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La famiglia in difficoltà e l’istituto dell’affidamento.

Nel documento Femminicidio e tutela degli orfani. (pagine 55-61)

CAPITOLO DUE

2.4 La famiglia in difficoltà e l’istituto dell’affidamento.

Da quanto illustrato sopra, dunque, l’ambiente familiare è indispensabile al bambino per sviluppare adeguatamente il suo percorso formativo. Purtroppo le famiglie spazzate via in seguito alla morte improvvisa della madre non sono in grado di rispondere adeguatamente ai bisogni dei propri figli, sono famiglie che si trovano in condizioni di forte disagio, tanto da determinare una situazione di “multiproblematicità”: povertà, precarietà lavorativa, dipendenza e disgregazione sociale, disagio psicologico. Non sempre, quindi, la famiglia è in grado di svolgere la sua fondamentale funzione di personalizzazione e socializzazione, ma può, anzi costituire un elemento disturbante e favorire la frammentazione del sé. Esistono varie tipologie di famiglie difficili123: la famiglia conflittuale, la famiglia silente, la famiglia narcisistica, la famiglia esigente, la famiglia violenta e la famiglia deviante. Nella famiglia conflittuale predominano forti tensioni tra i coniugi. I conflitti tra le figure di riferimento “diventano conflitti intrapsichici fra gli oggetti internalizzati nella mente del bambino con effetti certamente negativi sull’armonia psichica e la coesione del soggetto che cresce”124. In bambino che cresce in questo tipo di famiglia vive una profonda frammentazione, si sente in colpa, insicuro e angosciato, e incapace di affrontare le difficoltà. La famiglia silente invece è caratterizzata dall’incapacità di entrare in comunicazione con i figli, dalla mancanza di dialogo e di ascolto dei loro bisogni più profondi. Il bambino vive in un ambiente privo di stimoli in cui non trovano espressione i propri sentimenti e le proprie passioni. La famiglia narcisistica, ritenendosi autosufficiente, si isola dalla vita sociale attorniando il bambino di un amore possessivo. Questo

123 Chiosso G., Tortello M., La famiglia difficile, Utet, Torino, 1997.

124 Foti C., L’affidamento familiare, i bisogni del bambino e la risposta dell’empatia, in “Minori giustizia”, n.2, 1996, p.41.

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tende ad ostacolare il naturale distacco del figlio dal nucleo, costringendolo alla dipendenza dalla famiglia. La famiglia esigente pretende dal figlio una condotta esemplare, priva di errori e il minore vive in un continuo stato di insicurezza. Mentre la famiglia violenta è caratterizzata da debolezze e vulnerabilità psicologiche. In questo contesto familiare i bambini ricevono cure genitoriali scadenti ed apprendono ad inibire la manifestazione dell’emozioni e di sentimenti negativi che possano scatenare reazioni di collera nei genitori125. Sono bambini che diventano, nel tempo, sempre più distruttivi e talvolta possono evolvere verso la devianza sociale. Infine le famiglie devianti sono nuclei in cui vengono praticati comportamenti devianti come prostituzione, tossicodipendenza e criminalità.126

È proprio per rispettare quel primario diritto del minore, secondo il quale la famiglia sia messa nelle condizioni di poterlo educare ed istruire, che è stata promulgata la legge n.184 del 1983 recante “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”, la quale costituiva il primo riferimento all’istituto dell’affidamento familiare. Con affidamento familiare si intende l’inserimento del minore in una famiglia, diversa dalla propria, per un periodo limitato, così da permettere alla famiglia biologica di risolvere i suoi problemi e al minore di vivere in un ambiente sereno. L’affido è stato dunque pensato come un intervento a tutela del minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo. Il bambino può essere affidato ad un’altra famiglia, a una persona singola, ad una comunità di tipo familiare o può essere previsto il ricovero in istituto. La legge non indica esplicitamente quali siano le problematiche e le difficoltà che la famiglia dovrebbe presentare per poter essere definita inidonea. È possibile però fare riferimento all’art. 403 c.c. secondo il quale un ambiente familiare può essere considerato inidoneo quando “il minore è moralmente o materialmente abbandonato o allevato in locali insalubri o pericolosi, oppure da persone per negligenza, immoralità, ignoranza o per altri motivi, incapaci di provvedere all’educazione di

125 Sartorello L., Attaccamento e tutela del minore: il progetto di intervento, in “Minori giustizia”, n.1, 1999, p. 65. 126 Ibidem

