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Il concetto di divenire e la teoria della relativita speciale

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Academic year: 2021

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PREFAZIONE

Obiettivo primario di questa tesi è un’analisi del concetto di divenire per come esso viene trattato nel dibattito contemporaneo sul tempo in filosofia analitica. Si cercherà di difendere la posizione per la quale la realtà del tempo non può essere adeguatamente caratterizzata se esso è pensato come una cosa (come una sostanza, o un insieme di sostanze). Ci confronteremo quindi con le due principali teorie del tempo che si possono trovare oggi in filosofia analitica: la teoria A, la quale afferma la realtà del passaggio del tempo e del divenire, e la teoria B, la quale nega entrambi e concepisce l’universo fisico come un “blocco” statico quadri-dimensionale.

Il Cap. 1 si apre col tentativo di cercare una definizione del divenire, per poi analizzare il modo in cui le diverse teorie A lo caratterizzano. Successivamente, si mostra come da tali caratterizzazioni derivino direttamente i problemi principali di queste teorie (il paradosso di McTaggart, il problema del presente e il problema della velocità dello scorrere del tempo). Infine, vengono illustrate le caratteristiche principali della teoria B.

Il Cap. 2 si occupa di quella particolare teoria A per la quale solo gli eventi che possiamo definire presenti esistono, e che prende quindi il nome di Presentismo. Verranno analizzati i suoi punti di forza e i suoi problemi, tenendo conto della molteplicità dei modi in cui la teoria può esser formulata.

Il Cap. 3 passa in rassegna i diversi modi in cui il tempo è concepito nella teoria fisica di Newton e in quella della relatività speciale di Einstein.

Questa analisi è funzionale al problema dei rapporti tra la teoria A e la relatività speciale, tema del Cap. 4. Qui si prenderà in esame il principale argomento a favore della teoria B derivato dalla relatività della simultaneità, uno dei concetti cardine della relatività einsteiniana. Si analizzerà nel dettaglio l’argomento e le possibili risposte ad esso.

Il Cap. 5 cerca di motivare una posizione per cui il mondo vada necessariamente pensato in divenire e, quindi, la teoria B non possa essere adeguata come teoria del tempo. Per farlo si costruirà un argomento che parte dalla natura dell’esperienza cosciente. Infine, verrà proposta la tesi per cui la tendenza a pensare la realtà come fondamentalmente statica sia intrinseca all’impostazione ontologica dettata da Quine, oggi più che mai popolare in filosofia analitica.

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INDICE

PREFAZIONE ... 1

CAPITOLO UNO: Chiarificare il concetto di divenire ... 4

1.1 Divenire e tempo nell’immagine manifesta ... 4

1.2 I modelli ontologici delle teorie dinamiche del tempo ... 18

1.3 Il paradosso di McTaggart ... 31

1.4 Il problema del presente ... 41

1.5 A che velocità scorre il tempo? ... 44

1.6 Un primo accenno alla teoria B ... 51

1.7 Conclusione ... 53

CAPITOLO DUE: Limiti e possibilità della teoria presentista ... 56

2.1 Il problema della definizione ... 56

2.2 Le varietà di presentismo ... 62

2.3 Presentismo e passaggio del tempo ... 84

2.4 Conclusione ... 89

CAPITOLO TRE: Spazio e tempo: dalla teoria di Newton a quella di Einstein ... 90

3.1 La prima legge del moto ... 90

3.2 Dallo spazio e tempo newtoniani allo spazio-tempo neo-newtoniano ... 97

3.3 Spazio e tempo assoluti ... 104

3.4 Il passaggio del tempo nella teoria di Newton... 106

3.5 I due principi fondamentali della relatività speciale ... 111

CAPITOLO QUATTRO: L’argomento di Putnam-Rietdjik ... 119

4.1 Un’esposizione dell’argomento ... 119

4.2 Simultaneità assoluta nello spazio-tempo relativistico ... 123

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4.4 Le “vie di mezzo” ... 140

4.5 Conclusione ... 152

CAPITOLO CINQUE: Verso un superamento della teoria B ... 156

5.1 La teoria B e l’esperienza del tempo ... 156

5.2 Un nuovo argomento contro la teoria B ... 167

5.3 Il tempo e limiti dell’ontologia quineana ... 172

5.4 Conclusione generale ... 175

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CAPITOLO UNO: Chiarificare il concetto di divenire

1.1 Divenire e tempo nell’immagine manifesta

Di tutti i fenomeni che costituiscono e che riempiono le basi concettuali dell’esperienza che facciamo del mondo e di noi stessi, spesso impliciti nelle nostre conoscenze e nelle nostre teorie, nelle nostre azioni e nei nostri progetti, così come in una buona parte del nostro investimento emotivo, il tempo è senz’altro uno dei più pervasivi e allo stesso tempo dei più elusivi. Già l’averlo definito “fenomeno” potrebbe essere ritenuto un errore. Un fenomeno – inteso come ciò che si manifesta, che appare – è qualcosa che si svolge nel tempo, il quale sarebbe una sorta di condizione di possibilità di quest’ultimo; non avrebbe senso allora parlare del tempo stesso come di un fenomeno. E che dire, allora, dell’apparentemente innocente espressione appena utilizzata: “qualcosa che si svolge nel tempo”? In particolare: che significato dare qui a questo “nel”? Sembra che si stia intendendo il tempo come una sorta di contenitore di ciò che va a costituire la realtà, in maniera forse troppo affine allo spazio (o a una certa concezione di esso). La problematica è allora da subito chiara: ciò che siamo soliti chiamare “tempo” è qualcosa (e ancora subito un’altra insidia: il tempo è una cosa?) di talmente pervasivo che il solo tentare di analizzarlo, di volerlo inquadrare in una qualsiasi categoria concettuale per cercare di rendercelo più comprensibile porta con sé il rischio del fraintendimento.

Fin da queste prime righe abbiamo incontrato tre delle trappole più attraenti quando si parla di tempo e si cerca di darne una caratterizzazione concettuale adeguata. La prima – in relazione all’aver parlato del tempo come di un fenomeno – riguarda il ridurre la dimensione temporale a quella di qualcosa che accade, un evento o un processo che fa parte del mondo naturale. La seconda ha a che fare con la concezione del tempo-contenitore, come di una sorta di dimensione ulteriore allo spazio, dentro alla quale gli eventi si svolgono. È questa particolare concezione che implicitamente ci portiamo dietro quando parliamo del “posto” che gli eventi occupano nel tempo, per esempio facendo riferimento a una data o a una coordinata temporale. La terza è invece quella di pensare il tempo come una cosa. Questo ci capita quando ci figuriamo il tempo come una specie di lunga linea composta di unità chiamate istanti, o momenti, o ancor

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più confusamente “tempi” (la lingua utilizzata nel dibattito filosofico sul tempo, quella inglese, è particolarmente pericolosa per questo per via di espressioni come “At that time…” o “Many times…”). Tutti e tre questi modi di pensare il tempo sono estremamente seducenti e in certa misura anche abbastanza istintivi, motivo per il quale non ci sorprenderà constatare come nel dibattito sul tempo in filosofia contemporanea essi siano onnipresenti, spesso anche in più di uno alla volta. Sarà nostro compito districarsi in essi senza lasciarcisi trasportare, cercando invece di evidenziare come ognuna di queste tre concezioni intuitive sia troppo unilaterale e gravida di fraintendimenti.

