo in materia.

A ben vedere, già da anni, la questione metropolitana aveva suscitato l’interesse, tra gli altri, di urbanisti, economisti, sociologi e politologi, essendosi diffusa la con- vinzione che, di fronte ad uno sviluppo territoriale che aveva fatto emergere nuove realtà economiche, sociali e demografiche, fosse ormai del tutto anacronistico conti- nuare a governare realtà popolate da centinaia di migliaia di abitanti in modo analo- go a come previsto per i centri più piccoli97.

Di tale contraddizione prese finalmente coscienza il Legislatore a cavallo fra gli anni ‘80 e ‘90.

97 Sul dibattito dottrinale antecedente all’entrata in vigore della l. 142 del 1990, si v. ex pluribus,

B.DENTE, La riforma degli enti locali, Repertorio delle proposte negli anni 1961-1972 (Istituto per la scienza dell’amministrazione pubblica – ISAP), Milano, 1975, nonché G. PASTORI, Problemi inerenti il governo delle aree metropolitane, in La riforma della amministrazione locale (Fondazione Giovanni Agnelli), Torino, 1978, 127 e ss.; P. URBANI, Note in tema di governo delle aree metropolitane, in Riv. giur. ed., 1983, II, pp. 103 e ss.; ID., Governi metropolitani e interessi nazionali, Padova, 1988; D.SORACE, I problemi delle aree metropolitane, in Le Regioni, 1985, pp. 868 e ss.; G.FALCON, incertezze ed ambiguità della riforma della disciplina delle aree metropolitane, in Quaderni Formez, n. 43, Napoli, 1985, pp. 699 e ss.; F.MERLONI, Il rebus metropolitano, Roma 1986; P.URBANI, G.PASTORI, Aree Metropolitane in Digesto (disc. pubbl.), Torino 1987, vol. I, pp. 381 e ss., A.CROSETTI, Sul governo delle aree metropolitane, in Amministrare, cit., pp. 149 e ss.; E. ROTELLI, Il regime differenziato delle aree metropolitane, in Nuova Rass., 1991, pp. 1564 e ss.

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Numerosi, infatti, furono i progetti di riforma presentati in quel periodo al Parla- mento, e tale circostanza costituisce senz’altro indice sintomatico dell’attenzione che i partiti politici riponevano nel tema dell’introduzione di una disciplina specifica per le aree metropolitane98.

Al fine di inquadrare la ratio sottesa alla riforma legislativa, spunti interessanti provengono, oltre che dai lavori preparatori e dai dibattiti dottrinari che precedettero l’approvazione della L. 142/1990, dalla successiva introduzione del meccanismo di elezione diretta dei Sindaci e dei Presidenti delle Province ex l. n. 81/199399. Ed invero, all’epoca era impellente l’esigenza di personalizzazione della classe dirigente locale e l’istanza di modernizzazione in senso aziendalistico della stessa. Si previde, in tale prospettiva, l’attribuzione di maggiori poteri decisionali all’esecutivo e ai dirigenti, per consentire di dare risposte immediate alle richieste provenienti dagli amministrati.

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Le parti dei progetti di legge relativi all’introduzione di una disciplina per le aree metropolitane sono pubblicate nella documentazione riportata nel numero monografico di Regione e governo locale, 1990, n. 1-2. P. 157 e ss. In dottrina, ex pluribus, cfr. F. SPALLA, L’amministrazione locale. Organizzazione, funzionamento, trasformazioni, Roma, 2000, specificamente, il cap. 5.

