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3 – I rapporti con gli altri enti locali: Comuni, Regioni e Città metropoli tane.

IL MODELLO ISTITUZIONALE DI CITTÀ METROPOLITANA

III. 3 – I rapporti con gli altri enti locali: Comuni, Regioni e Città metropoli tane.

È stato giustamente segnalato in dottrina che le Città metropolitane hanno non solo condiviso con le Province il problema dell’elettività indiretta dei loro organi di indirizzo politico, ma hanno anche «conservato un assetto “provinciale” e non si so- no trasformati in un ente di governo autenticamente metropolitano; del resto questa era l’unica possibilità per crearli subito, per atto normativo, con la legge n. 56 senza incidere sull’assetto pregresso, in molti casi lasciando fuori dalla città metropolitana una parte consistente dell’area metropolitana»291.

Il legislatore della riforma Delrio, ha dunque, messo in luce questa sorta di paral- lelismo tra CM e Province, ma non ha tenuto adeguatamente conto – al di là dell’ovvia rilevanza nazionale (e internazionale) – da un lato della “dimensione re- gionale del fenomeno metropolitano”, e dall’altro della sua “dimensione comunale”. Si è avuto modo di considerare, nella parte iniziale di questa tesi, come quando il processo di articolazione di un nuovo assetto ordinamentale degli enti locali è stato posto nella disponibilità delle Regioni e dei Comuni, le une e gli altri non si siano

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Com’è noto, l'articolo 4 della legge elettorale comunemente intesa come Rosatellum (legge 3 novembre 2017, n.165, recante Modifiche al sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica), ha previsto che un’apposita area web del Ministero dell'Interno sia dedicata all'informazione sulle elezioni politiche nazionali. In tale sezione, denominata "Elezioni trasparenti" sono raccolti, per ogni partito, movimento e gruppo politico organizzato che abbia presentato le liste, tra le altre cose, lo statuto o la dichiarazione di trasparenza ed il programma elettorale con nome e cognome della persona indicata come capo della forza politica. Ebbene, avuto riguardo alle liste più rappresentative in Parlamento, né il Partito democratico né il Movimento 5 stelle hanno comunicato le loro linee programmatiche concernenti la materia delle autonomie locali, mentre la coalizione di Centro-destra nel punto 9 del proprio programma si è limitata genericamente a proclamare solennemente: “Più autonomie territoriali. Migliore governo centrale”, affermazione che potrebbe dire molte cose, ma anche nulla, al pari dei “proclami”: “Rafforzamento delle autonomie locali”; “Modello di federalismo responsabile che armonizzi la maggiore autonomia prevista dal titolo V della Costituzione e già richiesta da alcune regioni in attuazione dell’articolo 116, portando a conclusione le trattative attualmente aperte tra Stato e Regioni”; Piano straordinario per l’adeguamento di Roma capitale agli standard delle principali capitali europee”.

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In tal senso cfr. S. MANGIAMELI, Il regionalismo italiano dopo la crisi e il referendum costituzionale. Appunti per concludere una lunga transizione, cit.

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affatto attivati per avviare i meccanismi procedimentali necessari per dar vita ai nuovi enti di area vasta, vedendo nelle Città metropolitane dei competitors in grado di attirare “sussidiariamente” funzioni, spazi di rappresentanza politica, e soprattutto non trascurabili risorse finanziarie (evidentemente almeno in parte sottratte agli altri enti).

Com’è stato segnalato, «la costituzione delle Città metropolitane è stata avversata sia dai Comuni, che avrebbero dovuto rientrarvi, sia dalle Regioni: i primi hanno sviluppato il convincimento che nell’aggregazione metropolitana non avrebbero ot- tenuto certamente maggiori vantaggi e semmai avrebbero ricevuto degli svantaggi. Infatti, verosimilmente, avrebbero avuto delle limitazioni alla propria autonomia e politicamente sarebbero state fagocitate dal Comune capoluogo; le seconde avrebbe- ro visto il loro territorio spezzato in due parti, in quanto le Città metropolitane a- vrebbero raccolto una parte considerevole della popolazione all’interno della Regio- ne considerata»292.

