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Femminicidio e tutela degli orfani.

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione pag. 1

1. Violenza di genere: un fatto universale. pag. 6

1.1 Una, tante forme di violenza. pag. 7

1.2 Femminicidio. pag. 14

1.3 Evoluzione legislativa: la violenza di genere dal Codice Rocco alla riforma

del diritto di famiglia. pag. 17

1.3.1. La violenza di genere negli anni ’90. pag. 19

1.3.2. Le novità legislative degli ultimi anni. pag. 20

1.3.3. L’evoluzione legislativa a livello internazionale. pag. 22 1.4 Le leggi non bastano a fermare la violenza contro le donne. pag. 32

1.5 I punti deboli della legge sul femminicidio. pag. 35

2. Diritti dei minori tra protezione e tutela. pag. 41

2.1 Il riconoscimento dei diritti del bambino. pag. 42

2.2 La famiglia: ambiente privilegiato per la crescita del bambino. pag. 47

2.3 Il tutore legale. pag. 49

2.4 La famiglia in difficoltà e l’istituto dell’affidamento. pag. 53 2.5 Quando l’affido riguarda gli orfani “speciali”: i pro e i contro di questo

intervento. pag. 59

2.6 L’educazione familiare come strumento di prevenzione e cura del disagio. pag. 65

2.7 L’adozione. pag. 68

2.8 L’abbandono come principale presupposto per l’adozione. pag. 71

2.9 Le principali forme di adozione. pag. 73

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3. Prospettive di aiuto alle vittime dirette e indirette del femminicidio. pag. 80 3.1 La presa in carico del minore e le funzioni dell’Assistente sociale. pag. 81

3.2 Le comunità alloggio per minori. pag. 89

3.3 Come prevenire il femminicidio. pag. 93

3.4 Il sostegno alle donne vittime di violenza familiare: il ruolo del Servizio

Sociale e dei Centri antiviolenza. pag. 96

4. Dimenticati e ignorati: bambini vittime indirette della violenza

intrafamiliare. pag. 99

4.1 L’ esperienze sfavorevoli infantili. pag. 100

4.2 La violenza assistita. pag. 103

4.3 Bambini orfani due volte. pag. 107

4.4 Progetto Swicth-off. pag. 111

4.5 Percorsi di aiuto. pag. 113

4.6 Proposta di legge della regione Basilicata per il riconoscimento dello stato

di orfano da uxoricidio. pag. 118

4.7 Prestazioni a favore degli orfani da femminicidio nei Paesi Bassi. pag. 120

4.8 Il Garante dell’infanzia e dell’adolescenza. pag. 120

4.8.1. Modelli europei a confronto. pag. 122

4.8.2.Il Garante dell’infanzia e dell’adolescenza nel contesto italiano. pag. 128

Conclusioni. pag. 133

Bibliografia. pag. 137

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1 Introduzione.

Femminicidio si ha in ogni contesto, storico e sociale, ogni volta che la donna subisce violenza fisica, psicologica, economica, sociale e religiosa, quando non può esercitare i diritti fondamentali perché donna. L’obiettivo di questo elaborato è parlare del femminicidio non per denuncia ma per rendere pubblico un problema da sempre considerato privato perché, esercitato dagli uomini sulle donne, all’interno del focolare domestico. Il femminicidio spesso è solo l’ultimo grado di climax e solo raramente è il frutto di un momento d’ira improvvisa. La maggior parte sono delitti annunciati, preceduti da anni di maltrattamenti sessuali, psicologici, fisici ed economici.

Nelle terribili storie di femminicidio c’è anche un capitolo nascosto e quasi mai ricordato: i figli che sopravvivono alle madri uccise dai loro compagni. Sono orfani due volte o perché i padri dopo aver tolto una vita si sono suicidati o perché sono finiti in carcere. Quello dei bambini orfani a causa del femminicidio è un problema sociale non secondario e da non sottovalutare anche se nella realtà viene trascurato sia a livello sociale che a livello politico.

La legge infatti non tutela questi soggetti e i mass media concentrano il loro interesse solo sul massacro della donna, che produce più ascolti, e non su cosa viene dopo. È soprattutto quest’altra faccia del femminicidio ad essere oggetto di questa analisi. Certamente le prime vittime di questa tragedia sono le donne ma non vanno dimenticati anche i loro figli che hanno subito una delle perdite più dolorose della vita, la morte della madre. Dietro le donne uccise c’è dunque una vera e propria emergenza finora sottaciuta. Gli orfani da uxoricidio sono un vero e proprio esercito che rimane invisibile, non tutelato da una legge specifica ma trattato alla stregua degli altri orfani anche se la loro storia è diversa. Pertanto il protagonista di questo lavoro è il bambino e la sua tutela dopo un evento traumatico di tale portata. Dunque l’analisi non è focalizzata solo sul fenomeno del femminicidio ma soprattutto sulla tutela degli orfani, vittime di cui nessuno parla mai. La società invece deve conoscere questo lato oscuro del femminicidio, deve raggiungere la consapevolezza

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che non è solo la morte di una donna ma spesso anche di una madre. La loro morte determina un esercito di bambini che perdono ogni punto di riferimento e che gridano aiuto.

Pertanto questo percorso di riflessione pone in primo piano il bambino in quanto soggetto di diritti che meritano tutela. Che ne sarà di questi bambini? Quello che questi orfani faranno, come vivranno e chi si prenderà cura di loro rimane quasi sempre un triste punto interrogativo. Ovunque questi orfani sono la voce delle donne uccise ma sono anche la parte dimenticata che ha pagato il prezzo più alto.

Grazie all’analisi e alla riflessione, che sta alla base di questo lavoro, ho assunto consapevolezza che nonostante i progressi raggiunti, sia a livello giuridico che socio-culturale, rimane ancora molto da fare in favore di donne e bambini, vittime di violenza di genere. Il problema principale consiste nella mancanza di conoscenza del problema e delle sue cause profonde. Anche le strategie di intervento sono frammentate e le risorse disponibili insufficienti.

La tesi si compone di quattro capitoli in ognuno dei quali viene analizzato un aspetto specifico della tematica affrontata mantenendo l’interesse fermo sulla dimensione dei diritti del minore e sulle possibili modalità di intervento in favore della sua tutela. L’elaborato punta l’attenzione sulla mancata conoscenza del problema e sulle prospettive di aiuto in favore di quelli che rappresentano il lato nascosto di un fenomeno sociale in continua espansione, i figli che rimangono privi della figura materna in seguito alla sua uccisione. I bambini in oggetto sono orfani per ben due volte, perdono infatti entrambe le figure genitoriali. La madre ha perso la vita e il padre o si suicida o è in carcere accusato della morte della madre dei suoi figli.

Il primo capitolo analizza il fenomeno della violenza di genere descrivendo quelle che sono le forme e le modalità in cui si manifesta. La violenza di genere mette in evidenza gli aspetti peggiori dei rapporti tra le persone, è dunque la manifestazione estrema della disuguaglianza. All’interno del

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capitolo viene analizzato nel dettaglio il fenomeno del femminicidio nelle sue diverse sfaccettature esponendo anche i punti cardini della legge contro tale violenza e i suoi punti deboli. Dalla analisi effettuata è emerso che nonostante i progressi fatti, alle donne resta ancora una lunga strada da percorrere per collocarsi in posizione di uguaglianza in rapporto agli uomini. Sempre all’interno del primo capitolo vengono analizzati i progressi raggiunti in ambito storico e legislativo ponendo l’attenzione sui cambiamenti che si sono determinati sia a livello nazionale che a livello internazionale.

