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La presa in carico del minore e le funzioni dell’assistente sociale.

Nel documento Femminicidio e tutela degli orfani. (pagine 83-91)

CAPITOLO TRE

3.1 La presa in carico del minore e le funzioni dell’assistente sociale.

Parlando di tutela non si intendono unicamente le misure di protezione attuate per ridurre il rischio di deterioramento della relazione tra genitori e figli, bensì la costruzione di un intervento complesso che consenta anche ai membri superstiti della famiglia vittima del femminicidio di risolvere e modificare i legami patologici, di modo che i bambini possano ritrovare un equilibrio che duri nel tempo e permetta loro di crescere.

A causa della loro età e della loro condizione evolutiva i bambini in difficoltà non sono in grado di chiedere aiuto autonomamente e non sono in grado di utilizzare il linguaggio dei grandi per formulare richieste di aiuto esplicite. Il loro disagio, infatti, viene espresso in modo implicito e sintomatico. Pertanto è necessario che tutti gli operatori dei servizi siano attenti ai bisogni dei bambini e tengano conto della loro particolare condizione di disagio e in che misura ne sono influenzati e ne soffrono. È questo il significato sottostante agli obblighi di segnalazione e di controllo diffuso di cui parla la legge 184/83188. Dunque si evince che gli operatori dei servizi sono investiti di un mandato istituzionale permanente di protezione all’infanzia. La presenza di una sensibilità diffusa nei confronti delle condizioni di vita dei bambini consente il corretto adempimento delle funzioni di vigilanza attribuite all’ente locale189. Non è quindi solo l’assistente sociale ad occuparsi della tutela e della protezione dei minori anche se poi nella prassi gli viene richiesto sia un parere sia un intervento qualora altri operatori si trovino di fronte a situazioni di pregiudizio. Avere presente il problema della tutela dell’infanzia significa avere chiaro che i bisogni a cui i servizi devono dare risposta non sono solo quelli portati dagli adulti ma anche quelli di altri soggetti significativi, i bambini.

188 Ghezzi D., Valdilonga F., La tutela del minore. Protezione dei bambini e funzione genitoriale, Raffaello Cortina Editore, 1996, p. 31.

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Spesso accade che i comportamenti pregiudizievoli e dannosi nei confronti dei minori emergano nel corso di relazioni d’aiuto già avviate in un contesto spontaneo. Tale contesto si modifica nel momento in cui entra in scena un altro attore istituzionale, l’autorità giudiziaria minorile che può rendere obbligatoria la relazione della famiglia con il servizio rendendo così la relazione non più spontanea ma coatta. Il passaggio di contesto da spontaneo a coatto, con l’entrata in scena del Tribunale dei Minorenni, comporta una scissione della relazione in due posizioni, segnate o dal solo controllo o dal solo sostegno. Il momento del passaggio di contesto è quindi un momento delicatissimo nel quale si deve riuscire a superare la dicotomia sostegno- controllo, salvaguardando una relazione collaborativa e di aiuto con la famiglia senza negare i propri compiti istituzionali e tenendo conto delle esigenze di tutela dei minori190. Nelle situazioni più gravi, però, i tentativi dell’assistente sociale di introdurre temi relativi alle competenze della famiglia vengono vissuti come un attacco alla relazione. Cosi può accadere che pur di mantenere la relazione con l’utente l’assistente sociale si astiene dall’affrontare il tema dell’inadeguatezza della famiglia nel garantire un sano percorso di crescita per il bambino. Spesso l’operatore che avverte l’esistenza di un pericolo per un minore, sente l’esigenza di mantenere a tutti i costi la relazione. Può così instaurarsi una relazione in cui i bambini diventino ostaggi nelle mani dei genitori, l’arma di ricatto usata per ottenere risorse e sostegni191, una relazione caratterizzata da reciproca disistima e strumentalizzazione. Difatti l’assistente sociale può arrivare ad erogare risorse con l’obiettivo di mantenere la relazione indipendentemente dal credere che tali risorse siano realmente utili per la famiglia. L’utente dall’altra parte non crederà più nella possibilità di poter ricevere un vero aiuto. La segnalazione al Tribunale per i minorenni può essere un modo con cui gli operatori cercano di interrompere una relazione invischiata. In questo senso la precoce segnalazione al giudice minorile rappresenta una risorsa. Bisognerebbe agire in via preventiva al fine di evitare che si verifichino delle tragedie insuperabili per il bambino, quali ad esempio la perdita della madre per effetto di una

190Galli D., Il Servizio sociale per minori. Manuale pratico per assistenti sociali, F. Angeli 2012, p. 97. 191 Ibidem.