La Legge Delrio ha cercato di ovviare al primo problema ponendo come condi- zione necessaria perché si possa dar luogo all’elezione diretta del Sindaco metropoli- tano, che entro la data di indizione delle elezioni si sia proceduto all’articolazione del territorio del Comune capoluogo in più Comuni secondo la procedura prevista dal comma 22.

In tal modo, secondo l’intento del legislatore, si assicurerebbe una pari condizio- ne tra i Comuni rientranti nella Città metropolitana, soprattutto per funzioni, risorse e sviluppo strategico. Tale modello istituzionale è espressamente previsto dagli Sta- tuti della città metropolitana di Milano, Napoli e di Roma.

Si è visto, tuttavia, come i “buoni propositi” contenuti nella l. Delrio – ammesso che fossero tali e non ostacoli volti a rendere difficile l’elezione diretta del Sindaco – non abbiano allo stato trovato riscontro: solo la CM di Milano ha avviato l’iter pro- cedimentale volto a consentire l’elezione diretta del proprio rappresentante politico, ed attende che il Parlamento adotti la legge contenente la disciplina elettorale.

I Comuni, soprattutto quelli più piccoli, peraltro, sono “sottorappresentati” nei Consigli metropolitani rispetto al Comune Capoluogo ed a quelli più grandi, in ra-

292 Cfr. S.M

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gione del sistema di elezione indiretta prescelto, caratterizzato da un meccanismo di ponderazione del voto che tiene conto della densità demografica dei municipi di ap- partenenza dell’elettorato passivo, composto da Sindaci e Consiglieri comunali in carica.

Com’è stato, infatti, segnalato, la disciplina contenuta nella l. n. 56 del 2014 in ordine alla modalità di elezione dei Consigli metropolitani registra «la netta prepon- deranza del ruolo del capoluogo e dei grandi Comuni nella determinazione degli in- dirizzi politici dell'ente metropolitano»293.

Uno studio sulle disposizioni delle carte statutarie delle CM perviene alla conclu- sione di ritenere che anche «dalla definizione dell’ente contenuta negli statuti, ma soprattutto nel preambolo e nei princìpi possono desumersi alcuni elementi interpre- tativi delle relazioni che ciascuna Città metropolitana ha inteso darsi rispetto ai Co- muni che la compongono e alle loro forme associative. Vi sono, in particolare: a) un modello «a prevalenza federativa» in cui sembra prevalere il coordinamento oriz- zontale dei Comuni e appare in modo evidente il rilievo dato ai Comuni stessi e alle unioni (specie nelle città a elezione di secondo grado); b) un modello «ente territo- riale intermedio» rappresentativo di una «comunità metropolitana», somma delle comunità locali più che dei Comuni come enti territoriali (nelle città che hanno opta- to per l’elezione diretta, specie Milano e Napoli). Anche l’attribuzione di competen- ze ulteriori al Consiglio può in certa misura considerarsi indice della volontà di valo- rizzare la partecipazione dei rappresentanti dei Comuni al governo del nuovo ente. Solo in alcuni limitati casi gli statuti prevedono, in realtà, alcune competenze ag- giuntive rispetto a quelle di indirizzo e controllo già desumibili dal sistema del Tuel: approvazione del PEG (Piano esecutivo di gestione, Roma, art. 18.3, lett. b) o del regolamento degli uffici e dei servizi (Bari, art. 16.2, lett. d); parere obbligatorio sul- le nomine (Roma, art. 26); previa deliberazione per nomina direttore (Roma, art. 44.3)»294.