In Italia i primi riconoscimenti a livello giuridico si hanno con la riforma del diritto di famiglia del 1975 con la quale decade il concetto di abuso di correzione e afferma, in accordo con i principi costituzionali, il principio di parità nel rapporto tra i coniugi. Segue la legge n.66 del 1996 che introduce un concetto di rapporto sessuale che restituisce alla vittima piena dignità, poiché il reato di violenza sessuale viene finalmente inserito nei reati contro la persona. È solo però con la legge n.154 del 2001 che vengono introdotti gli ordini di protezione che il giudice può adottare nei confronti del coniuge la cui condotta sia causa di grave pregiudizio nei confronti dell’altro coniuge, compagno o convivente. Nel 2009 poi con la legge n.38 lo stalking entra a far parte del nostro ordinamento introducendo il reato di atti persecutori. L’ultimo riconoscimento a livello giuridico si ha nel 2013 con il decreto che va sotto il nome di “Prevenzione e contrasto della violenza di genere” tradotto poi nello stesso anno nella omonima legge n.119. Anche a livello internazionale sono state prese misure di contrasto alla violenza di genere. Il primo documento è stata la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna approvata nel 1979 dall’ONU. In seguito, nel 1993, viene approvata la Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne, considerata una violazione dei diritti umani. Qualche anno dopo, nel 1999, l’ONU proclama il 25 Novembre la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. E ancora nel 2001 viene firmato da 72 paesi la Sintesi del protocollo relativo alla Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne. Infine nel

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2011 viene proclamata la Convenzione di Istanbul per la prevenzione e il contrasto della violenza sulle donne, ratificata in Italia nel 2013. Nel secondo capitolo si pone l’attenzione su quelli che sono i diritti dei minori con particolare enfasi sul tema della loro protezione e tutela. La tutela dei diritti deve essere garantita ad ogni fanciullo senza distinzione di razza, di colore, di sesso, di lingua e di religione. Si tratta infatti di diritti fondamentali che devono essere riconosciuti anche agli orfani da femminicidio poiché spettano ad ogni minore in quanto tale. Non vanno dimenticati i riconoscimenti che nel tempo sono stati raggiunti nell’ambito dei diritti dei bambini, dettagliatamente descritti all’interno di questo capitolo. In particolare il primo riconoscimento del bambino avviene con la Dichiarazione dei diritti del Fanciullo del 1959. In seguito, nel 1989, viene promulgata la Convenzione sui diritti del fanciullo che esplicita quelli che sono i diritti fondamentali del minore. Per quanto riguarda l’Italia va menzionata sicuramente la legge n. 184 del 1983 recante “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori” successivamente modificata dalla legge n.149 del 2001. Il principio fondamentale di questa legge è racchiuso nel primo articolo secondo cui il minore ha diritto ad essere educato nell’ambito della propria famiglia. Pertanto la famiglia viene considerata il luogo privilegiato per la soddisfazione dei diritti e dei bisogni dei bambini e nell’interesse del minore l’ordinamento prevede varie misure nei casi in cui la famiglia non è grado di adempiere adeguatamente alle proprie funzioni. La legge prevede a tal proposito degli istituti a protezione del minore in oggetto. La tesi sposta pertanto l’interesse sul tema della tutela legale, che viene aperta ogni qual volta i genitori siano morti o non siano nelle condizioni di esercitare la potestà genitoriale, e sull’istituto dell’affidamento familiare predisposto quando la famiglia biologica non è in grado di svolgere le proprie funzioni o non esiste più in seguito alla morte della madre e alla morte o detenzione del capo famiglia. Un’altra soluzione individuata dai Tribunali per i minorenni è l’adozione, istituto descritto e analizzato in dettaglio all’interno dell’elaborato. Viene esposto il tema dell’abbandono come principale presupposto per l’adozione, le principali forme di adozione e il diritto dell’adottato a conoscere le proprie origini.

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Nel terzo capitolo vengono descritti vengono indicate le possibili prospettive di aiuto in favore di donne e bambini entrambe vittime, anche se diversamente, del femminicidio. Si riflette sulla presa in carico del minore da parte dei servizi e sulla comunità alloggio come ulteriore intervento a tutela di quei bambini privati di un ambiente di crescita sufficientemente sereno. Il capitolo prosegue analizzando le possibili modalità intervento per prevenire il fenomeno del femminicidio e il ruolo del Servizio sociale e dei Centri antiviolenza a sostegno delle donne vittime di violenza intra familiare.

Infine nel quarto e ultimo capitolo si fa riferimento all’altra faccia del femminicidio ovvero i bambini vittime indirette della violenza intra familiare. Sono minori dimenticati e ignorati dalla società. L’analisi si concentra sulle esperienze sfavorevoli infantili ponendo l’attenzione sulle conseguenze che la violenza assistita può avere sui bambini. L’analisi si sposta poi sulle prospettive di aiuto e le proposte di legge esistenti per affrontare le difficoltà e il disagio di un orfano solo e indifeso. Allo stato attuale non esistono, nel contesto italiano, protocolli specifici a tutela dei cosiddetti orfani speciali. Pertanto l’attenzione, all’interno della tesi, si sposta sull’analisi del progetto Switch-off ideato a livello europeo per mitigare l’emergenza, ridurre gli impatti emotivi e individuare per ogni minore vittima di femminicidio la strategia più adatta. Inoltre si fa riferimento, nel corso del capitolo, al Garante dell’infanzia e dell’adolescenza come figura in favore del minore.

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CAPITOLO PRIMO

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1.1 Una, tante forme di violenza.

La violenza alle donne, fisica e psicologica, mette in evidenza gli aspetti peggiori e più insidiosi dei rapporti tra le persone e soprattutto tra i sessi. Questo problema però non investe soltanto il singolo aggressore e la vittima ma l’intera società, chiamando in causa le sue norme, le regole di socializzazione, i valori, la cultura. Donne e uomini sono socializzati fin da bambini in modo diverso: ai maschi si lascia maggiore libertà, essi interiorizzano una maggior sicurezza di sé, vengono socializzati a praticare forme di aggressività. Le donne invece vengono socializzate a sentirsi bisognose di protezione, e imparano che la sicurezza è in casa e che l’uomo dà protezione1. Nella realtà dei fatti la casa spesso è uno dei luoghi meno sicuri per le donne che subiscono violenza, essa risulta essere una protezione per l’uomo, che può esercitare il proprio controllo, rafforzato dalla paura femminile. Emerge dunque che la violenza di genere si fonda sulla disparità tra i sessi che vede la donna in una posizione di sudditanza rispetto all’uomo, ciò è il risultato di un’educazione maschilista che legittima in un certo senso l’uso della forza nei rapporti tra i sessi specialmente in casa.

La violenza sulle donne è un problema di livello mondiale. Ogni paese, ciascuno con la propria cultura e stile di vita, affronta questo fenomeno in maniera diversa. Infatti il modo di essere donna e vivere la propria femminilità è differente in base alla propria cultura e religione.

L’alto numero di casi che registrano i maltrattamenti e violenze subite dalle donne da parte degli uomini, evidenzia lo squilibrio di potere esistente tra l’universo femminile e quello maschile. Il permanere del modello maschile, tipico della cultura patriarcale, funge da ostacolo e condiziona lo sviluppo di una diversa identità nelle modalità di relazione con quello femminile. La violenza sulle donne è perciò una violenza di genere espressione di quella volontà di dominio e controllo che gli uomini vogliono continuare ad esercitare sulle donne.

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La realtà sociale ci dimostra che nonostante la proclamazione dell’uguaglianza tra uomini e donne, come valore superiore, diritto fondamentale e principio generale, la ratifica del diritto alla non discriminazione per ragione di sesso, così come del mandato conferito ai poteri pubblici di rimuovere gli ostacoli che limitano od ostacolano l’uguaglianza reale ed effettiva, alle donne resta ancora una lunga strada da percorrere per collocarsi in posizione di uguaglianza in rapporto agli uomini per quanto riguarda la possibilità di godere dei diritti che spettano loro in quanto cittadine.2 Gli ostacoli con i quali si confrontano le donne per procedere nell’uguaglianza reale ed effettiva, sono direttamente correlati ai ruoli definiti da determinati stereotipi, che le pongono in una situazione d’inferiorità, sottomissione e dipendenza dagli uomini.