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tragica morte per femminicidio. In presenza di segnali che mostrano disagi evidenti nella vita familiare di un fanciullo bisogna intervenire al fine di evitare traumi a volte insuperabili. Il Tribunale per i minorenni in questi casi può intervenire limitando la potestà dei genitori e dando voce al bisogno di protezione dei bambini. Quando i bambini si trovano a vivere in una realtà familiare in cui le loro esigenze di crescita e di accudimento vengono negate è necessario un intervento esterno al fine di interrompere il progressivo deteriorarsi della loro esistenza. Il Tribunale per i minorenni, in questi casi, stabilisce che la relazione d’aiuto dovrà essere funzionale al conseguimento del benessere del bambino. Questi sarà pertanto il principale beneficiario dell’intervento mentre il supporto ai genitori sarà subordinato all’interesse del minore. In questo modo la dicotomia tra aiuto e controllo viene superata collocando ad un livello superiore il controllo all’interno del quale si inseriscono tutti gli interventi di sostegno e di aiuto. La prima tappa di questo percorso è rappresentata dalla rilevazione del disagio del bambino al quale segue la fase di indagine psicosociale richiesta dal giudice minorile. Segue l’adozione da parte del Tribunale dei provvedimenti di protezione del minore ritenuti più idonei: allontanamento provvisorio in una comunità di pronto accoglimento, affidamento ai servizi sociali per sostegno e controllo, affidamento intra ed eterofamiliare e nei casi più gravi è prevista anche l’adozione. L’intervento del Tribunale per i minorenni fa si che da questo momento in poi l’alleanza tra servizio e membri della famiglia allargata abbia come obiettivo il miglioramento delle capacità di accudimento e di crescita di quest’ultima, qualora questa sia disposta ad aiutare il minore rimasto orfano. La segnalazione acquista così valore come strumento clinico per tutti gli attori coinvolti: minore, famiglia e operatori192.

In presenza di orfani da femminicidio, il grado di disagio e di sofferenza di questi bambini è tale per cui è necessario l’intervento protettivo dei servizi. Va messo in primo piano il diritto del bambino a vivere in modo sufficientemente sereno. È importante mettere in luce gli elementi che segnalano

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l’esistenza di un danno e indicano la necessità di un tempestivo intervento attraverso provvedimenti di limitazione della potestà, misure di protezione e di supplenza o sostituzione delle funzioni genitoriali. Per tutti questi motivi è necessario che l’assistente sociale presti attenzione in particolar modo ai bambini e al loro disagio attraverso un’indagine e una rilevazione attenta e accurata dei loro bisogni. Talvolta accade che il malessere e le condizioni di sofferenza dei bambini, vittime indirette del femminicidio, vengano scarsamente considerati o meglio presi in considerazione solo al momento della tragedia non curanti delle problematiche e dei traumi a cui va incontro un minore privato della propria famiglia dalla mano di suo padre. E’ indispensabile in questi casi una conoscenza precisa della situazione di vita del bambino e un’ attenzione continua sui suoi bisogni. Solo in questo modo è possibile mantenere al centro dell’intero processo di intervento l’obiettivo del benessere dei bambini. Quindi i bambini sono il centro dell’intervento e questo vuol dire anche avere sempre presente l’importanza dello scorrere del tempo, sapere che le difficoltà dei bambini non possono rimanere senza una soluzione troppo a lungo perché questi ultimi vengono gravemente danneggiati dalle incertezze prolungate relative al futuro.

Sapere che i bambini sono protetti, in particolare attraverso l’allontanamento da casa e il collocamento in un’adeguata comunità permette di attivare risorse in suo favore aiutandolo a superare l’evento traumatico. La segnalazione al Tribunale però non è sufficiente per poter considerare concluso l’intervento di tutela dei minori. A questo si deve accompagnare la comprensione del danno evolutivo subito dal bambino e della disponibilità dei membri della famiglia allargata di sostenere e supportare il minore nel suo percorso di crescita. Qualora questo sia impossibile a causa di un totale disinteresse della famiglia allargata o di una incapacità di questa di aiutare il minore, il Tribunale prenderà provvedimenti diversi dall’affidamento intrafamiliare, privilegiando qualora ci sia un evidente stato di abbandono la dimensione dell’appartenenza attraverso l’istituto dell’adozione.