293 Cfr. M. O

RLANDO, La Città Metropolitana di Torino verso il secondo mandato, in

www.federalismi.it, Osservatorio sulle Città metropolitane, n. 1/2016, 28 settembre 2016, p. 2

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Cfr. C. TUBERTINI, La Città metropolitana tra Regione, Comuni e Unioni. Analisi delle relazioni istituzionali, in Working papers, Rivista online di Urban@it, ottobre 2015, p.10.

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Secondo le conclusioni tratte in detta analisi, inoltre, particolare attenzione sareb- be posta comunque, in generale, alla individuazione di momenti di collegialità («co- ordinamento dei delegati», «conferenza dei consiglieri delegati», riunioni collegiali, riunioni periodiche, gruppi di lavoro, …), e così si attenuerebbe «la concentrazione del potere esecutivo in capo al sindaco metropolitano, ampliando la partecipazione dei rappresentanti dei Comuni all’esercizio della funzione esecutiva»295.

In realtà tali previsioni statutarie attenuano solo in parte i poteri (amplissimi, co- me si è visto) del Sindaco metropolitano, il quale mantiene su di sé il potere di detta- re le linee di indirizzo politico dell’ente, al pari dei Consiglieri metropolitani che so- no espressione della maggioranza nel Consiglio del Comune capoluogo.

L’organo veramente rappresentativo di tutti i Comuni sedenti nel territorio me- tropolitano, la Conferenza metropolitana, ha per legge – salvo l’“arma” estrema dell’approvazione del bilancio – scarne competenze, come si è visto, strettamente riconnesse alla fase di avvio dello stesso ed alcuni poteri consultivi.

L’autonomia statutaria, perciò, ha in alcuni casi ampliato le competenze di tale organo. Com’è stato rilevato, «pareri obbligatori della conferenza sono previsti o- vunque in relazione al piano strategico; diffusamente in relazione al piano territoria- le (Roma, Bologna, Firenze, Milano); in riferimento al piano rifiuti, al piano della mobilità, convenzioni con Comuni, agli atti di indirizzo, linee programmatiche pre- sentate dal sindaco, alla istituzione di nuovi enti (Roma), all’adozione dello stemma e del gonfalone (Bari) al conferimento o delega di funzioni ai Comuni o alle unioni (Roma, Bari, Firenze). Il parere vincolante in ordine all’adozione del piano strategi- co e del piano territoriale generale è previsto nello statuto di Torino, ove si richiede che il parere sia adottato con i voti che rappresentino almeno la maggioranza assolu- ta dei presenti, oppure in merito alla costituzione delle zone omogenee (Roma, art. 28.2, lett. c). Vi è un generale obbligo di adeguata motivazione, in ogni caso in cui il consiglio si discosti dai pareri della conferenza (Roma, Torino). Altre disposizioni di favore rispetto alla conferenza metropolitana si ritrovano in alcuni statuti. Si preve- de, ad esempio, l’apertura delle sedute a ulteriori soggetti, quali presidenti di muni- cipi o quartieri (Roma, Firenze) o ai sindaci di Comuni esterni con cui la Città me-

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Cfr. C. TUBERTINI, La Città metropolitana tra Regione, Comuni e Unioni. Analisi delle relazioni istituzionali, cit., p. 11.

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tropolitana abbia stipulato accordi (Bari); la specifica rappresentanza delle forme as- sociative sovracomunali (Bologna prevede l’ufficio di Presidenza della conferenza metropolitana composto dal sindaco e dai presidenti delle unioni, con il compito di raccordare con le unioni di Comuni le politiche e le azioni della Città metropolita- na); l’obbligo di convocazione, su richiesta di una certa quota dei sindaci membri (Bari, Torino); il conferimento di specifici incarichi, per l’elaborazione di proposte o progetti di interesse metropolitano, da parte del sindaco a singoli membri della con- ferenza (Roma). Al fine di agevolare il funzionamento della conferenza ed il conse- guimento del quorum previsto, in qualche caso si prevede la possibilità che i sindaci possano partecipare tramite propri delegati (Bari), o il vicesindaco (Roma)»296. Gli Statuti di più recente approvazione conferiscono alla CM poteri consultivi si- gnificativi in merito all’approvazione degli atti pianificatori strategico e territoriale (art. 18 Statuto Venezia, art. 33 Statuto Reggio Calabria, in cui è prevista l’obbligatorietà del parere della Conferenza metropolitana sull’adozione del Piano strategico e vincolante per il Piano territoriale).

