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I punti deboli della legge contro il femminicidio.

Nel documento Femminicidio e tutela degli orfani. (pagine 37-43)

La legge sul femminicidio può bastare a fermare l’impulso alla carneficina? L’importante sicuramente è aver cominciato, in un paese dove, fino al 1981 esisteva ancora la depenalizzazione riconosciuta al delitto d’onore. C’è il timore però che si possa rivelare un primo passo si, ma falso. La legge infatti è stata varata sull’onda di un fenomeno segnalato dai media con toni allarmanti arrivando a farne scandalo pubblico. Ha comunque il merito di avere aperto varchi in un silenzio che normalizzava un fenomeno antico. La legge nasce da un dato di fatto che segnala una particolarità italiana: qui, nel 44% dei casi, quando una donna viene uccisa è per mano di un partner: marito, fidanzato, convivente.73 Pertanto nel testo legislativo si riconosce un’aggravante nel caso della relazione affettiva cioè se la violenza viene compiuta da una persona legata da vincolo matrimoniale, di convivenza o altro, allora il reato è considerato più grave. Una pena di un terzo più severa nel caso in cui le vittime siano incinte o mogli o compagne o fidanzate del carnefice è comprensibile dal punto di vista del legislatore ma introduce una discriminazione culturale verso le donne che non possono avere figli o che non hanno legami con un uomo.74 Si tratta di un vero e proprio pacchetto sicurezza in ragione del susseguirsi di eventi di gravissima efferatezza in danno di donne e del conseguente allarme sociale che ne è derivato. Il femminicidio anche se scoperto dai media e preso in considerazione dalla politica solo di recente, non è fenomeno di oggi: la violenza maschile sulle donne ha un carattere strutturale e non certo emergenziale come affermato dal

72 Ibidem, pp. 78-80. 73 Barletta R., op. cit., p. 87 74 Ibidem, p. 99

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Preambolo della Convenzione di Istanbul75. Le misure introdotte nella legge sul femminicidio rappresentano la risposta tardiva e inadeguata del Governo alle raccomandazioni provenienti dalle Nazioni Unite già nel 2011 con la suddetta convenzione. Il comitato CEDAW76 chiedeva di dare priorità all’adozione di misure strutturali con cui assicurare che le donne vittime di violenza abbiano immediata protezione, compreso l’allontanamento dell’aggressore dall’abitazione, la garanzia che possano stare in rifugi sicuri e ben finanziati su tutto il territorio nazionale, che possano avere accesso al gratuito patrocinio, alla assistenza psico-sociale e ad un’adeguata riparazione, incluso il risarcimento77. Raccomandava inoltre di assicurare la formazione di tutti gli operatori e di coinvolgere la società civile in campagne di sensibilizzazione. Ci si chiede allora se la legge sul femminicidio sia idonea al raggiungimento degli obbiettivi indicati dalle raccomandazioni Onu. A tal proposito è possibile ritenere che inserire le misure in materia di femminicidio in un pacchetto sicurezza sia stata una scelta infelice.78 La mala formulazione dei nuovi istituti introdotti, li rende inefficaci rispetto all’obiettivo di fornire immediata protezione alla donna, ed anzi in taluni casi rischia di accentuare sensibilmente il rischio di rivittimizzazione. Il vizio sta nella ratio stessa della legge: non mette al centro la promozione e la tutela dei diritti della persona offesa ma la percezione di insicurezza legata ai reati che colpiscono soggetti deboli.79 Nonostante le numerosissime criticità, l’inserimento nella legge sul femminicidio di alcune misure da anni chieste a gran voce dai centri antiviolenza e dalle associazioni femminili ha fatto si che essa trovasse un minimo di consenso. Non è questo il caso dell’Associazione dei Giuristi Democratici che ricorda la necessità di affrontare il tema della violenza maschile sulle donne con riforme di carattere strutturale, che siano costituzionalmente orientate e che abbiano come ratio l’eliminazione, da parte delle Istituzioni, di tutti quegli ostacoli materiali che impediscono alle donne, in quanto donne, il godimento effettivo

75 Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata con la legge n.77/2013

76 Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione delle donne adottata dall’Assemblea delle Nazioni Unite nel 1979.

