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1 – La scelta del legislatore del 2014 per il modello “strutturale” Profili di criticità concernenti la perimetrazione del territorio dell’ente di area vasta.

IL MODELLO ISTITUZIONALE DI CITTÀ METROPOLITANA

III. 1 – La scelta del legislatore del 2014 per il modello “strutturale” Profili di criticità concernenti la perimetrazione del territorio dell’ente di area vasta.

Com'è noto, la legge "Delrio", in attuazione del dettato costituzionale delineato dal Titolo V novellato nel 2001 ed in attesa della imminente (come avevano errone- amente auspicato i suoi sostenitori) riforma costituzionale, ha privilegiato la scelta "strutturale" di definizione del modello istituzionale dei nuovi enti di area vasta, su- bentrati, anche nella conformazione del perimetro territoriale, alle Province.

Ribaltando l’impostazione metodologica delle leggi precedenti, che rimettevano la determinazione di istituire l'ente di area vasta oggetto della presente ricerca all’iniziativa degli enti locali del territorio di riferimento, la l. n. 56/2014 ha imposto l’avvio definitivo dell’ente metropolitano ed ha previsto (con l’eccezione di Reggio Calabria, di cui si dirà: cfr. Cap. IV) una tempistica serrata per la messa a regime214: entro il 30 settembre 2014 l’elezione del consiglio metropolitano, entro il 31 di- cembre 2014 l’approvazione dello Statuto, dal 1° gennaio 2015 il subentro nei rapporti attivi e passivi e nelle funzioni delle province omonime, dal 1° luglio 2015 l’attivazione da parte del governo del potere sostitutivo in caso di mancata ap- provazione dello Statuto.

In dottrina, in proposito, si è affermato che l’effetto sia stato quello «della nascita forzosa di un ente a carattere associativo di rilievo costituzionale, il cui assetto in questi termini è solo iniziale e precario, e serve solo alla sua venuta in vita, poiché la sua sistemazione a regime è rimessa alla comunità associata»215.

Con ogni probabilità il legislatore è stato indotto dall’“urgenza” di intervenire nella materia della riorganizzazione del sistema degli enti locali a seguito delle “pressioni” degli organi eurounitari (soprattutto la BCE e la Commissione Europea) nel tentativo di porre argine alla crisi economica 216, come si è accennato nel capito-

214 Cfr. L.V

ANDELLI, Il sistema delle autonomie locali, VI ed., Bologna, 2015, p. 97. 215

In tal senso P.FORTE, Il percorso costitutivo delle città metropolitane: nascita di un ente territoriale, in Le istituzioni del federalismo, n. 2/2014, p. 355.

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In dottrina, in proposito, com’è noto, si è parlato di “legislazione della crisi”. Si v. al riguardo, ex pluribus, S.MANGIAMELI, La nuova parabola del regionalismo italiano: tra crisi istituzionale e necessità di riforme, in AA. VV., Piccolo codice del federalismo, a cura di M. CARABBA e A. CLARONI, Quaderno SVIMEZ, 2012, p. 13 e ss.; G.FALCON, La crisi e l’ordinamento costituzionale, in Le Regioni, 2012, p. 9 e ss.; G.C. DE MARTIN, Il disegno autonomistico disatteso tra contraddizioni e nuovi scenari problematici, in Le istituzioni del federalismo, 2014, p. 8 e ss.; L.

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lo precedente, ed ha definito ed individuato le Città metropolitane italiane senza una preventiva e approfondita riflessione – a ben vedere, invece necessaria – su un fe- nomeno così complesso, che presupporrebbe l’attenta valutazione di diversi fattori, come l’estensione del territorio dell’ente, i flussi di pendolari, la viabilità ed il traffi- co, i trasporti, le regole di pianificazione urbanistica, la dimensione economica, il sostegno allo sviluppo economico locale, la capacità di attrazione di ulteriori abitanti rispetto ai residenti, la tutela dell’ambiente, ecc.

Si tratta di parametri che avrebbero dovuto costituire oggetto di studi pluridisci- plinari, in quanto richiedono la competenza non solo di giuristi, ma anche, tra gli al- tri studiosi: geografi, storici, economisti, sociologi, ingegneri, urbanisti, ecc.

I nodi problematici riconnessi alla definizione di un territorio come “metropolita- no” non sono stati ancora sciolti, anche perché, com’è stato saggiamente rilevato in dottrina, «la Città metropolitana non esiste in sé e per sé: non c’è la categoria della “metropolitanità” nella quale fare confluire e classificare le diverse città per vedere chi sta dentro e chi sta fuori»217.

La definizione di un territorio come “metropolitano” fatta dal legislatore, inoltre, appare sprovvista di criteri oggettivi ed universalmente accettabili.