Le su richiamate innovazioni normative alla disciplina della l. Delrio da parte delle fonti statutarie sono senz’altro da salutare con favore, ma nondimeno non viene prevista alcuna “sanzione” agli organi di governo dell’ente di area vasta nel caso in cui non diano seguito al parere espresso dalla Conferenza metropolitana.

Si è già avuto modo di accennare alle previsioni della novella legislativa del 2014 che, pur sancendo la coincidenza del territorio della Città metropolitana con quello della omonima Provincia, ammettono la facoltà per i Comuni, ivi inclusi i Comuni capoluogo delle Province limitrofe, di aderire alla Città metropolitana.

La procedura da seguire, in questi casi, è quella dettata per il mutamento delle circoscrizioni provinciali dall’art. 133 Cost. (legge della Repubblica adottata su ini- ziativa dei Comuni interessati, previo parere della Regione), con qualche significati- vo adattamento: in caso di parere negativo della Regione, infatti, la legge impegna il Governo a promuovere un’intesa tra la Regione stessa e i Comuni interessati; se questa non viene raggiunta entro 90 giorni dalla data di espressione del parere, il

296 Cfr. C.T

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Consiglio dei ministri dovrà decidere se approvare e presentare in Parlamento il di- segno di legge relativo297.

Orbene, le principali perplessità dei primi commentatori della riforma Delrio si sono appuntate, oltre che su questioni di carattere generale, concernenti la mancata espressa previsione oltre che della facoltà di entrata (opting in) anche della facoltà di uscita (opting out) dall’ente di area vasta oggetto dell’odierna ricerca, proprio sul procedimento di adesione dianzi descritto, per i sospetti dubbi di costituzionalità che la presente disciplina solleva298.

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L’art. 1 comma 6 l. n. 56 del 2014, così dispone: «Il territorio della città metropolitana coincide con quello della provincia omonima, ferma restando l'iniziativa dei Comuni, ivi compresi i Comuni capoluogo delle province limitrofe, ai sensi dell'articolo 133, primo comma, della Costituzione, per la modifica delle circoscrizioni provinciali limitrofe e per l'adesione alla città metropolitana. Qualora la regione interessata, entro trenta giorni dalla richiesta nell’ambito della procedura di cui al predetto articolo 133, esprima parere contrario, in tutto o in parte, con riguardo alle proposte formulate dai Comuni, il Governo promuove un’intesa tra la regione e i Comuni interessati, da definire entro novanta giorni dalla data di espressione del parere. In caso di mancato raggiungimento dell’intesa entro il predetto termine, il Consiglio dei ministri, sentita la relazione del Ministro per gli affari regionali e del Ministro dell’interno, udito il parere del presidente della regione, decide in via definitiva in ordine all’approvazione e alla presentazione al Parlamento del disegno di legge contenente modifiche territoriali di province e di Città metropolitane, ai sensi dell’articolo 133, primo comma, della Costituzione».