Comunque sia, se vogliamo affrontare il tema del tempo, da qualche parte bisogna pur cominciare. La nostra scelta sarà quella di concentrarci fin da subito su quella caratteristica della realtà che più direttamente di tutte le altre sembra richiamare alla mente l’idea di tempo: il fatto che la realtà sia, o quantomeno appaia essere – visto che molti filosofi lo hanno negato e continuano a negarlo – in continuo cambiamento, un cambiamento che implica il venire in essere e l’uscire dall’essere – il nascere il morire – delle cose. La nostra via d’accesso al tempo sarà quindi il divenire. Il sole sorge e tramonta, le giornate e poi le settimane e poi i mesi e poi le stagioni si susseguono, la pioggia comincia e smette di cadere, le foglie nascono, maturano, si seccano e poi cadono, le lancette sull’orologio battono i secondi, i corpi si spostano nello spazio. Se c’è qualcosa che a primo acchito ci sembra una verità indubitabile sul mondo è che esso non rimane mai uguale a se stesso, esso è in continuo mutamento. Ora, il concetto di divenire è molto vicino a quello di mutamento ma i due termini non hanno esattamente lo stesso significato. Col termine di “mutamento” i filosofi sono soliti indicare un cambiamento qualitativo di qualche cosa. Una foglia che si secca muta nel senso che cambia molte delle sue qualità, dal colore alla consistenza. Una pallina che cade e rimbalza a terra muta poiché a cambiare è la sua posizione spaziale. Mutare vuol dire cambiare al livello qualitativo; si può anche dire: mutamento è cambiamento nelle proprietà di qualche cosa. Il termine “divenire” ha invece una connotazione più forte perché indica un rapporto tra il cambiamento delle cose e l’esistenza. Se un tavolo di legno viene bruciato, si potrebbe voler dire che non è semplicemente mutato, esso non è cioè solamente cambiato rispetto a qualche sua qualità. Una mela che lentamente marcisce sta mutando; ma che dire di un tavolino che viene dato alle fiamme? Si potrebbe voler dire che il tavolo in quanto tale non esiste più, che al suo posto non c’è nient’altro che cenere o tizzoni ardenti. Il tavolo che prima c’era ora è bruciato non

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esiste più e al suo posto c’è della cenere, la quale invece prima non c’era. È in questo senso che il concetto di divenire indica un cambiamento rispetto all’esistenza. A questo proposito nel dibattito contemporaneo si può rinvenire l’espressione divenire assoluto1.

In che modo la concezione della realtà come soggetta a un divenire assoluto, definito come l’entrata e l’uscita delle cose dall’esistenza, è connessa al tempo? Spesso parliamo di scorrere del tempo o, per usare un’espressione un po’ meno legata a una metafora visiva, di passaggio del tempo. L’orologio segna il cambiare delle ore e in riferimento al loro susseguirsi noi parliamo del tempo come di qualcosa che passa. È più che naturale a questo proposito pensare al passaggio del tempo come a quella caratteristica della realtà che fa sì che alcune cose comincino e altre cessino di esistere. Il tempo passa e dalla gravidanza di una donna si arriva alla nascita di un nuovo nato; il tempo passa e il tavolino che aveva cominciato a bruciare diventa cenere. Il tempo e il cambiamento in ciò che esiste sembrano intimamente connessi.

Muovendo i primi passi in un’indagine sulla natura del tempo abbiamo dunque rilevato che la realtà del mondo sembra possedere un carattere dinamico. Le cose cambiano non solo nel senso che in momenti diversi possiedono proprietà diverse ma anche nel senso che alcune, forse tutte, cominciano a esistere e poi cessano di esistere. Questo lo abbiamo chiamato divenire e abbiamo detto che è legato a doppio filo a ciò cui ci riferiamo con l’espressione “passaggio del tempo”.

Ma cosa significa più precisamente che il tempo passa? Questa sembra essere la domanda fondamentale se vogliamo chiarire in che senso la realtà sia soggetta a divenire. Purtroppo, non è su questa domanda che i filosofi hanno speso la maggior parte delle loro energie. Una delle domande che invece stanno al centro del dibattito in filosofia del tempo è la seguente: il tempo passa realmente? Cioè: la realtà possiede davvero delle componenti dinamiche che noi cerchiamo di esprimere parlando di passaggio del tempo e di scorrere del tempo, oppure questa nostra impressione di dinamicità è illusoria?

Ora, non è stata casuale la scelta di partire nella nostra trattazione dalla nozione di passaggio del tempo. La ragione di tale scelta non sta solo nel fatto che questa sia una delle espressioni più ricorrenti nel linguaggio quotidiano quando si parla del tempo. Più

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Utilizzando questa espressione si corre il rischio di un’ambiguità. A volte si parla di divenire assoluto solo in rapporto a un’ontologia che preveda un’entrata nell’esistenza di eventi (o proprietà o sostanze ecc.) ma non un’uscita da essa. Un modello ontologico per cui le cose cominciano a esistere e per sempre lo continuano. Altre volte invece si usa l’espressione così come noi l’abbiamo introdotta, cioè per parlare in generale di qualcosa che comincia o smette di esistere. Per evitare ambiguità precisiamo fin da subito che noi intenderemo il termine in questa seconda accezione.

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sopra ho parlato di tre tipi di concettualizzazioni molto attraenti riguardo al tempo, le quali spesso adottiamo senza rendercene conto, e le ho chiamate “trappole”. Le motivazioni di un termine con una connotazione così negativa devono ancora essere chiarite, è vero. Ciò che però è per noi adesso centrale è notare come, nel dibattito filosofico attuale, la nozione di passaggio del tempo coinvolga non una sola di queste concettualizzazioni intuitive, e neanche due, bensì tutte e tre assieme! Per vedere questo basterà rivolgersi alla teoria filosofica che risponde affermativamente alla domanda se il passaggio del tempo sia reale. Questa prende il nome di Teoria A, col quale in realtà più che indicare una teoria filosofica unitaria si fa riferimento a un gruppo di teorie: quelle che in qualche modo vogliono rendere conto del passaggio del tempo come di una genuina caratteristica della realtà. Per questo esse vengono anche chiamate teorie

dinamiche del tempo. Partiremo esaminandone le caratteristiche più generali, mentre

della teoria rivale – quella che nega il passaggio del tempo – parleremo più avanti. La prima cosa che si deve dire riguardo alle teorie A è che in esse svolge un ruolo centrale la nozione di Adesso o di Presente. Quel che si vuole con ciò indicare è che c’è una classe privilegiata di eventi che accadono Adesso, nel senso che accadono nel presente, che stanno accadendo in questo momento mentre io sto scrivendo questa frase. Si può parlare di questi eventi come degli eventi presenti, e delle entità che coinvolgono come di quelle che esistono nel presente. L’importante per le teorie A è il fatto che ci siano eventi contraddistinti dal fatto di essere presenti.

Certo, questa caratterizzazione è un po’ vaga. Si potrebbe chiedere in che modo venga definito l’Adesso, o il Presente che dir si voglia. Nella letteratura filosofica si introduce spesso il presente come una proprietà. Esso sarebbe una proprietà di alcuni eventi o, alternativamente, di un istante. Anche se le diverse teorie filosofiche sul tempo declinano quest’impostazione in maniere diverse si può tuttavia vedere come di fatto l’attribuzione della proprietà Presente a un istante o a un insieme di eventi siano equivalenti. Poniamo per esempio di voler stabilire che siano gli istanti – o meglio, un istante – a possedere tale proprietà. Se un istante t possiede la proprietà di essere Presente, l’istante che è Adesso, allora di conseguenza gli eventi di cui si può correttamente parlare come di eventi presenti saranno gli eventi che si svolgono in tale istante. Se, viceversa, stabiliamo che la proprietà Presente è in primo luogo posseduta da insiemi di eventi, sarà di conseguenza definibile presente anche l’istante in cui si svolgono tali eventi. Di fatto, quindi, su questo punto le due opzioni sono equivalenti.

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Oltre alla proprietà Presente, le teorie A postulano l’esistenza di altre due proprietà ad essa connesse: Passato e Futuro. Queste sono sempre proprietà di eventi e di istanti, e tuttavia vengono trattate in modo diverso da diverse teorie A; per esempio, non tutte le teorie A accettano l’esistenza di eventi futuri. Per ora possiamo limitarci a sottolineare che il ruolo centrale è svolto in ogni caso dalla proprietà Presente, ed è dal suo ruolo nelle teorie che dipende il trattamento riservato alle altre due (ciò sarà più chiaro quando esamineremo nel dettaglio le diverse teorie A).