La resistenza sociale al cambiamento di questi ruoli aggrava le difficoltà a far sì che i diritti fondamentali giuridicamente riconosciuti siano esercitati a parità di condizioni dagli uomini e dalle donne. Sono questi modelli di comportamento socioculturale - la persistenza sociale nell’assegnazione di ruoli diversi in funzione del sesso, basati su un modello di società che sostiene e tollera norme, valori e principi che perpetuano la posizione d’inferiorità delle donne - che, a loro volta, alimentano le profonde radici della violenza di genere.

La violenza di genere è, pertanto, la manifestazione estrema della disuguaglianza, la manifestazione di un deficit di democrazia e uno dei sintomi dell’incompleta cittadinanza delle donne che ha la sua massima espressione nelle relazioni di coppia. In questo spazio, l’ampiezza del fenomeno della violenza si scontra giorno dopo giorno con i diritti fondamentali di cittadinanza di molte donne - diritto alla vita, all’integrità fisica e psichica, alla salute, alla dignità e alla libertà - che costituiscono i valori inviolabili della persona sui quali si fonda il nostro ordine democratico. La Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’eliminazione della violenza contro le donne del 1993 aveva già definito la violenza sulle donne e dei minori violenza di genere.

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Parlare di violenza di genere significa mettere in luce la dimensione sessuata del fenomeno in quanto manifestazione di un rapporto tra uomini e donne storicamente diseguali che ha condotto gli uomini a prevaricare e discriminare le donne.3

Nel 2006 l’Istat nell’ Indagine Multiscopo sulla Sicurezza delle donne, definisce i vari tipi di violenza e li classifica in: violenza fisica, sessuale, psicologica, e comportamenti persecutori che sono scindibili in determinati comportamenti e azioni.

La violenza fisica si distribuisce lungo un continuum di gravità che vede come categorie definite la minaccia di essere colpita fisicamente, l’essere spinta, afferrata o strattonata, l’essere colpita con un oggetto, schiaffeggiata, presa a calci, a pugni o a morsi, il tentativo di strangolamento, di soffocamento, l’ustione e la minaccia con armi4. Essa è la violenza più visibile perché segna il

corpo della donna.

La violenza sessuale invece consiste nel ledere la sessualità e l’intimità della donna, comprende tutte quelle situazione in cui la donna è costretta ad atti sessuali contro la sua volontà : stupro, tentato stupro, molestia fisica sessuale, rapporti sessuali con terzi, rapporti sessuali non desiderati subiti per paura delle conseguenze, attività sessuali degradanti umilianti5. Questo tipo di violenza è poco riconosciuta all’interno del matrimonio poiché è coperta dall’idea di adempiere agli obblighi coniugali, spesso si manifesta un consenso viziato da parte delle donne per paura di subire una violenza fisica, a tal proposito si parla di stupro coniugale.

La violenza psicologica è la prima in ordine di apparizione, è la base sulla quale si manifestano gli altri tipi di violenza, è quella più invisibile agli occhi degli altri. Essa si concretizza in denigrazioni davanti ad altri: l’umiliazione della donna nella gestione dei figli, della casa, nell’aspetto fisico e

3 Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne del 20/12/1993. 4 R. Garofoli, Manuale di diritto penale, Giuffrè 2007, p. 56

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nell’abbigliamento, il controllo dei comportamenti e il processo di isolamento con cui l’uomo cerca di limitare i contatti della donna con gli esterni e anche con la famiglia d’origine.6

Sempre nella categoria della violenza sessuale rientra il “date rape” ovvero lo stupro da appuntamento, è la violenza che si realizza da parte di un uomo che si sente legittimato ad avere rapporti sessuali con una donna, in quanto esce con lei ed inizia a frequentarla, nonostante non ci sia il consenso della stessa. Si concretizza in azioni come: costringere la donna a rapporti sessuali non voluti, obbligarla a pratiche sessuali, a rapporti sessuali con terzi, a prostituzione.7

Possiamo considerare violenza psicologica anche la violenza a matrice religiosa, che è una forma di maltrattamento che può verificarsi in coppie miste e si realizza sia quando non si permette alla donna di esercitare le pratiche della propria fede religiosa sia nei casi in cui si obbliga la compagna a seguire le tradizioni religiose del violento. Consiste nel ledere la sfera spirituale della donna e si concretizza in azioni come ridicolizzare la donna quando segue le pratiche della propria religione, costringerla a compiere atti contrari ai suoi principi o a non compiere quelli che sono ritenuti obbligatori, imporle la propria religione relativamente al modo di comportarsi, all’abbigliamento e alla alimentazione.8

Per comportamenti persecutori, stalking, si intendono quegli atti e atteggiamenti che incutono timore alle donne, perpetrati da un partner al momento o dopo la separazione, si tratta di un tipo di violenza da poco riconosciuta a livello normativo in Italia con la legge n.38 del 2009. 9

Spesso è un segnale che precede un tentativo di omicidio della donna, consiste nel ledere la libertà e la sicurezza della stessa. Si concretizza in azione come: invio indesiderato di fiori, regali,

6 Ravazzolo T., op. cit., p.20 7 ibidem

8 ibidem

9 Legge n.38/2009: Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonche' in tema di atti persecutori.

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pedinamenti, minacce telefoniche, appostamenti presso l’abitazione della donna o presso quella della famiglia di origine, il luogo di lavoro, e di formale frequentazione.10

Rientrano nella violenza interpersonale in ambito familiare anche la violenza assistita dai bambini che sono testimoni della violenza esercitata su una figura di riferimento e il femminicidio che indica gli omicidi di donne per il semplice motivo di essere donne e quindi considerate oggetto di proprietà dell’uomo. 11

Ancora la violenza contro le donne è definita dall’OMS12 come: ogni atto, legato alla differenza di sesso, che provochi o possa provocare un danno fisico, sessuale o psicologico o una sofferenza della donna compresa la minaccia di tali atti, la coercizione o arbitraria coercizione della libertà sia nella vita pubblica che in quella privata.13

Le diverse forme di violenza sulle donne sono sempre espressione di un sistema di valori, di un modello di relazioni, di un’ idea della sessualità basati sulla disuguaglianza tra uomini e donne a tutti i livelli della vita sociale. Anche quando non porta alla morte, la violenza ha ricadute importanti sulla salute fisica e psichica delle donne. L’OMS ha evidenziato le principali conseguenze della violenza domestica sulla salute delle donne: depressione, tendenza al suicidio, ansia e attacchi di panico, bassa autostima, disfunzioni sessuali, disturbi dell’alimentazione, disturbi ossessivo-compulsivo, disturbo post-traumatico, abuso di farmaci, alcool e droghe. La maggior parte di queste violenze, però, rimane sommersa. Secondo l’indagine Istat del 2006 le vittime non solo non denunciano, ma il 33% delle donne che hanno subito violenza dal partner e il 24% di quelle che l’hanno subita da un non-partner non parlano con nessuno di quanto è accaduto.14 Nel silenzio si consuma la violenza e dal silenzio continua ad essere avvolta. I danni sulla salute fisica e

10 Ravazzolo T., op. cit., p. 24 11 ibidem

12 Organizzazione Mondiale della Sanità.

13 Le informazioni riportate sono interamente consultabili sul sito internet www.zeroviolenzadonne.it

14 BarlettaR., Federici A., Muratore M. G., La violenza contro le donne. Indagine multiscopio sulle famiglie “Sicurezza

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psichica che la violenza determina sono quindi non prevenibili se non si attivano risorse e soluzioni innovative in grado di spezzare la spirale che incatena in un medesimo destino anche le generazioni future. La possibilità di raccontare richiede la presenza di chi sappia ascoltare. Quando le vittime incontrano qualcuno disposto ad ascoltarle, ed aiutarle a chiamare con il giusto nome le ferite che hanno subito, possono finalmente raccontare tutto l’orrore e iniziare il percorso di superamento del trauma. Il timore dell’iter giudiziario, che può essere effettivamente lungo e non facile da affrontare, è uno dei motivi per cui le donne hanno difficoltà a denunciare le violenze subite, insieme alla paura di ritorsioni da parte dell’aggressore, al senso di colpa per non essere state capaci di difendersi, alla vergogna di rendere pubblici dei particolari vissuti come umilianti. Vi è inoltre una difficoltà a riconoscersi come vittima, a chiamare violenza sessuale un rapporto subito dal partner abituale, anche se solo per evitare ripercussioni o violenze fisiche peggiori. Le motivazioni per cui la violenza domestica viene taciuta sono complesse, legate al ruolo sociale della donna, alla dipendenza economica dal marito, alla paura di rimanere sola, alla difficoltà di riconoscere il fallimento del proprio progetto di vita, al tentativo di mantenere unita la famiglia per timore delle ripercussioni sui figli. Aiutare le donne vittime di violenza domestica può essere quindi molto complesso. Inoltre le donne spesso chiedono aiuto ai medici, si rivolgono al pronto soccorso, ma con richieste non esplicite.