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Sono i servizi sociali, nella figura dell’assistente sociale, ad avere la responsabilità di tenere le fila dell’interno processo d’intervento, sia per ciò che concerne i rapporti interistituzionali, sia nel rapporto con la famiglia. L’assistente sociale si trova al centro dei molteplici rapporti che intercorrono tra la famiglia, tra i servizi e tra le istituzioni. Il servizio sociale ha per questo un ruolo fondamentale nel cercare di produrre una comunicazione il più possibile funzionale tra i diversi sistemi. Talvolta accade che, una volta realizzata la protezione dei bambini, i servizi tendono ad abbandonare la famiglia assumendo un ruolo di controllore del rispetto delle prescrizioni impartite dal giudice. Può accadere che la famiglia venga lasciata a se stessa e che l’intervento dei servizi sociali si riduca ad un controllo fatto di rimproveri e avvertimenti. Viceversa il contatto periodico con la famiglia, il sostegno sociale e la verifica delle prescrizioni del giudice deve permettere di mettere in luce problemi e difficoltà che altrimenti rimarrebbero nascosti.

Nell’ambito della tutela dei minori, soggetti non in grado di provvedere a se stessi, la nostra legislazione è una delle più avanzate. L’ordinamento giuridico ha predisposto efficienti istituti diretti ad assicurare la soddisfazione dell’interesse del minore nel caso in cui i genitori non adempiono ai loro doveri. I presupposti legislativi della tutela del minore si ritrovano nell’art.30 della Costituzione che sancisce: “è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire e educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio”193.

Si evince dunque che nei casi di incapacità dei genitori la legge legittima l’intervento dello Stato nell’ambito familiare. Nelle situazioni di pregiudizio del minore, l’intervento dello Stato deve essere rivolto a risolvere le difficoltà per permettere al bambino di venire adeguatamente allevato ed educato. Nei casi più gravi, quando la situazione è pregiudizievole, la legge prevede la possibilità di rescindere definitivamente i legami con la famiglia d’origine e di inserire il minore in un’altra

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famiglia della quale diventerà membro legittimo194. Quando, dunque, dall’accertamento realizzato dall’assistente sociale, emerge l’irrecuperabilità della situazione in seguito ad esempio ad un evento tragico, come il femminicidio, e non vi sono risorse positive all’interno della famiglia allargata è necessario giungere precocemente all’interruzione definitiva dei rapporti tra la famiglia e i minori, per permettere loro d’instaurare nuovi legami parentali che ne favoriscano una crescita corretta e la realizzazione delle loro potenzialità e aspirazioni.

Spesso gli operatori possono incorrere nell’errore di collocare rapidamente il bambino in un luogo protetto e significativo spinti dall’esigenza di dare una risposta immediata all’urgenza. Questi coniugano impropriamente la necessità di un intervento protettivo da compiersi immediatamente e la scelta del collocamento presso la nonna materna. Ma perché la nonna materna? Semplicemente perché la più disponibile e considerata capace di dare protezione?

Bisogna evitare gli interventi casuali perché le scelte casuali possono complicare il percorso di aiuto195. È necessario realizzare un progetto pensato meticolosamente privo di scelte casuali. Il progetto permette di stabilire cosa viene dopo e cosa bisogna fare nella lunga distanza.

Mentre la protezione è la parte immediata della tutela del minore, un progetto invece è un insieme strutturato di pensiero che si traduce in una serie coordinata di interventi. Il progetto ha come obiettivo quello di costruire per il minore un seguito di vita positivo. Per elaborare e gestire un progetto è bene mettere insieme più competenze e più punti di vista poiché nessun operatore ha le competenze per poter gestire da solo una situazione complessa come quella oggetto della nostra ricerca. La variabile del tempo è fondamentale nella costruzione e gestione di un progetto. Non bisogna dimenticare che mentre gli operatori pensano e decidono il bambino cresce. Saper gestire la variabile tempo è una competenza necessaria per tutti gli operatori che si occupano di progetti per la tutela dei minori. Fondamentale è anche il passaggio delle informazioni tra gli operatori secondo un

194 Galli D., op. cit., p. 96. 195 Cellentani, op. cit., p.109

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criterio di rapidità e trasparenza. Questo è indispensabile quando si tratta di situazioni complesse in cui collaborano operatori con funzioni diverse. Le riunioni di equipe costituiscono il luogo per verificare la condivisione degli obiettivi e esprimere il proprio punto di vista.