Come si inserisce in questa cornice teorica il passaggio del tempo? In generale, le teorie A concepiscono il passaggio del tempo come un cambiamento nel possesso della proprietà Presente da parte degli eventi. Per fare un esempio molto semplice, prendiamo tre istanti – t1, t2, t3 – e supponiamo che t2 abbia la proprietà di essere Presente. Gli

eventi in t2 sono quindi presenti, mentre quelli in t1 sono passati e quelli in t3 futuri

(questo ammettendo che si stia parlando di una teoria A che, oltre all’esistenza di eventi presenti, ammette l’esistenza di eventi passati e futuri). Si ha passaggio del tempo poiché vi è un cambiamento nel possesso della proprietà Presente: essa sarà posseduta da t3 dopo t2, il quale quindi da presente diverrà passato, t1 retrocederà ulteriormente nel

passato – nel senso che aumenterà la sua distanza dall’istante che attualmente possiede la proprietà Presente – mentre l’evento t4, un evento futuro, diverrà più vicino ad esser

presente2.

Ed ecco che in questo modo siamo caduti in pieno in tutte e tre le trappole: pensare il tempo alla maniera di un fenomeno naturale, pensare il tempo come il “luogo” in cui si svolgono gli eventi e pensare il tempo come una cosa. Vediamo perché.

L’immagine che può offrire ai nostri occhi la descrizione appena fornita di cos’è una teoria A appare essere quella di una linea orientata in cui si succedono quelli che abbiamo chiamato istanti: t1, t2, t3, t4 ecc. Questi istanti sono ciò da cui “è formato” il

tempo, il quale non consiste in nient’altro che nella totalità di questa linea stessa3. Ora, è abbastanza evidente che questo schema di pensiero è derivato dal modo in cui si concepiscono le cose materiali. La sedia consiste in un composto di parti (lo schienale,

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Non è difficile notare come il resoconto che qui è stato dato sia circolare: si è parlato di un istante presente che diverrà passato e di un istante futuro che diverrà presente. Sembra lecito chiedere quando avvenga questo cambiamento nelle proprietà. In altre parole, lo scorrere del tempo concepito come un cambiamento di proprietà sembra richiedere di pensare che ci siano momenti diversi in cui istanti diversi possiedono la proprietà Presente. In altre parole, starei già utilizzando concetti temporali (“momenti”, “l’istante diverrà passato” ecc.) per parlare del passaggio del tempo. Ogni teoria A che accetti l’esistenza di eventi e istanti passati, presenti e futuri è soggetta a questa obiezione di circolarità.

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A dire il vero, questa caratteristica del tempo viene conservata anche dalla teoria rivale alla teoria A. L’unico modo per liberarsene è adottare una concezione relazionista del tempo.

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le gambe, la seduta, …); un albero è composto dal tronco, dai rami che da esso si sviluppano, dalle foglie e così via. Il tempo, in questa concezione, è certamente un qualche cosa di più uniforme che non un albero o una sedia. Certamente però pensarlo come una successione di istanti è ancora pensarlo come una totalità composta di parti. Si potrebbe ribattere che di certo parlando di istanti non si intendono delle entità materiali. Questo è certo, però allo stesso tempo se gli istanti devono poter possedere delle proprietà bisogna che siano qualcosa di affine a delle sostanze, e la categoria di sostanza è certamente quella privilegiata quando si parla delle entità che compongono il mondo materiale4. Quindi, gli istanti sarebbero qualcosa di affine a delle sostanze e per questo motivo potrebbero possedere delle proprietà: Passato, Presente e Futuro. Specificarne ulteriormente la natura non è impresa facile; il modo migliore di cavarsela è probabilmente quello di concepirli come entità fondamentali e non ulteriormente definibili o analizzabili. La teoria A interpreta quindi i nostri discorsi quotidiani sul passato, sul presente e sul futuro come enunciati che esprimo l’attribuzione di proprietà a istanti/eventi. Quando diciamo che la battaglia di Waterloo è passata non staremmo dicendo altro che quell’evento e l’istante in cui si trova hanno la proprietà Passato.

Questo ci porta al secondo punto, cioè a quella che è stata chiamata spazializzazione

del tempo. Si è soliti dire che la tentazione a concepire il tempo in maniera simile allo

spazio è legata alla fisica e in particolare alla teoria della relatività. Questo è in parte vero ma penso si possa mostrare come la tendenza a pensare al tempo in termini spaziali sia più profonda e radicata. Di fatto, ancora non si è menzionata la teoria della relatività ma si può già vedere come la teoria A, che dal canto suo vorrebbe rivendicare un carattere dinamico della realtà, ha inscritta fin nelle sue radici la tendenza a pensare il tempo in maniera simile allo spazio. Gli istanti di cui ci parla rappresentano infatti una vera e proprio “locazione” degli eventi, sono il loro “posto”. Se affermo che “l’evento x si svolge in t1” sto di fatto parlando in termini spaziali. L’immagine stessa della linea

composta di istanti è una rappresentazione spaziale, il che non è per forza un iniziale fraintendimento di ciò che si vuole mettere a tema (si possono infatti fare rappresentazioni spaziali di molte cose che non sono luoghi), e tuttavia nasce il sospetto che nel fatto stesso di utilizzare un ente geometrico per parlare del tempo si rischi di viziare fin da principio la nostra teorizzazione. Qualcuno potrebbe ribattere che il collocare gli eventi in istanti disposti lungo una linea non è altro che, appunto, una

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Né, d’altra parte, sarebbe possibile concepire gli istanti come per esempio eventi o processi, visto che entrambi presuppongono già una dimensione temporale.

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rappresentazione, un utile strumento; rimangono due utilizzi fondamentalmente diversi della preposizione “in” dire “il fulmine cade in t1” e dire invece “la calcolatrice si trova

in salotto”. Il primo enunciato si riferisce al tempo, il secondo a un posto, allo spazio. A questa obiezione si può facilmente rispondere che se c’è una differenza tra i due esempi essa non emerge in alcun modo dalla struttura degli enunciati, che di fatto è analoga, né dalla rappresentazione del tempo come di una linea, che di fatto è una rappresentazione spaziale.

Veniamo al terzo punto: il pensare il tempo alla stregua di un fenomeno naturale. Questo accade non appena allo scenario della linea ordinata di istanti aggiungiamo le proprietà di Passato, Presente e Futuro. Il passaggio del tempo, nella teoria A, è visto come un cambiamento nelle proprietà di quelle sostanze che sono gli istanti. Questo, però, è esattamente il modo in cui spesso viene concettualizzato il mutamento in fenomeni del mondo naturale. Una mela muta di colore poiché in istanti diversi possiede proprietà diverse, così come un uomo cambia nel tempo perché cambiano le proprietà che esemplifica. Il passaggio del tempo viene qui trattato in maniera analoga: esso consiste in un cambiamento nelle proprietà degli istanti. Sotto quest’aspetto si può quasi letteralmente parlare di qualcosa che passa, nel senso che la proprietà Presente passa da un istante all’altro.

Dunque, possiamo riassumere tali caratteristiche fondamentali del modo in cui la teoria A parla del tempo nel seguente elenco:

 Tempo-cosa: tempo come la somma, o come la successione di entità – gli istanti – concepiti in maniera analoga a delle sostanze, le quali possiedono delle proprietà (Passato, Presente, Futuro)

 Tempo spazializzato: istanti pensati come locazione degli eventi; il tempo rappresentato dall’ente geometrico di una linea

 Tempo-fenomeno: il passaggio del tempo, cioè l’aspetto dinamico della realtà, visto come un cambiamento nelle proprietà, in maniera simile a come si concepisce il mutamento

Essersi soffermati adesso su questi punti basilari si rivelerà più utile man mano che procederemo, visto che ne derivano praticamente tutti i problemi delle teorie A. Ogni critica che è stata rivolta alle teorie dinamiche del tempo si basa, seppur la maggior

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parte delle volte in maniera implicita, sul fatto che la teoria A poggi sulle sopraesposte basi concettuali. Per forza di cose, rimanendo all’interno di questo schema concettuale diventa molto difficile continuare a difendere una teoria A. Questo è il motivo per cui la maggior parte dei filosofi che si occupano del tempo la rifiuta, arrivando con ciò stesso a negare ogni tipo di carattere dinamico della realtà. La teoria rivale alla A è chiamata, non troppo originalmente, teoria B ed essa nega che lo scorrere del tempo sia un’autentica caratteristica della realtà. Viene quindi chiamata, per quanto paradossale possa sembrare, teoria statica del tempo.