298 Per un approfondimento della questione, si veda G.V

ESPERINI, La legge “Delrio”: il riordino del governo locale - il disegno del nuovo governo locale: le Città metropolitane e le Province, cit., p. 786 e ss. Sulla ritenuta incostituzionalità di tale omissione legislativa, per tutti, v. F.PATRONI GRIFFI, La Città metropolitana nel disegno generale del riordino del territorio cit., p. 5. Secondo D.MONE, Città metropolitane. Area, procedure, organizzazione del potere, distribuzione delle funzioni (9 aprile 2014), in www.federalismi.it, n. 8/2014, p. 12, «l’art. 133 Cost. prevede un’iniziativa da parte dei Comuni perché sia modificato lo status quo, non perché sia conservato». Tale tesi è stata recepita dai ricorsi n. 39, 42, 43 e 44 proposti rispettivamente dalla Regione Lombardia, Veneto, Campania e Puglia, con cui è stata denunciata l’incostituzionalità, tra l’altro, anche dell’art. 1 comma 6 della l. n. 56 del 2014 per violazione del precetto di cui all’art. 133 primo comma Cost. Altra parte della dottrina, invece, sosteneva che la su divisata disposizione normativa andasse interpretata conformemente al dettato costituzionale, che non escluderebbe la facoltà di opting-out per i Comuni. In tal senso, cfr. A.SPADARO, Le Città metropolitane, tra utopia e realtà, cit., p. 19 e ss., nonché, ex pluribus, F. PIZZETTI, Una grande riforma. Riflessioni su Città metropolitane, Province, Unioni di comuni: le linee principali del ddl Delrio, cit., e V. CERULLI IRELLI, Parere sul riordino delle province rilasciato all’UPI, in www.federalismi.it, n. 17/2012, p. 4, secondo cui il procedimento di ascolto previsto dalla legge è sostitutivo del procedimento di cui all’art. 133, I c., Cost. Com’è noto, la Corte costituzionale nella sentenza n. 50 del 2015, ha ritenuto nel cons. in dir. 3.4.2. che «il denunciato comma 6 dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014, non manca, infatti, di prevedere espressamente «l’iniziativa dei Comuni, ivi compresi i Comuni capoluogo delle province limitrofe», ai fini dell’adesione (sia pure ex post) alla Città metropolitana, il che per implicito comporta la speculare facoltà di uscirne, da parte dei Comuni della Provincia omonima; e, a tal fine, la stessa norma dispone che sia sentita la Regione interessata e che, in caso di suo parere contrario, sia promossa una «intesa» tra la Regione stessa ed i Comuni che intendono entrare nella (od uscire dalla) Città metropolitana. E ciò testualmente, «ai sensi dell’articolo 133, primo comma, della Costituzione» e «nell’ambito della procedura di cui al predetto articolo 133». Il che autorizza una lettura del citato comma 6 conforme al parametro in esso richiamato: lettura, questa,

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Ha destato non poche perplessità, invero, la circostanza che la legge modifichi, di fatto, il regime costituzionale del parere della Regione, rafforzandone gli effetti sul procedimento decisionale, ben oltre quanto previsto dall’art. 133 Cost., che lo confi- gura come obbligatorio, ma non vincolante. Dall’altro lato, proprio per il caso del parere negativo della Regione, al quale non si sia potuto porre rimedio attraverso l’intesa con i Comuni, si attribuisce al Governo una discrezionalità circa la presenta- zione del disegno di legge di mutamento delle circoscrizioni, che, parimenti, non trova riscontro nel testo costituzionale.

Inoltre, com’è stato evidenziato in dottrina, il rinvio alla complessa procedura per la modifica delle circoscrizioni provinciali prevista dall’art. 133, I c., Cost., anche attraverso le specificazioni indicate dalla stessa legge Delrio, «rende l’operazione molto difficile, dovendo essa passare attraverso un travagliato iter – tra pareri regio- nali, intese promosse dal Governo, ecc. – il cui esito resta incerto e, sembra di capi- re, “alla fine” sostanzialmente rimesso all’esclusiva volontà del Consiglio dei mini- stri, l’unico legittimato alla presentazione del disegno di legge, che a questo punto potrebbe esser definito non tanto e non solo “su iniziativa dei Comuni”, che pure re- sta, quanto soprattutto ed in modo determinante “ad iniziativa legislativa riservata e vincolata” del Governo. Per questi motivi, forse sarebbe onesto prendere atto con freddezza che la soluzione “verticistica” adottata dal Governo con la legge Delrio […] di far coincidere il territorio della città metropolitana sic et simpliciter con quel- lo (dei Comuni) della preesistente Provincia, piaccia o no, realisticamente sia desti- nato a diventare la scelta “definitiva”, in netto contrasto con la flessibilità che un en- te del genere dovrebbe avere. Insomma, se “formalmente” […] è possibile a un Co- mune entrare o uscire da una Città metropolitana, bisogna precisare che “in sostan- za” la complessa procedura prevista rende la cosa praticamente quasi impossibi- le»299.