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La forza acquisita dai Sindaci eletti a suffragio diretto, specie quelli delle grandi città, ne ha fatto, ed oggi ancor di più, di per sé dei protagonisti della vita politica nazionale, paragonabili ai leader dei partiti nazionali. Anzi, spesso, si è assistito, negli ultimi anni, alla trasformazione di Sindaci di grandi Comuni in leader di partito o in Ministri o in Premier, o viceversa. Il meccanismo di elezione diretta ha condizionato, in modo incisivo, il sistema politico-amministrativo, personalizzando la responsabilità dell’amministratore, individuato direttamente dagli elettori, anche al di là della sua appartenenza politica: in argomento, v. C. FUSARO, I limiti della legislazione elettorale vigente, in R. D’ALIMONTE, C.FUSARO (a cura di), La legislazione Elettorale italiana, Bologna 2008, pp. 20-25, che riconnette all’entrata in vigore della l. n. 81 del 1993 la nascita della «forma di governo della transizione italiana». Ma si v. anche, ex pluribus, F.PIZZETTI, Una grande riforma di sistema. Scheda di lettura e riflessioni su Città metropolitane, Province, unioni di Comuni: le linee principali del d.d.l. Delrio, in Atti del Convegno “L’iter legislativo dell’istituzione delle Città metropolitane”, Firenze, 24 gennaio 2014, nonchè A.STERPA, Il pendolo e la livella. Il federalismo all’italiana e le riforme, cit., p. 125-126, che rileva come proprio «gli anni novanta hanno rappresentato per gli enti locali un passaggio di estrema rilevanza per due ordini di ragioni: in primo luogo perché la crisi del sistema politico nazionale (con la crisi di regime successiva al 1992, le inchieste giudiziarie e la fine di tutti i partiti politici che avevano dominato la scena politica dal 1945/48) lasciò agli italiani l’idea che i Sindaci (e più in generale il tessuto istituzionale e politico locale) fossero l’ultimo luogo della “buona politica” e della “buona amministrazione”. Fu così che si sperimentò l’elezione diretta dei Sindaci e dei Presidenti di Provincia (a partire dal 1993 con la legge n. 81) unitamente alla nascita delle liste civiche e di esperienze politiche speciali in varie parti del Paese. Inoltre, perché dal 1997 partì un significativo processo di riforma delle competenze (conosciuto come “leggi Bassanini”) che portò all’adozione di leggi e decreti legislativi con i quali lo Stato distribuiva competenze amministrative verso il basso ossia a Comuni, Province (non erano ancora in Costituzione ma previste solamente dalla legge statale ma non istituite le Città e le aree metropolitane) e Regioni».

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Così, l’istituzione della Città metropolitana, nella discussione dell’epoca, doveva servire a dare ai cittadini delle risposte più rapide ed efficienti nelle grandi periferie delle maggiori città italiane sviluppatesi impetuosamente e, spesso, disordinatamente con l’esplosione urbana e demografica degli anni ’60 e ’70 del secolo scorso100. Le linee di tendenza precedenti la legge di riforma delle autonomie locali del 1990 si svilupparono nel senso di una particolare elasticità organizzativa e di ade- renza alle situazioni concrete, muovendo dalla disamina delle differenze intercorren- ti tra i vari insediamenti umani, che si riflettono nelle strutture pubbliche tra le col- lettività delle aree metropolitane e quelle delle aree esterne.

Com'è stato rilevato, «è un dato di fatto che esistano, da un lato, aree in cui una serie di piccoli comuni si colloca e, in un certo senso, si organizza accanto ad un comune maggiore e, dall'altro lato, che esistano aree articolate in una pluralità di piccoli comuni senza la dominanza di un centro o di un polo urbano rispetto agli al- tri. È verosimile che nell'uno e nell'altro caso il rapporto tra l'ente di area vasta (l'en- te intermedio provinciale) e l'ente di base debba essere differenziato e diversi debba- no essere i rapporti tra i due livelli di amministrazione»101.