Il dibattito in filosofia del tempo si sviluppa quindi secondo le seguenti direttrici: il teorico A cerca di sviluppare una teoria che possa rendere conto del carattere dinamico che la realtà, intuitivamente, sembra possedere. Egli assume però, senza rendersene pienamente conto, dei punti di partenza che se osservati con un pochino più di attenzione non sembrano adatti a sostenere la tesi di un tale carattere dinamico del tempo. Così la sua teoria non può che andare in contro a seri problemi, per l’essere la sua stessa base costituita da strumenti concettuali inadeguati. Per via di questi stessi problemi, d’altra parte, il teorico B rifiuterà, insieme alla teoria avversaria, anche ciò che ha di fondamentale, cioè una concezione dinamica del tempo; spesso ciò è fatto in nome della visione del mondo offerta dalla fisica (un ruolo particolare è svolto, come vedremo, dalla relatività speciale). Dopotutto, non è già successo molte volte che una scoperta scientifica contrastasse una nostra intuizione sul mondo, arrivando infine a rivelarsi più veritiera? Perché lo stesso non potrebbe accadere con la nostra intuizione che la realtà sia fondamentalmente dinamica e che il passaggio del tempo sia reale? Il problema è però che la visione “intuitiva” che si crede di superare non ha caratterizzato adeguatamente il suo oggetto di studio. Tra il negare che le sue basi concettuali siano adeguate e il negare la realtà di ciò che queste stesse basi concettuali hanno cercato di spiegare c’è una grandissima differenza. Questa, tuttavia, fa fatica a emergere all’interno del dibattito5.

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Questo succede un po’ dappertutto in filosofia analitica. Prendiamo per esempio i famigerati qualia, la cui esistenza è tanto dibattuta in filosofia della mente: si confonde il negare che essi come entità semplici, ineffabili e direttamente conoscibili esistano col negare che esista ciò che essi sono stati creati per rendere conto, cioè l’esperienza cosciente. Oppure pensiamo alla posizione libertarista nel dibattito sul libero arbitrio. La maggior parte dei filosofi ne rifiuta una versione iperbolica per cui il libero arbitrio sarebbe la capacità di prendere qualsiasi decisione in qualsiasi momento senza tenere conto delle condizioni e del passato dell’agente. Di qui si approda al compatibilismo o alla negazione della libertà umana, senza neanche chiedersi se una caratterizzazione migliore del libero arbitrio sia possibile.

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Appena sopra si è rilevato, in riferimento alla teoria B, come parlare di una teoria statica del tempo possa apparire paradossale. Tuttavia, se torniamo all’elenco relativo ai fondamenti della teoria A vediamo come di fatto non ci sia nessun legame di principio tra le prime due condizioni e la terza. Si può infatti immaginare benissimo che esista il tempo come somma/successione di istanti, il tempo-linea in cui trovano posto gli eventi, senza che ci sia nessuno tipo di passaggio, nessun cambiare di proprietà temporali (Passato, Presente, Futuro). Non è un caso che la teoria B arrivi alla sua concezione statica della realtà e del tempo stesso – se per tempo si intende la suddetta linea di istanti – partendo dalle stesse basi della teoria A e limitandosi a sottrarvi le proprietà temporali. In particolare, la teoria B rifiuta che si possa parlare della proprietà Presente come di una proprietà genuina della realtà. Tolta quella vengono rimosse di per ciò stesso anche le proprietà di Passato e Futuro che, come già abbiamo anticipato e come illustreremo meglio più avanti, in ogni teoria A dipendono sempre dal ruolo della prima. E tolte le proprietà temporali si toglie di per ciò stesso anche il passaggio del tempo, visto che quest’ultimo era stato definito per mezzo di esse. Ne segue piuttosto chiaramente che in una teoria B non ci sia spazio per il divenire assoluto.

È per questi motivi che la teoria A, in quanto teoria dinamica del tempo, è ritenuta essere la teoria filosofica sul tempo più vicina al senso comune e questa è senz’altro una delle motivazioni principali per la quale molti filosofi insistono nel difenderla. Come abbiamo sottolineato, il suo fulcro sta nella nozione di Presente. In che modo il fatto che ci siano degli eventi in certo senso “privilegiati”, i quali possiedono tale proprietà, dovrebbe rendere la teoria A più vicina all’immagine manifesta del tempo?6 Per comprendere questo bisogna guardare ad alcune delle caratteristiche della nozione di presente per come essa viene impiegata in tale teoria.

Partiamo dal citato ruolo privilegiato della proprietà Presente. Essa dovrebbe essere la controparte teorica di ciò che nel senso comune intendiamo quando affermiamo o sottintendiamo che ci sia un fatto oggettivo riguardo a ciò che sta accadendo adesso. Mentre scrivo queste frasi sento delle voci provenire dal marciapiede di fronte alla mia finestra, passa un’automobile, mia madre intanto si prepara per uscire di casa, qualcuno al piano di sopra sta spostando dei mobili. Tutti questi eventi non sono stati naturalmente da me percepiti contemporaneamente ma in ogni momento c’è stato,

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L’espressione “immagine manifesta”, che sta ad indicare la concezione del mondo e delle cose che l’uomo – attraverso la tradizione, la cultura e anche come organismo biologico – si è formato di stesso, proviene da Sellars (1962).

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intuitivamente, qualche accadimento di cui avrei potuto dire che stava accadendo ora. Per esempio, ora il cancello del parcheggio condominiale si sta aprendo; di questo evento direi che, in un senso oggettivo, sta accadendo adesso. La teoria A cerca di catturare questa nostra impressione di un presente oggettivo e intrinseco alla realtà in se stessa attraverso l’attribuzione della proprietà Presente a un certo insieme di eventi. Per chiarire questo punto da un’altra prospettiva, potremmo dire che nel senso comune così come nella teoria A, la domanda ‘Cosa sta accadendo adesso?’ ha una risposta oggettiva, definita in termini della proprietà Presente.

Tali considerazioni sul ruolo del presente ci introducono a un altro tema fondamentale: quello della simultaneità. Possiamo in prima battuta definire la simultaneità come una relazione tra eventi:

SIMULTANEITÀ: Presi due eventi e1 ed e2, essi sono simultanei se e solo se tra di

essi non intercorre alcun intervallo temporale. O, alternativamente, se essi occorrono nello stesso istante.

Questa definizione si sposa bene con, e in parte presuppone, la concezione del tempo come successione ordinata di istanti. A ogni istante è associato un insieme di eventi i quali sono legati dalla relazione di simultaneità; o all’inverso, coppie di eventi tra i quali è stabilita una relazione di simultaneità avvengono allo stesso istante. È importante sottolineare fin da subito come la relazione di simultaneità sia intuitivamente concepita come una relazione simmetrica ma soprattutto transitiva7: se e1 è simultaneo a e2 e e2 è

simultaneo a e3 allora anche e1 e e3 sono simultanei. La simultaneità è concepita nella

teoria A come una relazione assoluta. Questo significa semplicemente che tutti gli osservatori8 devono concordare su quali eventi siano tra loro simultanei. Oppure, per dirlo in maniera più semplice, il fatto che due o più eventi siano tra loro simultanei è qualcosa che non dipende da un punto di vista, da una prospettiva, o da una scelta esplicativa, ma è invece un fatto oggettivo pertinente la realtà delle cose.

Nella teoria A il presente ha estensione globale. Ciò significa che per ogni luogo dello spazio la domanda ‘Cosa sta accadendo adesso lì?’ trova una risposta definita. Ciò può essere chiarito con un esempio intuitivo: schiocco le dita e, sempre per un modo di

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Gli argomenti contro la teoria A che provengono dalla relatività speciale sfruttano questa caratteristica della relazione di simultaneità.