I progetti, che vengono condivisi con le donne, richiedono la collaborazione e l’integrazione con la rete dei servizi pubblici e del privato sociale che, con le loro specificità e professionalità, possono soddisfare i molteplici bisogni delle vittime di violenza domestica (comunità di accoglienza, luoghi protetti, sostegno psicologico ai figli, testimoni o a volte vittime della violenza del padre, assistenza legale…)

È possibile individuare alcuni fattori che aumentano nella donna il rischio di divenire vittima di una relazione violenta: modelli socio-educativi che vedono la donna dipendente e subordinata e che

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affermano la funzione di cura materna a scapito dei desideri e bisogni personali, modelli relazionali disfunzionali nella famiglia di origine, cure discontinue in età minore, dipendenza da alcool o sostanze nelle figure parentali, mancanza di contatto e fiducia con i genitori, maltrattamento o abuso sessuale in età minore.15

Occorre specificare però che tali fattori di rischio non implicano una sorta di responsabilità della donna nel creare la relazione violenta, ma si riferiscono semplicemente ad una maggiore vulnerabilità al fenomeno. Le caratteristiche personali comuni alle donne vittime di relazioni violente fanno riferimento soprattutto alle conseguenze della violenza subita: sfiducia nei confronti degli uomini, bassa autostima, stress, depressione, isolamento, forte dipendenza dal partner. Tale dipendenza si esplicita in molti contesti, da quello emotivo a quello economico. La maggior parte delle volte infatti la donna non lavora, è impegnata esclusivamente nell’attività domestica e nell’accudimento dei figli. Si tratta di donne essenzialmente sole: sole perché in contatti labili con la famiglia di origine, sole perché senza amici, senza sostegno dalla rete formale o informale, e possiedono una scarsa autostima. Invece il profilo di personalità dell’aggressore rivela spesso una persona intensamente dipendente dalle relazioni intime e timorosa di essere abbandonata, ma incapace di mantenere relazioni a causa della rabbia e dell’impulsività. Si tratta di uomini che possiedono uno stile relazionale violento, a volte anche al di fuori dalla famiglia. Queste modalità comportamentali possono essere influenzate da diversi fattori: trasmissione intergenerazionale di violenza, abuso di alcool o di sostanze, isolamento sociale, insoddisfazione del rapporto coniugale.16

Un bambino che cresce in una famiglia in cui le modalità comportamentali sono di tipo violento tenderà ad acquisire tali modelli ,vivendoli come normali o comunque possibili, un padre violento può far soffrire e i figli possono giurare che mai saranno come lui, ma ugualmente la violenza entra

15 Ventimiglia C., La differenza negata. Ricerca sulla violenza sessuale in Italia, F.Angeli, Milano, 1988, p.69. 16Ibidem, p. 70

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nel loro mondo interno fin dall’infanzia come un modello ingiusto e doloroso ma allo stesso tempo ammissibile e concreto.17 Seppure i soggetti che assistono alla violenza non sono direttamente coinvolti il danno che ne ricevono non è minore, sia in termini di traumatizzazione, sia sotto forma di apprendimento di modalità relazioni disfunzionali. Uno degli effetti dannosi della violenza assistita è l’innalzamento della soglia di sopportazione poiché colui che assiste ripetutamente agli episodi di abuso tende, a lungo andare, a considerarli ammissibili e a farli rientrare nella norma interiore.

1.2 Femminicidio.

Femminicidio: “ogni pratica sociale violenta fisicamente o psicologicamente,

che attenta all’integrità, allo sviluppo psicofisico, alla salute, alla libertà

o alla vita delle donne, col fine di annientare l’identità attraverso

l’assoggettamento fisico e psicologico, fino alla sottomissione o alla morte

della vittima nei casi peggiori e ancora violenza fisica, psicologica,

economica, istituzionale, rivolta contro la donna- in quanto donna-

perché non rispetta il ruolo sociale impostole”18.

Femminicidio si ha in ogni contesto storico o geografico, ogni volta che la donna subisce violenza fisica, psicologica, economica, normativa, sociale, religiosa, in famiglia e fuori, quando non può esercitare i diritti fondamentali dell’uomo, perché donna, ovvero in ragione del suo genere.19 Femminicidio è stata la caccia alle streghe, è la persecuzione delle donne lesbiche, sono le

17 Stefano Cirillo, Cattivi genitori, Cortina editore, Milano, 2005, p. 65

18Spinelli B., Femminicidio dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale, F. Angeli, 2008, p.15. 19 Ibidem, p. 23

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mutilazioni genitali femminili, è l’aborto selettivo in Cina, sono le vedove bruciate insieme al marito morto in India, le donne indù acidificate dalla famiglia del marito per la dote poco consistente. Femminicidio è in alcune contee degli Stati Uniti, e in altri Paesi dell’occidente globalizzato, la legalizzazione dello stupro del coniuge, non punibile. Femminicidio sono le donne che muoiono di Aids perché il partner non le informa essere sieropositivo, femminicidio è la violenza domestica esercitata da padri padroni, mariti, partner, fidanzati, ex, che silenziosamente uccide e fa suicidare milioni di donne nel mondo, è la morte vivente di quelle donne che subiscono abusi in famiglia e non riescono più a riprendere una vita normale.20

Femminicidio, in sostanza, è ogni forma di violenza o discriminazione esercitata contro la donna in quanto donna, come forma di esercizio di potere sulla sua psiche o sul suo corpo, volto ad annientarla perché non è quello che l’uomo o la società vorrebbero che fosse, perché esercita la sua libera determinazione rompendo gli schemi, ribellandosi al ruolo sociale di moglie, madre, figlia, amante, suora, che le è stato attribuito dagli uomini in una società patriarcale.21

L’indifferenza e la violenza di genere in tutte le sue forme fisiche, psicologiche, relazionali, fanno parte di un unico meccanismo sociale volto a mantenere ferma la posizione di subalternità delle donne. Parlare di femminicidio non ha come unico obiettivo la denuncia, ma anche rendere pubblico un problema nei secoli considerato privato, quello della violenza esercitata dagli uomini sulle donne, e farne elemento chiave del dibattito politico.

Alcune femministe in Italia sono contrarie all’utilizzo del termine femminicidio, sostengono che inchioda l’intero genere femminile al ruolo di vittima sacrificale, che schiaccia in una massa insanguinata e sconfitta le donne.22 In realtà parlare di femminicidio, degli uomini che uccidono e vessano le donne in quanto donne non ha per nulla significato vittimizzare le donne, anzi, al

20 Ibidem, p. 25 21 Ibidem, p. 30 22 Ibidem, p.35

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contrario, ha consentito alle donne di dare un nome alla realtà, di appropriarsi di concetti da sempre descritti dagli uomini, in maniera parziale e neutrale. E’ importante che il problema del femminicidio sia riconosciuto, così come è importante che gli operatori specializzati nel sociale, facciano proprio questo problema e lo inseriscano nelle loro agende, agende che invece ad oggi sono piene di insegnamenti antifemministi e razzisti.