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lui”.127 L’affido familiare in sé non è risolutivo in quanto da protezione ma allo stesso tempo allontana il minore dalla sua famiglia. È solo prevedendo specifici interventi volti al sostegno e al recupero della famiglia che gli operatori attuano un buon affidamento familiare. Solo così l’affidamento diventa una risorsa per il bambino e per i suoi legami familiari. Purtroppo bisogna riconoscere che spesso le istituzioni sono indotte a ricercare soluzioni immediate e in genere dedicano poco tempo e spazio al bambino e al coinvolgimento della famiglia. Difatti l’affidamento rappresenta una soluzione utilizzata anche per dare una risposta al disagio degli orfani da uxoricidio. Anche in questi casi le istituzioni ricercano soluzioni immediate non curanti del fatto che il minore in questione ha perso la famiglia d’origine e quindi lo scopo ultimo dell’affido, ovvero il rientro in famiglia, è impossibile da raggiungere. È il caso, infatti, di famiglie spazzate via in seguito alla morte della madre e al suicidio del capo famiglia.

Va ricordato a tal proposito che “le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e aiuto”.128Il Servizio Sociale, nello specifico, “svolge opera di sostegno educativo e psicologico, agevola i rapporti con la famiglia di provenienza ed il rientro del minore secondo le modalità più idonee”.129

Per quanto riguarda la durata dell’affido, in quanto intervento complesso, non può essere stabilita per legge una volta e per tutte. La prima distinzione tra le diverse forme di affido si ha in base alla manifestazione di consenso. È consensuale l’affidamento che viene disposto dal servizio sociale locale con il consenso dei genitori o dei tutori del minore. E’ giudiziale quando avviene su provvedimento del Tribunale dei Minori, senza il consenso dei genitori.

127 Articolo 403 del Codice Civile. 128 Articolo 1 della legge 149/2001. 129 Ibidem.

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I destinatari del progetto, compreso il minore, devono essere consapevoli dell’intervento di affidamento invece di subirlo passivamente. È possibile operare un’altra distinzione a seconda dei tempi dell’affido. L’affido diurno quando il bambino è affidato parte della giornata ad un’altra famiglia poiché i suoi genitori non sono in grado di garantirgli una presenza continua. L’affido a tempo parziale quando il minore è affidato per parte della settimana ad un’altra famiglia. L’affido a breve termine, non si protrae per più di qualche giorno o settimana e riguarda in particolare i bambini molto piccoli. L’affido di emergenza o di pronta accoglienza è un affido di qualche mese che prevede l’immediata diponibilità ad accogliere presso la propria abitazione bambini che si trovano a vivere in una situazione di emergenza.130

E ancora si dice affido etero- familiare l’affidamento del bambino a terzi che non hanno legami di parentela con la famiglia di origine ed intra-familiare quando il bambino viene affidato ad un parente. Si possono riconoscere altre forme di affidamento in base allo scopo dello stesso. L’affidamento educativo consente al minore, che ha vissuto nella propria famiglia situazioni di grave disagio, di vivere una condizione familiare normale.

L’affido terapeutico-nutritivo è un intervento opportuno per quei bambini che non sono stati sufficientemente accuditi e hanno vissuto in situazioni di pregiudizio anche grave. I genitori affidatari devono possedere le capacità di entrare in comunicazione con il bambino o ragazzo e di esprimere un’affettività equilibrata e la disponibilità alla vicinanza fisica e a dedicare tempo e presenza.

La scelta di affidare un bambino ad un’altra famiglia o ad una comunità familiare richiede sempre una valutazione delle competenze genitoriali della famiglia d’origine, essendo l’affido uno strumento volto non alla sostituzione della famiglia biologica ma al recupero della stessa, lavorando

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sulle competenze parentali deboli o mancanti e preservando e valorizzando ciò che sembra adeguato.

La valutazione della recuperabilità della famiglia e l’esplorazione delle competenze genitoriali procede esaminando le reali risorse emotive dei genitori e le loro capacità empatiche, effettive e potenziali, nei confronti dei figli. È importante sottolineare che non tutte le famiglie sono recuperabili o disponibili ad essere aiutate.