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Questa nozione di osservatore è strettamente legata a quella di sistema di riferimento, impiegata nella fisica. Su questo punto verranno fatte ulteriori precisazioni quando arriveremo a parlare della relatività.

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pensare molto legato al senso comune, sembra lecito chiedersi ‘Mentre schioccavo le dita cosa stava accadendo a un metro di distanza da me? E a un chilometro di distanza? E in un altro continente? E su un altro pianeta?’. Ognuna di queste domande ha come risposta la specificazione di un evento. Tutti questi eventi sono naturalmente tra loro simultanei.

È opportuno adesso porsi una domanda: che relazione c’è tra la simultaneità e l’estensione globale del presente? Qui è bene fin da subito essere chiari, perché nel dibattito filosofico è spesso sottinteso che questi due aspetti della teoria A si implichino vicendevolmente e che non si possa avere l’uno senza l’altro. La maggior parte delle obiezioni alle teorie dinamiche del tempo che si appoggiano sulla relatività speciale partono proprio da questo presupposto. Tuttavia, a ben vedere, le cose sono più complesse di quel che sembrano.

Cominciamo domandandoci se il presente globale richieda la simultaneità assoluta. La riposta negativa segue direttamente dalle definizioni che abbiamo dato. Simultaneità assoluta vuol dire che essa non dipende da un punto di vista o da un osservatore, e ciò non ha di per sé niente a che fare con l’estensione del presente. Il presente può avere estensione globale – nel senso che una classe di eventi che chiamo presenti e tra i quali intercorre una relazione di simultaneità può essere trovata – anche senza che questa sia la stessa per tutti gli osservatori. Diversi osservatori possono dare risposte diverse riguardo la simultaneità e tuttavia individuare una classe di eventi presenti che sia globale, che si estenda cioè per tutto l’universo. Vale allora il viceversa, cioè che la simultaneità assoluta debba implicare un presente di estensione globale? Anche qui la risposta è negativa: infatti si può immaginare che i diversi osservatori concordino sui diversi giudizi di simultaneità, senza che per forza tale simultaneità abbia estensione globale (questo però, occorre specificarlo, dipende anche dalla definizione che diamo della simultaneità).9 Volendo si possono riassumere queste considerazioni sui rapporti tra estensione del presente e simultaneità in una frase: la simultaneità e il presente non sono la stessa cosa. I due elementi si trovano strettamente intrecciati nell’immagine manifesta del tempo e nella teoria A, la quale cerca di esprimere questa loro commistione attraverso l’assegnazione della proprietà Presente a classi di eventi simultanei (cioè che avvengono allo stesso istante), assieme all’estensione globale del presente e all’assolutezza della simultaneità. Tutti questi diversi elementi, però, per

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quanto comunemente mischiati devono essere tenuti distinti nell’analisi filosofica. Al fondo, non c’è nessuna necessità di concepire il presente come la classe di eventi simultanei tra loro.

Infine, l’immagine manifesta del tempo porta certamente con sé la visione di un carattere dinamico della realtà, che comprende non solo il mutamento ma anche il divenire, nel senso in cui lo abbiamo definito: un rapporto tra il passaggio del tempo e l’esistenza. Il tavolino che è stato dato alle fiamme brucia col passare del tempo, finché non sarà bruciato del tutto e non esisterà più. Tale rapporto tra passaggio del tempo ed esistenza è trattato in maniera diversa dalle differenti teorie A. La differenza dipende da quali eventi le teorie considerino come esistenti. Il ruolo centrale è sempre comunque giocato dalla proprietà Presente. È in riferimento a tale proprietà, infatti, che viene operata la divisone tra passato, presente e futuro.

Tale divisione porta con sé quelle che vengono chiamate asimmetrie tra passato e futuro. Esse possono essere di svariato tipo: asimmetria di memoria (ricordiamo il passato ma non il futuro), conoscitiva (possediamo più informazioni sul passato che sul futuro), di azioni, di investimento emotivo e piscologico, influenza causale e altre ancora. L’asimmetria più importante riguarda in un certo senso il passaggio stesso del tempo. Ci si può domandare infatti: cosa conferisce al tempo la sua direzionalità? Perché il tempo scorre dal passato al futuro e non viceversa? La direzione del tempo è un argomento di grande complessità, specialmente perché coinvolge la fisica teorica: si è infatti cercato di spiegare tale asimmetria nello scorrere del tempo facendo riferimento alle asimmetrie dei fenomeni fisici legati all’aumento dell’entropia. Anche se questo non rappresenta per noi il tema centrale avremo occasione, più avanti, di dire qualcosa al riguardo. Si può però fin da subito far notare come la posizione stessa di tale problema si radichi nell’impostazione ontologica e concettuale di base, che è condivisa da entrambe le teorie A e B. Riprendiamo la nostra linea del tempo composta di istanti. Poniamo di assegnare la proprietà Presente all’istante t2. Diventa lecito domandarsi:

cosa fa sì che il prossimo istante ad acquisire quella proprietà sia t3 e non t1? Nella

caratterizzazione degli istanti per come essa è stata data qui c’è infatti un’uniformità ontologica di base. Non c’è niente che distingua di per se stesso un istante da un altro. Una volta assunta questa impostazione la domanda sulla direzione del tempo segue direttamente: perché lo spostamento della proprietà Presente prosegue in una direzione piuttosto che in un’altra della linea del tempo? Non a caso si parla spesso della cosiddetta “freccia del tempo”. Perché la freccia è orientata in una direzione particolare?

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Ora: riconoscere l’impostazione che fa generare il problema deve almeno in parte essere la base di una sua possibile risoluzione. Inoltre, cercare nei fenomeni studiati dalla termodinamica e nell’aumento dell’entropia la ragione dell’orientamento della freccia del tempo corrisponde invece alla tendenza a equiparare il tempo a un fenomeno naturale. E non si tratta certo di un approccio recente che ha dovuto aspettare le leggi della termodinamica; già Platone nel Timeo, infatti, legava lo scorrere del tempo a un fenomeno naturale quale il movimento dei corpi celesti. Del problema della direzione del tempo non parleremo molto nel dettaglio, in generale vale il fatto che la teoria A cerchi di ricondurre tutte le suddette asimmetrie all’operazione di spartiacque tra passato e futuro operata dalla proprietà Presente.

Possiamo dunque così riassumere le caratteristiche fondamentali della teoria A nel seguente elenco:

 Assunzione di un istante “privilegiato” il quale possiede la proprietà Presente  Esistenza di una relazione di simultaneità assoluta tra eventi

 Presente di estensione globale

 Rapporto tra passaggio del tempo ed esistenza: divenire assoluto

 Asimmetrie tra passato e futuro come, in generale, dipendenti dalla proprietà Presente

 Problema della direzione del tempo

Inoltre, abbiamo visto come tra l’estensione globale del presente e la simultaneità assoluta non ci sia implicazione, né in un verso né nell’altro. Il motivo per il quale da molti filosofi impegnati nel dibattito questi due aspetti vengono spesso trattati come fossero uno solo è quindi banalmente il fatto che nelle teorie A, o quantomeno nelle loro versioni standard, essi vadano sempre insieme? In parte sì, ma c’è anche qualcosa in più: essi sono legati anche al divenire assoluto. Infatti, nelle teorie A è lo spostamento della proprietà Presente che detta lo svolgersi di un processo di divenire assoluto. Quindi il legame è triplice: presente globale, simultaneità assoluta, divenire.

Questo legame può essere chiarito con un esempio. Prendiamo tre eventi: e1, e2, e3.