Nel linguaggio della sociologia mondiale si utilizza ormai in maniera diffusa il termine femminicidio che risponde all’esigenza di indicare una particolare forma di violenza perpetrata nei confronti delle donne. Una violenza nei confronti delle donne proprio in quanto donne, ovvero legata alla loro identità di genere. Si tratta di delitti che hanno dinamiche molto simili anche se si verificano in contesti molto diversi perché il fenomeno è trasversale a tutte le classi sociali. Troppo spesso sono delitti annunciati, preceduti da anni di maltrattamenti sessuali, psicologici, fisici, economici e spesso frutto di silenzi e complicità da parte di coloro che sono vicini sia alle donne che subiscono violenza sia agli uomini autori di questa violenza. Non si può voltare la testa da un’altra parte, non si può non volerne sapere quando le circostanze annunciano un rischio che può trasformarsi in qualcosa di irreparabile. Non si tratta di amore ma di possesso, non si tratta di gelosia ma di un delirante concetto di potere tra i sessi.23Gli uomini inizialmente seduttivi e amorevoli esigono attenzione esclusiva mettendo in atto strategie che isolano la donna da altre relazioni, la mortificano nella sua autostima, la insultano, la picchiano e la tengono sotto ricatto tra minacce e richieste di perdono. Le donne restano a lungo in questa oscillazione sentimentale e in genere muoiono. In Italia dall’inizio del 2013 sono stati 73 i casi di morte per femminicidio e 38 casi di omicidi generici di donne.24 La distribuzione geografica dei crimini è abbastanza omogenea lungo il Paese sebbene si possono notare alcuni addensamenti di casi in area milanese e

23 Murgia M.,Lipperini L., L’ho uccisa perché l’amavo. Falso!, Laterza editori, 2010, pp.80-88 24 Barletta R., op. cit., p.35

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napoletana.25Sottolineare il tema delle denunce e dei maltrattamenti che hanno preceduto il delitto, senza parlare di raptus sposta l’attenzione su un fattore chiave: il femminicidio spesso è solo l’ultimo grado di climax e raramente è frutto di un momento d’ira incontrollata. Questo accende un faro sulla prevenzione: è possibile fermare la violenza destinando risorse ai centri antiviolenza, rafforzando le reti di contrasto perché sempre più donne possano sentirsi meno sole e superare la paura.26

1.3.Evoluzione legislativa: la violenza di genere dal Codice Rocco alla riforma del diritto di famiglia del 1975.

La violenza di genere, che si fonda sulla discriminazione nei confronti della donna a livello politico, culturale, economico e sociale è un fenomeno di origini antiche ed è importante focalizzare l’attenzione sui cambiamenti legislativi che a livello nazionale si sono determinati dal Codice Rocco ad oggi. Il codice, elaborato e promulgato nel 1930 durante il regime fascista, enfatizzava l’immagine di una donna soggetta e obbediente al marito nonché al suo destino riproduttivo. La moglie e i figli erano sottomessi all’autorità del capo famiglia. In questa prospettiva, gli atti di violenza e di costrizione commessi contro la donna erano valutati come reati contro la morale e non contro la persona. L’onore e la sua salvaguardia era considerato una valida circostanza attenuante per rapimenti, stupri e omicidi. Fra questi figurava ad esempio il ratto a fine di matrimonio27. In questa prospettiva il reato di violenza sessuale commesso all’interno del vincolo matrimoniale non

25 Le informazioni riportate sono interamente consultabili sul sito internet www.lastampa.it 26 Le informazioni riportate sono interamente consultabili sul sito internet www.casadonne.it 27

Ricordiamo a tal proposito il caso sollevato dal rapimento di Franca Viola nel 1966 che allora diciottenne rifiutò le nozze riparatrici incrinando una consuetudine sociale fino ad allora consolidata. Franca Viola non si arrese e il processo contro Filippo Melodia e i suoi dodici complici si concluse nel Dicembre 1966 con una condanna ad undici anni per lui e pene minori per gli altri. Nonostante la rilevanza sociale e penale del caso, furono però necessari altri 15 anni perché la norma sul matrimonio riparatore venisse definitivamente abrogata nel 1981.

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era contemplato. Gli atti di violenza sessuale e di incesto erano intesi come delitti contro la moralità pubblica e il buon costume.

Gran parte dei cambiamenti nelle legislazioni sui reati relativi alla violenza sessuale sono dovuti al movimento femminista. Non si tratta solo di rivendicare giustizia, di lottare per l’affermazione dei propri diritti, si tratta di qualcosa di estremamente più significativo, le donne scendono in campo per chiedere alla società e alle istituzioni di ripensarsi e riconoscere secoli di oppressione e indifferenza. In alcuni casi le pressioni congiunte dei movimenti femministi e degli organismi internazionali hanno portato a modifiche legislative per eliminare norme discriminatorie nei confronti delle donne ed approvare leggi contro la violenza domestica.28 Purtroppo spesso l’attivazione da parte dei Governi è stata insufficiente o inadeguata. Si è evidenziata la difficoltà delle donne nell’accesso alla giustizia, sia per mancanza di meccanismi di protezione adeguati per le vittime di violenza, sia per i pregiudizi delle forze dell’ordine nell’ascoltare le istanze delle donne.29

La conoscenza, per quanto sommaria, delle dimensioni e delle caratteristiche della violenza sulle donne, ha costituito in tutti i Paesi uno strumento indispensabile per la promozione, da parte dei movimenti femministi, di politiche di genere, e per la denuncia, tanto a livello locale quanto a livello internazionale, delle carenze istituzionali e legislative di strumenti di tutela dei diritti fondamentali delle donne. In altri termini il riconoscimento della questione della violenza contro la donna segna un momento di svolta non solo dal punto di vista dei diritti delle donne, ma anche sotto il profilo del perfezionamento degli strumenti preposti a sanzionare condotte lesive dei diritti fondamentali della persona umana.

28 Armeni R., Parola di donna: 100 parole che hanno cambiato il mondo raccontate da 100 protagoniste, Ponte delle Grazie, Firenze, 2011, pp. 28-30

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Si può parlare di primi riconoscimenti, a livello giuridico del fenomeno violenza, solo a partire dal 1975 con la riforma del diritto di famiglia con la quale decade il concetto di abuso di correzione o di disciplina30. La questione dell’abuso di correzione dipendeva dal fatto che fino al 1975 il capofamiglia era solo uno, l’uomo, e aveva il potere di picchiare per fini correttivi e di disciplina chiunque si trovasse ad abitare presso il suo domicilio. La riforma del diritto di famiglia affermava, in accordo con i principi costituzionali il principio della parità quale regola dei rapporti tra i coniugi, sancendo che con il matrimonio i coniugi acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri31. In altri termini la persona che subiva violenza doveva denunciare il marito, ma rimanere con lui nella stessa casa. La riforma, pertanto, riprendeva i principi già sanciti nella carta costituzionale del 1948 ma nonostante il notevole ritardo non riuscì ancora una volta a dare una risposta concreta alle donne vittime di violenza.

1.3.1. La violenza di genere negli anni ’90.

Bisognerà aspettare il 1996 per giungere alla conversione definitiva della violenza sessuale da reato contro la morale e il costume a reato contro la persona. Il reato di violenza sessuale viene regolato dall’art. 609 bis c.p.: chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.32 La legge n.66 del 1996 33accentra la punibilità del gesto come offesa contro la persona anziché contro la morale pubblica. Si assiste così all’introduzione di un concetto di rapporto sessuale adeguato al costume ed alla cultura sociale e morale del ventunesimo secolo, che restituisce alla vittima piena dignità. La prima cosa da notare è che il reato di violenza sessuale è stato inserito fra i delitti contro la persona, mentre il codice penale Rocco lo definiva reato contro la morale e il buon costume. Questo è importante perché restituisce alla vittima la qualità di persona e la possibilità di costituirsi

30 Art. 571 del Codice Penale.

31 Articolo 29 della Costituzione italiana.

32 Romito P., Violenza sulle donne e risposte dalle istituzioni, F.Angeli, 2000, p. 23. 33 Legge n.66 del 1996: Norme contro la violenza sessuale.