Durante la realizzazione del progetto gli operatori devono tenere presente che una delle fonti principali di sofferenza dei bambini è costituita dall’assenza di figure di riferimento nei periodi sensibili dello sviluppo. Pertanto il distacco precoce dalla madre avrà effetti deleteri sullo sviluppo del bambino. Ci sono alcuni fattori che potrebbero aiutare i bambini a evolvere dalla loro situazione di difficoltà. Il primo fattore è la presenza di un genitore in grado di tutelare il bambino, il secondo la capacità di un genitore di riconoscere davanti ad un figlio cresciuto gli errori commessi, il terzo fattore è costituito dall’incontro del genitore con un partner in grado di svolgere una funzione riparativa dal punto di vista affettivo196.

Tra gli interventi a tutela dei bambini che il giudice può disporre vi è quello di allontanare il bambino dalla sua famiglia. Vi sono però collocazioni di bambini in istituto senza che per questi vi sia un progetto. Sono molti i bambini lasciati presso strutture di accoglienza senza intervenire, senza un progetto, ritardando il tempo in cui occorrerà individuare con quale famiglia, la propria o nuova, questo bambino può stare. Tale situazione può essere affrontata solo se gli operatori assumono consapevolezza che sono i bambini i primi interlocutori ed è per il loro benessere che ogni intervento va progettato. Scegliere di stare dalla parte del bambino è quindi la strada da percorrere, per quanto faticosa. Se si accetta di considerare il bambino la cartina tornasole dell’adeguatezza familiare tutto acquista un senso nuovo confermando i rischi che i bambini corrono in un contesto che non è in grado di aiutarli e di offrire adeguate occasioni di crescita. Mettersi dalla parte del bambino significa utilizzare anche le risorse legali, tra le quali vi è la segnalazione al Tribunale. Se il giudice decide per l’allontanamento, la collocazione in una struttura protetta è una risorsa.

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Le considerazioni fin qui presentate possono offrire una traccia di lavoro per gli operatori sociali. Tale traccia non segue necessariamente un percorso univoco vista la complessità dell’esperienza umana. Non solo vi è molta diversità tra le famiglie ma sono diversi anche i contesti di lavoro, le strutture in cui si opera e anche le storie professionali e umane degli operatori coinvolti. Pertanto non bisogna pensare che vi sia un percorso ottimale per intervenire, valido per tutte le famiglie e per tutti i bambini. Ci sono comunque alcune priorità a tutela dei bambini, della famiglia e anche a sostegno degli operatori. Innanzitutto va ricordato che l’utente è il bambino, vittima di maltrattamenti indiretti vissuti all’interno delle mura domestiche. Il bambino senza diritti e senza voce fino al momento dell’intervento deve diventare poi il primo interlocutore dei servizi. Questi ultimi devo lavorare per ottenere l’assenso e la collaborazione del bambino al progetto di tutela. Inoltre il bambino deve sapere cosa è successo e perché è stato allontanato da casa. Una spiegazione è loro dovuta per non pensare di essere loro i responsabili dell’accaduto.

I servizi coinvolti dalla loro parte devono lavorare insieme, nel rispetto delle loro specificità. La formazione di equipe formata dagli operatori coinvolti offre anche al bambino l’immagine che le persone che stanno lavorando con lui condividono lo stesso progetto e le stesse scelte. Un altro principio guida che è bene che gli operatori e i servizi di tutela seguano riguarda il tempo dell’intervento. Infatti uno degli errori più grandi dell’intervento psicosociale del nostro Paese è costituito dalla collocazione di bambini in strutture protette senza che venga avviato nello stesso tempo un percorso che preveda l’uscita, in breve tempo, del bambino dalla struttura e l’inserimento presso una famiglia, rispondendo in questo modo ad uno dei diritti fondamentali del fanciullo. Va ricordato inoltre che la segnalazione al tribunale dei minorenni è un obbligo legale non un’opportunità a discrezione dell’operatore197.

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Queste indicazioni o principi guida sono importanti ma sono solo una parte dell’insieme di strumenti e di atteggiamenti che rendono possibile l’incontro con i bambini vittime di una violenza inaudita, il femminicidio.

Nel documento Femminicidio e tutela degli orfani. (pagine 83-91)