Mettiamo che valga tra essi una relazione di simultaneità assoluta, cioè che siano visti come simultanei da tutti gli osservatori. Introduciamo anche un presente globale. Avendo stabilito che questi tre eventi sono simultanei, cioè accadono allo stesso istante,

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basterà che uno di essi abbia la proprietà Presente per dedurne che ce l’abbiano tutti e tre. Poniamo adesso il caso di trovarci in una teoria A che consideri esistenti sia gli eventi passati che quelli presenti. Con lo spostamento della proprietà Presente, quindi, nuovi eventi saranno aggiunti all’esistenza. Ora, cosa ne sarebbe di questo processo se sostituissimo alla simultaneità assoluta una simultaneità relativa? Poniamo per esempio che per un osservatore O1 gli eventi e1 ed e2 siano simultanei e presenti mentre e3 si

trovi nel futuro rispetto ad essi, mentre per un altro osservatore sono e2 ed e3 ad essere

simultanei e presenti ed è e1 a trovarsi nel futuro.10 Questo avrebbe come risultato che

per i due osservatori sarebbero differenti non solo i loro giudizi sulla simultaneità ma anche il processo stesso del divenire assoluto. Per O1 l’evento e3 non esiste ancora

mentre per O2 sì; l’opposto vale per l’evento e1. Vediamo quindi che legare il divenire

assoluto alla proprietà Presente senza assumere una simultaneità assoluta comporta che a dipendere dai singoli osservatori – cioè da un particolare punto di vista sul mondo e sulla realtà – sia il divenire stesso, cioè il cominciare a esistere e il cessare di esistere delle cose. Questo vorrebbe dire che l’esistenza non è un qualcosa di assoluto, dove per assoluto si intende semplicemente qualcosa indipendente da una prospettiva. La realtà è per così dire “frammentata” in numerose prospettive dalle quali risultano giudizi inconciliabili su cosa esista e cosa no, e su cosa sia futuro o presente o passato. Ad imboccare questa strada sono le cosiddette teorie A non-standard. La motivazione che porta a sviluppare una teoria di questo tipo è solitamente il voler conciliare la componente dinamica di una teoria A con gli assunti della relatività speciale. Si tratta naturalmente di una soluzione a suo modo estrema, profondamente controintuitiva, verrebbe quasi da chiedersi se non sia semplicemente assurdo far dipendere da una particolare prospettiva i giudizi esistenziali. Dopotutto, è molto più affine al nostro modo di pensare comune che una domanda del tipo ‘L’entità x esiste o no?’, cioè una domanda sulla necessità o meno di inserire un’entità nel nostro inventario ontologico, trovi una risposta precisa e univoca, che non dipende da un punto di vista particolare. Tale perplessità riguardo a quella che si può definire una vera e propria relativizzazione

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Nell’esporre questo punto si è “barato”: non si è specificato in quale istante di tempo i due osservatori stabiliscono i loro giudizi di simultaneità. Mancando la simultaneità assoluta, non sarebbe qui permesso dire qualcosa come: “Per O1sono questi eventi ad essere simultanei mentre per O2 sono questi

altri”. Ciò che non è possibile dire in mancanza della simultaneità assoluta è proprio quel “mentre”. Per cui, la faccenda sarebbe molto più complicata di così; sarà affrontata in tutta la sua complessità quando parleremo della relatività speciale.

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del concetto di esistenza è ben espressa da Gödel in un suo articolo sul tempo nella relatività generale:

“Uno scorrere relativo del tempo, però, se si può dare un significato a questa frase, sarebbe certamente completamente diverso dallo scorrere del tempo nel senso ordinario, che implica semplicemente un cambiamento in ciò che esiste. Il concetto di esistenza, però, non può essere relativizzato senza distruggerne completamente il significato” (“A remark about the relationship between relativity theory and idealistic philosophy”, citato in Dorato 2013)

Bisogna dunque scartare per principio ogni teoria A non-standard classificandola

come completamente assurda? No, si tratterebbe di una conclusione troppo affrettata.11

Sicuramente si può imporre a questo tipo di teorie un requisito minimo da soddisfare: i giudizi di esistenza relativizzati ai diversi osservatori non devono essere tra loro contraddittori. Cioè: possiamo lasciare aperta, almeno in linea di principio, la possibilità che l’esistenza e il divenire assoluto siano relativizzati; tuttavia nel caso in cui sia

possibile confrontare (vedi nota 10) i giudizi di esistenza dei diversi osservatori non

devono sorgere contraddizioni. Non deve cioè verificarsi il caso che, confrontando le due prospettive, di una stessa cosa (o meglio, di uno stesso evento) venga detto che insieme esiste e non esiste.

Dunque, abbiamo mosso i primi passi verso un’analisi del concetto di divenire e il modo in cui è legato alle teorie dinamiche del tempo. Esserci soffermati sulle basi concettuali di tali teorie ha per forza di cose rallentato l’esposizione ma tutta la precisione d’analisi guadagnata in queste pagine iniziali ci faciliterà il resto del percorso. Il prossimo obiettivo consisterà nell’analizzare le diverse teorie A per valutarne i puti di forza e di debolezza e valutare quale possa essere la più adatta a esprimere la realtà del divenire assoluto.

1.2 I modelli ontologici delle teorie dinamiche del tempo

Cominciamo illustrando quella tra le teorie A che è la meno parsimoniosa al livello ontologico: quella per cui esistono sia gli eventi passati, sia quelli presenti e quelli futuri. Tutti gli eventi disposti sulla linea del tempo fanno parte del nostro inventario ontologico. Tuttavia, solo gli eventi di un istante possiedono la proprietà Presente. La

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proprietà si sposta a istanti successivi e col suo spostarsi eventi che prima erano futuri diventano presenti, e gli eventi che erano presenti diventano passati, mentre il passato “si allontana” sempre di più dal presente. Questo tipo di teoria A contempla quindi la realtà del passaggio del tempo ma non del divenire assoluto. Infatti, affinché ci sia divenire assoluto deve esserci un cambiamento in ciò che esiste associato allo scorrere del tempo.

Questa teoria è detta moving spotlight view. La ragione di tale nome è facile da comprendere: la “torcia” del presente si sposta, illuminando di volta in volta un istante e un insieme di eventi diverso. Questa illuminazione però non comporta nessun cambiamento in ciò che esiste: gli eventi futuri e passati esistono tanto quanto esistono quelli presenti. Tuttavia, c’è un senso in cui un insieme di eventi viene in qualche modo attualizzato, viene ad acquisire uno status metafisico particolare per il fatto di possedere la proprietà Presente. Come leggiamo in Iaquinto e Torrengo (2018):

“Sebbene nella moving spotligh view lo scorrere del tempo non porti a cambiamenti della realtà nel suo complesso per quanto riguarda l’esistenza, anche per tale teoria è la realtà in toto a cambiare con il passare del tempo. In questo modello, essere presente è infatti una proprietà che individua una differenza metafisicamente sostanziale tra le entità che la possiedono e quelle che non la possiedono, anche se non va individuata con l’esistenza” (pag. 36-37)

Naturalmente, una delle obiezioni più immediate a tale teoria è che non sia effettivamente chiaro in cosa consista tale cambiamento della realtà nel suo complesso visto che l’unica cosa che cambia qui è la possessione della proprietà Presente, ma tale cambiamento di possessione non influisce su letteralmente nient’altro. Viene cioè il sospetto che la differenza tra una teoria A di questo tipo e una teoria statica del tempo sia puramente nominale. Dire che col passaggio del tempo si realizza un cambiamento di tipo puramente metafisico non è d’aiuto visto che non chiarisce in nessun modo in cosa il cambiamento consista. Tra i molti che hanno rivolto questo tipo di obiezione alla

moving spotlight view, una formulazione efficace la si trova in Fine (2005):

“Come può questo solitario fatto ‘dinamico’, in addizione a tutti i fatti statici che anche il [teorico B] è disposto ad accettare, essere sufficiente a rendere conto del passaggio del tempo? La concezione [del teorico A] della realtà temporale… è statica o simile a un blocco unitario tanto quanto della del [teorico B], l’unica differenza sta nel fatto che il blocco del primo abbia un centro privilegiato. Ma

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anche se ammettiamo che la presentezza possa illuminare il mondo, non c’è niente in questa concezione metafisica che impedisca che la luce sia ‘congelata’ su un particolare momento del tempo” (pag. 287)