77 Le informazioni riportate sono interamente consultabili sul sito internet www.reteparioppotunità.it 78 Le informazioni riportate sono interamente consultabili sul sito internet www.giuristidemocratici.it 79 Ibidem

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dei diritti fondamentali alla vita, all’integrità psicofisica, alla libertà sessuale, nonché l’accesso alla giustizia anche penale. La legge più che un segno di cambiamento radicale nell’approccio al tema, costituisce la riconferma di una prassi malsana, quella di trattare la violenza maschile sulle donne in termini di emergenza e quindi di includere nell’ennesimo pacchetto sicurezza misure urgenti di contrasto non tanto al fenomeno criminale in sé quanto all’allarme sociale che esso procura. Assistiamo da anni al tentativo di inserimento nei vari pacchetti sicurezza di misure in materia di violenza sulle donne. Lo schema è stato sempre il medesimo: a partire da uno o più fatti di cronaca, inizia il martellamento mediatico per costruire l’emergenza e dunque si costruisce il consenso del Governo, di carattere emergenziale, volto ad introdurre misure repressive. Oggi questo tipo di strumentalizzazione non è più ammissibile in vista della condanna dell’Italia da parte delle Nazioni Unite ed il conseguente interessamento dei media circa l’effettiva natura della violenza maschile sulle donne, come forma di violenza che viene perpetrata soprattutto in famiglia e da parte di persone conosciute.

Ieri come oggi si pretende che l’introduzione di misure da Stato di Polizia possono rappresentare la soluzione, laddove sia una corrente di pensiero interna al nostro ordinamento anche le Nazioni Unite hanno evidenziato l’inefficacia e i limiti di questo approccio e indicato con chiarezza altri tipi di azioni volte a garantire alle donne il godimento effettivo dei diritti fondamentali. Ma l’obiettivo della legge è un altro. Anche in questa legge, come per le misure in materia di violenza sulle donne introdotte nei precedenti pacchetti sicurezza, lo scopo non è quello di introdurre misure repressive per tutelare il diritto alla vita ed all’integrità psicofisica della donna in quanto persona, o di rimuovere quegli ostacoli che oggi rendono difficile alle donne vittime di violenza l’accesso alla giustizia, ma è piuttosto “la sicurezza della collettività”, messa a repentaglio dall’allarmante crescita degli episodi collegati alla violenza sessuale o il susseguirsi di eventi di gravissima efferatezza in

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danno di donne e il conseguente allarme sociale che ne è derivato80. Fino a quando gli interventi dell’esecutivo in materia di violenza sulle donne saranno incentrati sull’emergenza e declinati in termini di interventi volti a ridurre l’allarme sociale, piuttosto che sulla primaria esigenza di identificare e rimuovere quegli ostacoli che impediscono una effettiva protezione delle donne che hanno subito violenza, le azioni adottate saranno del tutto inadeguate a risolvere il problema.

L’individuazione della donna, come soggetto debole legittima e giustifica l’adozione di politiche protezionistiche da parte dello Stato tese a garantire la tutela attraverso il controllo. Al contrario, le Convenzioni internazionali in materia di diritti umani delle donne ratificate dall’Italia, impongono di non considerare le donne vittime di violenza soggetti deboli, ma soggetti resi vulnerabili dalla violenza subita.81 Questa lettura della violenza maschile sulle donne, imposta tanto dalla CEDAW quanto dalla Convenzione di Istanbul, modifica il contenuto dell’obbligo di Stato: non un obbligo di tutela ma un obbligo di rimozione degli ostacoli esistenti per l’effettivo godimento, da parte delle donne, dei loro diritti fondamentali. Ecco che allora si spiega il fallimento delle autorità dello Stato nella prevenzione e nel contrasto al femminicidio. I fatti di cronaca, che ci riportano di donne uccise dopo aver chiesto aiuto e denunciato, evidenziano l’incapacità di prendere in mano la situazione, raccogliere dati, cercare di capire. Davanti a queste gravi omissioni da parte dell’esecutivo fa comodo utilizzare l’urgenza come palliativo, capace di sedare l’opinione pubblica a fronte dell’incapacità di garantire adeguata protezione alle vittime donne e minori che scelgono di denunciare situazioni di violenza. La Convenzione di Istanbul non prevede che la violenza sulle donne debba essere affrontata perché è un fenomeno criminale che desta allarme sociale ma deve essere sostenuta mettendo al centro i diritti violati della persona offesa, a partire dalla considerazione che un reato è non solo un torto alla società, ma anche una violazione dei diritti