Si possono invero menzionare, tra gli altri, almeno quattro metodi di rilevazione di concentrazioni urbanistiche sovracomunali, per altro fra loro molto diverse:

a) il “sistema locale del lavoro” (SLL)218, elaborato ed utilizzato dall’Istat al fine di individuare «una griglia territoriale i cui confini, indipendente- mente dall’articolazione amministrativa del territorio, sono definiti utiliz- zando i flussi degli spostamenti giornalieri casa/lavoro (pendolarismo) ri-

VANDELLI, Crisi economica e trasformazioni del governo locale, in Astrid Rassegna, 2011; A. GENTILINI, Regioni ed enti locali nella “legislazione della crisi”: uno sguardo di sintesi, in

www.issirfa.cnr.it; A. DEFFENU, Il ridimensionamento delle Province nell’epoca dell’emergenza finanziaria tra riduzione delle funzioni, soppressione dell’elezione diretta e accorpamento, in Osservatorio sulle fonti, www.osservatoriosullefonti.it, 2012. Di «effetto indiretto» della legislazione della crisi sul superamento della «retorica dell’autonomia» parla, inoltre, C.TUBERTINI, Area vasta e non solo: il sistema locale alla prova delle riforme, in Istituzioni del Federalismo, n. 2/2014, pp. 199- 200. Si v. anche D. TRABUCCO, Il territorio delle Province: tra riordini generali e puntuali. Dal Decreto legge n. 95/2012 alla Legge ordinaria dello Stato n. 56/2014, in www.federalismi.it, n. 1/2015.

217 Così E.B

ALBONI, La città metropolitana tra Regione e comuni interni: luci ed ombre, aporie ed opportunità, 28 luglio 2014, in www.federalismi.it, n. 1/2014, p. 2.

218

La definizione di SLL è fornita dall’Istat nel sito web http://www.istat.it/it/strumenti/territorio- e-cartografia/sistemi-locali-del-lavoro.

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levati in occasione dei Censimenti generali della popolazione e delle abi- tazioni»219; l

b) la “regione urbana funzionale” (FUR: functional urban region), elabora- ta dall’OCSE al fine di identificare aree territoriali più ampie di quelle ri- levate nel SLL, ma comunque legate da vincoli di interdipendenza con- nessi alla mobilità ed alle relazioni produttive, caratterizzate da una po- polazione di almeno 500.000 abitanti220;

c) la c.d. “definizione standard di area metropolitana”, proposta nel 1949 dal Bureau of the Budget, ossia dall’ufficio che svolge le principali re- sponsabilità di preparare e presentare le richieste di budget del Diparti- mento di Stato degli U.S.A., gestendo i requisiti operativi delle risorse del Dipartimento medesimo221;

d) la c.d. “core based statistical area (CBSA)”, costituita da un’area urba- nizzata centrale (core) a cui si aggiungono territori adiacenti caratterizza- ti da forti legami sociali ed economici con la stessa222.

La diversità degli approcci utilizzati per lo studio di un fenomeno così complesso che coinvolge “realtà urbane funzionali”, e la difficoltà nella relativa perimetrazione

219 Un’analisi approfondita sui SLL italiani e sulla nuova geografia di tali articolazioni

geografico-statistiche, in stretta connessione con le aree urbane funzionali definite dall’OCSE si legge in https://www.istat.it/it/files/2015/10/La-nuova-geografia-dei-sistemi-locali.pdf.

220 Si tratta di «aree funzionali che tendono a superare i confini amministrativi, rimanendo legate

più a fenomeni socio - economici che a rigide perimetrazioni» secondo il condivisibile rilievo di G. MOBILIO, Il contributo delle Città metropolitane italiane al processo di integrazione europea su

www.federalismi.it n. 6 del 2018, del 14 marzo 2018, che richiama lo studio pubblicato dall’ OCSE, intitolato OECD, Regions at a Glance, OECD Publishing, 2016, p. 15 e s.

221 Cfr. G.G

RAZIOLA,D.FACCHINETTI,S.A.OSMETTI, che nel lavoro intitolato Distribuzione ed evoluzione della dimensione delle aree metropolitane: il caso italiano, in

http://www.archeogr.unisi.it/asiaa/files/geopop/graziola.pdf, volto a studiare la distribuzione della dimensione delle “aree metropolitane” italiane, rilevano come la definizione standard di area metropolitana sia stata «modificata nel 1959 in “standard metropolitan statistical area (SMSA)” e successivamente nel 1983 in “metropolitan e micropolitan statistical area (MSA e mSA)”» (cfr. specificamente la p. 3).