Quello che Fine sta affermando è sostanzialmente che possiamo immaginare la linea degli eventi come completamente statica e immutabile in se stessa – come di fatto è nella teoria della moving spotlight – e aggiungere sì la proprietà Presente ma di modo che essa sia attaccata in modo fisso a un istante. Di qui egli argomenta:

“La futura presentezza di un istante tn+1 non consiste in nient’altro che nel fatto

che tn è presente e che tn+1 è successivo a t e… la passata presentezza di tn-1 non

consiste in nient’altro che nel fatto che t sia presente e tn-1 precedente a t. Ma a

questo punto come può il passaggio del tempo consistere nel fatto che un dato istante è presente e che vi siano altri istanti siano successivi o precedenti a quell’istante dato?” (Fine 2005, pag. 287)

In questa versione in cui la proprietà Presente è fissa non c’è alcun cambiamento nella realtà, e dunque non c’è differenza da una teoria statica del tempo. La risposta più ovvia da fornire a questa obiezione, data per esempio da Deasy (2016, pag. 12-13), è che un sostenitore della moving spotlight non accetterebbe mai questa formulazione della sua teoria: la formulazione originale e quella di Fine non sarebbero in alcun modo analoghe, poiché nella moving spotlight view la proprietà Presente non è fissa ma si muove:

“… dal fatto che ci siano istanti precedenti e successivi all’istante presente segue che ci sono istanti che sono stati e che saranno presenti, e ne segue quindi che l’istante presente non è sempre presente” (Deasy 2016, pag. 13)

Il punto è capire se questa risposta aggiunga effettivamente qualcosa. Supponiamo infatti che la proprietà Presente si sposti dall’istante t all’istante tn+1 e domandiamoci:

cosa è cambiato? Di fatto niente, o quasi: ci sono eventi passati ed eventi futuri definiti tali in base a un istante dato, solo che l’istante è diverso. Questo è sufficiente a fornire una nozione consiste di passaggio del tempo?12

In generale, la sfida per qualcuno che voglia difendere questo tipo di teoria è quella di articolare con precisione in cosa consista lo scorrere della torcia del presente, e che

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È da notare come in linea di principio non ci sia neanche necessità che la proprietà Presente si sposti da un istante a quello immediatamente successivo; essa potrebbe infatti anche “saltare” a un altro istante qualsiasi e, fatta esclusione per le proprietà temporali, la totalità della realtà rimarrebbe immutata.

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differenza ci sia tra una teoria statica del tempo, in cui pure non c’è cambiamento per quanto riguarda l’esistenza degli eventi, e una teoria dinamica in cui c’è passaggio del tempo ma non cambiamento nell’esistenza.

A ogni modo, al di là delle sottigliezze metafisiche, le considerazioni qui svolte ci permettono anche di fare un’ulteriore distinzione: quella tra realtà ed esistenza. Ciò emerge qui in quanto viene detto che nella teoria della moving spotlight c’è un cambiamento nella realtà – cioè nell’istante e negli eventi che possiedono la proprietà Presente – senza che vi sia un cambiamento nell’esistenza. Ora, chiarire il concetto di esistenza sarebbe un’impresa filosofica talmente ampia che non può essere affrontata qui. Ci possiamo limitare a dire che l’esistenza non va intesa come una proprietà (ed è questo un assunto che da Kant in poi è generalmente condiviso dai filosofi). Per chiarire in modo intuitivo questo concetto non possiamo che richiamarci ancora una volta a metafore legate allo scorrere del tempo: la civiltà azteca non esiste più, in quanto tutta una serie di eventi hanno portato alla sua fine e alla sua scomparsa; allo stesso modo si può dire di una malattia debellata che non esiste più. Oppure, in riferimento al futuro, si può dire che, al 2019, il primo bambino nato nel 2020 non esiste ancora, così come non esistono ancora i miei nipoti (e c’è più di una possibilità che non esistano mai). Il concetto di realtà per come qui è inteso non è l’analogo di quello di esistenza. Esso è facilmente definibile in rapporto al suo contrario, cioè la fantasia o la finzione. Reale vuol dire non immaginario, non inventato. Quando si fanno asserzioni sulla realtà esse sono vere o false indipendentemente da noi, mentre ciò non vale per la fantasia13. Queste considerazioni sono molto generiche ma sono per ora più che sufficienti per tenersi alla larga da una confusione molto diffusa nel dibattito. Spesso infatti i concetti di esistenza e di realtà vengono adoperati in modo interscambiabile quando si parla del tempo. Per esempio, in riferimento alla teoria della moving spotlight si può trovar detto che in essa sia gli eventi passati che quelli futuri, oltre a quelli presenti, sono reali. Ciò è senz’altro vero, ma può valere benissimo per tutte le altre teorie A (o, quantomeno, non è scontato che non valga). Prendiamo ad esempio una teoria A per la quale esistono solo gli eventi presenti. Secondo una teoria di questo tipo i dinosauri non esistono più, poiché di ciò che sta accadendo adesso niente coinvolge entità quali i dinosauri. Tuttavia, ciò non significa assolutamente che per una teoria di questo tipo i dinosauri

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Si potrebbe obiettare che anche un’asserzione sul contenuto di un romanzo, per esempio, è vera o falsa indipendentemente da noi. Questo naturalmente è vero, però in questo caso ci stiamo riferendo al romanzo come opera compiuta che entrata a far parte della realtà, appunto.

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non siano reali nel senso che siano opere di fantasia. Questo è un punto che avrà ulteriori approfondimenti ma per ora possiamo già constatare come, data una certa definizione di ciò che si intende come reale, non c’è nessun passaggio immediato dal non esistere più o non esistere ancora di qualcosa al suo non essere reale, cioè essere creazione di fantasia.

Tornando alla moving spotlight view, le motivazioni che spingono ad adottarla come teoria filosofica sul tempo sono principalmente due. La prima riguarda il suo vasto inventario ontologico, che proprio per la sua vastità è particolarmente comodo (ciò risulterà chiaro quando parleremo dei problemi cui possono andare incontro teorie dinamiche più parsimoniose). La seconda è il voler accomodare sia l’intuizione che in qualche senso il passato e il futuro siano reali quanto il presente, sia quella che vi sia un carattere intrinsecamente dinamico della realtà. Accettando l’esistenza di eventi passati e futuri la moving spotlight view si assicura il primo obiettivo: se infatti dal fatto che qualcosa non esiste più o non esiste ancora non segue che essa non sia reale, certamente dal fatto che esiste segue che lo sia (dire di qualcosa che esiste ma non è reale sembra infatti una contraddizione in termini, quale che sia il modo in cui si vogliono interpretare tali termini). Il passaggio del tempo dovrebbe invece essere salvato, come abbiamo visto, dallo spostamento della proprietà Presente. La natura controversa di quest’ultimo punto è stata sufficientemente sottolineata; riguardo invece alla scelta di considerare esistenti anche gli eventi passati e futuri, si deve dire che questo rende la teoria della moving spotlight particolarmente esposta a un’obiezione classica che da sempre viene rivolta alle teorie A: quella sulla velocità dello scorrere del tempo. Per schematizzare in cosa consista tale obiezione riprendiamo la nostra immagine della linea del tempo. Secondo la moving spotlight il presente è come una sorta di puntatore che dall’indicare un istante si sposta ad indicare quello successivo, come riassunto nella seguente figura:

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Ora, come per ogni movimento – e qui siamo caduti in pieno nella trappola di equiparare il passaggio del tempo a un fenomeno naturale – è lecito domandarsi: quanto velocemente avviene tale movimento? E cioè: quanto tempo impiega tale movimento per compiersi? Il problema qui è che la domanda si riferisce a quel movimento che dovrebbe rappresentare il passaggio del tempo stesso. Il rischio evidente è quello di cadere in una completa circolarità, cioè di avere bisogno di far riferimento al tempo per definire il passaggio del tempo. Il teorico A ha diversi modi per cercare di rispondere a questo tipo di obiezione, i quali saranno presi in esame più avanti (sez. 1.5).