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in giudizio come parte offesa dal reato. Il codice Rocco prevedeva due tipi di reato (la violenza carnale e gli atti di libidine) la nuova norma li unifica nel reato di violenza sessuale.34 All’articolo 4 della legge n.66 del 1996 sono previste delle circostanze aggravanti che possono aumentare la pena dai 6 ai 12 anni, ossia: quando è commessa contro una persona che non ha compiuto gli anni quattordici, quando è commessa con l'uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa, quando è commessa da persona travisata o che simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio.35

1.3.2. Le novità legislative degli ultimi anni.

E’ solo dopo il marzo 2001 con la legge n. 154, intitolata “Misure contro la violenza nelle relazioni familiari”, che si è fatto esplicito riferimento all’allontanamento da casa del parente dal quale si temono gravi violenze fisiche. Con tale legge il legislatore, per cercare di prevenire questa vera e propria piaga sociale ha introdotto un nuovo istituto giuridico: gli ordini di protezione contro gli abusi familiari, disciplinati dagli artt. 342-bis e 342-ter del codice civile.36 Gli ordini di protezione

34 Ibidem, p. 25. 35 Ibidem, p. 27

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L’articolo 342 bis del codice civile sancisce che quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell'altro coniuge o convivente, il giudice, su istanza di parte, può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui all'articolo 342-ter.

Articolo 342 ter: il giudice ordina al coniuge o convivente, che ha tenuto la condotta pregiudizievole, la cessazione della stessa condotta e dispone l'allontanamento dalla casa familiare del coniuge o del convivente che ha tenuto la condotta pregiudizievole prescrivendogli altresì, ove occorra, di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dall'istante, ed in particolare al luogo di lavoro, al domicilio della famiglia d'origine, ovvero al domicilio di altri prossimi congiunti o di altre persone ed in prossimità dei luoghi di istruzione dei figli della coppia, salvo che questi non debba frequentare i medesimi luoghi per esigenze di lavoro. Il giudice può disporre, altresì, ove occorra l'intervento dei servizi sociali del territorio o di un centro di mediazione familiare, nonché delle associazioni che abbiano come fine statutario il sostegno e l'accoglienza di donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattamenti; il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto dei provvedimenti di cui al primo comma, rimangono prive di mezzi adeguati, fissando modalità e termini di versamento e prescrivendo, se del caso, che la somma sia versata direttamente all'avente diritto dal datore di lavoro dell'obbligato, detraendola dalla retribuzione allo stesso spettante. Con il medesimo decreto il giudice, nei casi di cui ai precedenti commi, stabilisce la durata dell'ordine di protezione, che decorre dal giorno dell'avvenuta esecuzione dello stesso. Questa non può essere superiore a un anno ma può essere prorogata, su istanza di parte, soltanto se ricorrano gravi motivi per il tempo strettamente necessario. Con il medesimo

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si sostanziano nei provvedimenti che il giudice può adottare nei confronti del coniuge o di altro convivente la cui condotta sia causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale, o alla libertà dell’altro coniuge o convivente, come nei casi di ripetuti episodi di minaccia, violenza o aggressione fisica. Le norme sugli ordini di protezione non sono circoscritte alla coppia, esse infatti trovano applicazione anche nel caso in cui la condotta pregiudizievole sia stata tenuta da altro componente del nucleo familiare, diverso dal coniuge o dal convivente: si pensi a un figlio o a un fratello. Non occorre che affinché scatti questa forma di tutela debba sussistere uno stato di convivenza fra aggressore e aggredita.37 Gli ordini di protezione sono delle misure provvisorie disposte dal giudice quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente. Il giudice può adottare l’ordine di protezione e ordinare all’autore della condotta pregiudizievole di: cessare la condotta pregiudizievole, disporre l’allontanamento del coniuge/convivente dalla casa familiare, prescrivere al soggetto di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dall’istante, disporre l’intervento dei Servizi Sociali territoriali o il pagamento di un assegno periodico a favore delle persone conviventi.38

Nel 2009 con la legge n.38 lo stalking è entrato a far parte del nostro ordinamento introducendo all’art.612 bis39 del codice penale il reato di “atti persecutori”, espressione con cui si è tradotto il

decreto il giudice determina le modalità di attuazione. Ove sorgano difficoltà o contestazioni in ordine all'esecuzione, lo stesso giudice provvede con decreto ad emanare i provvedimenti più opportuni per l'attuazione, ivi compreso l'ausilio della forza pubblica e dell'ufficiale sanitario.

37 Romito P., op. cit., p. 25 38 Ibidem, p. 36

39 Articolo 612 bis- atti persecutori: Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa. La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.

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termine di origine anglosassone to stalk, con il quale si fa riferimento a quelle condotte persecutorie e di interferenza nella vita privata di una persona. La condotta tipica è costituita dalla reiterazione di minacce o di molestie e la peculiarità della ripetizione di dette condotte porta ad affermare che si tratti di reato abituale.40 I comportamenti di minacce e di molestie devono poi determinare nella persona offesa un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero un fondato timore per la propria incolumità o per quella di persone a lei vicine, oppure costringerla ad alterare le proprie abitudini di vita.

Nonostante gli evidenti passi avanti fatti a livello legislativo, in merito al tema della violenza sulle donne, è possibile affermare che nel contesto attuale il fenomeno continua a persistere se non addirittura a crescere. Nel 2013 infatti si assiste al dilagare del fenomeno fino a parlare di vero e proprio femminicidio.41 Così l’8 agosto 2013 il consiglio dei ministri ha approvato il decreto che va sotto il nome di “Prevenzione e contrasto della violenza di genere” tradotto poi nella legge n.119 dell’11 ottobre 2013.42

1.3.3. L’evoluzione legislativa a livello internazionale.

A livello internazionale, il primo documento volto a combattere questa discriminazione è stata la convezione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, approvata il 18 dicembre 1979 dall’ONU. Questo documento costituisce la principale garanzia che il diritto internazionale offre al rispetto dei diritti delle donne. Infatti l’art 1 recita: l'espressione discriminazione nei confronti della donna concerne ogni distinzione, esclusione o limitazione basata sul sesso, che abbia come conseguenza, o come scopo, di compromettere o distruggere il

Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. Si procede tuttavia d'ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio.

40 Le informazioni riportate sono interamente consultabili al sito internet www.giustizia.it 41 Le informazioni riportate sono interamente consultabili al sito internet www. l’unità.it. 42 Ibidem

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riconoscimento, il godimento o l'esercizio da parte delle donne, quale che sia il loro stato matrimoniale, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale e civile o in ogni altro campo, su base di parità tra l'uomo e la donna.43

Questa convenzione impegna gli stati firmatari ad astenersi da azioni discriminatorie in base al sesso e ad adottare provvedimenti per raggiungere l’uguaglianza in tutti i settori, inoltre viene istituito un Comitato che ne sorveglia l’applicazione negli Stati firmatari.