80 Legge 119/2013: Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province.

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individuali delle vittime82 e che le Istituzioni devono prevenire e contrastare tali violazioni. L’inadeguatezza della legge a prevenire efficacemente il femminicidio discende dunque dagli obbiettivi che si pone, che non sono la promozione e la tutela dei diritti delle donne, ma la promozione e la tutela della sicurezza pubblica attraverso una maggiore repressione dei reati che colpiscono le donne. Il comitato ONU per l’applicazione della CEDAW ha ribadito al governo italiano di essere preoccupato per il persistere di attitudini socio-culturali che condonano la violenza domestica e di ritenere che l’elevato numero dei femminicidi potesse indicare il fallimento delle Autorità dello Stato-membro nel proteggere adeguatamente le donne, vittime dei loro partner o ex partner.83 Per adempiere adeguatamente alle obbligazioni di perseguire i reati che costituiscono violenza maschile sulle donne e proteggere le vittime a livello europeo ed internazionale, si richiede agli Stati di adottare una risposta basata sui diritti umani, che metta al centro i diritti e i bisogni della vittima, che promuova la partecipazione ed il coordinamento di tutti gli attori del sistema della giustizia penale e della rete di protezione delle vittime. Se oltre a bloccare l’autore di violenze non si aiutano le donne con percorsi mirati a sganciarsi dalla relazione allontanandole dal pericolo, tutelando i figli, rafforzando le loro scelte offrendo sostegno e percorsi di autonomia anche economica, che efficacia avranno gli arresti? In Italia le strutture di accoglienza che mettono le donne, al centro delle relazioni di aiuto, sono poche. Complessivamente ci sono 500 posti letto invece dei 5700 previsti dalle direttive europee e i centri antiviolenza continuano ad essere scarsamente finanziati e molti sono sempre a rischio di chiusura.84 Il tutto riceve come motivazione la scelta del governo di continuare a considerare la violenza contro le donne una questione di ordine pubblico invece che un problema culturale. Di fatto la legge contro il femminicidio interviene solo sul piano repressivo, del tutto insufficiente per affrontare il fenomeno in tutta la sua complessità.

82 Direttiva dell’Unione Europea n. 29/2012 83 Raccomandazione Onu n.26/2011

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Abbiamo perso la capacità di tradurre le emozioni e i sentimenti in parole, viviamo in una sorta di analfabetismo sentimentale. In presenza di donne che si emancipano e acquistano sicurezze e nuove prospettive, gli uomini restano un passo indietro, fanno fatica a confrontarsi con questa nuova generazione di donne. La legge sul femminicidio è un primo piccolo passo, ma senza la prevenzione e una rieducazione culturale non si va da nessuna parte. E’ necessario aumentare i centri antiviolenza che sono un punto di riferimento per chi subisce violenze fisiche e psicologiche insieme ad un lavoro nelle scuole sugli stereotipi di genere. E’ importante che uomini e donne lavorino insieme per arginare il fenomeno, non si può continuare a considerare un problema solo del genere femminile. E’ un problema che riguarda la società, il genere umano.

Non ci sono solo il sangue, le botte, la paura. Nelle terribili storie di femminicidio c’è anche un capitolo nascosto e quasi mai ricordato. E’ quello dei figli che sopravvivono alle madri uccise dai loro compagni. Orfani due volte. O perché i padri, dopo aver tolto una vita si sono suicidati o perché sono finiti in carcere.

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