222 Com’è stato evidenziato, «se l’area urbanizzata centrale ha una popolazione maggiore di

50.000 abitanti le CBSA costituiscono le metropolitan statistical area, se la popolazione è compresa tra 10.000 e 50.000 abitanti le CBSA rappresentano le micropolitan statistical area» (cfr. G. GRAZIOLA,D.FACCHINETTI,S.A.OSMETTI, Distribuzione ed evoluzione della dimensione delle aree metropolitane: il caso italiano, cit., p. 3.

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si possono cogliere maggiormente se, com’è stato evidenziato, solo si consideri «che l’area metropolitana è la forma urbana tipica delle società ad economia avanzata»223. Gli studi internazionali ed europei, soprattutto dell’OCSE e degli organismi co- munitari come Eurostat224, hanno posto l’accento sulla necessità di operare una de- limitazione territoriale “ottimale”, riconnessa alla connotazione “funzionale” dell’area metropolitana a cui ancorare le finalità istituzionali di competenza degli en- ti di area vasta, quali lo sviluppo strategico del territorio metropolitano, la promo- zione e gestione integrata dei servizi, delle infrastrutture e delle reti di comunicazio- ne, la programmazione territoriale nonché degli insediamenti di tipo industriale, commerciale e terziario in stretta correlazione con la necessità di salvaguardare l’ambiente urbano e dell’hinterland, la necessità di garantire la più ampia partecipa- zione dei soggetti coinvolti nelle politiche metropolitane225.

Tratto comune nella maggior parte delle soluzioni escogitate nell’esperienza di alcuni degli Stati europei è comunque la previsione di un “ordinamento differenzia- to” rispetto ai tradizionali livelli intermedi di governo, siano essi provinciali o regio- nali226.

Sorvolando su tali decisive problematiche, la legge Delrio – come si diceva – ha privilegiato la scelta “strutturale”, tralasciando completamente la dimensione “fun- zionale” delle Città Metropolitane e facendo semplicisticamente coincidere i loro confini con quelli amministrativi delle relative Province di appartenenza. Ne conse- gue che le finalità istituzionali di loro competenza, sono state ancorate ad una deli- mitazione territoriale non ottimale (ovvero, rectius, almeno, non ottimale in tutti i casi).

Invero, l’individuazione delle dieci Città metropolitane interessate non sembra rispondere a criteri razionalmente omogenei.

223 Così E.E

RCOLE, La crescita metropolitana, in AA.VV., La dimensione metropolitana, a cura di G.MARTINOTTI, Bologna 1999, p. 192.

224 Cfr., tra gli altri, A

A.VV., Redefining Urban: a new way to measure metropolitan areas, OCSE Publishing 2012.

225 Per es. cfr., ex pluribus, M.L

IPSKY, Street-level Bureaucracy. Dilemmas of the Individual in Public Services, New York 1980.

226 Un’attenta analisi delle esperienze maturate nel Regno Unito, in Francia e in Spagna è

effettuata da G.MOBILIO, Le Città metropolitane. Dimensione costituzionale e attuazione statutaria, cit., p. 167 e ss.

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È facilmente percepibile da chiunque come le Città metropolitane individuate siano tra loro eterogenee in termini di estensione del territorio, densità abitativa, in- terdipendenza dei centri abitativi, Pil, concentrazione di attività produttive, servizi ed infrastrutture, ecc.

Se la legge avesse voluto utilizzare un criterio di mera dimensione demografica, forse avrebbe dovuto individuare quali Città metropolitane esclusivamente quelle di Roma, Milano e Napoli227.

Ma evidentemente, non è stata questa la determinazione del legislatore, il quale ha effettuato una scelta volta forse a coinvolgere più entità territoriali possibili per intercettare i finanziamenti comunitari, senza, tuttavia utilizzare alcun criterio selet- tivo: non si spiega, esemplificativamente, come la Provincia di Brescia, seppur abbia una popolazione residente di poco superiore a quella di Bari228, non sia stata costitui- ta come Città metropolitana, al pari delle Province di Bergamo e di Salerno, che ri- sultano più popolate di quelle di Bologna o Firenze229.

Se, invece, l’intento della legge fosse stato quello di utilizzare la densità di popo- lazione, Napoli risulta la Provincia a più alta densità demografica, ma subito dopo si posiziona la provincia di Monza e di Brianza.

Quanto all’estensione territoriale, pare ictu oculi evidente come Napoli e Milano siano sottodimensionate, mentre Torino e Bari siano sovradimensionate. Parados- salmente, in questo caso, Reggio Calabria sarebbe avvantaggiata (avendo uno dei Comuni con maggiore superfice d’Italia).