costituzionalmente adeguata che, per un principio di conservazione, non può non prevalere su quella, contra Constitutionem, presupposta dalle Regioni ricorrenti».

299 Cfr. A.S

PADARO, Le Città metropolitane, tra utopia e realtà, cit., p. 22. Critiche sotto questo profilo alla disposizione normativa censurata sono state mosse anche da F. MONCERI, Spunti di riflessione sull’indefettibilità del principio di democrazia partecipativa nella definizione delle circoscrizioni territoriali provinciali (28 luglio 2014), in www.federalismi.it, Osservatorio sulle Città metropolitane, n. 1/2014, p. 32.

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La Corte costituzionale, nella sentenza n. 50 del 2015, com’è noto, non ha preso alcuna posizione sulla censura, sotto questo specifico profilo, mossa alla legge Del- rio, tra l’altro, dal ricorso della Regione Veneto, con cui è stata additata l’irragionevolezza del procedimento previsto dall’art. 1 comma 6, che assegna al Governo, alla fine, un «ruolo del tutto discrezionale […] non conforme all’art. 133 Cost.», in deroga alla volontà del Costituente che «coerentemente con il proprio di- segno complessivo in tema di autonomie locali, ha ritenuto opportuno che l’impulso relativo alla mutazione delle circoscrizioni provinciali provenisse dal basso, dal po- polo».

Il fatto inoppugnabile è che, a distanza di quattro anni dall’entrata in vigore della legge Delrio, non si registra l’avvio di alcun procedimento volto a determinare l’entrata ovvero l’uscita di un Comune nel oppure dal territorio metropolitano, no- nostante la potenzialità dell’utilizzo di questo meccanismo di flessibilità nella de- terminazione dell’ambito territoriale dell’ente di area vasta.

Forse, la scelta dal legislatore del 2014 non è la soluzione migliore al problema di come regolare i rapporti tra Comuni che gravitano intorno al Comune capoluogo del- la CM ed il sistema di interdipendenze dell’area vasta, rispetto alla quale i grandi di- lemmi della vita collettiva (uso del suolo, trasporti, altri servizi di cittadinanza, inse- diamenti produttivi, produzione e condivisione della conoscenza) si pongono e ri- chiedono soluzione su scale territoriali differenti.

Sarebbero servite, probabilmente, soluzioni sia istituzionali sia pattizie, per go- vernare in maniera efficace questi diversi livelli di potenziale sinergia nel contesto delle conurbazioni che circondano le aree urbane più importanti del nostro Paese. Com’è stato evidenziato da un recente studio realizzato dalla Presidenza del Con- siglio dei ministri, Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie, «è in questi ultimi termini che si pone la sfida che l’Italia ha di fronte. Ed è questa la chiave di lettura principale della volontà legislativa di introdurre anche in Italia (dopo decenni di fortunati fenomeni a livello europeo e internazionale) autorità di governo metro- politano: sfruttare la caratteristica dei principali sistemi urbani, ovvero quella di es- sere, pur nella segnalata estrema complessità, i luoghi in cui è possibile mettere a frutto, come dianzi accennato, il capitale fisico, finanziario, architettonico, culturale,