Il tema della violenza di genere, nonostante sia un problema sempre esistito, riceve attenzione da parte degli organismi internazionali soltanto a partire dalla metà degli anni ottanta e a dare i suoi frutti concretamente negli anni novanta. Il 20 dicembre del 1993 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò all’unanimità la Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne, nella quale si afferma che la violenza contro le donne costituisce una violazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, inoltre l’art. 1 da una definizione chiara di violenza contro le donne : ogni atto di violenza fondata sul genere che abbia come risultato, un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o privata.44

Nel 1995 in occasione della quarta conferenza mondiale sulle donne, svoltasi a Pechino, viene emanato un programma di azione per attribuire più potere alle donne, inoltre nella conferenza si introduce un concetto fondamentale: la valorizzazione delle differenze.45

La violenza di genere è considerata oggi anche un problema di sanità pubblica che compromette gravemente la salute della donna. A conferma di ciò, la risoluzione dell’Assemblea mondiale della Sanità (OMS) del 1996 dichiara che la violenza è un problema primario di sanità pubblica a livello mondiale, raccomandando agli Stati membri di valutare il problema della violenza nel proprio

43 Barbara Spinelli, Femminicidio: dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico, F.Angeli, 2008, p. 87 44 Le informazioni riportate sono interamente consultabili al sito internet www.amnesty.it

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territorio e di trasmettere all’OMS le loro informazioni su questo problema e sul loro approccio ad esso, utilizzando anche una prospettiva di genere nell’analisi. L’Organizzazione Mondiale della Salute definisce come violenza domestica o intra familiare ogni forma di maltrattamento fisico e psicologico, di abusi sessuali, di condizionamenti emotivi, di minacce e di comportamenti coercitivi o di controllo indirizzati sia a persone che hanno, hanno avuto o si propongono di avere una relazione intima di coppia, sia a persone che all’interno di un nucleo familiare più o meno allargato hanno relazioni di carattere parentale o affettivo. In questa prospettiva, uomini e donne possono essere potenzialmente vittime o aggressori.46 Tuttavia i dati empirici rivelano come la relazione aggressore-vittima sia radicata nell’appartenenza di genere e si configuri come una violenza agita dall’uomo sulla donna. Secondo l’OMS numerosi problemi psichici e patologie, come depressione, paura cronica, disturbi d’ansia, bassa autostima, disturbi sessuali e dell’alimentazione, abuso di farmaci, alcolici o stupefacenti sono da considerarsi in relazione con le situazioni di violenza fisica, sessuale e psicologica. La risoluzione dell’Assemblea mondiale della Sanità inoltre promuove azioni per combattere questo problema a livello internazionale e locale, prevede misure per fare progressi nel riconoscimento e nella gestione delle conseguenze della violenza, promuove la partecipazione intersettoriale nella prevenzione e nella gestione della violenza, incoraggia la ricerca su questo fenomeno considerandola un priorità della sanità pubblica, invita a preparare e divulgare raccomandazioni sui programmi di prevenzione della violenza in nazioni, Stati e comunità in tutto il mondo, garantisce l’ attiva e coordinata partecipazione di idonei programmi tecnici, rafforza la collaborazione dell’organizzazione con governi, autorità locali, ed altre organizzazioni del sistema delle Nazioni Unite nella programmazione, implementazione e monitoraggio di programmi di prevenzione e cura.47

46 Barletta R., Federici A., Muratore M. G., op. cit. p.116

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Nel 1998 l’Assemblea generale dell’ONU emana la risoluzione: prevenzione del crimine e misure di giustizia penale per eliminare la violenza contro le donne e allega le strategie e le misure pratiche sulla eliminazione della violenza contro le donne.48 Questa risoluzione raccomanda agli Stati membri di rivedere e rivalutare le proprie leggi, le proprie politiche riguardanti la violenza di genere. L’assemblea generale raccomanda inoltre agli Stati Membri di promuovere la sicurezza delle donne in casa e nella società in genere. A questi ultimi viene richiesto di inserire una prospettiva di genere nell’attuazione delle politiche, volte alla prevenzione del crimine e alla giustizia penale.

Nel 1999 l’ONU proclama il 25 novembre la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, giorno che ricorda l’uccisione delle sorelle dominicane Mirabal da parte della polizia del dittatore Truijllo avvenuto nel 196049.

E ancora nel 2001 viene firmato da 72 Paesi, la Sintesi del Protocollo relativo alla Convezione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne50.In essa si afferma il pieno ed

uguale godimento da parte delle donne di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali e di intraprendere azioni efficaci per prevenire la violazione di tali diritti e libertà.

Da queste normative possiamo vedere come anche a livello internazionale, seppur tardivamente, siano state prese misure di contrasto alla violenza di genere e quindi è evidente il riconoscimento del problema da parte di vari paesi del mondo seppure con culture diverse. Tuttavia tali misure non bastano a soffocare il fenomeno. Per contrastare la violenza di genere bisogna fare in modo che aumenti la consapevolezza e la percezione della violenza da parte di ogni membro della società.

48 Ibidem

49 L’assemblea generale dell’ONU ha ufficializzato una data che fu scelta da un gruppo di donne attiviste, riunitesi nell’incontro femminista latinoamericano e dei Caraibi, tenutosi a Bogotà (Colombia) nel 1981. Questa data fu scelta in ricordo del brutale assassinio avvenuto il 25 novembre del 1960 delle tre sorelle Mirabal considerate esempio di donne rivoluzionarie per l’impegno con cui tentarono di contrastare il regime di Rafael Leonidas Trujillo, il dittatore che tenne la Repubblica Dominicana nell’arretratezza e nel caos dal 1930 al 1961.

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L’accettazione e la tolleranza nei confronti del problema fino a pochi anni fa e talvolta ancora oggi, in alcuni contesti sociali, ma anche psicologici, hanno fatto in modo che le donne vittime di violenza non esprimessero il problema e non chiedessero aiuto, non solo per vergogna e paura, ma anche perché molte di loro credevano che fosse una condizione “normale” dell’essere donna. Anche nei paesi più progrediti, come l’Italia, questa consapevolezza ha cominciato a manifestarsi recentemente. Infatti in Italia fino alla metà degli anni ’90 le istituzioni non applicavano nessun tipo di politica contro la violenza di genere. Tutto ciò non deve sorprendere se pensiamo che nel nostro Pese solo nel 1970 viene introdotto il divorzio51, nel 1975 viene approvato il nuovo diritto di famiglia52, e solo in quell’anno viene abolita l’autorità maritale53, che prevedeva l’utilizzo di mezzi di correzione da parte del marito nei confronti della donna, e successivamente, nel 1981, scompare il delitto d’onore e anche il matrimonio riparatore che consentiva a chi avesse commesso uno stupro di vedere estinto il proprio reato qualora avesse contratto il matrimonio con la propria vittima.

Tali norme giudiziarie erano caratterizzate da una forte asimmetria di genere, vigeva un sistema che poneva le donne legittimamente in condizioni di sottomissione e di dipendenza nei confronti del potere maschile.

Solo la legge del ‘96 fa si che la violenza sessuale da reato contro la morale diventi reato contro la persona e la libertà individuale. In seguito con la L. 154 del 2001 viene previsto l’allontanamento del familiare violento per via civile e penale.

51 L. 898 del 1 dicembre 1970 “Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio”.

52L. 151 del 19 maggio 1975 “Riforma del diritto di famiglia”: con questa legge viene ristabilita la parità giuridica dei coniugi, viene abrogato l’istituto della dote, venne riconosciuta a i figli naturali la stessa tutela prevista per i figli legittimi, venne istituita la comunione dei beni come regime patrimoniale legale della famiglia, la patria potestà venne sostituita dalla potestà di entrambi i genitori, in particolare nella tutela dei figli. Il coniuge superstite nella successione ereditaria diventa erede, mentre prima legalmente, non ereditava nulla.

53 Con la nuova concezione di famiglia che emerge dalla Costituzione, nonché dalla nuova riforma che il legislatore ha operato nel 1975 e dalle disposizioni delle Convenzioni internazionali viene suggerita una nuova concezione di famiglia, impostata su basi paritarie, in cui i diritti, doveri, obblighi fanno capo a ciascun membro. Abbandonando il modello di famiglia patriarcale si è arrivati a bandire l’applicazione dell’art 571 c.p. nei confronti della moglie.

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Le date di queste leggi fanno capire il ritardo da parte delle istituzioni italiane nel prendere provvedimenti specifici per un problema sempre esistito. Fortunatamente le culture femministe hanno avuto un peso rilevante affinché si cominciasse a parlare del fenomeno, in modo che questo non rimanesse confinato nella sfera privata della famiglia. Rompere il silenzio è stato il primo passo fondamentale per avviare qualsiasi tipo di iniziativa di contrasto alla violenza di genere.