Il caso "siciliano" è particolarmente singolare perché, sulla base dell’autonomia statutaria speciale, vi sono tre città metropolitane (Palermo, Catania e Messina), ma nessuna delle tre in realtà, salvo forse Palermo, sarebbe “funzionale” al disegno di revisione del sistema degli enti di “area vasta” italiano, mentre in realtà servirebbe

227 Secondo molti, ed in particolare A.S

PADARO (Riflessioni sparse sul regionalismo italiano. Il caso delle Regioni meridionali, in corso di pubblicazione su Le Regioni, n. 4-5/2017, p. 5), esse sarebbero da considerarsi come «le uniche 3 vere Città metropolitane italiane».

228 Secondo i dati Istat, la popolazione residente al 30 settembre 2017 nella Provincia di Brescia

ammonta ad 1.261.818 di abitanti, mentre la popolazione residente nella Città metropolitana di Bari al 30 aprile dello stesso anno ammonta ad 1.260.353 abitanti.

229 La popolazione residente nella Provincia di Bergamo al 30 settembre 2017, secondo i dati Istat,

è di 1.112.438 abitanti e quella residente nella Provincia di Salerno, al 28 febbraio 2017, è di 1.103.245 abitanti, mentre la popolazione residente, rispettivamente, nelle Città metropolitane di Bologna e di Firenze, (alla data del 30 giugno 2017 per la CM felsinea) è di 1.009.828 abitanti e di 1.015.000 abitanti (alla data del 31 agosto 2017 per la CM fiorentina).

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per ragioni di conurbazione di fatto – ma di ciò non v’è traccia, almeno giuridica, di rilievo – una Città metropolitana dell'Area dello stretto (Reggio C. + Messina), ma sul punto diremo meglio nella parte finale della presente ricerca.

Insomma, un certo disordine e una certa vaghezza di obiettivi ha caratterizza- to il lavoro del legislatore.

Per esempio, come si può immaginare nel piano strategico che Genova di- venti il grande porto del nord (e la CM di Genova svolga la fondamentale “funzione strategica” di promuovere un più stretto legame con le aree industriali del Piemonte e della Lombardia), quando questa non è funzionalmente collegata né con Milano né, soprattutto, con Torino, atteso che la scelta di delimitare il territorio della CM di Torino non è stata orientata verso la parte meridionale della Regione, id est proprio vicino alla Liguria e quindi a Genova, ma verso la parte settentrionale?

Disordine e disfunzionalità dell’opera del legislatore del 2014 riguardano an- che la delimitazione del territorio metropolitano di Firenze, il cui perimetro provin- ciale, com’è stato rilevato, «esclude dalla CM i Comuni pratesi e pistoiesi, che ov- viamente sono parte dell’”area metropolitana”»230.

Forse, attraverso la scelta “funzionale”, rispetto a quella strutturale, si sarebbero potute trovare soluzioni più adeguate ai problemi su divisati. Soprattutto, com’è sta- to evidenziato in dottrina, si sarebbero potute individuare «con più flessibilità, le so- luzioni comparto per comparto, caso per caso, dei problemi urbani- metropolitani»231.

Certo, non si può escludere che il modello “strutturale” introdotto con la l. 54 del 2014 – di mera sovrapposizione del territorio metropolitano al territorio provinciale e di subingresso dell’istituito “nuovo” ente di area vasta alla “vecchia” Provincia – impedisca che la CM si avvalga positivamente di procedure partecipate e stipuli ac- cordi con altri enti pubblici e/o privati volti, ad es., alla gestione in comune di servizi per la cittadinanza, ovvero alla fruizione in comune di fondi comunitari in funzione del perseguimento di finalità condivise (per es. la condivisione di progetti volti a va-

230 Cfr. in tal senso, A.S

IMONCINI,G.MOBILIO, L'identità delle Città metropolitane attraverso i loro Statuti, in Le Regioni, n.4/2016, p. 674.

231

Cfr. E.BALBONI, La città metropolitana tra Regione e comuni interni: luci ed ombre, aporie ed opportunità, cit., p. 3

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lorizzare l’appeal turistico di un territorio, o la gestione in comune di servizi di tra- sporto).

Com’è stato rilevato, probabilmente «sarà questo il banco di prova sul quale mi- surare le capacità delle nuove istituzioni di non essere e di non apparire meramente aggiuntive rispetto alle due esistenti: Comune e Regione, ma effettivamente portatri- ci di una modalità di confronto tra i diversi attori, istituzionali e non. Ciò dovrebbe aver luogo attraverso una attenta e intensa partecipazione delle imprese, profit e non profit, accanto alle associazioni, ai gruppi di interesse e ai comitati di cittadini e- spressivi di un tipo di partecipazione attiva ma responsabile, il che potrebbe segnare anche un innalzamento della qualità del nostro dibattito pubblico»232.