In relazione alla moving spotlight view, quello che ci si può chiedere è se una volta preso atto dei problemi che la affliggono sia ancora vantaggioso volerla adottare. Infatti, tutte le sue complicazioni emergono dal suo essere ontologicamente molto pesante e non è chiaro che questa scelta conferisca dei reali vantaggi; come abbiamo detto, non sembra necessario suppore che qualcosa sia esistente affinché sia reale.

Spostiamoci dunque verso una teoria A ontologicamente più leggera. Quella che afferma l’esistenza di eventi passati e presenti ma non di eventi futuri prende il nome di teoria growing block (in italiano chiamata anche “incrementismo”). In questa teoria il passaggio del tempo consiste nel venire in essere di nuovi eventi, i quali quando

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diventano passati non cessano di esistere. In questo modo si può vedere schematicamente l’universo come un vero e proprio blocco di eventi che va ampliandosi di istante in istante.

Tale teoria può fare a meno di eventi futuri ma trarre beneficio dalla postulazione di eventi passati. In questo modo può per esempio rendere conto di alcune asimmetrie di contenuto tra passato e futuro menzionate sopra. Per esempio, perché ricordiamo il passato ma non il futuro? In questa teoria la risposta è semplice: il futuro non esiste. Ora, bisogna precisare cosa si intende dicendo ciò. Un primo modo di intendere tale asserzione è dire che gli istanti che possiedono la proprietà Futuro sono, per così dire, vuoti di contenuto: gli istanti temporali futuri esistono ma non vi sono eventi che accadono in quegli istanti. Quando tali istanti otterranno la proprietà Presente e successivamente quella Passato verranno riempiti da eventi esistenti. Prima di quel momento, però, esistono solo in quanto entità temporali, senza che niente vi accada. Naturalmente, la postulazione di istanti futuri vuoti sembra essere una vera e propria mossa ad hoc; sembra cioè che si inseriscano nella teoria delle entità che possono far comodo per la spiegazione ma per la cui esistenza non ci sono prove o motivazioni stringenti. E infatti, non è questa la mossa solitamente adottata da chi vuole difendere una teoria growing block. La soluzione più comoda è invece negare l’esistenza di istanti futuri vuoti e affermare che tutto ciò che esiste sono gli istanti e gli eventi presenti e passati. Con questa mossa il teorico growing block guadagna anche un altro vantaggio non da poco: poter abbandonare la definizione del Presente come di una proprietà. Infatti, una volta che ci siamo sbarazzati degli istanti futuri l’istante Presente può semplicemente venir definito come l’ultimo istante venuto in essere, cioè quello che si trova, per usare una metafora, sul bordo del blocco che cresce. Come illustrano alcune spiegazioni della teoria:

“…gli eventi presenti non possiedono una proprietà distintiva di presentezza, della quale sarebbero privi gli eventi passati. Un evento è presente in virtù del suo appartenere alla più recente aggiunta di realtà, e questo è tutto. Questo non cambia nelle sue proprietà intrinseche mentre affonda nel passato, sarebbe a dire, mentre quando addizionali “fette” di realtà sono aggiunte all’universo.” (Dainton 2010, pag. 69)

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“…il presente non è identificato per via del suo status ontologico, ma per via di una sua caratteristica topologica: è quella zona della realtà che temporalmente ha molte cose prima di sé, ma non ha nulla davanti a sé.” (Iaquinto, Torrengo 2018, pag. 32)

Questa è senz’altro la formulazione più elegante e vantaggiosa della teoria. Non soltanto consente, come accennato, di sbarazzarsi di entità ontologicamente sospette come istanti temporali vuoti ma permette di evitare quella che è forse l’obiezione più comune alle teorie A, cioè il famigerato paradosso di McTaggart (esaminato in sez. 1.3). Facciamo comunque notare come il Presente, anche se non più concepito come una proprietà ma come una “zona” della realtà svolga ancora un ruolo di primo piano nella teoria, visto che è per via del suo avanzamento che vi è passaggio del tempo e con esso divenire assoluto.

Esiste anche una versione per così dire “ribaltata” del growing block: una teoria A per cui ad esistere sono solamente gli eventi e gli istanti presenti e futuri, mentre non esistono istanti o eventi passati. Quello che otteniamo qui è l’esatto opposto di un blocco che cresce continuamente istante dopo istante man mano che nuovi eventi entrano nell’esistenza: abbiamo un blocco che viene eroso continuamente, man mano

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che il tempo passa e gli eventi futuri diventano presenti e da presenti cessano semplicemente di esistere. Questa teoria prende il nome di shrinking block (“erosionismo” in italiano):

“Il presente è inteso adesso come il margine di un futuro costantemente ‘eroso’ dallo scorrere del tempo. Anche in questo caso il presente è individuato topologicamente: è la zona della realtà che temporalmente ha tutto il resto davanti a sé, senza avere nulla alle sue spalle. E anche in questo caso la caratterizzazione topologica del presente ha come conseguenza che lo scorrere del tempo è costituito da un cambiamento nell’esistenza. A mano a mano che la linea del presente percorre ciò che prima era futuro, la realtà nel suo insieme si restringe” (Iaquinto, Torrento 2018, pag. 34).

Sia la teoria growing block che la shrinking block rispondono ad alcune nostre intuizioni sul passaggio del tempo. Innanzitutto, entrambe trovano spazio per forme del divenire assoluto: nella prima come venire in essere di nuovi eventi, nella seconda come uscire dall’essere di eventi che già esistono. Inoltre, la teoria growing block vuole render conto della realtà del passato: da quando Cesare è esistito esso fa parte della storia dell’universo, è divenuto un personaggio storico e deve a tutti gli effetti essere

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classificato come parte della realtà nella sua totalità. È per questo che la teoria growing

block assume l’esistenza degli eventi passati. La teoria shrinking block cerca invece di

salvare l’intuizione opposta, quella del passato - in accordo col termine stesso - come qualcosa di già accaduto, di andato per sempre, ormai inaccessibile. Gli eventi futuri invece avrebbero certamente un grado di realtà maggiore, perché si tratta di qualcosa che, dovendo ancora accadere, per ciò stesso ci riguarderà: qualcosa che può e di fatto avrà effetto su di noi mentre il passato è causalmente inerme. Come argomenta Norton (2014):

“…gli eventi futuri possiedono una proprietà che non è posseduta dagli eventi passati: hanno la capacità di poter diventare presenti. Gli eventi passati sono privi di tale capacità. Una volta che sono passati, sono esauriti. La capacità [di diventare presenti] è perduta. Di fatto non possiedono più nessuna potenzialità” (pag. 1)

Inoltre, come fanno notare Casati e Torrengo (2011), un’altra forte intuizione da noi sfruttata nei rapporti col mondo e che potrebbe portare un po’ d’acqua al poco popolare mulino della shrinking block è quella per cui ciò che esiste adesso continuerà ad esistere in futuro:

“Considera la tua percezione presente di questo tavolo adesso, di fronte a te. Normalmente si assume questa come una prova della condizione futura del tavolo. Guardando il tavolo adesso è come se, in un certo senso, avessimo un accesso intuitivo al suo futuro. […] Noi viviamo con l’inattaccabile convinzione che questo tavolo, questa casa, questa città, e la maggior parte delle cose nel nostro mondo, ci sarà anche nei prossimi cinque minuti, o anche domani, solamente perché c’è adesso; oppure, che qualcosa che risulta dal loro cambiamento sarà lì al posto loro domani” (pag. 241)

A ogni modo, tra le due teorie quella che a un primo sguardo sembra più vantaggioso far propria è forse la growing block. Di fatto, in tale teoria c’è sempre la garanzia che quando si parla del passato si parli sempre di qualcosa di reale, poiché gli eventi passati sono ancora esistenti. Che gli enunciati sul passato riguardino la realtà è un requisito pressante per qualsiasi teoria filosofica sul tempo, poiché altrimenti si ridurrebbero gli enunciati su eventi come la battaglia di Waterloo o la Seconda Guerra Mondiale a enunciati che non dipendono da nessuna realtà fattuale per la loro verità o falsità. Tutti i libri di storia diverrebbero nientemeno che dei romanzi fantasy, mentre

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