Va riconosciuto, inoltre, il merito della legge n.38/2009 sul reato di stalking che è stato quello di aver fatto luce su gesti e comportamenti che precedono e possono sfociare nella violenza. Intervenire sullo stalker significa porre le basi per prevenire la violenza sessuale. Prevenire non significa soltanto reprimere ma educare a relazioni in cui sia possibile anche esprimere un rifiuto, relazioni in cui si esercita il rispetto e nessuno è legittimato a considerare suo possesso il corpo dell’altro o dell’altra.

Il reato di stalking ha portato in luce quanto ancora le relazioni tra persone si basino su concetti di potere invece che di libertà. In Italia è stato merito dei movimenti delle donne quello di aver sostenuto la libertà di decidere di sé anche quando una donna è impegnata in una relazione di coppia. L’indipendenza lavorativa ed economica sono state un grande volano di emancipazione dal controllo maschile sulla vita delle donne. Malgrado ciò in Italia si consuma oggi una violenza senza precedenti.54 Le analisi sulle molestie e lo stalking parlano di violenza esercitata da uomini verso ex mogli, compagne che si vogliono separare e vogliono ritrovare la loro autonomia. La ricerca di libertà viene percepita come un attentato ai ruoli e costituisce una minaccia che fa crollare l’identità della persona. L’attenzione si trasforma in ossessione. Molestie quotidiane, silenziose. E il sospetto diventa paura, erode la libertà fino a costringerla in una prigione soffocante. Questo è lo stalking:

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comportamenti reiterati di sorveglianza, controllo, contatto pressante e minacce che invadono con insistenza la vita di una persona per toglierle la quiete e l’autonomia.55

Invece di aprire visioni di relazioni diverse in cui circoli reciprocità tra uomini e donne in Italia invece si preferisce ancora spingere verso identità separate, una sorta di caste che si affermano attraverso la prevaricazione. Invece di lavorare per abbattere i pregiudizi si alimentano terreni di divisione. Nella logica del possesso e del commercio del corpo dell’altro si va fino a giustificare la tratta ai fini della prostituzione, si va fino a legittimare il turismo sessuale e il lavoro minorile. Se l’altro/a non è che uno dei molti beni a mia disposizione anche lo stalking diventa giustificabile. 56 Uscire da questa logica auto-centrata che esalta il possesso e il potere richiede un grande lavoro. Un lavoro contro la violenza che è spesso segno di una fuga dalla relazione: un modo per tagliare corto di fronte al proprio analfabetismo relazionale, all’insopportabilità di un confronto.

Non possiamo delegare il contrasto della violenza maschile contro le donne alle aule di tribunale o alle forze di polizia, si tratta di un terreno innanzitutto politico e culturale che richiede un cambiamento.

Sicuramente l’art.612 bis che disciplina il reato cosiddetto di stalking determina una rivoluzione rispetto al passato. Se l’autore del reato è ex marito, convivente, fidanzato della vittima, la pena è aggravata. Il legame sentimentale diventa quindi ragione per aggravare la pena.

All’inizio del nuovo millennio, le aspettative sono forti quanto a un’evoluzione dei rapporti tra i generi, nel senso di maggiore parità, rispetto reciproco e dialogo. Grandi avvenimenti sociali del secolo scorso, come la rivoluzione culturale operata in tutto il mondo dai movimenti delle donne, lo svelamento della violenza maschile contro le donne e l’attivazione di pratiche per contrastarla,

55 Ravazzolo T., Donne che sbattono contro le porte: riflessioni su violenze e stalking, F.Angeli, 2010, pp. 56-60 56 Stella, G., Negri, froci, giudei & Co. L’eterna guerra contro l’altro, Rizzoli, Milano, 2009.

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hanno fatto sperare che, almeno nelle nuove generazioni, i ruoli fossero più permeabili e meno differenziati, e maggiore la capacità di parlarsi, capirsi e rispettarsi a vicenda.

Purtroppo, le cose non stanno propriamente così. Un’analisi delle tendenze culturali contemporanee suggerisce che, anche in Italia, siamo in presenza di un ritorno a ruoli maschili e femminili, ad un ritorno a ruoli sessuali di tipo tradizionale.57

In questo “ritorno ai generi”, al femminile sono associate le caratteristiche della dolcezza, della bellezza, della purezza, ma anche della seduttività: essere donna, ragazza, bambina, oggi, richiede l’adesione a modelli stereotipati di femminilità che spesso si presentano come pura espressione del desiderio maschile. Il genere maschile richiama allo stereotipo di uomini, ragazzi, bambini, ai quali viene richiesta l’adesione ad un modello di mascolinità aggressiva.

La divisione di genere è presente, nella nostra società, a tutti i livelli (famiglia, scuola, media, cultura), e forte impatto ha proprio sulle generazioni più giovani, su ragazzi e ragazze, bambine e bambini, che imparano, fin da piccolissimi, cosa significa essere nati maschi o femmine. La cultura alla quale apparteniamo, come ogni altra cultura si serve di tutti i mezzi a sua disposizione per ottenere dagli individui dei due sessi il comportamento più adeguato ai valori che le preme conservare e trasmettere58.

Dal maschio ci si aspetta che diventi un individuo forte ed è considerato per quello che farà. Dalla femmina ci si aspetta che diventi un oggetto, ed è considerata per quello che darà. Due destini del tutto diversi.59 Nonostante i cambiamenti e l’evoluzione giuridica sul tema della violenza contro le donne le cose non sembrano cambiate: la nostra cultura ci propone una sessualizzazione di ragazze e bambine e una riduzione del femminile a corpo muto e troppo spesso violato. Ragazze e ragazzi crescono in questa cultura e ne fanno propri i modelli. È necessaria un’azione globale: a livello

57 Le informazioni riportate sono interamente consultabili al sito internet www.Ilfattoquotidiano.it 58 Elena Gianni Balotti, Dalla parte delle bambine, Feltrinelli editore, 2002, p.6

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cognitivo, per andare ad intaccare credenze errate e pregiudizi, e a livello comportamentale, per proporre modelli positivi di relazioni tra i generi. Violenza e pregiudizi sono fenomeni così diffusi che per contrastarli è necessario un cambiamento culturale e sociale profondo, nei comportamenti, nelle percezioni, nelle opinioni. Per iniziare, si possono proporre ai giovani dei percorsi improntati alla valorizzazione delle differenze di genere ma anche e soprattutto al rispetto reciproco.

Dal punto di vista legislativo è stato raggiunto un traguardo importante quando il 19 giugno 2013 è stata ratificata da Camera e Senato la Convenzione di Istanbul per la prevenzione e il contrasto della violenza sulle donne.60 La Convenzione era stata approvata dal Consiglio d’Europa il 7 Aprile 2011 e lo scorso giugno è stata ratificata anche in Italia. Lo scopo è quello di prevenire atti di violenza, proteggere le vittime e perseguire gli aggressori, oltre che riconoscere una volta per tutte la violenza sulle donne come una violazione dei diritti umani. Il testo della suddetta Convenzione sottolinea che gli Stati firmatari dovranno impegnarsi nell’adottare tutte le misure preventive e legislative per contrastare tutte le forme di violenza e in particolare quella nei confronti delle donne. Essa rappresenta il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante e sollecita l’adozione di politiche al fine di contrastare e sanzionare tutti quegli atti, dallo stupro allo stalking, dai matrimoni forzati alle mutilazioni genitali, che annientano il principio di parità tra i sessi e il principio di autodeterminazione della persona.61 Il testo interviene anche in materia di violenza domestica e femminicidio al fine di predisporre un quadro globale di politiche e misure di protezione e di assistenza a favore di tutte le vittime di violenza e promuove la cooperazione internazionale per sostenere ed assistere le organizzazioni e le autorità incaricate dell’applicazione della legge in modo che possano collaborare efficacemente.62 Sul piano istituzionale e legislativo sono previste sanzioni e risarcimenti alle vittime di violenza, ma senz’altro l’aspetto più innovativo della Convenzione è

60 Ibidem

61 Le informazioni riportate sono interamente consultabili sul sito internet www.amnesty.it 62 Barbara Spinelli, op. cit. p. 100

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