Quindi, prima di attivare interventi di sostegno organizzativo e psicologico alla famiglia e di progettare l’affido, occorre capire se è possibile recuperare la famiglia originaria per cui si è allontanato il minore o per cui si pensa ad un affidamento familiare e se esiste ancora la famiglia d’origine su cui agire. È necessaria un’accurata indagine sulle ragioni del malfunzionamento familiare e l’attivazione di un trattamento psicologico che, partendo dal danno arrecato ai figli, individui le cause relazionali del fenomeno. Se la valutazione sulle capacità presenti o attivabili nella famiglia d’origine dà un esito negativo e fa supporre che il nucleo, anche se stimolato e aiutato, non possiede risorse per cambiare, allora risulta chiaro che l’affido non è attivabile. Se invece viene progettato lo stesso, anche senza i requisiti, allora significa che si tratterà di un affido sine die, ossia “senza scadenza”. La legge non lo prevede e non lo vieta espressamente ma nella pratica è usato di frequente. Questo è quello che accade quando un bambino, orfano a causa dell’uccisione della madre, viene affidato ad un’altra famiglia. La recuperabilità dei genitori, infatti, in questi casi è pressochè impossibile poiché la madre è deceduta e il padre se ancora in vita si trova in uno stato detentivo, a scontare la pena per l’omicidio della madre dei suoi figli.

Non va dimenticato che il giovane vive il conflitto di lealtà tra famiglia naturale e famiglia affidataria in maniera talmente forte che la difesa della propria storia diventa spesso l’unico modo per non soccombere, non avendo egli gli strumenti e le risorse psichiche per elaborare il lutto della

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propria storia e il fallimento dei propri genitori.131 Il passaggio del bambino dalla propria famiglia ad un’altra è un passaggio esistenziale che comporta una separazione e di conseguenza dei traumi e del dolore psichico. Per non creare ulteriore sofferenza il bambino non deve essere trattato come un oggetto di cui altri decidono. Occorre quindi che egli sia informato e preparato, che sia accompagnato nei percorsi delle vecchie e nuove relazioni e che, quando sia in grado di esprimere la propria opinione, sia ascoltato e si ricerchi il suo consenso consapevole.132 Il problema fondamentale del bambino in affido dunque è quello di affrontare una doppia appartenenza familiare e continue differenze tra le due famiglie. Il bambino in affidamento, dunque, è un figlio al confine: al confine tra interno ed esterno della famiglia d’origine e di quella affidataria e al confine tra le due appartenenze familiari133. È importante fare in modo che il bambino non senta in pericolo i legami originari, e che non tema di perderli nella costruzione di nuovi attaccamenti, solo così egli riuscirà a fare spazio ad altro, ad aprirsi al nuovo contesto familiare e a godere delle possibilità che la famiglia affidataria e la comunità possono offrirgli a livello di esperienze, relazioni, percorsi educativi. Il processo di inserimento del bambino in un altro ambiente familiare e quindi l’attivazione di relazioni affettive, dovrebbe essere affiancato dal mantenimento dei legami con i genitori e qualora questo sia impossibile con altri familiari significativi, garantendo quella continuità psicologica che fa sì che l’esperienza della separazione sia positiva, di evoluzione, anziché traumatica. È importante che, sia gli operatori che la famiglia affidataria, improntino il proprio intervento sull’accoglienza del bambino, dei suoi bisogni attuali e anche della sua storia, dei suoi ricordi e dei suoi legami. Le famiglie affidatarie devono essere formate e preparate ad affrontare le difficoltà del minore, a gestire i rapporti con la sua famiglia e a collaborare con gli operatori sociali durante tutto il processo di affidamento. In uno strumento complesso come

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Greco O., La strada dal lutto alla capacità di legame nel passaggio fra due famiglie, in “Minori Giustizia”, n. 2, 1996, p. 34.

132 Grazioli M., Turri G.C., Diritto di passaggio e diritto del passaggio fuori dalla famiglia, in Minori Giustizia, n.2, 2011, pp. 45-50.

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l’affidamento familiare è fondamentale che gli operatori psicosociali abbiano chiari i loro compiti e che privilegino l’ottica di rete e dunque la collaborazione tra i diversi servizi coinvolti nell’affido. Solo in questo modo si superano le prese in carico settoriali e frammentate. Inoltre l’intervento dei servizi non può essere standardizzato ma deve essere su misura per il bambino e personalizzato sulla base delle sue personali esigenze. L’aspetto critico dell’affido consiste nel fatto che se le modalità di funzionamento utilizzate risultano inadeguate si creano dei problemi e traumi per tutti i soggetti coinvolti nel processo. L’affidamento familiare è quindi una realtà complessa che richiede di essere gestita da parte dei protagonisti dell’affido con modalità che mettano sempre al centro l’interesse del minore e che siano finalizzati al recupero della famiglia d’origine qualora questo sia ancora possibile.

Nel documento Femminicidio e tutela degli orfani. (pagine 55-61)