Nella prima ipotesi, quella appunto delle aree metropolitane, le proposte, sia normative che politiche, si espressero attraverso un complessivo processo di riasset- to, id est attraverso un'articolazione ed uno smembramento della precedente compa- gine locale, ritenendo qualificante la decantazione della funzione polarizzante del Comune centrale per giungere ad una più equilibrata distribuzione delle dimensioni degli enti di base dell'area; dall'altro lato fu suggerita l'adozione di un governo locale metropolitano, caratterizzato dalla presenza di un modello organizzativo che ricom- prendesse nel suo territorio tutta l'area metropolitana ed al quale dovessero conse- guentemente essere affidate le funzioni principali non solo relative all'assetto ed uti- lizzazione del territorio, ma altresì quelle di organizzazione e prestazione dei servizi

100

Cfr. F.MERLONI, Il riordino del sistema istituzionale e l’individuazione delle funzioni delle autonomie locali, Relazione per il Convegno “Il sistema delle autonomie: la sfida della semplificazione” organizzato dall’Osservatorio LUISS sulle riforme e l’alta formazione della Pubblica Amministrazione insieme ad ANCI, UPI e SSPAL, tenutosi il 20 ottobre 2008.

101

A.CROSETTI, La provincia dopo le riforme amministrative e costituzionali, in AA.VV., La Provincia di Torino (1859,2009) Studi e ricerche, a cura di W.E.CRIVELLIN, Milano, 2009, p. 111

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che più direttamente vi sono connessi (quali trasporti, scuola, assistenza, rifiuti, ecc.).

Nel progetto c.d. “di Pavia”, concepito dal gruppo di studio coordinato presso l’Università di Pavia dal Prof. Umberto Pototschnig, in particolare, veniva inserita nel testo di riforma del sistema delle autonomie locali la proposta di istituire, nelle principali aree urbane del Paese, le c.d. “province metropolitane”, titolari di funzioni generalmente spettanti ai Comuni nella disciplina e gestione del territorio, oltre che delle funzioni tipiche delle Province102. Tale ipotesi venne ripresa nel progetto ela- borato dall’ISAP (Istituto per la scienza dell’amministrazione pubblica) nel 1988, ma fu decisamente scartata dal gruppo di studio coordinato da Massimo Severo Giannini, che propugnava l’ipotesi dell’istituzione di un modello di governo di tipo “funzionale”, che puntava all’esercizio di funzioni in forma congiunta ad opera di forme associative tra i Comuni (“progetto Giannini” del 1989)103.

Com’è noto, le principali questioni cui il Legislatore fu chiamato a dare soluzione erano due: la prima, quella “territoriale”, legata all’individuazione ed alla delimita- zione delle aree metropolitane; la seconda, quella “istituzionale”, afferente alla defi- nizione delle forme e delle strutture di governo di dette aree.

Valga sin d’ora rilevare che, riguardo alla seconda questione, prevalse, nel dibat- tito parlamentare, la scelta di un modello strutturale di governo “forte” (contrapposto al modello di tipo funzionale104), che si tradusse nella creazione di organi di governo dell’area interessata, tendenzialmente con un nuovo disegno del territorio e, in parti- colare, delle circoscrizioni.

Nel soffermarsi sulla questione “territoriale”, occorre richiamare l’attenzione sul- la (singolare) scelta legislativa di elencare puntualmente le aree metropolitane all’interno del dettato normativo dell’art. 17, nel quale confluirono le denominazioni

102 Cfr. Legge generale sull’amministrazione locale, Padova, 1977, specificamente, p. 177 e ss. 103 Cfr. L.V

ANDELLI, Città metropolitane, in Enciclopedia del diritto, cit., p. 81.

104

I modelli di area metropolitana riconducibili a quello funzionale sono prevalentemente caratterizzati dall’idea della “conferma dell’assetto di governo locale esistente” ed al ricorso a forme di collaborazione interistituzionale (accordi, intese, convenzioni, ecc.); in un’accezione più generale, si tratta di ipotizzare strutture comuni per risolvere e gestire problemi, specie nei servizi, di livello ultracomunale. Cfr. sul punto, P.URBANI, Aree metropolitane, in Enciclopedia del diritto, cit.., p. 111 e ss. e le indicazioni bibliografiche ivi contenute.

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di nove grandi città che, con le porzioni di territorio circostante, vennero “considera- te” aree metropolitane105.

Si è osservato, a proposito, che non del tutto casuale appare l’utilizzo del termine “considerare”, che deve intendersi nel suo significato di riconoscere l’esistenza og- gettiva di queste nove entità territoriali106.

Merita di essere brevemente accennata la logica sottesa alla scelta legislativa di individuare in un numerus clausus le aree metropolitane, così escludendo – almeno inizialmente, in teoria e di fatto – la successiva estensione di un regime di governo differenziato ad altre zone altamente urbanizzate.

Appare evidente, intanto, che quelli elencati dalla legge fossero tra gli agglome- rati urbani più popolosi del Paese, oltreché i più rilevanti centri industriali, economi- ci, culturali e politici.

Ma oltre a ciò, i criteri che orientarono la su divisata opzione legislativa vanno senz’altro rintracciati nel dibattito teorico precedente l’emanazione della legge. Ci si riferisce, segnatamente, al progetto di “Legge generale di autonomia dei Comuni e delle Province” presentato dall’ISAP (Istituto per la Scienza dell’Amministrazione Pubblica) nel 1988, volto a delineare un modello strutturale- istituzionale di città metropolitana107.

Prospettazione opposta rispetto a quella ipotizzata dall’ISAP era stata avanzata dall’Istituto di Ricerca Regionale della Lombardia (IReR), che privilegiava una logi- ca marcatamente “funzionalista” nei confronti del governo metropolitano108.

105 Si tratta dei Comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari e

Napoli.

106

In tali termini, F. SPALLA, R. LANZA, Area metropolitana: esperienze italiane, in Amministrare, n. 1/2, 2008., p. 109.

107 La proposta dell’ISAP prevedeva la costituzione, dopo una preliminare revisione delle

circoscrizioni provinciali, di cinque Province metropolitane nelle zone di Roma, Milano, Napoli, Torino e Genova. In capo alle Regioni figurava la possibilità di individuare altre Province metropolitane, a condizione che fossero aree popolate da almeno un milione d’abitanti attorno ad un Comune popolato da almeno quattrocentomila, previa richiesta effettuata da un numero di Comuni rappresentanti di almeno due terzi della popolazione complessiva. In argomento, si veda ISAP, Legge generale di autonomia dei Comuni e delle Province, in Amministrare,1989, n. 1-2; E.ROTELLI, Le Province metropolitane e i Comuni metropolitani: il progetto Isap, in ISAP, Verso il governo dell’area metropolitana, Milano, 1990, pp. 171-192.

108 Come rileva G. M

OBILIO, Le Città Metropolitane. Dimensione costituzionale e attuazione statutaria, cit., p. 52, si tratta di ricerche che rispetto alle precedenti prospettazioni si collocano tra quelle «che privilegiavano una logica marcatamente “federativa” – o potremmo dire “funzionalista” –

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Accertata la rilevanza dell’analisi condotta dall’ISAP, il Legislatore definì aree metropolitane le cinque conurbazioni individuate da detto Istituto (Roma, Milano, Napoli, Torino e Genova), aggiungendone, però, altre quattro (da un lato, Bologna e Firenze, dall’altro, Venezia e Bari)109 e disattendendo la proposta di assegnare alle Regioni la facoltà d’individuarne altre aree metropolitane al ricorrere di determinate condizioni110.

Oltre alle nove già menzionate, va rammentata l’area metropolitana di Cagliari, per la cui delimitazione la legge lasciò ampia discrezionalità alla Regione Sardegna (e restava ferma la speciale autonomia regionale siciliana in materia).

Ampiamente dibattuta fu anche la questione della delimitazione territoriale delle aree metropolitane, al cui riguardo va annotato, sulla scorta delle indicazioni in tal senso fornite dal testo legislativo, che i confini delle aree metropolitane avrebbero dovuto essere tracciati annettendo al territorio dei Comuni elencati gli altri insedia- menti che avessero mostrato di avere, con essi, rapporti di «stretta integrazione in ordine alle attività economiche, ai servizi essenziali alla vita sociale, nonché alle re- lazioni culturali ed alle caratteristiche territoriali»111.

Un siffatto parametro rivela la scelta legislativa di valorizzare anche criteri di ca- rattere funzionale – di tal guisa sono i rapporti economici, sociali e culturali – piut- tosto che criteri di carattere meramente morfologico, quale è, appunto, l’integrazione territoriale.

In buona sostanza, il parametro recepito dalla Legge 142/1990 per la delimitazio- ne delle aree metropolitane non era la semplice “vicinanza” fra Comuni, bensì quello delle “interdipendenze” che si creano in ordine alle attività economiche, sociali e culturali112.

nei confronti del governo metropolitano», come quelle ad es. richiamate in AA.VV., Istituzioni e nuovi modelli di governo urbano, Milano, 1989.

109

Come opportunamente evidenziato da E. ROTELLI, Le aree metropolitane in Italia: una questione istituzionale insoluta, in G. MARTINOTTI (a cura di) La dimensione metropolitana, Bologna, 1999, p. 316, le ulteriori aree metropolitane inserite nel dettato normativo erano state oggetto, in Parlamento, di uno scambio politico “alla pari” tra i due maggiori partiti dell’epoca, Dc e Pci, interessati ai presunti benefici derivanti dal rango metropolitano.

110 Si v., in tal senso, F.S

PALLA,R.LANZA, Area metropolitana: esperienze italiane., cit., p.110.

111 Così dispone l’art. 17, comma 1, Legge 8 giugno 1990, n. 142. 112 Secondo F.S

PALLA - R.LANZA, op. cit., p.110, una impostazione di questo genere ha il pregio di riconoscere la particolarità delle aree metropolitane, che non sono semplici conurbazioni o “grandi villaggi”, bensì zone il cui carattere distintivo è la presenza di intensi flussi relazionali, siano essi di

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Passando all’esame dei profili squisitamente istituzionali, nella novella legislativa si stabilì che le aree metropolitane sarebbero state dotate di un’amministrazione lo- cale organizzata su due livelli: Città metropolitana e Comuni metropolitani.

La prima, ovvero un’autorità metropolitana di secondo livello direttamente eletti- va, avrebbe operato a livello di area vasta.

A ciò si aggiungeva una puntuale definizione tanto degli organi113 quanto delle funzioni114 della Città metropolitana, affidando alla legge regionale, entro una più ampia attività di riparto di funzioni con il livello comunale, il compito di attribuirle al nuovo ente115.

Restando in tema di rapporti interistituzionali, mette conto segnalare che la Legge 142/1990 fosse intervenuta nel delicato rapporto tra Città metropolitana e Provincia, sul quale val la pena soffermarsi.

L’impostazione prescelta dal Legislatore valeva a configurare due enti ampia- mente sovrapponibili, atteso che la Città metropolitana avrebbe esercitato funzioni “simili” a quelle della Provincia su un territorio di quasi identica, o identica, esten- sione.

carattere economico, sociale o culturale. D’altra parte, ciò rende molto più complicato il compito della loro delimitazione, poiché di gran lunga più difficilmente individuabili sono i criteri che attestino una reale interdipendenza relazionale tra i territori. In argomento, si veda anche B.DENTE, Riforma dell’amministrazione locale e analisi delle politiche pubbliche, in Il nuovo governo locale, 1988, VI; B. DENTE, Del governare le metropoli: obiettivi sostanziali e strumenti istituzionali, in Stato e mercato, 1989, 26. L’Autore utilizza l’espressione “grande villaggio” per indicare un tipo di metropoli particolarmente grande tanto da un punto di vista territoriale quanto demografico.

113 L’articolo 18, comma 3, della Legge 142/90 sancisce che «sono organi della Città

metropolitana: il Consiglio metropolitano, la Giunta metropolitana ed il Sindaco metropolitano».

114

Alla Città metropolitana erano attribuite, oltre alle funzioni di competenza provinciale, le funzioni normalmente affidate ai Comuni quando avessero precipuo carattere sovracomunale, debbono, per ragioni di economicità ed efficienza, essere svolte in forma coordinata nell’area metropolitana, nell’ambito delle seguenti materie:

a) pianificazione territoriale dell’area metropolitana; b) viabilità, traffico, trasporti;

c) tutela e valorizzazione dei beni culturali e dell’ambiente;

d) difesa del suolo, tutela idrogeologica, tutela e valorizzazione delle risorse idriche, smaltimento dei rifiuti;

e) raccolta e distribuzione delle acque e delle fonti energetiche;

f) servizi per lo sviluppo economico e grande distribuzione commerciale;

g) servizi di area vasta nei settori della sanità, della scuola e della formazione professionale e degli altri servizi urbani di livello metropolitano.

115 Com'è stato evidenziato in dottrina, si è trattato in tal guisa, di operare un «chiaro tentativo di

superare la logica del vecchio art. 118 Cost., in prospettiva di una maggior flessibilizzazione del riparto di competenze amministrative» (in tal senso, v. A. BRANCASI, P. CARETTI, Il sistema dell’autonomia locale tra esigenze di riforma e spinte conservatrici: il caso della Città metropolitana, in AA.VV., Scritti in onore di Giuseppe Palma, I, Torino, 2012, p. 549.

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Va soggiunto che, fino all’emanazione di una nuova normativa specifica, le nor- me relative alle Province sarebbero state applicate alla Città metropolitana, di talché, ove l’area metropolitana fosse coincisa esattamente con il territorio di una circoscri- zione provinciale, la Provincia si sarebbe configurata come autorità metropolitana116. Qualora, al contrario, l’area metropolitana non fosse coincisa con il territorio pro- vinciale, si sarebbe proceduto «alla nuova delimitazione delle circoscrizioni provin- ciali o all’istituzione di nuove Province (…) considerando l’area metropolitana come territorio di una nuova Provincia»117.

Non si è mancato di rilevare, in dottrina, come ci si trovasse di fronte ad una formulazione non chiarissima del testo legislativo, ciò ove sol si considerasse che «in caso di non perfetta sovrapposizione tra territorio metropolitano e provinciale, sul territorio metropolitano la vecchia amministrazione provinciale si sarebbe tra- sformata in Città metropolitana; mentre, la parte d’area della Provincia esclusa dal governo metropolitano sarebbe potuta diventare Provincia indipendente oppure esse- re annessa ad altre Province limitrofe»118.

L’altro livello di governo metropolitano previsto dalla Legge n. 142/90 era rap- presentato dai cosiddetti Comuni metropolitani.

Essi sarebbero scaturiti «per scorporo da aree di intensa urbanizzazione o per fu- sione di Comuni contigui […] così da assicurare il pieno esercizio delle funzioni comunali, la razionale utilizzazione dei servizi, la responsabile partecipazione dei cittadini nonché un equilibrato rapporto fra dimensioni territoriali e demografi- che»119.

Appare palese l’intento del Legislatore del 1990 di creare, nell’area metropolita- na, una serie di istituzioni di base uniformi, cui affidare le funzioni non espressa- mente attribuite alla Città metropolitana.

116 Articolo 17, comma 4, Legge 142/90. 117

Articolo 17, comma 3, Legge 142/90.

118 F.S

PALLA,R.LANZA, Area metropolitana: esperienze italiane, op. cit., pp. 111 s., ad avviso dei quali quello che, in sostanza, emerge con chiarezza è l’incompatibilità, sullo stesso territorio, della Città metropolitana e della Provincia, qualunque sia la delimitazione dei confini dell’area metropolitana. Sul tema si v. anche, tra gli altri, G.SILVESTRI, Attribuzioni delle province, in AA.VV.,